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LA CHIESA MALATA DI UMANESIMO [1]

 

L’ETÀ DELLA FEDE

L’“età della fede” rappresentata in modo falso come “Medioevo” o “Evo Buio”

Arriviamo ora al millennio che va dalla conversione di Costantino il Grande (272-337) agli inizi del Rinascimento. Questo periodo è stato comunemente definito dagli storici e dagli intellettuali moderni e laici come il “Medioevo” (o eventualmente “evo buio”!) poiché collocato tra l’età classica e il Rinascimento, cioè tra l’antichità pagana e il rinascimento pagano. Il Medioevo è stato un millennio durante il quale la civiltà si è sforzata di essere completamente cristiana, ed è proprio per questo che viene solitamente caricaturizzato, calunniato, travisato e vituperato da coloro che lo affrontano secondo una prospettiva più o meno umanistica [2].
Il Medioevo, invece, dovrebbe essere definito l’età della fede in Occidente – e raffigurato di conseguenza.
In qualità di cristiano di fede riformata, lo storico americano Otto Scott ha mostrato la grande rivoluzione spirituale operata dalla grazia di Dio in quasi tutti i momenti storici in cui la fede cristiana si è diffusa. Le religioni o ideologie esistenti (“idologie”) che promuovevano e ideavano le pratiche abominevoli della schiavitù e dei sacrifici umani sono state gradualmente soppiantate dalla vera religione filantropica (radicata nell’amore per gli uomini, nell’amore per il prossimo) che unisce, sottomette e lega gli uomini (“religione” deriva dal latino religare, che significa “legare”) all’unico vero Dio che è amore: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo [3].
I falsi dèi, gli idoli, allora come oggi, bramano da sempre “la carne e il sangue degli uomini”. (Il racconto ammonitore di Anatole France del 1912 sulla Rivoluzione francese si intitolava Les Dieux ont soif – “Gli dèi hanno sete”) [4]. Gli ultimi due secoli di rivoluzioni anticristiane moderne- tricolori, rosse, marroni o nere – hanno solo dato ulteriori prove di questo fatto. Il culto di Moloch, citato più volte nelle sacre Scritture, il culto reso allo Stato come dio, cioè il Welfare State, lo Stato totalitario, ha sempre richiesto il controllo completo e totale sugli uomini (cioè la loro servitù) e, quando desiderato, il loro completo e totale sacrificio. Il lettore, quindi, farebbe bene a tornare a 1 Samuele 8:11-18, dove viene annunciato, con toni relativamente moderati, cosa avviene a un popolo che rifiuta il regno supremo di Dio a favore di quello di un uomo o di uno Stato.
Gli storici e gli intellettuali moderni, vittime di un pregiudizio umanistico, non solo sono stati inclini a denigrare la civiltà cristiana dell’età della fede, ma la loro adesione pregiudiziale al mito del buon selvaggio di Jean-Jacques Rousseau (che esalta la bontà innata dell’uomo non cristiano) li ha portati sistematicamente a trascurare i mali prevalenti nelle società precristiane (o post-cristiane, se è il caso), come la schiavitù e i sacrifici umani. Queste errate caratterizzazioni della civiltà cristiana come oppressiva da un lato, e delle società precristiane o post-cristiane come liberatrici dall’altro, sono indifendibili alla luce della storia. Non si può certo negare che le varie forme di schiavitù siano state istituite dalle società precristiane, mentre la sfida alla schiavitù – per quanto graduale (i grandi cambiamenti non avvengono in un istante, e nemmeno in una generazione) – è stata lanciata dalla fede cristiana. Non appena è apparsa sulla scena, infatti, quest’ultima non solo ha insegnato cosa fosse la vera libertà, ma l’ha anche vissuta, spesso a prezzo del martirio.
Inoltre, l’idea stessa di libertà civile, di limiti fissi posti all’autorità dello Stato sugli individui, ignorata da molte nazioni oggi (comprese quelle che hanno rigettato la fede del loro battesimo; Matteo 28:19), deve la sua dimostrazione e il suo sviluppo alla fede cristiana: “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”. Con questo comando immutabile, il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo ha designato allo stesso tempo la chiamata divina e limitata dei magistrati e la chiamata di Dio. Ai magistrati si devono rendere le monete con la loro immagine quando si pagano le tasse per sostenere la salvaguardia della giustizia e della pace per mezzo dell’esercizio monopolizzato della forza armata a disposizione del magistrato su un determinato territorio. E, di conseguenza, cosa si deve a Dio? Ciò che porta la sua immagine: l’uomo-ad-immagine-di-Dio, che ritorna, si converte e restituisce sempre sé stesso al suo Creatore e Salvatore.
Infatti, sotto l’opera sovrana della grazia di Dio, e grazie alla fedele obbedienza degli uomini che si adoperano al compimento della loro salvezza con timore e tremore (Filippesi 2:12-13), l’età della fede è stata la più bella civiltà che il mondo abbia mai conosciuto (anche se ancora lontana dalla perfezione, con alti e bassi, contenente in sé grandezza e miseria). È davvero curioso come l’intellighenzia del XX secolo, un secolo abominevole di sangue e schiavitù con le sue guerre totali su scala locale e mondiale, con i suoi gulag e campi di concentramento, con le sue torture e camere a gas, i suoi massacri e i suoi milioni di aborti ogni anno, più numerosi dei sacrifici umani dell’antichità, e ufficialmente legalizzati come pratica legittima della medicina, ecc., oserebbe guardare con disprezzo l’età della fede, un’età in cui la ricerca incessante della verità unita al rispetto di Dio rappresentava la linfa vitale di una cultura che compiva progressi significativi in ogni settore della vita.
I tempi in cui ci troviamo oggi sono esattamente l’opposto di quelli di cui parlava il caro e grande sant’Atanasio alle soglie dell’età della fede. Nel suo L’incarnazione del Verbo, ben descriveva gli effetti della diffusione del cristianesimo:

Infatti, come quando viene il sole non prevalgono più le tenebre, ma se ne rimane qualcuna in qualche luogo viene scacciata, così, ora che è venuta la divina apparizione della Parola di Dio, non prevalgono più le tenebre degli idoli e tutte le parti del mondo, in ogni direzione, sono illuminate dal suo insegnamento (55,3).

