I
La Sapienza nella Scrittura

 

Quasi tutti gli studiosi moderni, liberali o conservatori, classificano prontamente Ecclesiaste come parte della “letteratura sapienziale” della religione dell’antico Israele. Per loro questa è la prima e di gran lunga la cosa più sicura che si possa dire in proposito. Così esso è visto principalmente come la realizzazione del genio religioso di un popolo un tempo grande ed illustre. Si dice che, assieme a Proverbi, Giobbe e il Cantico dei Cantici, Ecclesiaste appartenga ad una speciale forma di pensiero e di espressione che compone una tradizione che, in combinazione con altre tradizioni, ha contribuito alla fede particolare e ai valori degli Ebrei. In altre parole, oltre la tradizione profetica con la sua enfasi accusatoria della legge di Jehova, e oltre alla tradizione sacerdotale con le sue osservanze di culto, si può parlare di un altra tradizione chiamata “Sapienza”, che presto (nessuno può dire con certezza quando) esercitò un’influenza crescente sugli “scribi” e gradualmente, nel corso di pochi secoli, è cresciuta in un distinto e definibile corpo d’insegnamento che ebbe un forte impatto sullo sviluppo di una delle grandi religioni antiche dell’uomo. E, naturalmente, per mezzo di giudaismo e cristianesimo quella saggezza antica è stata passata a noi che abbiamo continuato a riflettere sui problemi e le prognosi sentenziose che il libro dà per l’esperienza umana nel nostro tempo. Qualcosa di questo genere è quantomeno il modo in cui viene visto il patrimonio di sapienza della Scrittura da parte dell’intellighenzia biblica troppo spesso controllata dal moderno spirito dell’ “illuminismo”, con la sua ricostruzione della parola di Dio centrata sull’uomo.

Oltre ad essere considerata come il prodotto del genio di un popolo antico particolare con il proprio mix unico di ideali culturali e religiosi, questa particolare varietà ebraica si pensa derivi da valori condivisi che sorsero da qualche mondo più ampio di saggezza religiosa e culturale limitrofa e orientale. Abitando come una nazione in mezzo a nazioni simili con tradizioni simili, Israele deve sicuramente aver preso in prestito da quel milieu più grande come da una fonte di ispirazione, anche se il prodotto finale è stato adattato alle proprie circostanze e prospettive. Non sorprende che gli studiosi abbiano cercato di esplorare le zone salienti dove possono confrontare la saggezza d’Israele con i più antichi ideali di civiltà che la circondavano e che, ovviamente, sono stati utilizzati nella realizzazione del proprio punto di vista. In questo modo l’unicità della sapienza biblica è considerata essere nient’altro che un particolare tipo di sviluppo evolutivo generale dell’uomo antico e dei suoi tentativi di scoprire e definire che cosa sia la qualità distintiva della vita umana, con le sue possibilità quanto con le sue limitazioni.

Ora certamente, le grandi civiltà antiche, che si pensi dell’Egitto o della Mesopotamia, o anche più tardi dei Greci, possedevano delle convinzioni profondamente radicate riguardanti la sapienza in quanto guida utile per l’uomo per il conseguimento della “buona vita”, poiché questo è ciò che ogni tradizione di sapienza degna di questo nome pretende di fornire. Naturalmente, non possiamo trascurare di dire qualcosa di quegli ideali di sapienza che si trovavano in contrasto con la sapienza concessa a Israele, ma riserviamo le nostre osservazioni dopo che avremo chiarito la natura e il posto della sapienza nella Scrittura, poiché la sapienza che era stata designata per essere retaggio esclusivo d’Israele non avrebbe potuto avere altre fonti che Dio onnipotente, ed è stata depositata come scritto sacro.

