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L’UMANESIMO SCONFITTO

DALLA LEGGE DI DIO

Poiché la legge procederà da me

e io porrò il mio diritto

come luce dei popoli.

(Isaia 51:4)

…le tenebre stanno passando,

e già risplende la vera luce.

(1 Giovanni 2:8)

 

IL PATTO: VANGELO E LEGGE

Introduzione

A seconda delle diverse prospettive legittime che si utilizzano per considerare il patto (di cui la Scrittura è il trattato), esso può essere descritto come composto da cinque, sei o sette parti [1]. Ma, considerato nei termini più semplici possibili, possiamo descrivere il patto come composto da due parti principali: vangelo e legge. In ciascuna delle sue fasi storiche (Adamo, Noè, Abraamo, Mosè, Davide e Cristo Gesù), il patto comprende sempre sia il vangelo che la legge, distinti ma inseparabili.

Infatti, la chiave per comprendere e ricevere il patto è riconoscere che è composto dal vangelo e dalla legge congiunti. Il vangelo non può essere separato dalla legge più di quanto la faccia di una medaglia possa essere separata dall’altra. Inoltre, il vangelo si lega alla legge, così come la legge al vangelo. Questa stretta relazione deriva necessariamente dalla natura di ciascuna parte.

Ecco perché la Riforma e i suoi dottori di ieri e di oggi, così come i teologi cristiani di altri credi, sono stati in grado di sviluppare una dottrina biblica del patto solo nella misura in cui hanno colto, con sempre maggiore precisione, che cos’è il vangelo: la buona notizia della grazia immeritata di Dio; e che cos’è la legge: l’insegnamento di ciò che Dio desidera che gli uomini siano e facciano nei vari aspetti e ambiti della vita.

È un errore pensare alla legge come a ciò che è stato insegnato prima di Cristo e al vangelo come a ciò che è stato insegnato con e dopo la sua venuta. Sebbene la parola “vangelo” (evangelion) si trovi solo nella tradizione degli apostoli, tuttavia si percepisce l’essenza del vangelo già alla base dell’intera TaNaKh. Allo stesso modo, sebbene la parola “legge” (ebraica, Tôrâh; greca, Nomos) caratterizzi in primo luogo la TaNaKh (anche quando è usata nella tradizione degli apostoli), tuttavia scorgiamo l’essenza della legge che ancora sottende l’intera tradizione degli apostoli. Questo per dire che dalla A alla Z, il trattato del patto non smette mai di spiegare, raffigurare e scoprire l’inseparabilità del vangelo e della legge di Dio nella loro profonda e intima relazione.

Il lettore avrà già intuito la mia riluttanza a usare i termini “Antico Testamento” e “Nuovo Testamento”, poiché preferisco i termini “TaNaKh” (o Bibbia ebraica) e “tradizione degli apostoli” – preferirei addirittura semplicemente “Bibbia” e “Tradizione”! Considero la parola “testamento” una traduzione deplorevole della parola greca diathêkê, che sarebbe meglio tradotta come “patto”. Siamo arrivati a tradurre diathêkê come “testamento” a causa dell’influenza della Vulgata latina (la traduzione latina della Bibbia di San Girolamo), che rendeva diathêkê come testamentum. È un errore della maggior parte delle nostre versioni italiane che traducono diathêkê come testamento in 2 Corinzi 3:14 e in Galati 3:17-29.

In 2 Corinzi 3:14 – “Infatti, sino al giorno d’oggi, quando leggono l’antico diathêkê, lo stesso velo rimane senza essere rimosso” – ha a che fare con la lettura (dei libri) dell’antico patto, non con l’Antico Testamento; quando viene tradotto come “testamento” qui, il vero significato si perde, anche se è diventato comune nelle nostre traduzioni [2].

In Galati 3:17-29 (bisogna leggere tutto il brano), la traduzione di diathêkê come testamento si rivela ancora più deleteria. In questo testo, San Paolo sta essenzialmente riunendo la fase abramitica e quella mosaica del patto, dimostrando la loro straordinaria unità e complementarità. La fase abramitica del patto enfatizza i due doni correlati di Dio: la sua promessa e la fede dell’uomo in quella promessa. Anche la fase mosaica del patto enfatizza questi due doni, come mostra San Paolo nel suo commento, secondo il quale il punto focale, il compimento della promessa divina e della fede umana si trova solo in Cristo, che è sia:

  • il discendente promesso o, più precisamente, il seme (sperma in greco) promesso ad Abraamo;
  • e Colui nel quale hanno creduto tutti i fedeli (dell’arrangiamento) dell’antico patto e nel quale credono e crederanno i fedeli del nuovo patto.

Paolo spiega chiaramente che la legge (nomos) data a Mosè, che venne 430 anni dopo Abraamo, non intendeva stabilire la possibilità di ottenere la vita e la giustificazione con le opere, nel qual caso avrebbe annullato la promessa del patto fatta ad Abraamo e l’esempio di giustificazione per grazia mediante la fede secondo cui ottenne la vita. Il punto dell’argomentazione di Paolo è piuttosto quello di mostrare che la legge data a Mosè è in pieno accordo con la promessa del patto fatta ad Abraamo e con l’insegnamento della giustificazione per grazia mediante la fede; perché la legge, propriamente intesa, smaschera l’incapacità dell’uomo peccatore di osservarla e quindi lo porta a cercare e trovare Cristo (in cui solo si trovano giustificazione e vita).

L’unico passo in cui diathêkê può essere tradotto con testamento è Ebrei 9:15-17 – “Infatti, dove c’è un testamento, bisogna che sia accertata la morte del testatore…”. Ma anche in questo unico caso in cui si riferisce a “testamento” è usato per sottolineare in modo inconfutabile che il nuovo (arrangiamento del) patto, come tutto il patto di cui parla la Scrittura, è una dispensazione sovrana e unilaterale di Dio (testamento!), che non ha nulla a che vedere con un contratto tra due parti [3].
Un altro punto relativo al vocabolario: la parola biblica “legge” (Tôrâh, Nomos) ha un senso più vivo che in italiano. Se da un lato significa ordinanze, comandamenti, regole, divieti, ingiunzioni o direttive, dall’altro significa anche, più in generale, le basi del corpo di leggi. Nella sua accezione principale e più ampia, “legge” si riferisce ai fondamenti della dottrina dell’insegnamento, in modo simile al termine latino Institutio, con cui Calvino, ad esempio, intitolò il suo capolavoro Istituzione della religione cristiana [4].
In precedenza, ho parlato di come le due componenti del patto, il vangelo e la legge, siano inestricabilmente legate e intimamente connesse.

Contra: “Ma”, è stato detto, “la sacra Scrittura (e in particolare San Paolo) non contrappone il vangelo alla legge?”.

Respondeo: Niente affatto! L’unica contrapposizione che la Scrittura (e in particolare San Paolo) stabilisce è quella tra coloro che, da un lato, pretendono di usare la legge come mezzo per giustificarsi (il che significa astrarre la legge dal patto, oltre che dal vangelo); e coloro che, dall’altro lato, sanno dalla Parola di Dio che è impossibile dipendere dalla legge e dalle opere della legge come mezzo per giustificarsi, e che la giustificazione è possibile solo in Cristo, e per mezzo della fede in lui.

L’esempio e l’insegnamento di San Paolo – un insegnamento ispirato da Dio – sono chiari in proposito. In sostanza, San Paolo (ex Saulo di Tarso) riferisce e dichiara il suo rapporto con la legge:

  • Quando ero Saulo di Tarso, mi vantavo di quello che pensavo fosse il mio successo nell’affidarmi alla legge, mentre in realtà (come ora so) stavo trasgredendo la legge come fanno tutti gli uomini (Romani 2:17 e 23). Mi concentravo solo sulla lettera della legge e credevo di osservarla (questa “lettera della legge” che ha in sé solo vita sufficiente per condannare e uccidere chi dice di seguirla fedelmente; cfr. Romani 2:27 e 2 Corinzi 3:6). A quel tempo “vivevo” tranquillamente sotto la legge (Romani 6:14-15) senza ancora rendermi conto che questo mi lasciava esposto solo alla “legge del peccato e della morte” (Romani 8:2). Cercavo, e pensavo di aver trovato, una giustizia che procedesse dalla legge, dalle opere della legge, come molti dei miei compatrioti, specialmente i farisei e gli scribi. Pensavo che la legge, le opere della legge, permettessero agli uomini, e in primo luogo agli ebrei, di stabilire e di essere sicuri della propria giustizia (Romani 10:3).
  • Ma quando sono diventato Paolo, dopo aver incontrato Gesù Cristo sulla via di Damasco (nel perseguitare la sua Chiesa stavo perseguitando lui), sono stato definitivamente liberato, affrancato dalla cosiddetta legge giustificativa e dal vecchio regime della lettera che uccide, per servire il nuovo regime dello Spirito (Romani 7:6). Così sono passato dall’essere sotto la legge all’essere sotto la grazia (Romani 6:15), sapendo da quel momento che la giustizia, la giustificazione, viene per grazia (Romani 10:4), mediante la fede (Romani 9:30; 10:6), in Cristo, il Santo. È lui che ha soddisfatto i requisiti della legge, diventando maledizione al mio posto, al nostro posto (Galati 2:19), affinché io possa vivere in Cristo che non è “morto inutilmente” (Galati 2:21).

E così questo uomo nuovo, Paolo, poteva esclamare – e noi esclamiamo con lui!:

Ma ciò che per me era un guadagno, l’ho considerato come un danno, a causa di Cristo. Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede (Filippesi 3:7-9).

 

L’ASCESA DEL MOVIMENTO TEONOMICO
CONTEMPORANEO

La legge non può essere adeguatamente affrontata o compresa se astratta dal vangelo, perché è solo a partire dal vangelo, e in relazione a questo vangelo che proclama la salvezza per grazia mediante la fede (come il dogma soteriologico della Chiesa dichiara apertamente contro tutti gli avversari), che il pieno significato della legge viene alla luce. In questo contesto, tenendo insieme legge e vangelo, diventa chiaro che la legge non è stata data come mezzo per la giustificazione dell’uomo, ma come guida per l’uomo giustificato dalla grazia per esprimere la propria gratitudine con una vita dedicata, all’obbedienza sempre rinnovata al Dio trinitario, l’unico e solo Salvatore, che vuole e deve essere l’unico e solo per la creazione e la redenzione, ma anche per la grazia vivificante e santificante con cui ha dato all’uomo giustificato in Cristo il potere efficace di rendere tale obbedienza. “Adoperatevi al compimento della vostra salvezza con timore e tremore; infatti è Dio che produce in voi il volere e l’agire, secondo il suo disegno benevolo” (Filippesi 1:12-13).

Il dogma della Trinità, il dogma dell’incarnazione, il dogma della salvezza e il dogma della Scrittura: questi sono i quattro dogmi fondamentali della fede ecclesiale, “cattolici” in quanto fedeli a tutta la Scrittura. Essi sono giunti a maturazione nel corso della storia della Chiesa e nel mezzo delle sue lotte: i primi due nei primi secoli della Chiesa, mentre combatteva l’arianesimo e una serie di eresie riguardanti la Trinità e le due nature di Cristo; gli ultimi due nel XVI secolo, mentre combatteva le tradizioni di Roma che oscuravano la vera natura della giustificazione e l’autorità biblica. Man mano che la Chiesa si proietta nel futuro sarà necessario aggiungere un quinto dogma: il dogma della Legge (nomos) di Dio (Theos), il dogma della “teonomia”, per combattere l’umanesimo oggi imperante.

Come i quattro dogmi precedenti, infatti, il nuovo dogma della teonomia cercherà di spiegare il mistero che è, e deve essere, la confessione permanente della Chiesa: DIO SOLO, IL PADRE, IL FIGLIO E LO SPIRITO SANTO, È IL SIGNORE E IL SALVATORE E NON C’È NESSUN ALTRO OLTRE A LUI.

In effetti, il credo, il pensiero e la vita della Chiesa e dei cristiani fedeli sono sempre stati implicitamente teonomici. Tuttavia, il dogma della Chiesa della teonomia (teonomia significa “fedeltà alla legge di Dio”) deve essere esplicitamente espresso ed elevato in ogni aspetto della vita (sia individuale che corporativa) del popolo di Dio, del popolo del patto – e questo contro tutti gli avversari, contro tutte le parti in causa.

È vero che non troviamo una dottrina teonomica esplicita nelle opere dei primi Padri e dei Dottori medievali, ma questo è dovuto al fatto che il dogma soteriologico della giustificazione non sarebbe stato definito sino alla Riforma (come detto in precedenza, la legge non può essere compresa correttamente a prescindere dal vangelo, a prescindere dalla salvezza per sola grazia mediante la fede, senza la quale si cade nel legalismo e nell’autogiustificazione). Tuttavia, l’idea di base della teonomia, essendo intrinseca all’impostazione generale della sacra Scrittura, è sempre stata presente e attiva sia nella Chiesa che nella società cristianizzata [5].

Tra i riformatori, fu il pastore e teologo svizzero Pierre Viret (1511-1571) che, nel XVI secolo (forse meglio di Calvino e certamente meglio di Lutero), delineò una dottrina rigorosa della teonomia, in particolare nel suo capolavoro del 1564, Instruction chrétienne en la doctrine de la Loi et de l’Évangile [6].

Una descrizione della storia della dottrina del patto (con la sua legge e il suo vangelo), anche se limitata alla tradizione riformata confessante, esula dai parametri di questo scritto. Notiamo, tuttavia, che è stato Calvino a iniziare sottolineando l’esistenza di un unico patto in due dispensazioni: l’antico e il nuovo, con il vangelo e la legge [7]. Lo stesso tema di fondo del patto: “Sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo” attraversa sia l’antica che la nuova dispensazione [8]. Così come il primo Adamo era il capo del patto e il rappresentante legale del genere umano, così il secondo Adamo, Cristo, è il capo del patto del suo popolo che, sebbene peccatore e meritevole di morte, è in lui “legalmente”, “giuridicamente”, dichiarato vivo e giusto (Romani 5:12-21; 1 Corinzi 15:22). La teologia del patto, che ha le sue radici ecumeniche nell’età della fede, è stata progressivamente sviluppata nei circoli confessionali riformati con i suoi cinque concetti chiave:

1. la trascendenza di Dio, anche nella sua immanenza;

2. la gerarchia (cioè l’ordine sacro) stabilita da Dio, che rappresenta la sua autorità in ognuna delle società umane da lui istituite: matrimonio, famiglia, Stato, Chiesa…;

3. l’etica del patto nelle Scritture, dono di Dio per la vita personale e sociale degli uomini; non “opere che salvano, ma salvezza che opera”.

4. giuramenti divini, comprese le sanzioni legittime, positive o negative;

5. la successione, le conseguenze storiche delle promesse e degli avvertimenti del patto (si noti la parola mnemonica: THEOS, che in greco significa “Dio”) [9].

Dalla pubblicazione di Institutes of Biblical Law [10] di Rousas John Rushdoony nel 1973, seguita da Theonomy in Christian Ethics [11] di Greg L. Bahnsen nel 1976, gli studiosi confessionali riformati di tutto il mondo hanno dedicato una costante attenzione alla teonomia, mentre altri (o talvolta gli stessi!) hanno cercato di metterne in pratica le applicazioni [12].

La conoscenza del bene e del male

Senza Dio non esisterebbero né il vero né il falso, né il bene né il male (come scrive Dostoevskij ne I fratelli Karamazov: “Se Dio non esistesse, tutto sarebbe permesso”). Lo scopo dell’albero proibito nel giardino era quello di mettere in chiaro che l’uomo poteva apprendere la conoscenza del bene e del male da Dio, e solo da Lui. In altri termini: la Parola di Dio è l’unica fonte di moralità e di legge.

Fu alla caduta, che all’uomo è stata proposta in modo seducente un’altra fonte di moralità e di legge, una presunta fonte che si affianca e si oppone all’unica vera fonte. Sappiamo dalla Parola di Dio che è stato Satana a provocare quest’altra fonte, questa fonte-miraggio, e che c’era lui – come sempre – dietro l’allettante tentazione di allontanare l’uomo da Dio quale fonte e criterio di tutta la verità. La caduta è avvenuta perché l’uomo, in Adamo, si è ribellato, dando ascolto al seduttore e preferendo una fonte illusoria all’unica vera fonte.

La Chiesa non fa altro che adulare l’Umanesimo, un Umanesimo che ha smarrito l’uomo! – ogni volta che essa, e in particolare la sua leadership, rinuncia a indicare all’uomo che ha rotto il patto l’unica vera fonte della morale e della legge, e gli parla invece di una presunta fonte alternativa, sia essa la ragione naturale, la legge naturale o il diritto naturale (oggi nemmeno presentati come alternativa all’unica vera fonte, bensì ritenuti prioritari)! Così facendo, cede a uno spirito di compromesso e stringe un patto con questa disastrosa religione dell’uomo che si fa Dio. Invece di chiamare l’uomo a “pentirsi”, a tornare a Dio, la Chiesa lascia che l’uomo sprofondi nella morte.

La Chiesa, e la sua leadership in particolare, ha spesso dato priorità alla natura o a qualche forma di legge naturale o di diritto naturale, nel tentativo di stabilire una terra di nessuno, un terreno neutro o comune, o un intermediario, tra la vera fede e le false fedi, dove tutti gli uomini potrebbero ipoteticamente riunirsi tranquillamente, in “pace” [13]. In realtà, il risultato è che la Chiesa rinuncia alla battaglia delle due città e rafforza il falso senso di fiducia di coloro che si trovano a Babele, nella Babilonia di quaggiù, invece di ricondurli, conquistati, alla compagnia di Cristo, Salvatore e Signore, nella Gerusalemme di lassù. Lasciando l’uomo nelle mani dell’uomo, la Chiesa, indebolita dall’Umanesimo, si allontana dalla sua vocazione di insegnare a tutti gli uomini che devono voltarsi e tornare alla casa del Padre.