Infatti, l’umanità sarebbe andata in rovina se il Signore e Salvatore di tutti, il Figlio di Dio, non fosse venuto in mezzo a noi per incontrare la morte (9,4).

È lui che, ancor prima di apparire nel corpo, ha ottenuto la vittoria sui suoi avversari demoniaci e il trionfo sull’idolatria (37,5).

In passato, infatti, tutto il mondo e ogni luogo erano sviati dal culto degli idoli e gli uomini non consideravano altro che gli idoli come dèi. Ma ora, in tutto il mondo, gli uomini hanno abbandonato la superstizione degli idoli e si sono rifugiati in Cristo e, adorandolo come Dio, hanno conosciuto per mezzo di lui anche quel Padre che non conoscevano (46,4).

Il Signore, infatti, ha raggiunto ogni parte della creazione e l’ha liberata e disincantata da ogni illusione; come dice Paolo: “Avendo spogliato i principati e le potestà, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro per mezzo della croce”, affinché nessuno fosse più ingannato, ma ovunque si potesse trovare la vera Parola di Dio (45,5) [5].

Atanasio vide il trionfo della Croce prevalere in lungo e in largo, mentre masse di uomini e donne si univano a Cristo, mediante quell’unione mistica che procede dalla grazia e che si riceve per fede. Ed è a causa dell’ampia ricezione dell’unica e vera fede, e per la sua significativa permeazione di tutti i livelli della società, che quest’epoca, nonostante i suoi deplorevoli errori, può davvero essere chiamata l’età della fede.
Durante quest’epoca, i nostri Padri, ascoltando la Scrittura-Parola di Dio custodita nell’insegnamento della Chiesa, hanno potuto camminare nella luce, una luce che tante chiese apostate di oggi, malate di umanesimo, hanno nascosto sotto il tappeto. Durante tutta l’età della fede, i tre ordini della società – chi lavorava, chi pregava, e chi combatteva – si sono spinti sotto la luce radiosa e dolce di Cristo Re. Nel suo trattato Politica (1603), il giurista calvinista Johannes Althusius (1557-1632) fece riferimento al modo in cui la società medievale, con la sua armoniosa interazione di diverse istituzioni, associazioni e organizzazioni, mostrava un carattere simbiotico. Ciò era possibile perché il presupposto alla base di tutta la società medievale era quello di una teocrazia cristiana (da non confondere con una ecclesiocrazia o una clericocrazia!). Il pensiero moderno, in netto contrasto, sostiene che la società e le relazioni economiche sono in ultima analisi forgiate da un conflitto di interessi di base.

IL CONTAGIO UMANISTICO

Per comprendere la pericolosa situazione in cui versa la Chiesa – anche senza risalire alla più antica delle tentazioni, riportata in Genesi 3! – è necessario vedere come ben presto sia apparsa al suo interno una tendenza a scivolare verso l’Umanesimo, ad adattarsi ad esso e a sostituire il “pensare” e il “parlare” di Dio, come rivelato nelle sacre Scritture, con ciò che invece l’uomo preferirebbe sentirsi dire. Si tratta, ovviamente, di un’eco dell’antica tentazione riportata in Genesi: “Dio ha davvero parlato”?
Così accadde che la Chiesa si trovò presto minacciata dal pensiero greco dominante dell’epoca, pensiero a sua volta influenzato dalle principali religioni del Vicino Oriente allora in voga e, in particolare, dallo zoroastrismo persiano [6] .
Il dogma cristiano della creazione, insieme al dogma cristiano dell’uomo, cedette così alla pressione del pensiero pagano che, da un lato, affermava la continuità dell’Essere (senza tener conto della infinita differenza qualitativa tra Dio e la sua creazione), e, dall’altro, sosteneva che tutto ciò che esiste derivava dall’attività divina, che dà forma alla materia preesistente (allo stesso modo in cui l’attività umana forma la cultura, o come un architetto utilizza le materie prime per portare a compimento il suo piano, il suo progetto). Questa divinità razionale non era un creatore, ma un artefice, che modellava la materia, altrimenti autonoma; pertanto, qualsiasi forma si trovasse in natura era la prova della mente dell’artefice, che imponeva il suo disegno alla materia, e non la manifestazione di una forma intrinseca alla materia stessa. Allo stesso modo, come questa divinità razionale era contrapposta alla materia che era, in linea di principio, autonoma, così l’anima razionale dell’uomo era contrapposta alla natura materiale e terrena del corpo. Il pensiero greco pagano aveva accolto troppo facilmente il tema dualista dello zoroastrismo che contrapponeva il principio divino della luce al principio malvagio delle tenebre. L’opposizione greca di forma contro materia e quella zoroastriana di luce contro tenebre dimostravano alla fine di possedere una forte somiglianza, presentando sfide più o meno identiche ai dogmi cristiani della creazione e dell’uomo. Gli gnostici presto postularono una terza opposizione: il Dio Salvatore del Nuovo Testamento contro il Dio Creatore dell’Antico Testamento. L’influenza di queste tre opposizioni è chiaramente proseguita fino ai giorni nostri [7].
Il percorso tracciato per una Chiesa vera e giusta è sempre stato quello di una fedele riforma secondo le sacre Scritture. In questi primi secoli, tuttavia, alcuni dei primi Padri della Chiesa scelsero, invece, di perseguire un percorso di accomodamento, cercando di armonizzare il tema creazione-caduta-redenzione del cristianesimo biblico con il tema forma-materia del paganesimo greco. Pensando di aver epurato questi concetti greci dai loro elementi pagani, non videro quanto profondamente, invece, questi fossero radicati in uno schema pagano di base. Inoltre, rischiavano di dare più importanza a una conoscenza mistica, contemplativa e teorica di Dio che alla fede obbediente dei fedeli, relegando così la religione cristiana a nulla più che un’etica superiore [8].
In difesa dei Padri e dei cristiani eruditi dei primi quattro secoli, come San Giustino (100-165), bisogna tener presente, tuttavia, che la Chiesa, pur essendo nata nell’ambiente ebraico della Palestina, si è poi diffusa nel mondo greco-romano, trovandosi così immersa in un mondo a tutti gli effetti pagano. L’educazione dei convertiti dal paganesimo al cristianesimo era stata, come ci si poteva aspettare, pagana. Una volta convertiti, non era possibile per tali cristiani, e per i padri conduttori, separarsi semplicemente da ogni traccia di questa cultura pagana così profondamente impregnata degli dèi, dei miti e dello schema natura-grazia della religione greca: forma-materia [9].
Inoltre, sebbene questi primi cristiani fossero pienamente consapevoli che Dio aveva rivelato la sua verità nella sua Parola, troppo spesso davano un peso eccessivo a quegli elementi di verità che la sapienza greca aveva colto in virtù della grazia comune di Dio (a differenza della sua grazia salvifica soteriologica). Nelle loro difese della fede (come l’Apologia di Giustino), i primi Padri dovettero usare una terminologia di origine profondamente pagana, sebbene spesso non avessero la padronanza necessaria per offrire una critica approfondita dei suoi principi.
La Scolastica raggiunse la sua piena fioritura nel XIII secolo, ma il suo precursore e lontano maestro visse e operò nelle prime fasi dell’età della fede. Boezio (480-524) fu imprigionato dopo essere stato accusato di aver partecipato a un complotto contro Teodoro il Grande, il principe ostrogoto diventato re d’Italia. Morì in prigione, dopo aver subito orribili torture.
Come teologo, Boezio scrisse e compilò i suoi Trattati, di cui diversi espongono la fede cattolica e i dogmi della Trinità e dell’Incarnazione (De Trinitate e De Unitate et Uno). Tuttavia, è maggiormente riconosciuto soprattutto per i suoi Trattati filosofici, grazie ai quali è considerato, e giustamente, come colui che ha introdotto Aristotele in Occidente – il che fu una benedizione mista – e per il suo De consolatione philosophiae (“La consolazione della filosofia”). In quest’ultima opera, composta in prigione, dopo aver appreso la sua condanna e con la morte davanti agli occhi, Boezio pretende di riassumere tutto ciò che sa e tuttavia non dice una parola sul Dio rivelato, Cristo, la Scrittura o la fede.
Ha affrontato la morte confessando: “Sono ora costretto, ahimé, a intonar in pianto meste nenie. Ecco: le Muse, lacere, mi suggeriscon le cose da scrivere e i versi elegiaci mi fan scorrere calde lacrime sul volto” [10]. Quest’ultimo testamento, in prosa e in versi, è animato dall’inizio alla fine dal vecchio tema della forma-materia della dialettica greca. Il Dio di cui parla “è Forma e veramente Uno senza pluralità” (la pluralità, per Boezio, appartiene solo alla materia! Cos’è allora la santa Trinità?).
Ci si può chiedere (anche se non sta a noi rispondere): Boezio considerava la fede cristiana nient’altro che un mezzo per esprimere e rappresentare l’antica filosofia greca?
Nel suo Quomodo substantiae (“Il come della sostanza”), afferma:

VI. Tutto ciò che esiste partecipa necessariamente all’Essere assoluto.

VII. Tutto ciò che esiste possiede, come unità, un Essere assoluto e particolare.

X. Gli opposti si respingono; le cose simili si attraggono. Si può dimostrare che ciò che cerca qualcosa al di fuori di sé è della stessa natura di ciò che cerca.

Qui non abbiamo altro che la credenza pagana nella continuità dell’Essere, a cui partecipano tutte le realtà. La particolarità di una realtà è il suo essere individuale; il suo Essere assoluto è Dio. Quantoci siamo allontanati dalla fede cattolica rivelata ed elaborata alla luce della sacra Scrittura!

UMANESIMO E SCOLASTICA

Nel presente sforzo di identificare come la Scolastica abbia ceduto alla seduzione dell’Umanesimo, è necessario innanzitutto chiarire sin dall’inizio che il nostro problema non è il metodo scolastico in sé. Sebbene spesso criticato, il metodo scolastico ha in realtà un grande valore e alcuni teologi della Riforma lo hanno utilizzato con successo. È stato una caratteristica importante nell’opera di Pietro Martire Vermigli (1500-1562), professore a Oxford, la cui teologia eucaristica, permeata dai Padri, è stata salutata da Calvino come una teologia che “non lascia nulla da aggiungere” [11]. La si ritrova anche nell’opera di un contemporaneo di Vermigli, nonché autore di un pregevole Trattato sulla predestinazione, Girolamo Zanchi, e, molto più tardi, nell’opera di Francesco Turrettini, a cui peraltro abbiamo già abbondantemente fatto riferimento. Non fu il metodo della Scolastica a rivelarsi dannoso, ma il suo intento di adattarsi, di trovare un compromesso tra il nucleo fondamentale della Bibbia (creazione-caduta-redenzione) e il nucleo fondamentale ereditato dal pensiero greco, e da Aristotele in particolare (forma-materia, con una continuità dell’Essere).
È possibile distinguere tre fasi nella storia della sintesi scolastica.
In primo luogo, a partire dalle opere di alcuni dei primi Padri fino a Sant’Agostino, la sintesi scolastica è stata proposta come un possibile metodo per affrontare l’apparente problema presentato dal confronto tra il sistema di pensiero greco e quello biblico (con molti pensatori, come Tertulliano, completamente contrari all’idea di sintesi). Poi, da sant’Agostino fino al XII secolo, la sintesi scolastica si perfezionò come metodo principale, man mano che teologi e filosofi diventavano sempre più sicuri di essere finalmente riusciti a sintetizzare i due sistemi di pensiero. Infine, dal XIII secolo fino all’epoca “moderna”, la sintesi scolastica si affermò come metodo esclusivo.
Sant’Agostino, a differenza del suo seguace Boezio, rifiutava l’autonomia del pensiero filosofico. Pur riconoscendo che il pensiero greco poteva contenere alcune idee vere e utili, riteneva che dovesse comunque essere illuminato e governato dalla Parola di Dio, altrimenti avrebbe inevitabilmente portato la teologia fuori strada e in grave errore. La sua utilità era garantita finché si limitava a essere l’ancilla theologiae, al servizio della teologia. In breve, per Agostino, la riflessione filosofica doveva essere collocata all’interno di una cornice teologica, affinché il pensiero umano potesse essere legato alla Parola di Dio, alla verità in quanto tale.
Nel XIII secolo, con Tommaso d’Aquino, la sintesi scolastica diventerà dominante e la filosofia inizierà a riaffermare la propria autonomia, non solo come disciplina distinta dal pensiero teologico – il che è uno sviluppo positivo – ma anche come autorità alternativa a Dio e alla sua Parola. Il risultato effettivo di tutto ciò è stato quello di limitare la signoria di Gesù Cristo, che aveva detto: “Io sono la verità” (Giovanni 14:6), che “in lui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza” (Colossesi 2:3) e che dovremmo “rendere prigioniero ogni pensiero per obbedire a Cristo” (2 Corinzi 10:5).
Tommaso d’Aquino (purtroppo!) ha magistralmente proceduto a costruire un sistema di pensiero a due livelli.