Questo ci porta al cuore della questione. Noi non consideriamo per un solo momento che la sapienza nella Scrittura sia un mero artificio umano che in qualche modo si sia consolidato progressivamente in un corpo di idee che ha poi acquisito l’autorità di una venerata tradizione didattica, l’accumulo di saggezza dei secoli, per così dire. Invece, la sapienza della Scrittura è una caratteristica della rivelazione redentiva di Dio al suo eletto popolo pattizio: Israele. Era suo dono, il suo speciale favore verso di loro per farli risaltare come peculiari e distinti dalle nazioni che li circondavano. Israele avrebbe sempre dovuto capire che la sua sapienza poggiava sulla sua obbedienza ai giusti ordinamenti a lei consegnati per mezzo di Mosè, e su niente altro. Possedeva quanto nessuna nazione aveva mai avuto il privilegio di possedere: la conoscenza del Dio vivo e vero. In tale conoscenza si sarebbe dovuta sviluppare in un popolo saggio e diventare un faro per le nazioni. Qualsiasi sapienza sia esistita in Israele è stata il frutto della chiamata di Israele da parte di Dio ad essere il suo tesoro particolare e di averle impartito una comprensione della sua volontà. A differenza dei suoi vicini che abitavano nelle tenebre e nell’ignoranza, adorando falsi dèi e servendo ideali vani, entrambi prodotti della loro peccaminosa immaginazione, Israele doveva vivere esclusivamente dalla conoscenza di una verità non di propria concezione; una verità che era puramente un regalo della sovrana grazia divina.

La differenza tra la sapienza peculiare data a Israele e la cosiddetta sapienza delle grandi civiltà che la circondavano, e talvolta attraevano, ha bisogno di attenzione, soprattutto per quanto riguarda lo studio di Ecclesiaste. A causa della sua presunta negatività e pessimismo, e del suo presunto stoico acquiescere di fronte ad un fatalismo apparentemente arbitrario, Ecclesiaste è regolarmente paragonato favorevolmente ai modelli di sapienza esistenti fuori d’Israele. Si sostiene che adotti in gran parte lo stesso sentimento. Come avrebbe potuto evitare d’essere genericamente una delle varietà di sapienza orientale? Anche studiosi presumibilmente “conservatori” sono reticenti ad ammettere che esso contenga, per quanto vagamente, qualsiasi “vangelo” nel suo messaggio. Anch’essi, spesso, interpretano il libro come umanesimo pessimista. Allo stesso tempo, essi devono ammettere, a differenza dei loro precettori liberali, che Ecclesiaste effettivamente appartiene alla canone delle Scritture. Ma l’ermeneutica con cui lavorano, centrata prevalentemente sull’uomo, li lascia perplessi sul cosa ci faccia lì. Troppo spesso lo scrittore di Ecclesiaste è visto come riflettere la sua esperienza piuttosto che parlare per ispirazione dello Spirito santo. Al contrario, riteniamo che una corretta comprensione dell’Ecclesiaste sia collegata alla comprensione del messaggio biblico nel suo complesso. Per riconoscere la sapienza divina in Ecclesiaste è necessario che prima comprendiamo cosa significhi sapienza nella Scrittura in generale.

È un errore pensare che la sapienza nella Scrittura risieda esclusivamente nella cosiddetta letteratura sapienziale. Infatti, è del tutto sbagliato pensare che la sapienza sia solo una parte del messaggio biblico. La sapienza, piuttosto, è la somma e la sostanza del messaggio scritturale nella sua interezza. Tutto ciò che la Scrittura proclama concerne la sapienza. Ogni parola è una parola di sapienza, poiché la Scrittura “è utile”, dice l’apostolo Paolo, “a rendere savi a salvezza mediante la fede in Gesù Cristo” (2 Tim. 3,15). Ecclesiaste è un libro sapienziale solo perché esso trasmette, nel suo stile unico e per i propri fini diversi, lo stesso preciso messaggio sapienziale che emana dalla Scrittura nel suo insieme. È “letteratura sapienziale”, perché la Scrittura come tale è “letteratura sapienziale”; la parte riflette il tutto. Ecclesiaste è necessariamente una parte della Scrittura. Se desideriamo comprendere il contenuto di sapienza dell’Ecclesiaste, avremo bisogno di sapere qualcosa della natura, del significato e dello scopo della sapienza nella Scrittura in modo più ampio. Noi non avremo successo nel penetrare al cuore di ciò che Ecclesiaste insegna a meno che non siamo in grado di formulare una dottrina generale della sapienza nella Scrittura. Iniziamo dove siamo assolutamente in dovere di cominciare: con la sapienza in relazione a Dio stesso. Solo considerando prima ciò che significhi sapienza in relazione a Dio, possiamo avere qualche apprezzamento del ruolo che è intesa svolgere nella vita e attività dell’uomo.


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