Da Adamo a Noè, ad Abraamo, a Mosè, a Gesù Cristo e fino alla fine del mondo, l’unica vera conoscenza del bene e del male, o di ciò che è giusto e ingiusto, è venuta, sta venendo e verrà solo dall’ascolto fedele della Parola di Dio, dall’apprendimento e dal continuo riapprendimento della legge evangelica rivelata, dall’approfondimento, dall’esame e dall’impegno a viverla sempre di nuovo – per fede.

Il bene e il male sono realtà definite e descritte solo dal Dio del patto nel suo trattato di alleanza, la sacra Scrittura – e da nessun’altra fonte, e in nessun altro luogo! La Chiesa cattolica, Mater et magistra, deve dire e ribadire questa verità, con delicatezza, fermezza, perseveranza e pazienza, pena il non essere più “il sale della terra”, “la luce del mondo”, “la colonna e il sostegno della verità”. Lo deve a sé stessa, lo deve a ogni uomo di ogni tempo e luogo, e prima di tutto lo deve a Dio. Scendere a patti con l’Umanesimo, fuori e dentro di noi, non ha portato che morte alla Chiesa – e non solo per la vergogna! Preferendo la sintesi all’antitesi, volendo fare delle due città una sola città, la Chiesa non può che tradire la sua missione e, allo stesso tempo, tradire sia gli uomini ai quali deve comunicare la Parola di verità e di salvezza, sia il suo Signore e marito Gesù Cristo.

Grazia comune

Contra: Non dice Paolo che i gentili (cioè gli uomini delle nazioni non ebraiche), che non hanno la legge (cioè la Scrittura), fanno per natura (in greco, physei) le cose della legge, dimostrando così che l’opera della legge è scritta nei loro cuori (Romani 2:14-15)?

Respondeo: È proprio così, ma per capirlo bene dobbiamo tenere presente quanto segue:

1. Come è chiaro dal contesto (Romani 1:18- 3:20), la ragione umana, dopo la caduta, è stata traviata dal peccato, che non lascia inalterata nessuna facoltà dell’uomo. Pertanto, se è sempre possibile per l’uomo avere una conoscenza pratica del bene e del male che muove la coscienza, è a causa dell’opera, dell’intervento della legge nel suo cuore. Questo è ciò che i nostri teologi chiamano grazia comune, che Dio concede all’uomo decaduto per limitare l’intensità dell’effetto del peccato (Romani 2:15).

2. Come risultato della grazia comune, anche gli esseri umani che non sono animati da vera fede riescono a mostrare un certo grado di obbedienza alla legge di Dio e, così facendo, permettono all’uomo di conoscere e godere di alcuni benefici (benedizioni) nel corso della sua storia, come un ordine politico, civile o sociale più o meno valido. In altre parole, la civiltà è resa possibile dalla grazia comune.

3. Questa grazia comune, meritata per l’umanità solo da Gesù Cristo, porta gli uomini a sperimentare solo forme temporanee e temporali di “salvezza e progresso”; non porta alla rigenerazione dell’uomo interiore. Inoltre, invece di portarli a sperimentare la salvezza eterna qui e ora, la grazia comune serve, se persistono nella loro ribellione contro Dio, a renderli ancora più inescusabili.

4. Tuttavia, in molte questioni e situazioni significative della vita, riguardanti alcuni punti o temi importanti, la grazia comune permette una reale cooperazione tra credenti e non credenti (cioè tra fedeli e infedeli). Questa cooperazione, che i credenti accettano liberamente e addirittura promuovono, non comporta alcun compromesso o tradimento della fede, poiché si tratta dell’applicazione della legge di Dio. Tuttavia, mentre i credenti collaborano con i non credenti perché motivati a glorificare Dio (la legge di Dio è scritta nei loro cuori; cfr. Ebrei 8:10 e 10:16, che citano Geremia 31:33 e seg.), i non credenti collaborano solo per ragioni che considerano pragmatiche e nell’interesse del bene comune. Anzi, possiamo dire che i non credenti cooperano per la gloria di Dio loro malgrado, spinti inconsapevolmente da “un’opera di Dio scritta sui loro cuori” [14].

La sfida teonomica all’autonomia umanistica

Vale la pena notare che la parola latina Lex (legge) è stata spesso usata come termine specifico e completo per indicare la religione [15]. È quello che aveva in mente Sant’Agostino nel suo De Vera Religione (XXIII, 20) quando parla della lex christiana.

Giovanni di Salisbury (1115-1180), un inglese dell’età della fede che terminò la sua vita come vescovo di Chartres, affermò magnificamente: “Se Dio è la Sapienza, allora amare Dio è la vera filosofia” [16]. In diversi punti del suo Polycraticus, usa la parola Lex per riferirsi al culto religioso o alla professione di fede. Raimondo Lullo (1235-1315) [17], che imparò l’arabo e compì diversi viaggi per evangelizzare i Saraceni, paragonò la Lex Mahumetana (la legge di Maometto) alla Lex Christiana quando cercò di confrontare la fede dell’Islam e la fede del Cristianesimo [18]. Quanto a Roger Bacon (1220-1292) [19] – “Un’unica, complessa Sapientia è stata data dall’unico Dio all’unica umanità per un unico fine”; “Vi è una sola sapienza perfetta, cioè quella contenuta nella Sacra Scrittura” – anch’egli parlava di Lex Christiana per indicare la fede cristiana e di Lex Antichristi per indicare le altre religioni.

Così R. J. Rushdoony, uno dei fondatori della teonomia riformata contemporanea, si inserisce in una tradizione antica e consolidata quando a sua volta afferma:

In ogni cultura la legge è religiosa in origine. … la fonte della legge è il dio di quella società. Se la legge ha la sua scaturigine nella ragione umana, allora la ragione è il dio di quella società. Se la fonte è in un’oligarchia, o in una corte, un senato, o governante, allora quella fonte è il dio di quel sistema. … L’umanesimo moderno, la religione dello stato, individua la legge nello stato ed in questo modo fa dello stato, o del popolo che nello stato trova espressione, il dio del sistema. … Nella cultura occidentale la legge si è continuamente traslata da Dio al popolo (o lo stato) quale sua fonte, benché la potenza storica e la vitalità dell’occidente sia stata nella fede e nella legge biblica [20].

Ogni sistema di fede non biblico, compresi quelli che si dichiarano atei (senza Dio!), e, di conseguenza, ogni sistema di legge e di morale non biblico, si pongono come rivali, quando non si confessino addirittura come avversari, del sistema di fede, di legge e di morale rivelato nella sacra Scrittura di Dio (la Lex). L’uomo si trova sempre di fronte alla responsabilità di scegliere tra la teonomia e il suo desiderio di autonomia. Infatti, solo Dio è autonomo (legge per sé e per le sue creature). Calvino afferma in modo sintetico che: Deus legibus solutus est quia ipse sibi et omnibus Lex est (Dio non è soggetto a leggi, perché è legge per sé e per tutti) [21].

La domanda ricorrente è: in base a quale criterio? Chi o cosa ha autorità in questo caso?

E la risposta è sempre la stessa: lo standard, la legge, è la legge del patto, la sacra Scrittura di Cristo. Le sacre Scritture sono il cuore della nostra religione (il nostro rapporto con Dio) e del nostro culto a Dio sia all’interno che all’esterno della chiesa [22], culto che le Scritture identificano, definiscono e ordinano – per la nostra salvezza e la nostra gioia. La nostra autorità è il Dio trino che ha dato la sua Parola del patto una volta per tutte.

Ed eccola qui: la teonomia!

L’umanesimo, invece, con la sua fede nell’uomo, o nella sua ragione, o in qualsiasi dio scelga (evoluzione, democrazia, Dio rivelato attraverso il welfare state, ecc.), pensa di poter definire qualsiasi sistema di legge e di morale a suo piacimento, con qualsiasi variazione immaginabile, passando dall’una all’altra o cercando di accogliere tutte le variazioni contemporaneamente (pluralismo). E certi cristiani, contaminati dall’Umanesimo, pensano di potersi accomodare a tavola appellandosi alla rivelazione naturale invece che alle sacre Scritture. In ogni caso, gli effetti del peccato sulla nostra mente (gli “effetti noetici della caduta”) sono sottovalutati o ignorati del tutto. E così, all’umanista, bisogna dire, con le parole di Lecerf:

Il peccato ha sede nel centro stesso della coscienza intellettuale dell’uomo. Se la ragione fosse normale (non lo è più a causa della caduta – P.C.), accetterebbe di rimanere ratio ratiocinata (ragione “normata” da Dio – P.C.). Non dovremmo vederla aspirare a diventare ratio ratiocinens (cavillosa, abusiva – P.C.)… [23]

La ragione pratica, che si proclama autonoma, pecca: perché c’è un solo legislatore, Dio: e questo legislatore essa lo ignora, per insediarsi al suo posto.
Anche la ragione teorica … pecca … quando ignora il suo ruolo subordinato di organo o strumento condizionato dal vero obiettivo, per costituirsi norma suprema e fonte fallace di conoscenza.
… nell’ordine della conoscenza come in quello della legge morale, Dio è ovunque sostituito dall’uomo…. Ne consegue che il peccato è… un conflitto tra la ragione suprema, da cui tutto dipende, e la ragione subordinata, che vorrebbe liberarsi da questa dipendenza [24].

Ai cristiani contaminati dall’asservimento all’Umanesimo e che giustamente pretendono che una rivelazione naturale di Dio si palesi davanti ai loro occhi, dobbiamo a questo punto ribadire che

quel che si può conoscere di Dio è manifesto in loro, avendolo Dio manifestato loro; infatti le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo, essendo percepite per mezzo delle opere sue; perciò essi sono inescusabili (Romani 1:19-20),

non dimenticando, però, che questi stessi uomini

si sono dati a vani ragionamenti e il loro cuore privo d’intelligenza si è ottenebrato … hanno mutato la verità di Dio in menzogna … e siccome non si sono curati di conoscere Dio, Dio li ha abbandonati in balìa della loro mente perversa sì che facessero ciò che è sconveniente; ricolmi di ogni ingiustizia, [fornicazione,] malvagità, cupidigia, malizia … abominevoli a Dio (Romani 1:21, 25, 28-30).

Affinché la rivelazione naturale torni ad essere messa a fuoco, ad essere percepita in tutte le sue sfumature e in tutti i suoi significati, i fedeli devono “indossare gli occhiali della Scrittura” (Calvino), in modo che lo sguardo dei loro cuori, ora corretto, schiarito e restaurato, possa cogliere l’evidenza che è sempre stata davanti ai loro occhi, ma che finora era sfuggita alle loro menti distratte. Allora, e solo allora, la rivelazione naturale che è sempre stata lì viene finalmente fuori nella sua dolce, bella e radiosa luce.

Rushdoony riconobbe abilmente:

La ragione per cui gli uomini scelgono di cercare un fondamento nell’uomo è per la loro ricerca di un terreno comune con tutti gli uomini e tutta la realtà al di fuori di Dio. Vogliono evitare ciò che chiamano “un sistema ‘settario’ di pensiero”. Dichiarano che la necessità è per “la philosophia perennis”, una filosofia comune a tutti gli uomini in quanto uomini, separatamente da considerazioni teologiche. Con questo metodo questi pensatori affermano di poter stabilire tutte le verità della religione biblica in una maniera soddisfacente per tutti gli uomini. Così, si può stabilire un terreno migliore, comune, al posto di una rivelazione esclusiva o campanilista [25].

Al contrario, ogni cristiano fedele è chiamato a glorificare “il Cristo come Signore nei vostri cuori. Siate sempre pronti a rendere conto (apologia in greco, da cui deriva la parola “apologetica”) della speranza che è in voi a tutti quelli che vi chiedono spiegazioni. Ma fatelo con mansuetudine e rispetto” (1 Pietro 3:15-16); “Infatti le armi della nostra guerra non sono carnali, ma hanno da Dio il potere di distruggere le fortezze, poiché demoliamo i ragionamenti e tutto ciò che si eleva orgogliosamente contro la conoscenza di Dio, facendo prigioniero ogni pensiero fino a renderlo ubbidiente a Cristo” (2 Corinzi 10:4-5).

Tali Scritture invitano la nostra coscienza a crescere nel pensiero secondo la fede, a crescere nella conoscenza delle Scritture di Cristo e del Cristo delle Scritture – e invitano tutti noi, non solo i “pastori e gli insegnanti” (troppo spesso pigri e infedeli), ma ogni membro della Chiesa. Nella misura in cui l’evangelizzazione è la vocazione e il compito di tutti, il primo e più importante aspetto della nostra testimonianza deve essere l’apologetica, cioè il rendere conto della differenza di pensiero (mediante la conoscenza della Scrittura di Cristo e del Cristo della Scrittura) nel corso della nostra vita quotidiana e dei contatti regolari con il nostro prossimo, chiunque esso sia. La priorità data all’apologetica, in ogni caso, non solo è chiaramente comandata dalla Parola di Dio, ma è anche confermata dalla storia della Chiesa, a partire dai primi tre secoli sotto terribili persecuzioni, così come molte altre volte da allora. Ecco perché la Chiesa continua ad attribuire grande importanza non solo alla predicazione, ma anche alla catechesi “cattolica”, cioè fedele alle Scritture – la Parola di Dio. Questa era considerata essenziale non solo dai dottori della Chiesa primitiva, ma anche da quelli della Riforma, come dimostrano i loro catechismi più o meno grandi.

È anche piuttosto evidente che uno stile di vita veramente cristiano – cioè, quando necessario, in contrasto con il mondo che ci circonda (Romani 12:1-2) – deve accompagnare questa apologetica e metterla in pratica ogni giorno. Nessun ambito, nessuna parte, nessun centimetro quadrato della nostra vita deve essere esente dalla verità rivelata e dal regno signorile (maestoso?) di Cristo nostro Dio. “Adoperatevi (katergazomaï) al compimento della vostra salvezza con timore e tremore; infatti è Dio che produce in voi il volere e l’agire, secondo il suo disegno benevolo” (Filippesi 2:12-13).

Dobbiamo difendere la fede non solo con argomenti solidi – dando ragione a tutti della fede che professiamo – ma anche, inseparabilmente, con l’intera testimonianza della nostra vita in parole e opere. Dobbiamo considerare ogni ambito della vita, perché l’unico Signore e Salvatore regna su tutto, che si tratti della nostra vita individuale e personale, o del matrimonio, della famiglia, del lavoro, dell’impegno civile ed ecclesiastico, ecc.

E con questo arriviamo a considerare l’estensione e la profondità della legge di Dio. Cominciamo con la sua estensione.

 

LA LEGGE MORALE DI DIO ESTESA

Israele e le nazioni

Dobbiamo innanzitutto distinguere tra l’era dell’antico governo, la vecchia amministrazione della natura dell’antico patto, e l’era del nuovo governo, o la nuova amministrazione della natura del nuovo patto. La prima ha avuto inizio con le origini della storia a partire da Adamo ed è durata fino all’anno 70 d.C.; la seconda ha avuto inizio con le origini della nostra epoca e terminerà con la venuta di Cristo nella gloria, la risurrezione dei morti, il giudizio universalee la trasfigurazione universale, che avverranno tutti nello stesso momento. Questi settant’anni (1-70 d.C.), in cui si sovrappongono l’amministrazione dell’antico e del nuovo patto, costituiscono quindi la svolta dei tempi.

Durante l’antica amministrazione del suo patto, Dio ha progressivamente stabilito una separazione tra i membri del patto e le nazioni.
Abrahamo, il primo dei patriarchi a segnare la separazione, fu tolto dalla sua famiglia ebraica [26] quando uscì da Ur dei Caldei, insieme a sua moglie e a suo nipote, per recarsi in una terra che il Signore gli avrebbe indicato (Genesi 11:27-12:3; cfr. Ebrei 11:8-10). Suo figlio Isacco fu poi separato dal fratellastro Ismaele, antenato degli arabi. Il figlio di Isacco, Giacobbe, fu poi separato dal fratello Esaù, antenato degli Edomiti. Infine, dopo l’esodo dall’Egitto, sotto la guida di Mosè, nacque la nazione di Israele, una nazione che discendeva dai dodici figli di Giacobbe, antenati delle dodici tribù di Israele. Israele, in quanto popolo santo (cioè un popolo “a parte”), fu separato dalle altre nazioni, dagli altri popoli (goyîm in ebraico; ethnoï in greco) [27].

È quindi a Israele, al popolo santo (il popolo distinto dagli altri), che Dio, mediante il ministero di Mosè al Sinai, diede il libro del patto, il nucleo della legge che Mosè ricevette e scrisse nel corso del suo ministero – la legge, che comprende l’Insegnamento divino intrecciato con i precetti divini, formando un unico pezzo chiamato Torah (il nostro Pentateuco, i cinque libri di Mosè).

Contra: Partendo da qui, spesso si sostiene che la legge mosaica, alla quale i profeti e i saggi di Israele si sarebbero appellati in seguito come norma eterna del popolo di Dio (spesso infedele), fosse, siccome pattizia, loro esclusiva [28].