TEOLOGIA basata sulla rivelazione di Cristo e sulla Bibbia (livello superiore).

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FILOSOFIA NATURALE che incorpora il pensiero aristotelico (livello inferiore).

Sia il livello superiore sia quello inferiore avevano quindi le loro rispettive dialettiche: la filosofia, con la sua dialettica greca di FORMA-MATERIA, e la teologia, con la sua dialettica più complessa e più ampia di NATURA-GRAZIA.
Poiché la natura (e con essa la mente) aveva subìto gli effetti della caduta, era compito della rivelazione riprendere, riproporre quelle verità naturali che erano andate un po’ perdute o dimenticate (verità come la creazione divina del mondo, il decalogo, ecc.)

Pur accettando la visione agostiniana della teologia come regina delle scienze e della filosofia come serva della teologia, l’Aquinate si appoggiava tuttavia a quel tipo di filosofia naturale (e anche di teologia naturale) che pretendeva di derivare la propria autorità dal solo lume della ragione.

La filosofia tomista [12] si basa quindi su una metafisica aristotelica dell’Essere e pretende di rispondere autonomamente (cioè senza appellarsi al Signore e alla sua Parola) ai tre problemi fondamentali della filosofia:

PROBLEMA

RISOLTO DA

1. In che modo i diversi aspetti dell’esperienza sono collegati e reciprocamente connessi?

1. Una metafisica generale dell’Essere come fondamento e connessione di tutte le diversità.

2. Come si spiega la radicale unità dell’io pensante?

2. Una metafisica antropologica sull’unità sostanziale della natura umana razionale.

3. Qual è l’origine ultima del significato di tutta la creazione?

3. Una teologia naturale sull’origine ultima della diversità dell’Essere.

Questo è semplicemente un riassunto della metafisica aristotelica dell’Essere con i suoi quattro attributi trascendentali: l’uno, il vero, il buono e il bello.
Ma cosa ha a che fare questo Dio della filosofia naturale e della teologia naturale con il Dio vivo e vero che si rivela nella sacra Scrittura e in Cristo come Creatore e Redentore? [13]

Tutto si riduce a un doppio presupposto:

  • Dio è pura forma
  • La materia è il principio dell’imperfezione

Ogni movimento naturale è solo un movimento della materia che viene condotta verso la realizzazione di una forma. Da questa regola derivano le cosiddette prove dell’esistenza di Dio: se ogni effetto deve essere mosso da una causa, allora deve esistere una causa prima, “il motore immobile”.
Sarebbe impossibile sopravvalutare il danno arrecato al pensiero e alla pratica cristiana da questo schema natura-grazia della Scolastica.
Inoltre, come Dooyeweerd ha giustamente sottolineato, la pretesa che questo schema abbia una base biblica deve essere dimostrata come erronea tenendo conto di due passi in particolare: Romani 1:19-20 e 2:14-15.

Poiché quel che si può conoscere di Dio (to gnôston tou theou, “la conoscenza di Dio”) è manifesto in loro [cioè in tutti gli uomini], avendolo Dio manifestato (ephanerôsen, “ha reso evidente”) loro; infatti le sue qualità invisibili (aorata), la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente (katorataï) fin dalla creazione del mondo, essendo percepite per mezzo delle opere sue (noumena); perciò essi sono inescusabili. (Romani 1:19-20)

San Paolo non sta affatto affermando che l’uomo decaduto possa giungere alla conoscenza del vero Dio alla luce della ragione naturale. Al contrario, il contesto immediato (versetto 18) sottolinea che gli uomini ribelli tengono prigioniera la verità con la loro empietà (asebeïa) e iniquità (adikia); per questo sono inescusabili. In questo stesso contesto si dice chiaramente: “Benché si dichiarino sapienti, sono diventati stolti” (versetto 22). In breve, ciò che San Tommaso sostiene sulla teologia naturale potrà anche seguire Aristotele, ma certamente non segue la Scrittura.

Infatti quando degli stranieri [ethnoï, non ebrei], che non hanno legge [Nomos, le Scritture], adempiono per natura le cose richieste dalla legge, essi, che non hanno legge, sono legge a sé stessi; essi dimostrano che quanto la legge comanda è scritto nei loro cuori, perché la loro coscienza ne rende testimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicenda (Romani 2:14-15).

Qui, San Paolo non sta in alcun modo dando credito all’autonomia del pensiero naturale a prescindere dalla rivelazione divina. Paolo non sta parlando di una legge naturale della ragione che l’uomo può conoscere mediante la luce naturale della ragione a prescindere dalla fede. Quando Paolo parla del “cuore”, non dobbiamo intenderlo come l’intelligenza razionale dell’uomo, o la vita-pensiero, come la interpretava l’Aquinate; piuttosto, dobbiamo intendere l’espressione “cuore” come la sede di tutto ciò che l’uomo è e fa, il centro misterioso di tutta la sua persona. È lì, nel cuore dell’uomo, che Dio, con l’azione costante della sua grazia comune, iscrive sempre qualche norma della sua legge, qualche senso del bene e del male. Ogni uomo dopo la caduta, ebreo o non ebreo, è, nella sua ribellione, senza giustificazione. Rifiutando di glorificare Dio, perdendosi in pensieri vani e gettandosi a capofitto nelle tenebre (versetto 21), scambia la verità di Dio con la menzogna, perché preferisce adorare e servire la creatura piuttosto che il Creatore (versetto 25).