Respondeo: Non solo il ragionamento alla base di questa affermazione è pretestuoso (vedi nota 28), ma l’affermazione stessa è contraddetta dalle Scritture, in particolare dalla Torah. È certamente vero che il patto che Dio stabilì, e poi confermò più volte, con Israele era speciale e unico. L’unicità di questo patto era segnalata, tra l’altro, dai comandi straordinari che diede loro per prendere possesso della terra promessa, occupata all’epoca dai Cananei (cfr. Genesi 17:8; Esodo 3:8; 23:23; Deuteronomio 7:1-5), dalle leggi che vietavano il matrimonio con nazioni straniere e dalle leggi sacrificali di culto specifiche per Israele. Ma la legge di Dio non è mai stata limitata esclusivamente al popolo santo:

  • Già nelle fasi adamitica e di Noè del patto, prima dell’esistenza di Israele, troviamo tutti gli uomini destinatari della/e legge/i di Dio, prima e dopo la caduta, per quanto riguarda il matrimonio (Genesi 2:24; 3:16), il lavoro (Genesi 2:15; 3:19), il riposo (Genesi 2:1-3) e, soprattutto, il mandato culturale e il posto eminente dell’uomo nella creazione (anche se, in effetti, sotto l’autorità di Dio; Genesi 1:28; 2:15; 9:1).
  • Come abbiamo visto sopra: la legge di Dio, per grazia comune, non ha mai smesso di raggiungere gli uomini, che “dimostrano che quanto la legge comanda è scritto nei loro cuori”.
  • Il Signore ha sempre ritenuto le nazioni straniere responsabili nei confronti della legge. Quando arriva a parlare di Canaan (a proposito di incesto, adulterio e omosessualità), il Signore dice a Israele: “Non vi contaminate con nessuna di queste cose; poiché con tutte queste cose si sono contaminate le nazioni che io sto per cacciare davanti a voi. Il paese ne è stato contaminato; per questo io punirò la sua iniquità; il paese vomiterà i suoi abitanti … Poiché tutte queste cose abominevoli le ha commesse la gente che vi era prima di voi, e il paese ne è stato contaminato … non seguirete nessuno di quei costumi abominevoli che sono stati seguiti prima di voi” (Levitico 18:24-25, 27, 30). Già molto tempo prima aveva detto ai misteriosi visitatori (angeli o uomini?) di Sodoma: “Perché noi distruggeremo questo luogo. Infatti il grido contro i suoi abitanti è grande davanti al Signore, e il Signore ci ha mandati a distruggerlo” (Genesi 19:13).
  • La Torah e la fedeltà di Israele a questa Torah dovevano istruire le altre nazioni e rafforzare questa legge di Dio che già conoscevano (non completamente, ma in misura maggiore o minore) attraverso la rivelazione generale. La Torah e l’obbedienza di Israele dovevano servire da modello alle nazioni straniere: “Le osserverete dunque e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra sapienza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: “Questa grande nazione è il solo popolo savio e intelligente!” … Qual è la grande nazione che abbia leggi e prescrizioni giuste come è tutta questa legge che io vi espongo oggi?” (Deuteronomio 4:6-8).
    Allo stesso modo, il libro dei Proverbi non ha in mente solo Israele quando afferma: “La giustizia innalza una nazione, ma il peccato è la vergogna dei popoli” (14:34) [29]
  • Se c’è effettivamente una discontinuità tra Israele e le nazioni – a causa della sua particolare vocazione di popolo santo, di popolo a parte, di tipo del regno di Dio che verrà in antitesi ai regni di questo mondo, con i suoi sacrifici di sangue ordinati dal Signore per tipizzare il perfetto e unico sacrificio dell’incarnazione, c’è anche una continuità tra Israele e le nazioni, perché le norme morali (personali e sociali) della legge di Dio sono per tutti, e quindi uguali per Israele e per le nazioni. Dio non ha due leggi morali diverse: una per Israele, un’altra per le nazioni.

La rivendicazione della teonomia, seguendo le Scritture, è che la legge morale rivelata da Dio a Israele, il popolo del patto, è normativa per tutti i popoli e tutte le nazioni.

Greg L. Bahnsen, parlando della legge mosaica come unica legge morale per Israele e per le nazioni, trova prove a sostegno di ciò ne:

… gli esempi di Sodoma, Ninive, l’espulsione dei Cananei, le intenzioni di Davide, l’elogio di Esdra ad Artaserse, l’esperienza di Daniele a Babilonia, i rimproveri profetici alle nazioni, la letteratura sapienziale, l'”uomo dell’anomia”, la testimonianza di Paolo in tribunale, Romani 13, ecc. [30].

È sulla base dell’unica e medesima legge morale di Dio che tutti gli uomini sono giustamente condannati (Romani 1-3) ed è a questa unica e medesima legge morale di Dio che tutte le nazioni devono guardare come modello, come esempio (Deuteronomio 4:6-8). Solo Dio, nella sua Scrittura, ha sovranamente definito e decretato, una volta per tutte, i fondamenti dell’etica e della legge. Tutti noi siamo tenuti a rispondere alla stessa legge, alla stessa norma oggettiva e sovrana che Dio ha rivelato. Siamo tenuti a rendere conto allo stessoSignore. Questa norma è santa perché Dio è santo e non cambia perché riflette il carattere immutabile di Dio.

Dalla Chiesa antica al nuovo Israele

Se la legge morale di Dio non è limitata spazialmente a Israele ma, come abbiamo visto, si estende universalmente verso l’esterno fino a comprendere tutte le nazioni, la legge di Dio non è nemmeno limitata temporalmente all’era prima di Cristo- l’era dell'”antico patto” – ma si estende in avanti in modo pattizio.

La domanda che ci poniamo è la seguente: l’autorità della legge di Dio cessa o continua quando il patto passa dalla vecchia amministrazione nella Chiesa antica alla nuova amministrazione nel nuovo Israele? C’è continuità o discontinuità?

Le confessioni di fede riformate identificano generalmente tre tipi di leggi all’interno della legge di Dio: la legge morale, la legge cerimoniale e le leggi giudiziarie (o politiche) [31].

Il mantenimento della legge morale nella sua interezza

Per quanto riguarda la questione di quale di questi tre tipi di leggi dovesse essere mantenuta dall’antica alla nuova amministrazione del patto, la posizione di molti riformatori è stata e rimane quella di osservare, al massimo, solo le leggi “morali”, talvolta intese come il semplice decalogo. Di conseguenza, alle leggi “cerimoniali” e “giudiziarie” (o politiche) viene negata una validità permanente. La posizione di coloro che si definiscono teonomisti (che hanno illustri predecessori – come Pierre Viret – all’inizio della Riforma), insieme a molti che non si definiscono teonomisti, insegna che la legge morale rivelata a Israele è un insieme che comprende anche le leggi cerimoniali e le leggi sociopolitiche (o “giudiziarie”), e che è questo intero corpo di legge che deve essere pienamente osservato. Secondo la posizione teonomica, le leggi “cerimoniali” – le leggi sacrificali e sacramentali della Chiesa primitiva e le leggi relative alle cose pure e impure – pur non avendo più un’applicazione diretta e letterale, mantengono tuttavia un’autorità indiretta e tipica che non può essere in alcun modo abolita.

In questo, la teonomia segue fedelmente Cristo e la sua Scrittura.

I)  Gesù lo ha detto chiaramente:

Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire, ma per portare a compimento. Poiché in verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un iota o un apice passerà dalla legge senza che tutto sia adempiuto. Chi dunque avrà violato uno di questi minimi comandamenti e avrà così insegnato agli uomini, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli; ma chi li avrà messi in pratica e insegnati sarà chiamato grande nel regno dei cieli. Poiché io vi dico che, se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete affatto nel regno dei cieli (Matteo 5:17-20).

II)  La tradizione degli apostoli (il Nuovo Testamento!) ci ordina di abbandonare (e ci permette solo di abbandonare) il significato diretto e letterale delle “leggi di separazione” e delle “leggi sacrificali e sacramentali” dell’antico servizio di culto (per quanto riguarda le prime, cfr. Atti 10:10-15, 10:28, 11:4-10 ed Efesini 2:11-20; per quanto riguarda le seconde, cfr. Ebrei 1-10). Scrivendo poco prima del 70 d.C. – l’anno cruciale in cui il tempio di Gerusalemme sarebbe stato distrutto e il terribile giudizio di Cristo si sarebbe abbattuto su una generazione malvagia, adultera, peccatrice e perversa – l’autore di Ebrei afferma che “quel che diventa antico e invecchia è prossimo a scomparire” (8:13). Ma lo stesso autore riporta anche che nel tabernacolo, nel santuario, negli oggetti e nei sacrifici dell’antico servizio di culto, abbiamo “copie” (hypodeigmata = immagini, repliche, rappresentazioni) di “realtà celesti” (9:23-24). Allo stesso modo, in 2 Corinzi 6:14-7:1 e in Romani 12:1, San Paolo ci insegna – Parola di Dio! – che “le leggi di separazione”, comprese le leggi che vietano di mescolare sementi, animali e fibre diverse (cfr. Deuteronomio 22:9-11), hanno ancora molto da dire e da rivelare a noi (si pensi all’applicazione per la ricerca scientifica del tipo di modificazione genetica, ad esempio, che osa mescolare specie diverse), a noi che siamo sotto l’amministrazione del nuovo patto, che “siamo il tempio del Dio vivente”, che non dobbiamo metterci “con gli infedeli sotto un giogo che non è per noi” (2 Corinzi 6:14; cfr. Deuteronomio 22:10), ma dobbiamo “presentare i nostri corpi in sacrificio vivente” (Romani 12:1), che è il nostro “culto spirituale” (= il nostro culto secondo il Logos, secondo la Parola incarnata e scritta). Ma sotto l’amministrazione del nuovo patto dobbiamo anche comprendere e vivere queste leggi di separazione in senso indiretto e tipico [simbolico] [32].

Qualora fosse richiesta un’ulteriore conferma della necessaria distinzione tra leggi morali e sacrificali, la si trova nella dichiarazione divina: “Poiché io desidero bontà (hèsèd in ebraico), non sacrifici” (Osea 6:6).

Sotto le leggi sacrificali e sacramentali dobbiamo raggruppare le leggi di purificazione che riguardano questioni specifiche dell’uomo e della donna (vedi, ad esempio, Levitico 15; 18:19; 20:18; Numeri 19:11-22) o quelle della donna dopo il parto (vedi Levitico 12). C’è molta confusione sul significato di queste leggi nell’amministrazione dell’antico patto e sulla loro relazione con l’amministrazione del nuovo patto. Bisogna innanzitutto riconoscere che questo insieme di leggi si riferisce, da un lato, al peccato dell’intera razza umana in Adamo, che è nostro fin dalla nascita; dall’altro, al patto di grazia in Cristo, il nuovo Adamo a venire. Non c’è nulla di impuro nel rapporto sessuale del matrimonio in sé e per sé, ma il peccato originale – così come il patto di grazia per i membri del popolo di Dio – si trasmette di generazione in generazione. Ecco perché il rapporto sessuale e il parto hanno un significato sacramentale: è a questo punto della vita umana, al momento del concepimento e della nascita dei figli, che le leggi di purificazione servono a ricordare la caduta del primo Adamo e, allo stesso tempo, a indicare l’imminente salvezza di molti che sarà portata dal secondo Adamo. Per comprendere l’impatto di tutto ciò sull’amministrazione del nuovo patto, sarebbe necessario iniziare con un’esegesi dettagliata della purificazione delle donne dopo il parto e della circoncisione dei figli maschi del patto, per poi passare a considerare il modo in cui questi atti tipizzano il battesimo per la chiesa del nuovo patto. Una volta poste queste basi, si potrebbe sviluppare una teologia biblica del sangue, senza il quale non c’è espiazione per il peccato (cfr. Ebrei 9:22).

La casistica

Nei numerosi casi di legge della Torah, noi che viviamo sotto l’amministrazione del nuovo patto troviamo esempi normativi della legge di Dio applicata a nuove situazioni e circostanze storiche e culturali [33]. Dobbiamo quindi considerare e cercare di seguire fedelmente, in obbedienza, non solo i principi generali della legge morale di Dio (che si estendono oltre il decalogo stesso, condensato nel riassunto della legge: Deuteronomio 6:5; Levitico 19:18; Matteo 22:34-40), ma anche gli esempi di applicazione che sono rivelati [34].

La casistica – la pratica di ragionare per casi di legge – ha bisogno di essere rivitalizzata, riformata e costantemente aggiornata per la nostra continua aspirazione a essere fedeli alle Scritture.

Se la casistica ha spesso una connotazione negativa e peggiorativa, è perché si è dimenticato che esistono due tipi di casistica. C’è il tipo di casistica che aggira il chiaro insegnamento della legge di Dio, con il risultato di mettere in discussione la legge stessa. Questo è il tipo di casistica abominevole promossa dai farisei, quella che Gesù contestò vigorosamente (si veda, ad esempio, Matteo 23:16-36) e che Pascal denunciò nelle sue Provinciales. Ma c’è un altro tipo di casistica che cerca di seguire fedelmente la legge di Dio – e di farla seguire fedelmente – quando si tratta di casi specifici e concreti. In questo caso siamo noi ad essere chiamati in causa, secondo la legge di Dio. Questo tipo buono di casistica va di pari passo con la meditazione e l’esame della legge di Dio, in modo da poterne godere (come si canta nel Salmo 119).

L’Umanesimo che affligge la Chiesa e i cristiani di oggi deve essere sconfitto, e la rinascita del significato della legge di Dio, anche nelle sue leggi casistiche, giocherà un ruolo potente nel portare a questa sconfitta. La catechesi, la predicazione e la testimonianza cristiana saranno depurate da quel pensiero perverso e marcionita che insegna e proclama una Parola di Dio, un vangelo, amputato dell’indispensabile legge di Dio, con i suoi comandamenti, esempi e ammonimenti.

E per quanto riguarda quei “pastori e dottori” che, con il pretesto di essere fedeli al vangelo, di aderire rigorosamente al messaggio della “salvezza per grazia mediante la fede”, sono diventati a-nomiani (senza la legge) o anti-nomiani (contro la legge),  o si convertiranno (torneranno indietro) o, poiché le loro chiese sono tornate alla fedeltà e non tollerano più il loro insegnamento, dovranno lasciare il ministero.

Verranno giorni in cui non sentiremo più parlare delle leggi contenute nella Scrittura come se fossero mitiche (invenzioni, ad esempio, del nomadismo primitivo). Verranno giorni in cui non le sentiremo più definire retrograde (passé), come se avessero significato solo per le epoche passate della storia progressiva dell’umanità. Verranno giorni in cui i cristiani non si lasceranno convincere a rifiutare, cancellare o annullare le leggi contenute nelle Scritture perché ritenute lesive della modernità o dei diritti umani [35].

Leggi giudiziarie e politiche

Veniamo ora alla questione importante per la teonomia: come dobbiamo intendere le leggi “giudiziarie” (o “politiche”) della Torah e quale applicazione hanno per noi oggi? Le leggi “giudiziarie” sono quelle che oggi chiameremmo in gran parte “diritto civile/penale”, sia nella sua sfera privata che in quella pubblica: leggi che hanno a che fare con la società, la politica, l’economia e la penologia [36], che delineano non solo le norme della vita sociopolitica, ma anche le sanzioni, le conseguenze – positive o negative – che ne derivano.

Su questo punto, la teonomia non solo si scontra con gli umanisti dentro e fuori la Chiesa, ma anche con il pietismo. Cedendo interi settori della vita agli umanisti, il pietismo ha involontariamente contribuito alla diffusione della malattia umanista. Nel corso dei secoli, e in particolare a partire dal XVIII secolo, il pietismo ha costantemente limitato la portata e l’autorità della Parola di Dio, la legge di Dio, agli individui, alle famiglie, al culto e alla Chiesa, isolandosi dal mondo. La Chiesa influenzata dal pietismo preferisce ripararsi dal mondo piuttosto che impegnarvisi. Minimizzando la legge morale di Dio, limitandola, contrastandone l’estensione a quegli ambiti che costituiscono la maggior parte della vita umana quaggiù, sostenendo che solo quegli ambiti della vita che si prestano a essere “pii” sono soggetti alla sovranità della volontà prescrittiva di Dio, i pietisti abbandonano di fatto tutto il resto al disegno umano (o demoniaco?) – un enorme tradimento! Lasciano che gli esseri umani siano i padroni del campo di battaglia del mondo. In questo modo i pietisti diventano complici dell’Umanesimo: mantenendosi deliberatamente in disparte, con la loro volontaria astensione dagli affari generali degli uomini; in definitiva è l’agenda dell’Umanesimo a trarne vantaggio, e i pietisti sono trascinati dalla corrente.

Di fronte alle difficoltà e ai momenti di crisi, così come nella maggior parte degli altri momenti, i cristiani pietisti possono arrivare a cercare nella preghiera un alibi per la loro disobbedienza alla legge morale – disobbedienza non solo ai suoi precetti generali, ma anche alle sue particolari leggi “giudiziarie” o “politiche”.

All’altro estremo dello schieramento, i cristiani contagiati dall’Umanesimo si impegnano in modo militante e aggressivo nella sfera pubblica (politica, economia, questioni sociali, ecc.), ma i loro sforzi sono diretti a far progredire le ideologie (“idologie”) umaniste e le loro leggi, non la legge di Dio come si applica a questi ambiti. Pietisti e umanisti militanti concordano almeno su un punto: Dio non ha detto né ha nulla da dire riguardo a questi ambiti della vita. Diventa allora evidente il motivo per cui la Chiesa, schierata con l’Umanesimo (se non addirittura contagiata da esso), non ha nulla da dire, o quando sente il bisogno di dire qualcosa, si allinea alle opinioni umane prevalenti e/o alla moda diffusa dai media. Quando si parla di questi ambiti della vita, i riferimenti a Dio, a Cristo o alla Bibbia avvengono solo di sfuggita, e anche in questo caso le parole sono scelte e confezionate con cura per ottenere consenso. Questi argomenti della sfera pubblica non vengono discussi con l’obiettivo di ricevere e ascoltare la Parola normativa e oggettiva di Dio, sovrano Creatore, Salvatore e Signore (questi appelli autorevoli alla Parola che ha parlato non sono forse messi a tacere all’interno della Chiesa stessa?).