UMANESIMO E RINASCIMENTO

Introduzione

Identificando il decalogo con una legge morale naturale radicata nella natura razionale dell’uomo e nella ragione divina, e affermando che il decalogo è conoscibile alla luce naturale della ragione, al di là della rivelazione, Tommaso d’Aquino ha indubbiamente spalancato la porta attraverso cui l’Umanesimo moderno si sarebbe insinuato in Occidente. Man mano che il concetto di natura si allontanava da quello di grazia veniva definito sempre più in relazione all’uomo, dando origine a un nuovo tema di fondo, la natura-libertà.
Sebbene la parola “rinascimento” abbia origini cristiane e bibliche (significa “rinascita”), il periodo conosciuto come Rinascimento fu quello in cui l’Umanesimo sarebbe penetrato con maggior forza nella cristianità occidentale, causando danni incommensurabili. Nemmeno la risoluta opposizione della Riforma sarebbe stata sufficiente ad annullarne gli effetti dannosi.
Considerate superficialmente, il Rinascimento e la Riforma furono entrambi un ritorno ad fontes, “alle fonti“, ma le fonti in questione non erano le stesse. Il Rinascimento cercò un ritorno al paganesimo, agli autori classici pagani dell’antichità: il loro fu un ritorno al periodo precedente l’età della fede. La Riforma, invece, cercò un ritorno alla “legge e alla testimonianza”, cioè alla sacra Scrittura di Cristo e al Cristo della sacra Scrittura: la loro fu una continuazione dell’età della fede, anche se corretta e riformata secondo la Parola di Dio.

Erasmo e lo spirito dell’Umanesimo rinascimentale

Niente illustra meglio i contrapposti ideali del Rinascimento e della Riforma del dibattito tra Lutero ed Erasmo sulla questione del libero arbitrio [14] .
Conosciuto come il “padre dell’Umanesimo”, Erasmo (1469-1536) è certamente più noto per il suo Elogio della follia (1511) che per la sua Diatriba sul libero arbitrio (1524). Ma fu in quest’ultima opera, relativamente breve, che Erasmo colpì il cuore della Riforma.

Nel 1525, Lutero rispose a Erasmo con il suo Il servo arbitirio (De Servo Arbitrio) [15].
A differenza del suo contemporaneo Machiavelli (1469-1527), strenuo oppositore del cristianesimo, Erasmo rimase un convinto cattolico romano. Ma il grado in cui il suo “cristianesimo” fu influenzato dal suo “umanesimo” fornisce una chiara illustrazione di ciò che intendiamo con “la Chiesa malata di umanesimo”.

Sebbene Erasmo non abbia mai attaccato i dogmi della sua Chiesa, “vedeva la religione cristiana più come un codice morale che come la via di salvezza per la razza umana perduta nel peccato e nella morte spirituale”, ha scritto Dooyeweerd, aggiungendo: “L’Umanesimo cominciò a rivelare le sue vere intenzioni ancor prima che la sua emancipazione dall’autorità della Scrittura fosse completa” [16].

La risposta di Lutero a Erasmo sul “libero arbitrio”

Difendendo, in modo poco convincente, la sua concezione del libero arbitrio, Erasmo proteggeva in realtà l’autonomia dell’uomo e della scienza dalla signoria “predestinante” di Dio Creatore e Salvatore e dall’autorità sovrana della sua Parola. Per Erasmo, il libero arbitrio non è altro che il potere dell’uomo di agire indipendentemente da Dio.
L’approccio della diatriba di Erasmo è pelagiano e antropocentrico, completamente privo di una seria esegesi. Cerca di difendere a tutti i costi la sua fede in quello che chiama “libero arbitrio”, questo “potere della volontà umana”, scrive, “con il quale un uomo può applicarsi alle cose che conducono alla salvezza eterna, o allontanarsene” [17]. Si giustifica dalle costrizioni dell’argomentazione scritturale sostenendo che “ci sono alcuni luoghi segreti nelle sacre Scritture in cui Dio non ha voluto che penetrassimo più a fondo e, se cerchiamo di farlo, più andiamo in profondità, più diventa oscuro e tenebroso, per cui siamo portati a riconoscere l’imperscrutabile maestosità della sapienza divina e la debolezza della mente umana” [18]. Sotto questo linguaggio di apparente umiltà si nasconde il vero pensiero di Erasmo: cioè che in Dio c’è il contingente e il mutevole, l’incerto e l’instabile. Ne consegue, quindi, che non si deve cercare di affermare la predestinazione divina dalla Scrittura con assoluta certezza; tale certezza è impossibile, poiché non può essere che la mano sovrana e certa di un Dio onnipotente guidi l’universo e l’uomo.

Cos’altro poteva fare Lutero di queste inaccettabili affermazioni di Erasmo se non demolirle? Ed è quello che fece, non solo con passione, ma soprattutto con una precisa esegesi. Il suo De Servo Arbitrio “è chiaramente la più grande opera di Lutero e uno dei più grandi documenti della storia del pensiero” [19]. Basandosi sulle Scritture dall’inizio alla fine, quest’opera vivace e approfondita è una solida testimonianza della ferma opposizione della Riforma a ogni forma di Umanesimo. È un’opera rigorosa, che affronta uno per uno tutti gli appelli di Erasmo alla Bibbia, mostrando che non sono altro che invenzioni arbitrarie (ecco cosa sono!), elusioni sofisticate e interpretazioni fantasiose. Lutero cerca di portare Erasmo, e tutti i suoi lettori, davanti al significato del testo (o dei testi) della Scrittura-Parola di Dio; quel significato che i dottori del libero arbitrio, inventando presunte contraddizioni nel testo, hanno cercato spudoratamente di confondere.

Nella sua Diatriba, Erasmo tenta ripetutamente di giustificare le sue riserve sulla sovranità della grazia efficace di Dio e sulla predestinazione divina appellandosi alla presunta oscurità del testo (come facevano comunemente i dottori che difendevano il papato).