Smantellando le varie forme che l’Umanesimo assume, solo la teonomia, nel senso stretto di legge di Dio, delinea ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, quali sono i vari tipi di governo istituiti da Dio (di cui parleremo), quali sono le norme stabilite da Dio per i vari ambiti della vita degli uomini; e questo accompagnato dai numerosi esempi di applicazione della legge (la casistica) che devono essere fedelmente adattati alle circostanze attuali. Indagare cosa richiede l’obbedienza alla legge, quali sono i passi iniziali dell’obbedienza, non è facile, ma non dobbiamo mai lasciare che la difficoltà ci dissuada da questo sforzo. La difficoltà non è nella legge, ma in noi, a causa del nostro peccato persistente, della nostra passione per l’autonomia, della nostra resistenza a cedere a colui che, con e mediante la sua legge – sempre accompagnata inseparabilmente dal suo vangelo – ci avvolge e ci penetra con la sua misericordia, con la potenza e la dolcezza della sua grazia.

Vi sono diversi punti in cui la tradizione degli apostoli invoca ed enfatizza l’autorità indefettibile delle leggi giudiziarie (leggi sociopolitiche) della Torah e della TaNaKh, ad esempio:

  • riguardo alla famiglia (Matteo 15:4-6; cfr. Esodo 20:12; 21:17);
  • riguardo all’incesto (1 Corinzi 6:9-10; Romani 1:26-27, 32; cfr. Genesi 1:27-28; 2:18, 23-24; 5:2; 19:1-29; Levitico 18:22; 20:13);
  • riguardo all’omosessualità (1 Corinzi 6:9-10; Romani 1:26-27, 32; cfr. Genesi 1:27-28; 2:18, 23-24; 5:2; 19:1-29; Levitico 18:22; 20:13);
  • per quanto riguarda i rapporti con i vicini e persino con i nemici (Matteo 5:44; Romani 12:19-20; cfr. Esodo 23:4-5; Giobbe 31:29; Proverbi 25:21-22; ecc.)

A maggior ragione, anche se una particolare legge giudiziaria non è invocata dalla tradizione degli apostoli – come le leggi riguardanti immigrati,  stranieri nella comunità di Israele – conserva la sua autorità normativa (un’autorità pari a quelle sopra elencate) nell’era dell’amministrazione del nuovo patto.

Inoltre, abbiamo già visto che la Torah proibisce di togliere qualsiasi cosa alla legge morale che fu data attraverso il ministero di Mosè, la legge morale che fu data come esempio a tutte le nazioni (Deuteronomio 4:2, 5-8).

Quando si parla di governo civile (o, per semplicità, di “Stato”), la sua forma, che sia una democrazia, un’oligarchia o una monarchia, è del tutto secondaria rispetto alla questione principale: se lo Stato sia o meno sotto la legge definita dalla Parola di Dio. Si tratta di una scelta tra la teonomia da un lato e l’umanesimo che cerca di stabilire una forma di autonomia dall’altro. È una scelta tra uno Stato legale, cioè uno Stato di diritto, che cerca di governare un determinato territorio in modo coerente con la legge di Dio (applicando sia i principi che le leggi specifiche della Bibbia): uno Stato secondo Romani 13:1-6; oppure uno Stato secondo Apocalisse 13, che tende a una legislazione arbitraria e a uno statalismo totalitario, ponendo la propria legge sullo stesso piano della legge di Dio o al di sopra di essa. È una scelta tra uno Stato che riconosce i limiti del proprio potere e della propria giurisdizione, le cui mani portano il marchio teonomico (Deuteronomio 6:8); o uno Stato che, entrando in ogni ambito della vita, pone il proprio marchio autonomo sulle mani di ogni cittadino (Apocalisse 13:16-17). È una scelta tra uno Stato che esercita la sua legittima autorità nell’ambito specifico affidatogli da Dio, affidatogli come diaconato (un incarico, un servizio, cfr. Romani 13:4), e uno Stato che si occupa di altro. Non invano, infatti, le autorità di governo portano la “spada” che manifesta, all’occorrenza, la giusta ira di Dio (un governo “Romani 13” in qualsiasi tempo o luogo) o lo Stato tirannico della bestia (un governo “Apocalisse 13” in qualsiasi tempo o luogo).

E questa “totalitarizzazione” dello Stato – un vero e proprio ritorno al paganesimo umanistico dei tempi antichi o precristiani – tende a crescere e a intensificarsi al punto che la domanda che oggi ci assale da ogni parte mentre affrontiamo una vasta gamma di questioni etiche – da quelle che occupano gli studiosi e gli scienziati, a quelle che riguardano l’uomo della strada nella sua vita quotidiana – è, per quanto spaventosa, la seguente: “Quali leggi governeranno la terra: quelle di Dio o quelle dello Stato?”.

La storia della parola “governo” è, purtroppo, una chiara illustrazione del nostro attuale declino sociale e politico. Non molto tempo fa questa parola si riferiva a vari tipi di governo: non solo quello dei magistrati sullo Stato, ma anche l’autorità dei ministri ordinati nella Chiesa; l’autorità del marito nel matrimonio, nell’unione coniugale; così come l’autorità esercitata nell’autocontrollo (“il governo di se stessi”, diceva Montaigne). Questa varietà di governi, ciascuno con le proprie regole e ciascuno soggetto all’autorità sovrana di Dio secondo le Scritture, era tanto incompatibile con lo statalismo – in cui l’autorità su ogni sfera della vita è monopolizzata dallo Stato – quanto con il clericalismo – in cui l’autorità su ogni sfera della vita è monopolizzata dalla Chiesa. Oggi, però, si presume che la parola “governo” si riferisca allo Stato (non è più necessario qualificarlo come governo “civile”) perché lo Stato è entrato in tutte quelle sfere della vita che, secondo le Scritture, non sono di sua competenza: la vita degli individui e delle famiglie, l’educazione dei bambini, le operazioni economiche, la vita culturale, ecc. Inoltre, avendo stabilito con successo una separazione tra la sfera “pubblica” e quella “privata” della vita (negando così la sovranità di Dio e della sua Parola-legge su ogni aspetto della realtà), lo Stato ha relegato le chiese a quest’ultima (che non è affatto l’intero ambito della loro missione; cfr. Matteo 28:18-20!), mentre allo stesso tempo, in totale contraddizione con la sua politica, chiama le chiese a prestare assistenza ogni volta che ritiene che il loro sostegno sia strategicamente vantaggioso per i propri obiettivi.

Il motivo per cui è così importante che le persone conoscano e seguano le leggi giudiziarie e politiche rivelate nelle sacre Scritture è che Dio, a breve o a lungo termine, benedice quelle nazioni il cui popolo, con cuore obbediente, stabilisce e mantiene leggi esteriori conformi alla legge definita dalla sua Parola; e, d’altro canto, punisce quelle nazioni che se ne allontanano invitando così la sua legge a ricadere su di loro sotto forma di giudizio (cfr. Amos 1:2,4-8; Geremia 50-51; Isaia 19).

Penologia e diritto penale

Le leggi sociopolitiche, o “giudiziarie”, sarebbero incomplete se non dettagliassero anche le modalità di punizione per tutti coloro che violano la legge. È per questo motivo che gli obblighi stabiliti di legge sono seguiti  dalle conseguenze stabilite per la trasgressione:  le pene e le sanzioni della legge [37].

Quando si parla dei giudizi della legge, bisogna innanzitutto distinguere tra giudizi divini diretti e indiretti. Il giudizio diretto di Dio ha luogo durante la nostra vita (ad esempio, Genesi 3:16-19a), nell’ora della nostra morte (Genesi 3:19b; Ebrei 9:27) e alla fine della storia. La giustizia indiretta di Dio, invece, è quella mediata dai molteplici governi legittimi da lui istituiti. Nell’ambito dell’autocontrollo, il giudizio indiretto di Dio è mediato dal governo della coscienza, anche se si tratta di una coscienza decaduta che ha costantemente bisogno di essere riformata (Romani 2:14-16). Per quanto riguarda la Chiesa, il giudizio è mediato attraverso il governo del ministero ordinato. E nella sfera statale, il suo giudizio è mediato attraverso il governo legittimo dei magistrati.

Quando la sacra Scrittura parla di giudizio diretto di Dio, intende sia punizioni temporali, che servono agli scopi della sua grazia comune (promuovere la pace e il benessere generale di un popolo punendo coloro la cui malvagità lo minaccia) o agli scopi della sua grazia particolare e redentrice (che incoraggiano, e hanno come risultato effettivo, il pentimento e la santificazione dei fedeli); sia punizioni eterne, che sostengono la santità della giustizia divina (Daniele 12:1; Matteo 13:2 e 37): 1; Matteo 13:2 e 37:40, 25:46; 2 Tessalonicesi 1:6-10).

Le sentenze dei governi legittimi, invece, sono di portata limitata e temporale, con l’intento generale di produrre effetti positivi nella vita di coloro che sono sotto la loro autorità. In questo caso si tratta di:

  • Ascesi individuale. Il credente si autodisciplina astenendosi da alcune azioni specifiche, trattenendosi da alcune attività, “digiunando” nel senso generale del termine (cfr. Isaia 58:1 ed Ezechiele 18:5-9), in modo da non creare occasioni di desideri smodati, cupidigia, lussuria o peccati abituali di questo tipo (cfr. Esodo 20:17; e la parabola di Matteo 5:29-30).
  • La disciplina dei genitori nei confronti dei figli. Questa disciplina può – e spesso deve – essere corporale, a condizione che tali punizioni siano giustificate, temperate e non eseguite con il minimo accenno di rabbia incontrollata o di violenza indebita (Salmi 37:8; Proverbi 13:24 e 29:15).
  • L’uso corretto della scomunica da parte dei ministri della Chiesa. Quest’ultima e più grave misura deve essere presa, dopo le ammonizioni, contro peccatori palesemente ostinati e colpevoli di scandalo o maestri di gravi eresie (tenendo presente che non è dato alla Chiesa giudicare i cuori – de intimis Ecclesia non judicat; Matteo 18:15-18; 1 Corinzi 5:9; Tito 3:10-11).

È evidente che la Scrittura ha stabilito una legge penale divina che non è in alcun modo contraddetta dal vangelo, ma anzi ne è parte fondamentale (1 Timoteo 1:5-11). Nella sua grazia comune e nella sua specifica grazia redentrice, il Signore ha ritenuto necessario e buono per il benessere degli uomini in questo mondo decaduto avere una legge per proteggere gli uomini retti (i peccatori che si comportano bene nel mondo) e per punire i malfattori (i peccatori che si comportano male nel mondo) [38].

Occhio per occhio…

La regola fondamentale del diritto penale è la lex talionis. Lungi dall’avallare la vendetta personale, come spesso si è pensato e detto, la lex talionis è l’espressione immaginaria e metaforica della legge di equità che i magistrati devono sempre seguire nel pronunciare la sentenza. Ciò è reso evidente dal contesto immediato in cui il principio è enunciato (Esodo 21:20-23:9) e dall’intero tessuto di leggi della Torah, ed è confermato da Gesù stesso (Matteo 5:38 ss.).

Il principio della lex talionis – “vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, scottatura per scottatura, ferita per ferita” (cfr. anche la ripetizione in Levitico e Deuteronomio 19:21) – dichiara formalmente che qualsiasi punizione legale deve, in nome dell’equità, corrispondere al crimine. La punizione deve essere proporzionale o, per usare le parole della TaNaKh, “proporzionata alla gravità della sua colpa” (Deuteronomio 25:2), “secondo la malvagità di lui” (2 Samuele 3:39), “secondo il frutto delle sue azioni” (Geremia 17:10), “secondo le vostre vie” (Ezechiele 33:20). E considerato a un livello ancora più profondo, il castigo dovrebbe essere a immagine della giusta e incontrovertibile punizione che Dio ha inflitto all’unigenito Figlio incarnato sulla croce, sulla quale è stato appeso, maledetto e abbandonato; e a immagine del giudizio finale che verrà su alcuni uomini (cfr. Deuteronomio 21:23 e Galati 3:13; Salmi 51:6; Abdia 15; Romani 2:16; 1 Pietro 1:17 e Apocalisse 20:12; tra gli altri). Il criminale deve ricevere ciò che gli è dovuto (cuique suum: a ciascuno ciò che si merita) [39].

È curioso notare che molti cristiani (e non cristiani) che si scandalizzano per la posizione teonomica che ammette la pena di morte in tutti i casi in cui è richiesta dalla legge penale della Scrittura riguardo a determinati crimini, sono gli stessi cristiani (e non cristiani) che si scandalizzano ugualmente per la posizione teonomica che rifiuta l’incarcerazione come punizione per altri crimini che questa stessa legge penale punirebbe con la restituzione (ad esempio, con l’obbligo per il colpevole di risarcire la vittima per ciò che ha sofferto o perso, piuttosto che “scontando la pena”, che non risarcisce la vittima né ristora il colpevole).

Domande da considerare:

  1. Dio ha sbagliato a rendere la spada (ê machaïra in greco; una chiara immagine della pena di morte) parte del sistema di giustizia dello Stato, facendone così il boia (ekdikos) della sua ira (orgê), e a definire esplicitamente nella sua legge quali crimini meritano la pena di morte?
  2. Dio ha sbagliato nel prescrivere agli autori di certi crimini di risarcire le vittime per le perdite subite (restituzione) e di aggiungere una parte aggiuntiva come punizione (ciò che il diritto civile oggi chiama “danni punitivi”), preferendo questa soluzione alla detenzione?
  3. I principi e le applicazioni del diritto penale devono essere lasciati alla discrezione e alla mutevolezza dell’uomo autodichiaratosi autonomo, anche se la posta in gioco in queste sanzioni e punizioni è la giustizia stessa?
  4. Si può affidare all'”opinione arbitraria” di un uomo, anche il più saggio, o a quella di una maggioranza, anche la più raffinata ed elevata, la responsabilità di formulare sanzioni penali?
  5. Dio ha dunque agito “invano” (ancora una volta, cfr. Romani 13:1-6) quando ha affidato la sua giustizia a magistrati legittimi; cioè, non ha avuto alcuna volontà reale e sovrana che la compissero effettivamente?
  6. I cristiani “umanisti” considerano allora non validi alcuni passi della tradizione degli apostoli, come Matteo 5:18 con il suo “non un apice”, Matteo 28:20 con il suo “mi è stato dato ogni potere”, ed Ebrei 2:2 con “la parola pronunciata per mezzo di angeli si dimostrò ferma e ogni trasgressione e disubbidienza ricevette una giusta retribuzione”?

Quando “i sommi sacerdoti e i capi dei Giudei” portarono Paolo davanti al tribunale del governatore romano Festo a Cesarea (poiché non era permesso ai Giudei di condannare a morte qualcuno di propria iniziativa), muovendo “numerose e gravi accuse contro di lui”, Paolo riconobbe chiaramente la perdurante validità della legge penale rivelata – valida per le nazioni come per Israele – quando dichiarò: “Se dunque sono colpevole e ho commesso qualcosa da meritare la morte, non rifiuto di morire” (Atti 25:1-12). In questo modo riconosceva la continuità e l’inflessibilità della legge penale divina, desiderando che fosse applicata a sé stesso … se fosse stato colpevole [40].

LA LEGGE MORALE DI DIO APPROFONDITA

Ci sono almeno tre posti in cui si verifica un discernibile approfondimento della legge morale di Dio: (1) nella sacra Scrittura stessa, quando la legge avanza dal compimento della Torah di Mosè, passa per i Nebîîm e i Ketubîm, e infine giunge alla tradizione degli apostoli; (2) nella coscienza individuale dei fedeli, in cui la legge viene approfondita durante l’intero corso della vita; (3) nell’intera comunione cattolica, compresi i suoi pastori e Dottori, dove si è perseguita – e si deve continuare a perseguire – una comprensione più profonda della legge, con l’obiettivo finale di definire al più presto il dogma della teonomia e sconfiggere così l’umanesimo – prima nella Chiesa, poi nel mondo. Esamineremo ora ciascuno di questi ambiti singolarmente.

La legge di Dio approfondita nella TaNaKh

Come abbiamo già visto, per quanto riguarda le leggi di riconciliazione (sacrificali e sacramentali) e le leggi di separazione (riguardanti le cose pure e quelle impure), c’è un’evidente discontinuità nel passaggio dall’antica amministrazione del patto alla nuova, poiché la funzione di queste leggi specifiche sotto l’antica amministrazione era quella di anticipare il sacrificio unico e perfetto del Figlio di Dio incarnato e l’abbattimento del muro di separazione tra Israele e le nazioni.

Ma per quanto riguarda la legge morale (personale e sociale), c’è un’evidente continuità dall’antica amministrazione alla nuova. Il Dio santo non ha mai dato una serie di morali diverse alla razza umana – c’è un’unica legge morale che si trova nella rivelazione sia della sua grazia comune che della sua grazia particolare. Resta necessario per noi oggi prendere sul serio la legge morale di Dio nel suo insieme, come si trova in tutta la Scrittura, senza dimenticare di osservare come i libri sacri successivi alla Torah di Mosè rivelino il progressivo approfondimento di questa legge. Se è vero che “la Torah, la legge, è stata data per mezzo di Mosè”, è anche vero che essa è stata continuamente approfondita dai profeti e dai saggi fino a quando “la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo” (Giovanni 1:17) [41].