  Nella sua risposta Lutero scrive:

E in tutto l’Antico Testamento, soprattutto nel Salmo 119, cosa si dice più spesso in lode della Scrittura se non che è una luce certissima ed evidente? Il salmista ne celebra così la chiarezza: “La tua parola è una lampada al mio piede e una luce sul mio sentiero” (Salmi 119:105) …. In questo modo viene chiamata sia “via” che “sentiero”, senza dubbio per  la sua totale certezza…

E cosa fanno gli apostoli quando dimostrano la loro predicazione con le Scritture? Cercano forse di oscurare per noi la propria oscurità con un’oscurità più grande? O di dimostrare qualcosa di noto con qualcosa di meno noto? Che cosa fa Cristo in Giovanni 5[:39], quando dice ai Giudei di cercare le Scritture perché gli rendono testimonianza? Sta cercando di far loro mettere in discussione la fede in lui? Che cosa fanno le persone di Atti 17[:11] che, dopo aver ascoltato Paolo, leggevano le Scritture giorno e notte per vedere se queste cose erano vere? Tutte queste cose non dimostrano forse che gli apostoli, come Cristo stesso, ci indicano le Scritture come i testimoni più chiari di ciò che dicono? Che diritto abbiamo noi, allora, di renderle oscure? [20]

Inoltre:

Infatti, quale cosa più sublime può rimanere nascosta nelle Scritture, ora che i sigilli sono stati spezzati [Apocalisse 6:1, 3, 5, 7, 9, 12; 8:1], che la pietra è stata rotolata dalla porta del sepolcro (Matteo 27:66; 28:2) e che il mistero supremo è stato portato alla luce, cioè che Cristo, il Figlio di Dio, si è fatto uomo, che Dio è tre e uno, che Cristo ha sofferto per noi e regnerà in eterno? Queste cose non sono forse note e cantate anche nelle strade e nei sentieri? Togliete Cristo dalle Scritture e cosa resterà?

Il tema delle Scritture, dunque, è tutto abbastanza accessibile, anche se alcuni testi sono ancora oscuri a causa della nostra ignoranza dei loro termini. È davvero stupido ed empio, quando sappiamo che il tema delle Scritture è stato posto nella luce più chiara, definirlo oscuro a causa di alcune parole oscure. Se le parole sono oscure in un luogo, sono tuttavia chiare in un altro …. Ora, quando la cosa significata è nella luce, non importa se questo o quel segno di essa è nelle tenebre, poiché molti altri segni della stessa cosa sono nel frattempo nella luce [21].

Per quanto riguarda il libero arbitrio:

È irriverente, curioso e superfluo voler sapere se la nostra volontà fa qualcosa in materia di salvezza eterna o se è semplicemente passiva sotto l’azione della grazia [22] .

… non è irriverente, curioso o superfluo, ma essenzialmente salutare e necessario per un cristiano, scoprire se la volontà possa fare qualcosa o niente in materia di salvezza eterna. Infatti, come dovresti sapere, questa è la questione fondamentale tra noi, il punto su cui ruota tutto in questa controversia… [23]

Ma quando non si conoscono le opere e la potenza di Dio, non conosco Dio stesso, e quando non si conosce Dio, non posso adorare, lodare, ringraziare e servire Dio, perché non so quanto devo attribuire a me stesso e quanto a Dio [24].

Ecco dunque qualcosa di fondamentalmente necessario e salutare per un cristiano: sapere che Dio non conosce nulla di contingente, ma che prevede, intende e fa tutte le cose con la sua immutabile, eterna e infallibile volontà. Ecco un fulmine con cui la libera scelta viene completamente prostrata e frantumata…. Credi dunque che egli conosca senza volere o che voglia senza sapere? Se la sua prescienza è un attributo della sua volontà, allora la sua volontà è eterna e immutabile, perché questa è la sua natura [25].

Infatti, se dubiti o disdegni di sapere che Dio conosce tutte le cose, non in modo contingente, ma necessariamente e immutabilmente, come puoi credere alle sue promesse e riporre in esse una fiducia sicura? Infatti, quando promette qualcosa, dovete essere certi che sa e può realizzare ciò che promette; altrimenti, non lo considererete né veritiero né fedele, e questa è empietà e negazione di Dio Altissimo [26].

… sei dell’opinione che la verità e l’utilità della Scrittura debbano essere misurate e giudicate dalle reazioni degli uomini, e per di più degli uomini più empi, in modo che solo ciò che risultava loro gradito o sembrava loro tollerabile fosse considerato vero, pio e salutare, mentre il contrario doveva essere immediatamente considerato inutile, falso e pernicioso.

Qual è lo scopo di questo consiglio, se non quello di far dipendere le parole di Dio dalla scelta e dall’autorità degli uomini, e di farle valere o perdere con loro? Mentre la Scrittura dice il contrario: tutte le cose si reggono o cadono per scelta e autorità di Dio… [27]

Ma nessun uomo può essere completamente umiliato finché non sa che la sua salvezza è assolutamente al di là dei suoi poteri, dei suoi piani, dei suoi sforzi, della sua volontà e delle sue opere, e dipende interamente dalla scelta, dalla volontà e dall’opera di un altro, cioè di Dio soltanto. Finché è convinto di poter fare da solo anche la minima cosa per la sua salvezza, conserva una certa fiducia in sé stesso e non rinuncia completamente a sé stesso, e quindi non si sente umiliato davanti a Dio, ma presume che ci sia – o almeno spera e desidera che ci sia – un luogo, un tempo e un’opera per lui, attraverso i quali la salvezza può essere finalmente raggiunta. Ma quando un uomo non ha dubbi sul fatto che tutto dipende dalla volontà di Dio, allora rinuncia completamente a sé stesso e non sceglie nulla per sé, ma aspetta che Dio operi; allora si è avvicinato alla grazia e può essere salvato [28].

È per gli eletti che queste cose sono annunciate, affinché, umiliati e riportati al nulla per questa via, si salvino. Altri resistono a questa umiliazione, anzi condannano questo insegnamento all’autoannullamento, desiderando che rimanga qualcosa, per quanto poco, da fare da soli; così rimangono segretamente orgogliosi e nemici della grazia di Dio. Questo, dico, è uno dei motivi per cui i santi, umiliati, possono riconoscere, invocare e ricevere la grazia di Dio [29].

Così, quando Dio vivifica lo fa facendo morire gli uomini, quando giustifica lo fa rendendoli colpevoli, quando innalza al cielo lo fa abbassando all’inferno, come dice la Scrittura: “Il Signore fa morire e fa vivere; fa scendere nel soggiorno dei morti e ne fa risalire” (1 Samuele 2:6) [30].

Ne deriva perciò che il libero arbitrio è chiaramente un nome divino e non può competere ad altri che alla sola maestà divina. Essa infatti può e compie (come canta il libro dei Salmi) «tutto ciò che gli piace, in cielo e in terra» [Sl. 135,6]. Attribuirlo agli uomini equivarrebbe ad attribuire loro la divinità stessa e certamente non ci potrebbe essere sacrilegio più grande [31].

È profondamente ingiusto, anzi ben miserabile, che le nostre coscienze, che Cristo ha redento con il proprio sangue, vengano tormentate dallo spettro di un termine privo di consistenza e per giunta di significato incerto [32].

Concludiamo il paragrafo con un’ultima citazione. Si tratta di un brano scritto da Lutero dopo un’attenta esegesi di tutti i testi citati contro le argomentazioni che Erasmo (e altri esegeti della sua stessa idea) avevano sviluppato in spregio a questi passi e al loro significato diretto ed esplicito, inteso nel loro contesto immediato.

In una parola, poiché la Scrittura predica ovunque Cristo per contrasto e antitesi, come ho detto, mettendo tutto ciò che è senza lo Spirito di Cristo in soggezione a Satana, all’empietà, all’errore, alle tenebre, al peccato, alla morte e all’ira di Dio, tutti i testi che parlano di Cristo devono di conseguenza opporsi alla libera scelta; e sono innumerevoli, anzi sono tutta la Scrittura. Se, quindi, sottoponiamo il caso alla Scrittura, … non rimarrà un solo punto o una sola virgola che non danneggi il dogma della libera scelta. Inoltre, il fatto che la Scrittura predichi Cristo per contrasto e antitesi, anche se i grandi teologi e difensori della libera scelta lo ignorano o fingono di ignorarlo, è comunque noto e comunemente confessato da tutti i cristiani.

I cristiani sanno infatti che nel mondo esistono due regni, che si oppongono aspramente l’uno all’altro. In uno di essi regna Satana, chiamato da Cristo “il principe di questo mondo” (Giovanni 12:31) e da Paolo “il dio di questo mondo” (2 Corinzi 4:4). Egli tiene prigionieri della sua volontà tutti coloro che non vengono strappati a lui dallo Spirito di Cristo, come testimonia lo stesso Paolo, né permette che vengano strappati da alcun potere che non sia lo Spirito di Dio, come testimonia Cristo nella parabola dell’uomo forte che custodisce in pace il suo palazzo (Luca 11:21). Nell’altro regno, Cristo regna e il suo regno resiste e fa guerra al regno di Satana. In questo regno siamo stati trasferiti, non con le nostre forze, ma per la grazia di Dio, grazie alla quale siamo stati liberati dall’attuale epoca malvagia e siamo stati liberati dal dominio delle tenebre [33].

 

UMANESIMO E ILLUMINISMO

Introduzione

L’Umanesimo costituisce una tentazione sempre presente all’interno della Chiesa; è la sfida costante, la lotta contro la quale la Chiesa non può permettersi di arrendersi, ma che deve vincere per grazia di Dio, “prendendo la spada dello Spirito, che è la parola di Dio” (Efesini 6:17). Con la Scolastica e il suo sforzo di stabilire la ragione autonoma, l’Umanesimo ha preso piede nella Chiesa. Con lo spirito del Rinascimento, l’Umanesimo travolse la vita e il pensiero della Chiesa. Di conseguenza, nei secoli successivi – XVIII, XIX e XX – la Chiesa si sarebbe trovata sempre più corrotta dalla presenza e dagli effetti dell’Umanesimo. Di conseguenza, vasti settori della cultura e del pensiero che per tanto tempo avevano subìto l’inflizione della cristianità, diventandone anzi espressione, furono deformati dallo schema scolastico di natura-libertà. Di fatto, quindi, l’età della fede, o ciò che ne rimaneva, cedette allo spirito della modernità, con la sua convinzione che l’uomo, e non Dio e la sua Parola, fosse la misura di tutte le cose.

L’influenza di Immanuel Kant

Verso la fine dell’Aufklärung, l'”Illuminismo” (ancora una volta una parola biblica, come il termine Rinascimento, a cui è stato attribuito un significato opposto), uno dei filosofi più importanti fu Immanuel Kant (1724-1804), che era anche un filosofo protestante. All’inizio della sua Critica della ragion pura (1781), scrisse: “Il tempo nostro è proprio il tempo della critica, cui tutto deve sottostare. Vi si vogliono comunemente sottrarre la religione per la santità sua, e la legislazione per la sua maestà: ma così esse lasciano adito a giusti sospetti, e non possono pretendere quella non simulata stima, che la ragione concede solo a ciò che ha saputo resistere al suo libero e pubblico esame” [34].
Ma, si dirà, la Riforma non ha forse esaltato questo “libero e pubblico esame?” Ha certamente incoraggiato gli uomini a sottoporre tutto all’interrogatorio e all’esame, ma secondo il criterio della Scrittura – la Parola di Dio, non quello della Ragione sovrana (umana) (Atti 17:11)!
Secondo Kant, quando qualche aspetto della realtà viene sottoposto all’esame della ragione, questa viene intesa come se rientrasse negli stretti limiti di un sistema chiuso di causa ed effetto, ammettendo solo ciò che può essere spiegato dalle leggi del Naturalismo meccanicistico. È proprio a questo punto che lo schema natura-libertà si dimostra internamente incoerente. Infatti, l’uomo , appartenendo alla natura, donde trae la sua libertà e autonomia all’interno di questo sistema meccanicistico?
L’Umanesimo moderno dovrà fare una scelta (arbitraria dal suo punto di vista): o la natura ha la priorità e la supremazia sulla libertà, o la libertà ha la priorità e la supremazia sulla natura. Avendo rifiutato la predestinazione divina, cosa sceglierà ora l’uomo moderno: la predestinazione del caso, della necessità evidente (cioè della natura); o la predestinazione dell’uomo stesso, l’uomo che si fa dio (cioè della libertà)? Kant riconobbe questo dilemma e pensò di risolverlo esponendo la propria versione di un mondo diviso in due piani:

Piano superiore: il mondo noumenico del pensiero e di valore/religione (o ideologia)
_______________________________________________________________________________

Piano inferiore: il mondo fenomenico dei sensi/scienza (o tecnologia)

Per la Riforma, Dio è la fonte, il principio, l’unico interprete di tutte le cose. Per Kant, invece, questa fonte, questo principio, è la mente autonoma dell’uomo. L’oggettività di cui si vanta non è quella che Dio ha decretato, ma la verità inventata dalla mente dell’uomo, dalla ragione dell’uomo [35].