I Nebîîm e i Ketubîm, libri ispirati da Dio non meno della Torah, chiariscono – e quindi approfondiscono – diversi punti della Torah mosaica. Consideriamo alcuni esempi.

Già solo nell’episodio della vigna di Nabot (1 Re 21), vengono chiariti diversi punti della legge mosaica, tra cui: l’inviolabilità dell’eredità, la legittimità del diritto alla proprietà privata, l’esistenza di alcuni limiti al potere giuridico dello Stato, il fatto che i vari poteri dello Stato (esecutivo, legislativo e giudiziario) sono tutti responsabili di fronte a Dio (coram Deo), la gravità della falsa testimonianza e le pene che ne conseguono, la necessità dell’intervento del ministero profetico davanti al governo civile e, in 1 Re 22, la natura terribile del giudizio di Dio che, con effetti più o meno duraturi, si abbatte su ogni Stato che oltrepassa e si fa beffe dei suoi limiti giuridici.

Il Libro dei Proverbi invita a cercare e a mettere in pratica la virtù della saggezza, cioè la saggezza fondata sul timore (rispetto devozionale) del Signore (1:7; 9:10; 15:33; ecc.). Questa sapienza è stata sempre considerata un’aggiunta alla legge, ma non è nulla di tutto ciò. La saggezza, secondo la Scrittura e soprattutto secondo i Proverbi, è un dono, una virtù che serve specificamente a ricevere e comprendere i precetti della legge, a seguirli (10:8), a rispettarli (13:3) e a osservarli, affinché si possa essere saggi (28:7) e benedetti: “Beato colui che osserva la legge” (29:18).

La saggezza di Dio, che è Dio stesso, ci chiama a ricevere la nostra saggezza da questa saggezza divina osservando i suoi comandamenti e scrivendoli sulla tavola del nostro cuore (2:1-6; 3:3 – in quest’ultimo versetto, i comandi della legge sono indicati come hésèd we’ èmèt, la “ferma e benevola fedeltà pattizia di Dio”; cfr. nota 41).

Il rapporto tra la saggezza e i comandamenti è così stretto che possiamo dire che questi ultimi costituiscono la nostra saggezza e che la nostra saggezza applica i comandamenti senza aggiungerne altri. Inoltre, ricevere questa saggezza come dono e virtù dall’alto significa, allo stesso tempo, osservare i comandamenti e metterli saggiamente in pratica. Così la saggezza penetra nella nostra vita quotidiana attraverso l’obbedienza alla Legge di Dio.

Lo stesso Libro dei Proverbi espone in modo specifico il fondamento, il dovere e gli elementi principali del governo civile:

Per mio mezzo regnano i re,
E i prìncipi decretano ciò che è giusto.
Per mio mezzo governano i capi, i nobili,
Tutti i giudici della terra (8:15-16)

Il trono è reso stabile con la giustizia. (16:12b)

[Le autorità non devono] dimenticare la legge
e calpestare così i diritti di tutti i deboli. (31:5)

Non è bene, in giudizio, avere riguardi personali.
Chi dice all’empio: ‘Tu sei giusto’,
I popoli lo malediranno,
Lo esecreranno le nazioni. (24:23-24)

Il re che fa giustizia ai deboli secondo verità,
Avrà il trono stabile per sempre. (29:14)

Giudica con giustizia,
Fa’ ragione al misero e al bisognoso. (31:9)

Il Libro dei Proverbi tratta anche in modo specifico i compiti assegnati a ciascun membro di una famiglia:

Figlioli, ascoltate l’istruzione di un padre … (capitoli 4-7)

La donna virtuosa è la corona del marito. (12:4; cfr. 14:1; 15:20; 23:22; 30:17; 31:10-31; ecc.)

Un terzo esempio di ripresa e chiarimento della legge mosaica negli scritti successivi si trova nel Cantico dei Cantici. Libro che, come abbiamo già detto, deve essere interpretato su due livelli, il Cantico dei Cantici fa luce sull’applicazione della legge morale di Dio alla vita coniugale, in vista sia della gloria di Dio sia della benedizione della coppia umana [42].

Un’esegesi solida e attenta, basata su una traduzione fedele del testo ebraico, rivela sia l’unità del testo sia il fatto che il poema comprende tre personaggi: la coppia formata da un pastore e dalla Sulamita, la sua sposa, col loro amore fedele e appassionato, e il re Salomone, che non si è lasciato ostacolare dal prenderla per sé come una delle donne del suo harem, anche se comunque deve ancora conquistarla e cerca di farlo, creando così la tensione della trama del racconto [43].

Questo cantico, il cantico per eccellenza, permette anche un secondo livello di interpretazione, una sobria esegesi tipico-analogica (non allegorica, interamente soggetta al capriccio del lettore).

Mentre interpreti del passato hanno gravitato verso un’interpretazione allegorica, imponendo al testo le proprie interpretazioni soggettive, un secondo livello di interpretazione dovrebbe invece cercare gli elementi tipologici e analogici del testo (interpretazione tipico-analogica) ed essere saldamente fondato sul primo livello di interpretazione, il significato letterale. La solidità dell’interpretazione di secondo livello sarà giudicata in base a quanto si adatta e illumina il mistero rivelato del libro, cioè che l’unione tra il marito e la moglie (Malachia 2:14) è legata all’unione tra il Signore e la sua Chiesa (Efesini 5:25-32).

Quando il libro viene interpretato con l’esegesi tipico-analogica, emerge la tensione centrale tra il tentatore, il seduttore e il separatore (“ciò che Dio ha unito, l’uomo non lo separi”), rappresentato dal principe, e il Signore e la sua Chiesa, rappresentati dalla coppia di sposi.

Con le sue innumerevoli e per lo più esagerate varianti, l’interpretazione allegorica tradizionale (nota come interpretazione “spirituale”, anche se “spirituale” nel senso peggiore del termine), “è nata come tentativo di difendersi in risposta alla lamentela: ‘Come può una poesia d’amore così verbosa essere santa e uno standard per la fede?” [44].La lamentela stessa – e la risposta “spirituale” – nasce dalla predilezione greca per la contrapposizione tra anima e corpo: l’anima è intrinsecamente buona, il corpo invece più o meno cattivo. Questa opposizione non biblica tra anima e corpo ha continuato a essere un tema dominante nelle opere di alcuni antichi Padri della Chiesa, mentre i suoi effetti contagiosi erano più sottilmente presenti nelle opere di altri. Il senso letterale e ovvio del testo era visto con tale sospetto che il rabbino ebreo Akiba dichiarò nel 110 d.C. che il Cantico per eccellenza doveva essere insegnato nella sinagoga secondo il suo senso allegorico-spirituale [45].

Questo tipo di pseudo-esegesi non può che essere scorretta, intralciando la verità biblica, così che la Parola divina viene eclissata da queste allegorie fantastiche e la Parola divina rimane imprigionata nella soggettività dell’uomo. Il solo significato letterale (che non va confuso con un inaccettabile letteralismo – cfr. le interpretazioni abusive di Matteo 5:29-30 o 7:1-2, ad esempio) è il significato vero e solido, conforme allo “spirito divino”, respingendo ogni gnosticismo arbitrario, sia esso di natura razionalista o carismatica.

Chi vuole interpretare il Cantico non deve arrivare ad esso con la domanda posta da Pouget e Guitton: “Quali sono i significati spirituali che si possono trovare qui per la nostra anima cattolica?” [46], ma deve piuttosto cominciare a chiedersi: “Quale/i significato/i letterale/i del testo dobbiamo sinceramente ricevere in questo libro della Parola scritta di Dio?”.

Se la Bibbia non significa realmente ciò che dice, come si può sperare di scoprire ciò che è rivelato? [47]

Il Cantico approfondisce ulteriormente la nostra comprensione dell’istituzione divina del matrimonio, osando persino esplorare le relazioni e il desiderio sessuale, lodando la singolare bellezza dell’unione fisica all’interno del matrimonio in contrasto con tutte le espressioni del desiderio umano al di fuori del matrimonio (omosessualità, adulterio eterosessuale, bestialità, ecc.).

Il Cantico approfondisce anche la nostra comprensione dell’amore e della fedeltà nel matrimonio, invitandoci a onorare queste cose nella nostra vita e in quella degli altri. Nonostante le dichiarazioni appassionate, e a volte grottesche, del laico Salomone, nonostante le esortazioni delle donne dell’harem che la invitano a unirsi (che onore!) alla linea regale di Davide, la Sulamita rimane fedele al pastore a cui si è fidanzata: “Io sono del mio amato e il mio amato è mio” (6:3). Quanto al pastore, dice a Salomone alla fine del libro: “Le migliaia sono tue, Salomone!… La mia vigna qui davanti a me è solo per me” (8:12; trad. Calvin Seerveld).

L’autore del Libro dei Re (1 Re 11) racconta, con spirito mesto, che alla fine Salomone ebbe nel suo harem un migliaio di donne che “fecero volgere il suo cuore verso altri dèi”, e che in questo modo “disdegnò il male agli occhi del Signore … Così il Signore si adirò con Salomone” (11:4, 6,9). Il “più bello dei Cantici” è un avvertimento a chiunque voglia imitare Salomone … affinché si converta a Dio e viva.

La legge di Dio approfondita nell’insegnamento di Gesù

Ma è qui, con Gesù e la tradizione degli apostoli, che la legge morale di Dio viene definitivamente approfondita e chiarita, rinnovata e riconfigurata, sebbene rimanga fondamentalmente quella che è sempre stata la Torah attraverso Mosè, progressivamente approfondita con i Profeti e gli Scritti, e trovando infine il suo pieno compimento proprio in Gesù Cristo, nel senso che viene “realizzata”, riempita fino all’orlo. Tre cose richiedono la nostra attenzione: (1) Gesù identifica un ordine gerarchico all’interno della legge, (2) mostra che la legge mira ai cuori e (3) identifica l’amore con la legge. Consideriamo brevemente ciascuno di questi aspetti.

Ordine gerarchico nella legge

… pagate la decima della menta, dell’aneto e del comino e trascurate le cose più importanti della legge: il giudizio, la misericordia e la fede. Queste sono le cose che bisognava fare, senza tralasciare le altre. (Matteo 23:23)

Nel rimproverare i farisei, Gesù identifica un ordine gerarchico all’interno della legge (un ordine che essi ignoravano o sovvertivano). “La giustizia, la misericordia e la fede” sono quelle più importanti (ta barutera = le cose più pesanti), e tuttavia la loro esecuzione non deve essere disgiunta dalle leggi meno importanti, anzi deve essere eseguita “senza lasciare le altre incompiute”.

È significativo che ognuna delle tre “questioni più importanti” siano caratteristiche di Dio comunicabili in relazione al peccato e ai difetti delle creature umane: (1) la giustizia (ê crisis) è il giusto giudizio sul peccato e sui peccatori; (2) la misericordia (to eleos) è la tenerezza del cuore (cor) verso la condizione miserabile (miseria) dei peccatori; e (3) la fede (ê pistis = fedeltà) è l’opposizione al peccato (Kierkegaard ha detto: “Il contrario del peccato non è la virtù ma la fede”).

Misteriosamente, è solo sullo sfondo dell’inspiegabile irruzione del peccato nel mondo che queste tre cose – giustizia, misericordia e fede – hanno assunto il loro significato in Dio, nel quale sono state modellate [48].

Non dimentichiamo che i comandamenti presentano al loro interno una relazione organica, dove il primo comandamento, il più elementare, costituisce una sorta di centro di controllo da cui gli altri si estendono nella loro specificità. Ogni comandamento serve ad abbellire e a chiarire il comandamento principale di “amare il Signore tuo Dio” insieme al suo naturale complemento di “amare il prossimo tuo come te stesso” (Matteo 22:36-40). Da questi due comandamenti dipendono tutti gli altri. Segue il decalogo, che riassume l’intera legge morale. E infine ci sono gli altri comandamenti, ciascuno legato a una o più parole del decalogo, che sono ordinati da quelli che hanno più importanza a quelli che ne hanno meno (anche se, come Gesù non manca di aggiungere, questi ultimi non devono essere disattesi o tralasciati).

La legge mira al cuore

Gesù ha insistito sul fatto che l’obiettivo principale della legge morale è il cuore, e non semplicemente, e nemmeno primariamente, le azioni. Nella sua costante lotta contro il farisaismo, Gesù ha criticato le interpretazioni esteriorizzanti della legge morale, l’attenzione esclusiva all’applicazione esterna della legge morale. Una simile interpretazione distorta non solo distorceva la legge, ma conduceva anche ad un’idea di giustificazione per mezzo delle opere. Qualsiasi descrizione dei farisei come attenti e fedeli praticanti della legge mosaica, qualsiasi tendenza ad accreditare loro l’ortodossia o l’ortoprassi, risulta palesemente falsa, come Gesù stesso rivela nel suo rimprovero: “Così anche voi, di fuori sembrate giusti alla gente, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità” (Matteo 23:28).

Gesù esorta i suoi discepoli, e li guida, a giudicare bene, a giudicare “giustamente”, il che deve iniziare con un esame sempre più onesto e penetrante di sé stessi allo specchio della legge morale di Dio (Matteo 5:19; 7:1-5). Questo esercizio del giudizio è giusto o “equo” in modo completamente diverso da quello dei farisei, e allo stesso tempo “supera” il loro: “Poiché io vi dico che, se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete affatto nel regno dei cieli” (Matteo 5:20).

Identificazione dell’amore con la legge

Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi ama (Giovanni 14:21a).

Gesù e la tradizione degli apostoli identificano l’amore per Dio, per il prossimo e per sé stessi con l’obbedienza ai comandamenti della legge morale.

Il punto è che la legge morale e i suoi comandamenti servono a mostrare quale sia l’amore concreto per Dio, per il prossimo e per sé stessi. Il vero amore e l’osservanza della legge vanno di pari passo: senza l’amore, anche l’obbedienza più eroica non è nulla (1 Corinzi 13:3), e senza la legge, separatamente dalla legge, l’amore non è altro che un vuoto sentimento. Amore e legge stanno insieme, è insieme che non vengono mai meno (1Corinzi 13:8; Luca 16:17). Infatti, come frutto dello Spirito, l’amore compie in noi la giusta esigenza della legge, la giustizia che è la nostra santificazione (Galati 5:22; Romani 8:4; 2 Corinzi 7:1), la giustizia che a partire da piccole cose diventa sempre più nostra sebbene solo nella glorificazione siamo resi perfetti: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”, ha detto Gesù (Giovanni 14:15). “Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi ama” (Giovanni 14:21). “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà” (Giovanni 15:10; cfr. 1 Giovanni 2:3-11). “Voi siete miei amici se fate tutto ciò che vi comando” (Giovanni 15:14).

La legge di Dio… si riassume nell’amore…. Certamente un riassunto non annulla il contenuto di ciò che riassume! [49]

Sebbene sia chiaramente enunciato nella tradizione degli apostoli, l’identificazione dell’amore con la legge era già stata rivelata, in nuce, nella Torah: “Oggi ti ordino di amare il SIGNORE tuo Dio, di camminare nelle sue vie, di osservare i suoi comandamenti, i suoi statuti e i suoi giudizi, perché tu viva e ti moltiplichi; e il SIGNORE tuo Dio ti benedirà…” (Deuteronomio 30:16; cfr. Deuteronomio 6:4; 11:1, 13, 22; 13:2 e seg.; 19:9).

La Legge di Dio approfondita nella
coscienza e nella vita dei fedeli [50]

Richard Rogers, il pastore puritano di Wethersfield, nell’Essex, sul finire del XVI secolo, un giorno stava passeggiando con un signore del luogo il quale, dopo averlo rimproverato per i suoi modi “puntigliosi”, gli chiese cosa lo rendesse così preciso. “O signore”, rispose Rogers, “io servo un Dio preciso” [51].

È proprio in questa sua precisione che la Scrittura ci mette a disagio.

*

Nella TaNaKh, la parola ebraica che corrisponde a “cuore” (lev, levâv) può anche, come in italiano, riferirsi alla coscienza, per esempio quando Elihu dichiarava “Nelle mie parole è la rettitudine del mio cuore (lev)” (Giobbe 33:3; cfr. Giosuè 14:7; Giobbe 22:22 e 27:6, con levâv). A volte la parola ebraica kileyâh, o “rene”, è utilizzata per indicare la coscienza profonda di un uomo, e viene tradotta anche con “cuore” – “Anche il mio cuore (o reni) mi istruisce di notte” (Salmo 16:7).

Nella tradizione degli apostoli, la parola greca syneïdêsis (cfr. synoïda, “conoscere con”) è usata per rendere la stessa idea, anche se in questo caso ha esattamente lo stesso significato della nostra parola italiana coscienza, dal latino “con-scientia”.

Secondo la descrizione che ne dà la Scrittura, la coscienza è la sede interna del giudizio che ci accusa o ci scagiona e, così facendo, ci dichiara innocenti o colpevoli (Romani 2:15). È il “cuore dei cuori”.

Tuttavia, a causa della separazione dell’uomo da Dio, la coscienza è compromessa al punto da essere confusa su ciò che è bene e ciò che è male, su ciò che dovrebbe essere approvato e ciò che dovrebbe essere condannato. “Guai a quelli che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre” (Isaia 5:20).

La tradizione degli apostoli parla apertamente della coscienza come “debole”, “contaminata”, “cattiva” (1 Corinzi 8:7, 10, 12; Tito 1:15; Ebrei 10:22; 1 Timoteo 1:19). Le operazioni della coscienza, la sua testimonianza (Romani 2:15; 9:1; 2 Corinzi 1:12), la sua guida (Atti 24:16; Romani 13:5) e il suo discernimento o giudizio (Romani 2:15; 1 Giovanni 3:20) possono dare una falsa testimonianza, possono agire come giudice malvagio. Secondo Calvino (op. cit.), la vera con-scienza (conoscenza con) si trova solo dove c’è una relazione con Dio, dove la coscienza è “una certa conoscenza media (un legame) tra Dio e l’uomo”. Lo stesso Calvino aggiunge:

Una pura e semplice conoscenza rischierebbe di essere soffocata in un uomo. Perciò questo sentimento che cita l’uomo e lo conduce dinanzi al tribunale di Dio è come un custode che gli vien dato per mantenerlo vigile, e sorvegliarlo, e svelare tutto quello che egli sarebbe lieto di nascondere, qualora ne avesse la possibilità [52].

La coscienza alterata mette l’uomo in una situazione difficile, come osserva Robert Lewis Dabney:

Ora, se la coscienza è suprema, ma anche fallibile, ne deriva questa conseguenza paradossale: che nel caso di una coscienza sinceramente errata, l’uomo deve peccare se la disobbedisce, e deve anche peccare se la obbedisce. Egli si trova in un dilemma disperato [53].

In effetti, siamo responsabili della nostra coscienza nella misura in cui riflette la legge di Dio e dobbiamo seguirla. Ma siamo anche responsabili della condizione della nostra coscienza: trovandoci all’inizio con una coscienza de-formata, dobbiamo chiedere e fare in modo che si ri-formi progressivamente. Siamo tenuti a seguire sinceramente i suggerimenti della nostra coscienza; ma dobbiamo anche fare in modo che questi supporti siano in stretta conformità con la legge morale biblica, perché la coscienza è solo “uno specchio per riflettere la luce della verità morale e spirituale in modo da proiettare i suoi raggi ben regolati e concentrati sulle nostre azioni, i nostri desideri, i nostri obiettivi e le nostre scelte” [54].

Ogni cristiano fedele della Chiesa cattolica si impegnerà quindi a recuperare una “buona” coscienza. A tal fine si dedicherà alla legge morale di Dio, affinché essa sia sempre meglio scritta nel suo cuore (cfr. Geremia 31:33; Ebrei 8:10 e 10:16). Farà tutto il necessario per ottenere “una coscienza pura davanti a Dio e agli uomini” (Atti 24:16), servendosi regolarmente degli strumenti di grazia predisposti e donati da Dio: meditazione e ascolto della Scrittura, preghiera personale e comunitaria, comunione della messadel Signore, Chiesa, esortazione, consiglio spirituale (consiglio che si basa sullo Spirito!), ecc. Sarà in grado di portare il vanto di Paolo, avendo ricevuto “la testimonianza della nostra coscienza che ci siamo comportati nel mondo con semplicità e sincerità divina, non con la sapienza della carne ma per la grazia di Dio” (2 Corinzi 1:12). Desidera che la sua coscienza diventi pura (kathara), cioè capace di discernere ogni traccia di peccato persistente (1 Timoteo 3:9). La grazia del Signore, infatti, affina e perfeziona la coscienza a tal punto da renderla capace di scacciare i peccati nascosti e sottili che devono essere confessati man mano che vengono scoperti, peccati ben più pericolosi di quelli più “grossolani e manifesti” dai quali l’opera di Dio, con il nostro sforzo corrispondente, nella nostra santificazione, ci ha indubbiamente già liberato (cfr. 1 Giovanni 1:8-2:3).

Sorge ora la domanda: cosa rimane oggi dell'”esame di coscienza” che un tempo era una disciplina personale e talvolta quotidiana per molti credenti? Siamo diligenti nell’esaminare il nostro cuore, soprattutto alla vigilia della comunione eucaristica? Vogliamo recuperare la pratica dell’autoesame, della ricerca umile e orante del nostro cuore davanti a Dio e alla sua Parola? A questo Cristo e al suo vangelo, e a una comunione sempre più stretta con Lui: “Se esaminassimo noi stessi, non saremmo giudicati; ma quando siamo giudicati siamo corretti dal Signore, per non essere condannati con il mondo” (1 Corinzi 11:31). In questo esame di coscienza, coram Deo (davanti a Dio), riceviamo insieme le due realtà inseparabili della grazia: la legge e il vangelo, il vangelo e la legge; la pace e la gioia che li accompagnano.

La legge di Dio approfondita nella Chiesa e nel mondo

A partire dall’Illuminismo, negli ultimi due secoli e mezzo, la Chiesa e i cristiani sono stati influenzati in maniera radicale dall’Umanesimo, che ha fatto sì che oggi si dia poca importanza alla legge mosaica. A parte la Genesi e le sezioni storiche dell’Esodo e del Deuteronomio, gran parte della Torah che tratta della legge è stata a tutti gli effetti espunta dalle Scritture. Inoltre, anche se la Scrittura viene ancora “consultata”, e a volte ascoltata e seguita, quando si tratta di pietà, matrimonio e famiglia, Chiesa e teologia (e anche in questo caso occorre protestare per il fatto che questi argomenti non possono essere trattati adeguatamente senza una sottomissione completa alle Scritture nella loro interezza!), essa viene tuttavia categoricamente rifiutata quando si tratta di altri ambiti della vita (tranne in quei rari casi in cui da sostegno a ciò che viene avanzato da un’agenda altrimenti umanistica). Eppure, è proprio a queste parti della Scrittura – quelle che riguardano la maggior parte della nostra vita quotidiana – che dovremmo dedicare il più possibile la nostra attenzione! Eppure, la “legge naturale” viene propagandata perché presenta il vantaggio di essere indefinita, variabile e modificabile, alla mercé e al capriccio di ciò che si ritiene “pratico”.

Se la Chiesa finirà per essere trascinata dall’Umanesimo – di cui è già infetta e malata in tutte le confessioni e denominazioni – sicuramente una delle ragioni principali della sua fine sarà il fatto di essersi svincolata dall’autorità sovrana della Parola di Dio (incarnata e scritta) e di aver successivamente capitolato a ogni nuova ondata dell’assalto umanistico, man mano che le sue posizioni tradizionali diventavano sempre più insostenibili. La volontà della Chiesa di rimanere in piedi è stata compromessa anche dalla diffusione di un’escatologia (lo studio dell’eschaton, la “fine” o le “ultime cose”) che, nel corso dell’ultimo secolo e mezzo, ha fatto tanto parlare di un “vicino” ritorno di Cristo e di una “incombente” – “da un momento all’altro” fine del mondo, che molti cristiani, in attesa di questa fine imminente, non credono più che la storia possa avere – e senza dubbio avrà – una lunga strada da percorrere, il che significa che le chiese e i cristiani avranno un lungo orizzonte temporale in cui lavorare con pazienza, coraggio e perseveranza per la conquista del mondo nel nome di Cristo, e quindi per la sua vittoria su ogni nemico (1 Corinzi 15:25; Ebrei 1:13).

Nonostante la promessa profetica che “la conoscenza del Signore riempirà la terra, come le acque coprono il fondo del mare” (Isaia 11:9; cfr. 65:17-25) e le ultime parole di Cristo:

Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni (pásas tàs hĕméras), sino alla fine dell’età presente (Matteo 28:18-20),

questi cristiani depongono le armi in tutta tranquillità, plaudendo la fine del mondo, nella convinzione che non ci siano più da intraprendere progetti a medio o lungo termine.

La comprensione biblica dell’Apocalisse è molto diversa da quella che viene insegnata in modo sempre più diffuso oggi. Il Libro dell’Apocalisse è una rivelazione della vittoria, e le apocalissi dei Vangeli sinottici (Matteo 24; Marco 13; Luca 21) e di numerosi altri passi della tradizione degli apostoli non sono rivelazioni della fine del mondo, ma rivelazioni della fine prossima e imminente del mondo antico prima di Gesù Cristo (del giudizio di Israele, della distruzione del tempio, della fine degli antichi sacrifici). L’esegesi erronea di questi testi, che li distorce per insegnare una fine del mondo da un momento all’altro, ha contribuito potentemente alla capitolazione della Chiesa di fronte alle lotte attuali, generando una mentalità pessimista e disfattista nella maggioranza delle Chiese e dei cristiani che fraintendono il significato biblico delle parole Apocalisse e apocalittico. Mentre queste parole accoglievano la buona novella per i cristiani del primo secolo ai quali San Giovanni indirizzò l’Apocalisse, e che traevano incoraggiamento da questo insegnamento di fronte alla prova temporanea (tentazione) che è ormai storicamente alle nostre spalle – la menzione dell’Apocalisse ai nostri giorni fa sì che i cristiani e i non cristiani immaginino terribili catastrofi legate alla fine del mondo (Apocalypse Now!).

Ma dal momento in cui il Signore verrà “come un ladro”, non dobbiamo speculare su “un giorno” o “un’ora”, in quanto solo il Padre conosce queste cose (cfr. Matteo 24:42-44). La nostra responsabilità, invece, è quella di vigilare (di non addormentarci), sfruttando al massimo il nostro tempo (Efesini 5:16; Colossesi 4:5), con lo scopo di obbedire alla legge di Dio nel quadro delle nostre vocazioni, dei nostri ministeri (cioè dei compiti che ci sono stati assegnati). E con quel tempo che abbiamo (non importa quanto poco!) Dobbiamo agire con in mente i nostri figli e nipoti, preparando le generazioni a venire (non importa quante!), preparando la strada per la Cristianità che auspicata secondo le promesse infallibili del Signore.

*

In realtà, il giudizio imminente che dobbiamo aspettarci all’inizio del XXI secolo è un giudizio che partirà proprio da noi, dalle chiese e dai cristiani: è il giudizio dell’Umanesimo, della religione dell’uomo che è una religione di morte. Infatti, da quando il peccato è entrato nel mondo con Adamo, gli uomini hanno cercato – sempre senza successo – di sfuggire alla buona e santa legge di Dio, contenuta in tutta la Scrittura e riassunta nel decalogo. Ma anziché sfuggire alla legge, hanno sperimentato il peso delle sue sanzioni che li ha sopraffatti e schiacciati. Essi hanno quindi sofferto il peso delle conseguenze della disobbedienza, delle quali la legge li aveva avvertiti. E la situazione non è molto diversa per noi. Coloro che si ostinano a schernire la legge di Dio, che in fondo sanno essere vera, devono inevitabilmente affrontare il contraccolpo di questa stessa legge di cui vorrebbero ignorare l’esistenza e il significato. Tutti noi dobbiamo ascoltare di nuovo:

L’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ingiustizia degli uomini che soffocano la verità con l’ingiustizia… perciò essi sono inescusabili, perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato come Dio, né lo hanno ringraziato… il loro cuore privo d’intelligenza si è ottenebrato… Siccome non si sono curati di conoscere Dio, Dio li ha abbandonati in balìa della loro mente perversa sì che facessero ciò che è sconveniente… Essi, pur conoscendo che secondo i decreti di Dio quelli che fanno tali cose sono degni di morte, non soltanto le fanno, ma anche approvano chi le commette (Romani 1:18, 20-21, 28, 32).

Ignorando volontariamente Dio e la sua legge, gli uomini hanno perso la motivazione e la forza di vivere bene. Diventati autonomi, hanno perso l’obiettivo di vivere sulla terra, nel suo senso più individuale e universale. Creati “a immagine e somiglianza di Dio” (Genesi 1:26-27), essi pervertono, corrompono e negano questo loro carattere fondante, che li porta ad amare la morte alla quale sono sottoposti, svuotandoli della vita spirituale ed etica (Proverbi 8:36), fino a rinunciare alla loro volontà di vivere e a diventare schiavi, piegando il collo. Preferiscono qualsiasi ideologia (“idologia”), qualsiasi ideale astratto, agli ordini personali del loro Creatore e Salvatore.

Sotto il potere dell’Umanesimo il mondo attuale sta diventando sempre più buio e smarrito, e solo una cosa è sufficiente per illuminarlo, guidarlo e liberarlo: la Parola di Dio, il vangelo-legge, che opera per prima in ognuno di noi. È attraverso la Parola-vangelo-legge che l’Umanesimo sarà contrattaccato e sconfitto – prima nella Chiesa, poi nel mondo. Non c’è speranza di liberazione e di salvezza in nessun altro che non sia Gesù Cristo – non si trova da nessun’altra parte. Dobbiamo passare dalla sottomissione e dalla schiavitù alla liberazione e alla fede, ricordando che il nostro ingresso nella liberazione e nella fede comprende l’invito al combattimento della fede (cfr. 1 Timoteo 1:18-19; 6:12), al combattimento per la teonomia (1 Giovanni 3 e 5:1-5), un combattimento spirituale che può e deve essere condotto con ogni arma di Dio (ê panoplia tou theou), un combattimento che attacca l’umanesimo e lo fa per il bene dell’umanità, una lotta contro “il principe della potenza dell’aria” (l'”aria” anche dei nostri tempi, Efesini 2:2), “contro i dominatori di questo mondo di tenebre” e “le forze spirituali della malvagità” (Efesini 6:11-12). Dobbiamo ascoltare e prestare attenzione all’appello di Efesini 6:14-18:

State dunque saldi:
prendete la verità per cintura dei vostri fianchi,
rivestitevi della corazza della giustizia,
mettete come calzature ai vostri piedi lo zelo  dato dal vangelo della pace!
prendete oltre a tutto ciò lo scudo della fede
con il quale potrete spegnere tutti i dardi infocati del maligno.
Prendete anche l’elmo della salvezza
e la spada dello Spirito, che è la parola (tô rêma) di Dio;
pregate in ogni tempo, per mezzo dello Spirito, con ogni preghiera e supplica!

Questo ci porta a un punto importante. Almeno a partire dall’Illuminismo (e da Jean-Jaques Rousseau! ) – anche se Thomas Hobbes (1588-1670) scrisse Il Leviatano già nel 1651 e Niccolò Machiavelli (1469-1527) scrisse Il Principe nel 1513 (sebbene sia stato pubblicato solo nel 1532) – l’Umanesimo, così zelante per la “libertà”, si è sempre mosso verso lo Stato totalitario, lo Stato sociale, lo Stato divino, sia nella forma ingannevolmente innocente e insidiosa della Dea Democrazia, sia nelle forme dure del socialismo comunista (U.R.S.S., Cina, Cuba) o del socialismo nazionalista (fascismo, nazismo). Per la fede umanistica, la salvezza degli uomini – o almeno la loro salvezza temporale – può essere assicurata con mezzi prevalentemente politici e con l’autorità sovrana dello Stato.

La lotta spirituale e la conquista spirituale, invece, sono la missione della fede cattolica (una missione dalla quale non può allontanarsi senza tradire la Parola di Dio e sé stessa, come è tristemente accaduto oggi, con suo stesso giudizio e dolore). Perciò non può affidarsi alla “carne e al sangue” (aïma kaï sarka) per combattere la “carne e il sangue” (Efesini 6:12) – la tentazione di ogni religione di potere [55] – ma deve affidarsi al potere che viene dal Signore onnipotente (6:10). Questo è il senso e il significato complessivo del Libro dell’Esodo, contrariamente a quanto ne fanno i teologi umanisti, statalisti e auto-proclamatisi teologi “della liberazione”. Il significato del libro si trova nell’opposizione tra [56] la servitù del popolo di Dio sotto il potere arbitrario di Faraone — lo stato —e la loro libertà sotto la guida profetica di Mosè e della legge promulgata al Sinai per sola grazia immeritata del Signore.

L’Umanesimo, che sia di destra, di centro o di sinistra (sto usando il suo stesso linguaggio politically-correct!), tende sempre e inevitabilmente alla divinizzazione dello Stato, al quale guarda per la salvezza, incurante dei persistenti fallimenti su fallimenti. Alle loro illusioni si oppone il Salmo 2, che parla con tanto realismo del “tumulto fra le nazioni”, dei “popoli che meditano cose vane” e degli Stati (dei principi) che “congiurano insieme contro il Signore e contro il suo Unto”, Il Signore, viene poi ricordato, “ride” di fronte a tale illusoria presunzione. Gli Stati (i principi) devono onorare colui che ha incoronato “il Figlio Santo” con la sua ascensione (2:7; cfr. Ebrei 1:5; 5:5) e che ha ricevuto “in eredità le nazioni e in possesso le estremità della terra”. “Rendete omaggio al Figlio”, viene loro ordinato, “affinché il Signore non si adiri e voi non periate nella vostra via”. Gli uomini, le immagini di Dio e le loro diverse società, compreso lo Stato, devono tutti “rendere a Dio ciò che è di Dio”; e devono “rendere allo Stato” solo ciò che gli viene restituito: le tasse e il rispetto che sono necessari e dovuti affinché esso possa esercitare (secondo la legge di Dio!) il mandato che gli è stato affidato dall’alto (Matteo 22:15-22).

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Questo spiega la differenza essenziale tra rivoluzioni e riforme. Le rivoluzioni di origine umana, sono dei colpi di stato suscitati dalla “religione del potere”, e violano apertamente le leggi di Dio, si fanno beffe delle libertà e finiscono con l’insediare dittatori intenzionati a raggiungere i loro obiettivi a tutti i costi, anche se ciò significasse il sacrificio cruento di molte vite umane. Il sistema che instaurano è una vera e propria forma di schiavitù. Il loro odio per gli uomini creati a immagine e somiglianza di Dio rispecchia l’odio per Dio stesso. Le riforme di origine divina, invece, perseguono pacificamente e pazientemente l’estensione del regno di Dio sulla terra e una più profonda comprensione della sua legge, da loro diligentemente osservata e praticata. Alla fine, queste riforme liberano progressivamente gli uomini dalla schiavitù, puntano a un rinnovamento della cultura, dedicano grandi sforzi a tutti i tipi di educazione e di assistenza che servono non solo a soddisfare i bisogni a breve termine, ma anche a migliorare le condizioni sul lungo periodo. A quel punto ci sarà una cristianizzazione della società, una nuova cristianità, che sorgerà dal gran numero di coloro che si convertiranno e torneranno alla fede come conseguenza della comunicazione fedele della Parola-vangelo-legge di Dio sotto l’opera sovrana dello Spirito Santo.

Mi limiterò a due esempi di tali riforme nella storia della Chiesa, uno considerevole, l’altro piuttosto modesto .

Il primo è apparso nei primi tre secoli della nostra era, quando il vangelo e la legge di Cristo si sono diffusi con sorprendente rapidità in tutto l’Impero Romano, nonostante l’ostilità e spesso le persecuzioni del potere civile e militare in carica.

La verità, conquistando i cuori, era condivisa di casa in casa, di città in città, di provincia in provincia, attraversando terra e mare. Non con le armi della “carne e del sangue”, ma con la testimonianza delle parole e della vita dei fedeli in ogni segmento della società – schiavi o liberi, ricchi o poveri, discendenti di Israele o delle nazioni, continui nella preghiera e aperti alle necessità del prossimo – si è compiuto uno dei più grandi misteri della storia, a costo di molti martiri.

Come scrisse Atanasio di Alessandria nel IV secolo:

Infatti, come quando viene il sole, non prevalgono più le tenebre, ma se ne rimane ancora qualcuna in qualche luogo viene scacciata, così, ora che è venuta la divina apparizione del Verbo di Dio, non prevalgono più le tenebre degli idoli e tutte le parti del mondo, in ogni direzione, sono illuminate dal suo insegnamento (L’incarnazione del Verbo, 55.3).

La seconda si manifestò nella Francia del XVI secolo nell’arco di quattro decenni (dal 1520 al 1560 circa). In questo caso, il vangelo e la legge di Cristo, proclamati dalla Riforma attraverso il recupero delle antiche tradizioni cattoliche nelle sacre Scritture, si diffusero “come un fuoco che scoppia in più luoghi contemporaneamente, così che tutta la terra è in fiamme, qui per l’avanzata costante della prima linea di fuoco, là per le scintille diffuse dal vento, e altrove per la combustione spontanea di anime pronte a prendere fuoco” [57].

Prima ancora che fossero fondate più di duemila “Chiese riformate in Francia”, ognuna con il proprio pastore, la Parola di Dio si stava diffondendo in lungo e in largo – ancora una volta, a prezzo di innumerevoli martiri. Nel corso di questi quattro decenni, la Riforma perseguitata non cessò di guadagnare terreno in tutto il Paese. Anche in questo caso si dimostrò vera l’affermazione: “Il sangue dei martiri è il seme della Chiesa”.

Tuttavia, in seguito, nel 1562 iniziarono le disastrose e terribili Guerre di Religione, accompagnate dalla lotta per il potere tra un Condé da una parte e un Guisa dall’altra. Di conseguenza, gli ugonotti presero le armi, nonostante le proteste di Calvino, le cui lettere proliferavano da Ginevra alle chiese e ai fedeli della madrepatria. Dal momento in cui vennero imbracciate le armi “di carne e di sangue”, la Riforma in Francia cominciò a regredire.

La natura della legge morale di Dio è tale che non può mai essere imposta dall’esterno o con un atto di forza a coloro che la rifiutano, che non la vogliono.

Contrariamente ai panislamisti armati di una “spada” spietata che arrivano a usare il terrorismo per imporre la loro fede e instaurare i loro regimi totalitari, i teonomisti sono antirivoluzionari che usano solo armi spirituali (Efesini 6:10 e seg.) con hupomonê (pazienza perseverante, cfr. Efesini 4:1-6).

Per i teonomisti, non si tratta né si tratterà mai di imporre la legge morale di Dio a una (o più) generazioni ribelli che non ne vogliono sapere.

Se il futuro dovesse essere foriero – e lo sarà, secondo le promesse di Dio! – di un regno capillare della “cristianità” (composta da una diversità di repubbliche), sarà solo a seguito di un numero così elevato di vere conversioni che il vangelo, accompagnato dalla legge di Dio, coprirà la terra (cfr. Isaia 11:9).

Fino a quel giorno, è nel cuore di ogni fedele credente, nella sua famiglia, nella sua chiesa, nell’esercizio della sua vocazione professionale, nella sua legittima sfera d’influenza politica e culturale, che la legge morale di Dio troverà il suo campo d’azione e, in massima parte, sarà messa in pratica. La testimonianza che i cristiani, le loro famiglie e le loro chiese devono al Signore e alla sua legge evangelica è quella di vivere secondo questa legge evangelica nelle loro sfere di influenza, anche se si tratta solo di un piccolo inizio, facendo il possibile per farla conoscere in esse.  Poi, come è accaduto nei primi tre secoli dell’Impero Romano e durante i quattro decenni in Francia dal 1520 al 1560, i fedeli cattolici devono sforzarsi di condividere il vangelo-legge di casa in casa, di comunità in comunità, di Paese in Paese, facendolo con pazienza, con perseveranza, “con dolcezza e rispetto”, finché non otterranno la vittoria futura come frutto della promessa di Dio, in un momento che solo Dio conosce. Il messaggio deve essere trasmesso a tutti, in ogni situazione della vita, senza mostrare parzialità nei confronti di specifici gruppi familiari, professionali, culturali, civici o ecclesiastici a causa dell’importanza o del patrimonio. Ovunque il cristiano può testimoniare la Parola-vangelo-legge del Signore, rendendo conto il più fedelmente possibile della sua fede nel vangelo-legge di Dio, a chiunque glielo chieda (cfr. l’intera Prima Lettera di Pietro, straordinariamente rilevante su questo punto; leggere almeno 1:1-9, 15-17; 1:22-2:10; 2:12-16; 3:8-17; 4:10-19 e 5:6-11).

È significativo che i teologi riformati confessanti che differiscono, e talvolta si scontrano, su alcuni punti della teonomia, concordino tuttavia sul fatto che, per questi punti come per altri, sono necessari più tempo e un’interpretazione più rigorosa (esegesi) prima che gli insegnamenti della Scrittura possano essere fedelmente presentati [58]. La strada per la formulazione da parte della Chiesa cattolica di un dogma teonomico chiaramente definito deve essere spianata, a maggior ragione, da un attento studio della Parola di Dio scritta.

Dopo una così lunga e deplorevole trascuratezza nello studio approfondito della legge morale di Dio (sia nel suo insieme che nei suoi dettagli), non è verosimile pensare che la Chiesa possa improvvisamente alzarsi e parlare in modo lucido e completo su questo argomento. È proprio a causa di questa disattenzione, e della conseguente malattia dell’umanesimo, che la Chiesa ha così spesso perso il filo del proprio pensiero e del proprio insegnamento etico. Consideriamo quattro argomenti che sono stati recentemente discussi: sia che si tratti di aborto e sessualità, sia che si tratti dell’ordinazione delle donne e del matrimonio dei ministri ordinati, le varie denominazioni si sono limitate a considerare la Scrittura in modo selettivo, seguendo attentamente alcuni scritti e ignorandone altri. Per quanto riguarda l’aborto, il Papa ha certamente parlato meglio della maggior parte dei protestanti che continuano incautamente a giustificarlo. Lo stesso vale per l’ordinazione delle donne, dove il Papa e gli ortodossi “orientali” sono d’accordo [59]. Sulla sessualità, ognuno sbaglia a modo suo: gli ortodossi orientali e soprattutto i cattolici romani, sempre influenzati dall‘ellenismo neoplatonico, hanno sostenuto ciecamente la superiorità della verginità e del celibato rispetto al matrimonio; dall’altra parte, alcuni protestanti hanno mostrato un lassismo scandaloso e poco biblico, arrivando a giustificare l’omosessualità.

Tuttavia, non è importante solo la posizione formale, ma anche il ragionamento con cui si arriva a tale posizione. Per esempio, sebbene i cattolici romani, con il Papa, condannino l’aborto, non prendono posizione in nome della legge di Dio – come si dovrebbe fare – ma in nome della difesa della vita, della santità assoluta della vita, il che li mette in una posizione scomoda e contraddittoria quando si tratta della pena di morte (che la legge di Dio approva per certi crimini). Ancora una volta – e questo nuoce alla predicazione del vangelo – anziché basarsi sulla Parola di Dio scritta, questi cattolici romani si affidano alla legge naturale, uno nose wax strumento che può essere piegato a piacere.

La situazione del mondo moderno è ben lontana da quella dell’età della fede e dell’epoca della Riforma in Europa, quando la legge di Dio era il fondamento della società. Oggi, nella maggior parte dei Paesi, la legge cambia continuamente, di solito seguendo (o piuttosto deviando) le opinioni pubbliche umanistiche. Queste opinioni sono a loro volta formate e rafforzate dai media e dalla dottrina dei diritti umani (senza Dio!), che si sviluppano in tutte le direzioni possibili e che servono, in ultima analisi, a sostenere una sorta di pseudo-giustizia “umanitaria” e “politicamente corretta” che criminalizza pseudo-peccati inventati dagli uomini e scusa alcuni crimini chiaramente definiti come tali dalla legge di Dio e dalla sua penologia. In questo contesto, il grido ispirato del salmistaal Signore assume tutto il suo significato:

Il trono dell’ingiustizia ti avrà forse come complice?
Esso, che trama oppressioni in nome della legge? (Salmo 94:20)

I cristiani del XXI secolo rischiano seriamente di trovarsi in una situazione difficile, costretti a sopportare un periodo di crisi, di giudizio di durata sconosciuta. Tale situazione sarebbe analoga, anche se non identica, a quella vissuta dai cristiani dei primi tre secoli quando si trovarono, senza colpa, in contrasto con il pensiero e la vita delle autorità politiche governanti e con quella dei loro concittadini non cristiani. La differenza è che oggi le “autorità che esistono”, antinomiche (contrarie alla legge di Dio), si avvalgono di mezzi di pressione, oppressione e disinformazione di portata ben superiore a quelli di cui disponeva allora la seconda bestia (della propaganda) che serviva agli ordini della prima bestia (del potere) in Apocalisse 13 (versetti 11-17).

Spetta a noi, cristiani battezzati e fedeli di tutte le confessioni – spesso più vicini ai nostri fratelli di altre confessioni che ai falsi fratelli delle nostre confessioni – svolgere il compito urgente e necessario di piantare i semi della prossima riforma in ogni ambito della vita, a partire dai cuori degli uomini non cristiani mossi dalla grazia di Dio per riceverla. Dal momento che l’Umanesimo si sta avvicinando, e forse si sta avvicinando rapidamente, alla fine della sua strada lastricata di rovina e di morte, è proprio l’attuale riforma che lo sostituirà. Da questo rinnovamento dipende il futuro della vita del mondo.

Nostro Signore regna e dall’alto agisce sulla terra. Tuttavia, paradossalmente, in genere inizia le sue opere dal basso, dalla diversità delle piccole comunità – a partire dalla famiglia, dalla chiesa locale, dalle imprese professionali o culturali che sono fedeli a lui, che ascoltano e seguono la sua legge morale, rivelata nella Scrittura (che è LA Scrittura!). Da piccoli semi a volte nascono grandi alberi. Non dobbiamo essere come i rivoluzionari, che aspettano il giorno in cui potranno prendere le redini del potere per imporre il loro programma dall’alto. Piuttosto, come i riformatori, dobbiamo seminare con umiltà, piantare con umiltà, influenzare dal basso, pazienti e saldi nella nostra speranza. Questo è il nostro tempo: questo è il GIORNO DEI PICCOLI INIZI.

Nella Chiesa è tempo di riascoltare l’antico SHEMA YISRAEL (“Ascolta, o Israele”) che ora riporto come  somma e  sostanza della chiamata che Dio ci rivolge:

Ascolta, Israele: il Signore, il nostro Dio, è l’unico Signore!

Tu amerai dunque il Signore, il tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima tua e con tutte le tue forze. Questi comandamenti, che oggi ti do, ti staranno nel cuore; li inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando te ne starai seduto in casa tua, quando sarai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, te li metterai sulla fronte in mezzo agli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle porte della tua città. (Deuteronomio 11:13-17)

Se ubbidirete diligentemente ai miei comandamenti che oggi vi do, amando il Signore, il vostro Dio, servendolo con tutto il vostro cuore e con tutta la vostra anima, io darò al vostro paese la pioggia nella stagione giusta: la pioggia d’autunno e di primavera, perché tu possa raccogliere il tuo grano, il tuo vino e il tuo olio; e farò pure crescere l’erba nei tuoi campi per il tuo bestiame, e tu mangerai e sarai saziato. State attenti a non lasciarvi ingannare, a non abbandonare la retta via e a non servire dèi stranieri prostrandovi davanti a loro. Altrimenti si accenderà contro di voi l’ira del Signore ed egli chiuderà i cieli in modo che non vi sarà più pioggia, la terra non darà più i suoi prodotti e voi perirete presto nel buon paese che il Signore vi dà. (Deuteronomio 11:13-17)

E … ricorderete di tutti i comandamenti del Signore per metterli in pratica… non andrete vagando dietro ai desideri del vostro cuore e dei vostri occhi che vi trascinano all’infedeltà. Così vi ricorderete di tutti i miei comandamenti, li metterete in pratica e sarete santi per il vostro Dio. Io sono il Signore, il vostro Dio; vi ho fatti uscire dal paese d’Egitto per essere vostro Dio. Io sono il Signore, il vostro Dio. (Numeri 15:39-41)

Concludo con le ultime parole del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo:

IL PROCLAMA:

“Ogni potere mi è stato dato in cielo e in terra”.

L’ORDINE DI MARCIA:

“Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate”.

LA PROMESSA:

“Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente!” (Matteo 28:18-20)

  Note:

1 Per esempio: per cinque punti, Ray Sutton: That You May Prosper: Dominion by Covenant (Tyler, TX: Institute of Christian Economics, 1987; per sei punti. Meredith G. Kline: The Structure of Biblical Authority, rev. ed. (Grand Rapids: Eerdmans, 1972); per sette punti, George E Mendenhall: Law and Covenant in Israel and in the Near East (Pittsburgh: The Biblical Colloquium, 1955).

2 N.d.t. ESV, NASB, NIV e RSV (in italiano ND e NR) rendono 2 Corinzi 3:14 con “antico patto”, mentre KJV e NKJV (e CEI) rendono “antico testamento”.

3 Cfr. Le prime trattazioni di Courthial su questi soggetti: “L’Ecriture comme traité d’Alliance”, Ichtus 35 (1973), 8-12; e “La Portée de Diathécé”; Etudes évangeliques 1 (1976), 36-43; queste ed altre sue trattazioni sono raccolte anche nel suo Fondements pour l’avenir (Edizioni Kerigma: Aix-en-Provence, 1945).

4 Cfr. Gunner Ostbahn: Torah in the Old Testament: A Semantic Study (hahan Ohlsson, Lund, 1945).

5 Tre esempi:

  1. Il Codice Giustiniano, messo insieme su comando dell’Imperatore Romano

    Giustiniano I (482-565), introdusse diversi elementi di legge biblica dentro al Corpus juris civilis (il codice civile), specialmente per quanto concerne il matrimonio. Quelle antiche leggi romane che furono ritenute nel codice furono rinnovate con significato biblico.

  2. Un secondo esempio di teonomia si trova durante il regno di Alfredo il Grande (849-899), quando diverse leggi furono adattate alla legge inglese. Riguardo ad ambedue gli esempi, cfr Rousas J. Rushdoony: Institutes of Biblical Law (Nutley, NJ: The Craig Press, 1973), 786-787. Rushdoony evidenzia che “un difetto molto reale degli studiosi è stato la loro ignoranza della legge biblica. Come risulatato, è stato definito pagano molto che in realtà è invece biblico (ibid., 787).
  3. In aggiunta, la teonomia era evidente nel sistema feudale poiché “il giuramento feudale era fortemente influenzato dall’idea biblica di patto. Perfino il termine ‘feudale’ ha la sua radice in foedas, la parola in latino per “patto”. Cfr. Jean-Marc Berthoud: “Social contract Traditions and the Authonomy of Politics” (Calvinism Today 1, n° 1 1 (1991) 14. In questo articolo, Jean-Marc Berthoud, facendo riferimento all’opera di Régine Pernoud su Eleonora d’Aquitania, rimarca che il seme feudale collocò le relazioni sotto l’autorità di un potere morale in modo tale che la relazione tra il sovrano e il suo soggetto aveva la sacra qualità del patto coniugale).

6 N.d.t. L’Instruction chrétienne en la doctrine de la Loi et de l’Évangile di Viret è stata recente ripubblicata da l’Age d’Homme nel 2009 e una traduzione in inglese è in corso d’opera. Vedi anche due lavori recenti su Viret pubblicati da Zurich Publishing: Jean_Marc Berthoud: Pierre Viret: A forgotten Giant of the Reformation (2010) [ora anche in Italiano, ed. Alfa e Omega] e R. A. Sheat: Pierre Viret: The Angel of the Reformation (2013).

7 Hans Heinrich Wolf: Die Einheit des Bundes: Das Verhaltnis von Alten undNeuem Testament bei Calvin (L’unità del patto: la relazione tra il Vecchio e il Nuovo Testamento in Calvino”), (Neukirchen, 1958). W. H. Van Der Vegt: Het Verbond Der Genade bij Calvyn (“Il patto di grazia in Calvino”) (Goes, 1938), N.d.t. “Il patto fatto con tutti i patriarchi è molto simile al nostro in sostanza e realtà” scrive Calvino “che i due sono effettivamente uno e lo stesso. Tuttavia differiscono nella modalità di dispensazione”. Riguardo al vecchio patto egli dice chiaramente che “il patto mediante cui [gli israeliti prima di Cristo] erano legati al Signore era supportato, non dai loro propri meriti ma solamente dalla misericordia di Dio che li aveva chiamati” (Istituzione, II. 10. 2.)

8 O. Palmer Robertson: The Christ of the Covenants (Phillisburg, NJ: Presbyterian and Reformed Publishing, 1980).

9 Ray Sutton: That You May Prosper (Tyler TX: Institute for Christian Economics 1987), 6-7. N.d.t. THEOS è l’acronimo di Theos; Hierarchy; Ethics;Oaths; Sanctions.

10 Nutley, NJ: The Craig Press, 890 pagine.

11 Nutley, NJ: The Craig Press, 619 pagine.

12 Per esempio: John Frame, Kenneth gentry, Gary North, Vern Signore Poythress, Moisés Silva, ray Sutton negli Stati Uniti; Ruben C. Alvarado in Olanda; Thomas Schirrmacher in Germania; Owen Fourie in Sud Africa; Stephen G. Perks in Gran Bretagna; Iah Hodge in Australia. Non tutti costori si definiscono teonomisti, ma tutti hanno promosso riflessioni sulla teonomia.

13 Matteo 10: 34 ss; Giovanni 14:27.

14 Per coloro che, come me, credono nell’ispirazione verbale delle Scritture (un insegnamento che appartiene alla Tradizione ecclesiastica “cattolica” fedele alla parola di Dio), c’è spesso molta importanza attaccata alle sfumature dei termini usati nelle Scritture. Per esempio, nell’intero Nuovo Testamento , l’amore per il prossimo prende in considerazione tutti gli uomini mentre l’amore per i fratelli è quell’amore che i fedeli devono ad altri cristiani, essendo tutti diventati per adozione, fratelli di quell’uno e unico Figlio di Dio per fede in lui e in mistica unione (come usava dire Calvino) in lui.

Nello stesso modo, una cosa è dire che la legge di Dio è scritta nei cuori dei fedeli e un’altra cosa dire che l’opera della legge è scritta nei cuori di tutti gli uomini. Nei testi in questione (Romani 2 ed Ebrei 8 e 10), in Greco, è una questione non solo come in inglese, di o nomos (la legge) e to ergon tou nomou (l’opera, l’operazione della legge), ma anche i verbi, benché tradotti ciascuno con “scritta”, sono, in Greco, verbi diversi: epigraphô e graphô. Sarebbe meglio tradurre il primo come “inscrivere” e il secondo come “scrivere”. Infine, notiamo che l’inscrizione è “nella loro mente e nel loro cuore” per i fedeli mentre la scritta degli altri è solo “nei cuori”.

15 Thomas Schirrmacher: “Lex (legge) as another Word for Religion: A Lesson from the Middle Ages”, Calvinism Today 2 (aprile, 1992), 5.

16 Egli scrisse: Philosophus amator Dei est (“è un filosofo che ama Dio”), cfr. Etienne Gilson: La philosophie au Moyen Age (Payot, 1947), 274-277, ecc..

17 Ibid., 461-465, ecc. N.d.t.: Lo storico Will Durant dice d Il Policratico: “Questa è la prima importante trattazione in filosofia politica nella letteratura della cristianità. Denuncia gli errori e i vizi dei governi contemporanei, delinea uno stato ideale e descrive l’uomo ideale”. Durant prosegue citando “il passo più famoso in Policratico” che concerne il tirannicidio: “Se i principi si sono allontanati un po’ alla volta dalla vera via, anche allora non è bene rovesciarli completamente tutto ad un tratto, ma piuttosto rimproverare l’ingiustizia con pazienti rimproveri fino a che, diventa infine ovvio che sono ostinati nel loro agire malvagio…. Ma se il potere del governante si oppone ai comandamenti divini e vuole farmi condividere nella sua guerra contro Dio, allora, con voce irrefrenabile rispondo che Dio deve venire davanti a qualsiasi uomo sulla terra…. Uccidere un tiranno non è solo legittimo, ma buono e giusto” (The Age of Faith [1950], 951-952).

18 Per esempio: lettera a Maometto II, 115; cfr. La nota sopra.

19 Gilson: op. cit., 476-482, ecc.

20 Rushdoony: The Institute of Biblical Law, 4-5.

21 Commentaire du Deutéronome (1563), Corpus Reformatorum 52, 49, 131.

22 N.d.t. Courthial parla di “Notre service cultuel et culturel”.

23 N.d.t. Analogamente alla distinzione di Lecerf di rationratiocinata da ratioratiocinens, Van Til parla dell’epistemologia non cristiana come creativamente costruttiva distinta da quella cristiana che è ricettivamente costruttiva: Questa è dunque la differnza più basilare e fondamentale fra l’epistemologia cristiana e quella non-cristiana, nella misura in cui ha una diretta influenza sukke questioni etiche: che nel caso del pensiero non-cristiano, l’attività morale dell’uomo è pensata come creativamente costruttiva, mentre nel pensiero cristiano l’attività morale dell’uomo è pensata essere ricettivamente costruttiva. Secondo il pensiero non-cristiano non esiste una personalità morale assoluta a cui l’uomo è responsabile e da cui ha ricevuto il suo concetto del bene mentre secondo il pensiero cristiano Dio è l’infinita personalità morale che rivela all’uomo la vera natura della moralità” (Cornelius Van Til: “Christian Theistic Ethics” Sillabo non pubblicat [1964], 18).

24 Lecerf: An Introduction to Reformed Dogmatics, 80-81.

25 Op. cit., 684-685. Questo serve a spiegare perché si trovi una deriva intellettuale nel lavoro di Jacques Maritain (1882-1973) dal suo Antimoderne, nel 1922 (guidato dal motivo di base “natura/grazia” della Scolastica) al Humanisme intégral, nel 1936, terminando infine con Paysan de la Garonne, nel 1966. Quando lessi Antimoderne nel 1930 ho apprezzato grandemente pensieri come questo: “les pentes de l’intelligence moderne sons contre nous; mais les pentes sons faites pour qu’on les remonte” [Le inclinazioni della mente moderna sono contro di noi, ma ogni china della mente, ogni declino, è fatto per essere riconquistato”.] ma ho deplorato il fatto che lo stesso autore di Antimoderne alla fine si sia lasciato vincere dall’umanesimo … l’Umanesimo modernista [l’Humanisme integral]!

26 La linea procedette dagli Ebrei agli Israeliti , e di lì ai Giudei. Gli Ebrei presero il loro nome da Eber, pro-pro-nipote di Noè (Genesi 10:1, 21-24; 11:10-14).Lo stesso Abrahamo era il pronipote di un pronipote di Eber (Genesi 11:16-26). Gli Israeliti presero ovviamente il nome da Israele (Giacobbe, il nipote di Abrahamo). I Giudei derivano il loro dalla parola ebraica yehuwd che originariamente designava un abitante della Giudea (2 Re 16:6). I figli di Israele frono infine chiamati Giudei dai popoli circostanti Israele (cfr. Geremia 34:9).

27 Vedi Jean-Marc Berthoud: “The Bible and the Nations” reso accessibile il 28 maggio 2015, https://creationism.org/csshs/v15n3p13.htm

28 Non è forse sorprendente, paradossale e contraddittorio che le stesse persone dichiarino che il Decalogo è per tutte le nazioni sebbe sia, come il resto della legge, indirazzato da Dio al popolo che Egli “ha fatto uscire dal paese dp’Egitto, dalla casa di schiavitù” (Esodo 20:2; Deuteronomio 5:6).

29 Il significato biblico delle parole “giustizia” e “peccato” quanto di “bene” e “male” è piuttosto alieno al significato estraneo che i discorsi moderni danno loro: queste sono parole pattizia “della legge di Dio”.

30 No Other Standard (Tyler TX: Institute for Christian Economics, 1991), 120. N.d.t.: vedi anche lo scambiuo di Bahnsen con Meredith Kline: Banhsen: “M.G.Kline on Theonomic Politics: An Evaluationof His Reply”, Journal of Christian Reconstruction 6, n° 2 (Winter, 1979-1980) http://garynorth.com/BahnsenKline.pdf

31 Per esempio La Seconda Confessione Elvetica, cap. XII; e la Confessione di Fede di Westminster, cap. XIV, 3 e 4.

32 Su questo punto, cfr. I capitoli 1-8 di Vern Poythress: The Shadow of Christ in the Law of Moses (Brentwood, 1991).

33 Per fare un esempio facile, elementare: Mosè ci dice in Deuteronomio 22:8: “Quando costruirai una casa nuova, vi farai un parapetto intorno alla terrazza. Così, se qualcuno cade di lassù, la tua casa non sarà responsabile del suo sangue”. Abbiamo qui una caso di legge normativa che applica il comandamento “Non ucciderai”. Sebbene le nostre case oggi non abbiano usualmente il tetto piatto utilizzabile come terrazzo dai nostri ospiti, questo comandamento ci insegna che abbiamo la responsabilità morale di proteggere i nostri ospiti da qualsiasi pericolo immaginabile che possa derivare dalla nostra negligenza anche nel modo in cui arrangiamo la nostra casa (la semplice sensazione che la vostra casa sia “sufficientemente sicura” e avere una buona assicurazione, non sono sufficienti per assolvervi dalla colpa). Per quanto concerne la casistica. Cfr. Greg L. Bahnsen: By This Standard, 137-138 e 317-318.

34 Cfr. Gary North: Tools of Dominion: The Case Laws of Exodous (Tyler TX: Institute for Christian Economics, 1990) 1280 pagine (!). North (27-28) allude a due trattazioni riformate del XVII secolo: A Christian Directory di Richard Baxter (1673), che desiderava, come lo esprime lui: “La risoluzione di casi pratici di coscienza”; e l’opera postuma di Samuel Willard (m. 1717): A Complete Body of Divinity (1726). Cfr. Anche i volumi I, II, e III di R. J. Rushdoony The Institutes of Biblical Law (1973, 1982, e 1999).

35 N. d. t.: R.C. Sproul dimostra la confidenza che Courthial invoca nel suo recente commento al Capitolo XIX, 4 della Confessione di fede di Westminster: “Siccome il Vecchio Testamento è venuto da Dio, che è santo e giusto, non dovremmo sentirci offesi dal alcuna legge che vi leggiamo. Se siamo offesi da esse è perché il nostro modo di pensare è stato distorto da una prospettiva secolare della legge, della giustizia e dell’etica. Gli standard di Dio, che ha rivelati al suo popolo nel Vecchio Testamento , ci sono oggi estranei quanto lo furono agli antichi adoratori di Baal. Dobbiamo rivolgerci alle pagine della Scrittura e chiederci se sia veramente la legge di Dio. Se lo è, essa c’insegna ciò che piace al Signore e ciò che gli è odioso”. (Sproul: Truths We Confess: A Layman’s Guide to the Westminster Confession of Faith, vol. 2 [2007], 267).

36 La penologia concerne il campo delle sanzioni (dal latino poena, punizione). L’espressione “diritto penale” deriva da questa parola. Il diritto penale definisce le sanzioni da comminarsi a chi trasgredisce la legge.

37 Nel 1885, un filosofo francese ora dimanticato, Jean-Marie Guyau (1854-1888) pubblicò un Esquisse d’une morale sans obligation ni sanction (“Abbozzo di moralità indipendente da obblighi e sanzioni”)! Lecerf amava alludere all’ironia implicita. (N.d.t. L’opera di Guiau è stata tradotta in Inglese da Gertrude Kapteyn e ripubblicata da BiblioLife).

38 Proverbi 2:21-22; ed anche ancora, Romani 13:1-7.

39 Nel suo Theonomy in Christian Ethics (Nutley, NJ: The Craig Press, 1977), 437 ss., Bahnsen fa alcune importanti osservazioni circa il grande mistero di Cristo sulla croce (quale sostituto per i peccatori) e circa la luce che tale mistero getta sull’equità del giudizio divino e della legge penale rivelata. Riguardo a questo mistero per quanto si correla al sacrificio del Figlio, cfr. Giovanni 1:29; Ebrei 9:11-15; 10:3-18; e 13:10-12; 1 Pietro 1:18-20; e per la sua correlazione alla sostituzione, cfr. Colossesi 2:14; 2 Corinzi 5:21; e Galati 3:10-13.

40 Per quanto concerne la legge penale rivelata, è necessario leggere i capitoli 21 e 22 di Theonomy di bahnsen, ma anche la risposta di bahnsen ai critici della teonomia — una risposta che conferma ulteriormente la veridicità del suo insegnamento — nei capitoli da 12 a 14 del suo No Other Standard.

41 Sarebbe bene notare che l’espressione “la grazia e la verità” (ê charis kaï ê aletheia in Greco; hésèd we’ èmèt in Ebraico) è governata qui da un verbo al singolare (egeneto). Le due parole sono unite a designare la ferma e benevola fedeltà pattizia di Dio come se fosse una singola parola. Cfr. Cornelius van Der Vaal: The Covenant of God (Alberta Canada, 1990), 70-74. La pienezza del patto viene per mezzo di Gesù Cristo. Non c’è antitesi tra Mosè e Gesù Cristo ma complementarietà, crescita d’intensità e “compimento”. Questo è sempre stato affermato, contro Marcione e il marcionismo, dai padri antichi (cfr. Melitone di Sardi) e le Confessioni di fede e i Catechismi della Riforma (cfr. La Confessione Belga, 1561, articolo 25: il Catechismo di Heidelbergh, 1563, domanda 19). L’esprezzione pattizia hésèd we’ èmèt si trova anche, per esempio, in Esodo 34:6; Giosuè 2:14; 2 Samuele 2:6 e 15:20, Salmo 85:11: proverbi 3:3 e 20:28, e Zaccaria 7:9.

42 Un commentario eccellente di un teologo riformato è The Greatest Song (Toronto:Tuppence Press, 1988) di Calvin Seerveld.

43 Seerveld: The Greatest Song, 19. 44 Ibid., 12.

45 Ibid.,

46 Citato in Ibid, 17.

47 Greatest Song, 13.

48 Fu lungo le stesse linee del teologo Robert Lewis Dabney (1820-1894), che stimava enormemente, che Lecerf scrisse nella sua Introduction à la Dogmatique réformée, vol. 2 (Parigi: Editions je sers, 1938), 125: “Per quanto riguarda il peccato stesso, per quanto riguarda il male morale, se Dio, nella trama e ordito dei suoi decreti, diede il posto all’abuso della libertà, e senza dubbio perché aveva determinato che un mondo nel quale il peccato avrebbe aperto la possibilità del pentimento, del perdono, dell’eroismo, dell’abnegazione, sarebbe stato un mondo di maggior valore e uno nel quale le sua misericordia e la sua giustizia sarebbero state piò pienamente esibite (sia riguardo agli angeli che agli uomini); che tale mondo sarebbe stato moralmente ed esteticamente superiore ad uno meramente composto di esseri amorali innocenti e uomini giusti impeccabili perché non potevano essere altrimenti. Tale giudizio di valore pronunciato da Dio stesso ci deve soddisfare, se veramente crediamo in lui. Per quelli che non credono in lui la questione stessa scompare”.

49 Bahnsen: Theonomy in Christian Ethics, 243. Questa citazione è tratta dalla sezione intitolata “Love and Law” (L’amore e la legge”), 241-247.

50 Cfr, tra gli altri, Calvino: Istituzione, IV. 10. 3; J.I. Paker: A Quest for Godliness (Wheaton, IL: Crossway Books, 1990), 107-122; Robert Dabney: The Practical Philosophy (Harrisonburg, VA: Sprinkle Pubblications, 1984), 282-287.

51 Da Paker, op. cit., 114. Paker aggiunge: “Se esistesse una cosa come un’insegna araldica puritana, questo sarebbe il suo motto appropriato. Un Dio preciso — un Dio, cioè, che ha fatto una precisa rivelazione della sua mente e della sua volontà nelle Scritture, e che si aspetta dai suoi servi una corrispondente precisione di credo e di comportamento — fu questo concetto di Dio che creò e controllò il punto di vista puritano. La bibbia stessa li condusse ad esso”.

52 Calvino: Istituzione, IV. X. 3.

53 Dabney: op. cit., 283-284

54 Paker: op. cit., 113.

55 Cfr. Gary North: Moses and Pharaoh: FDominion Religion Versus Power Religion (Tyler TX: Institute for Christian Economics, 1985).

56 Come fa per esempio, 1 Samuele 10:17-19.

57 Emile G. Leonard: Le Protestant Français (P.U.F., 1953), 9.

58 Per esempio: Greg L. Bahnsen, No Other Standard, 45, 66-67, 94-95, 194, 273-275; James B. Jordan: The Death Penalty in the Mosaic Law (Tyler TX: 1989); e Theonomy: A Reformed Critique (Grand Rapids; 1990)specificamente l’introduzione degli editori, William S. Barker e W. Robert Godfrey (1-7) e i contributi di John Frame (89-99), Vern S. Poythess (103-123) Moisés Silva (153-167) e D. Clair Davis (389-402).

59 La maggior parte degli apostoli, Pietro incluso, erano sposati, e le loro mogli (gunaïkès) li accompagnavano (1 Corinzi 9:5). Paolo, benché fosse scapolo, raccomandava il matrimonio dei “vescovi” perché “se un uomo non sa governare la propria casa come si prenderà cura della chiesa di Dio?” (1 Timoteo 3:2, 4-5).


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