Pur osando definirsi “eredi della Riforma”, le chiese si riveleranno piuttosto eredi del Rinascimento e dell’Illuminismo. Infatti, dall’Illuminismo e da Kant fino ad oggi, le chiese abbandoneranno gradualmente gli antichi dogmi della Trinità e dell’Incarnazione, così come i dogmi della salvezza e della Scrittura – dogmi che, tutti derivanti dalla Scrittura, avevano un tempo animato i riformatori e le chiese che li avevano seguiti per seguire la Parola di Dio. Le chiese erano state trascinate dallo “spirito del tempo”, “lo spirito del mondo” (1 Corinzi 2:12), che le aveva indotte a rinunciare alla loro confessione, alla loro “testimonianza di Gesù” (Apocalisse 19:10). Erano state traviate da “falsi profeti”, “lupi famelici” (Matteo 7:15), “lupi rapaci, i quali non risparmieranno il gregge” (Atti 20:29); eppure questi erano “ministri ordinati”, “pastori-insegnanti” ma che erano stati contaminati dal razionalismo del metodo storico-critico che formava i loro studi universitari e seminariali.

IL METODO STORICO – CRITICO

Storia e presupposti del metodo storico-critico

Strumento potente creato appositamente per distruggere il cristianesimo ortodosso occidentale, la critica testuale si erse dalla confluenza di varie scuole di pensiero illuministe: lo scetticismo francese (alla Voltaire, 1694-1778, per esempio), il deismo britannico (alla David Hume, 1711-1776, per esempio) e il razionalismo tedesco (alla Lessing, 1729-1781, per esempio). Nel XIX e XX secolo, il metodo storico-critico era diventato un dogma, soprattutto all’interno della Chiesa, dei suoi seminari e delle sue facoltà teologiche.
Uno dei più famosi esponenti del metodo storico-critico fu Julius Wellhausen (1844-1918), che si basò sul lavoro di Astruc (1684-1766), De Wette (1780-1849), Reuss (1804-1891) e Graf (1815-1869). Gli a priori che regolano lo sviluppo del suo metodo storico-critico sono esposti dallo stesso Wellhausen nei suoi un tempo famosi (anche se oggi poco letti) Prolegomeni alla Storia di Israele.
Il primo di questi a priori è la sua adesione allo schema evolutivo, che lo porterà a ricostruire la storia di Israele e la letteratura biblica in modo tale che la religione di Israele inizi come politeismo tribale e poi, in una fase successiva, si sviluppi e maturi in profetismo morale. Il secondo a priori è il principio di analogia, che insegna che tutti i fatti storici sono analoghi ad altri fatti storici, e quindi ogni affermazione storica che non può essere confermata dall’esperienza reale deve essere respinta. Il terzo è il presupposto dell’impossibilità dei miracoli, che comporta il suo quarto a priori: l’impossibilità della profezia, per cui ogni volta che nel testo della Scrittura si trova una sedicente profezia su un fatto storico preciso e specifico, Wellhausen dichiara che deve essere stata necessariamente annunciata dopo il fatto (ex eventu).
Non sono questi alcuni degli stessi argomenti a priori che troviamo esposti in Cristianesimo della ragione (1753) di Lessing? E il lavoro di Darwin (1809-1882) in biologia non aveva forse aperto la strada al determinismo evolutivo, che cercava di spiegare tutte le cose in termini di sviluppo naturale? Come ha giustamente concluso Gary North, “La critica testuale è stata l’eredità spirituale dell’Illuminismo” [36]. Quando il metodo storico-critico si è fatto strada nella Chiesa, il Dio sovrano (rivelato in Gesù Cristo, il Verbo incarnato; nella sacra Scrittura, la Parola ispirata; e nelle sue opere di creazione, provvidenza e salvezza) è stato sostituito con l’evoluzione sovrana decretata dall’uomo.
Con il suo a priori palesemente anti-teistico [37] e il suo disprezzo per la tradizione ecclesiale cattolica (“cattolica” nel senso di fedele a tutta la Scrittura), il metodo storico-critico non era altro che un contagio, una contaminazione, introdotta nella vita e nel pensiero della Chiesa attraverso l’Umanesimo. Dopo aver affrontato molte minacce dall’esterno, questo metodo presentava ora una minaccia dall’interno. Da quel momento in poi, la Chiesa si ammalò di Umanesimo.
Eppure, la risposta sciocca e intellettuale di molti pastori e professori di teologia a questa minaccia è stata quella di adattarsi ad essa, di concedere il progresso dell’avversario! Credevano che una simile strategia sarebbe riuscita a neutralizzare l’opposizione, mentre in realtà l’Umanesimo non può essere neutralizzato con l’accomodamento, ma solo affrontandolo di petto, attaccandolo fino a sconfiggerlo. Questo è il dovere che la Chiesa ha nei confronti del suo Signore. Quando si trova penetrata e infettata dall’Umanesimo, deve combatterlo con la stessa determinazione che Lutero dimostrò quando, nel XVI secolo, si oppose all’Umanesimo rinascimentale che esaltava la pretesa autonomia dell’uomo che si fa dio, il tipo di Umanesimo personificato da Erasmo. Prendendo di mira l’uomo che si fa misura di tutte le cose (anthropos metron ha pantôn), il Riformatore scocca la freccia del De Servo Arbitrio: O uomo, ti vanti di essere libero e autonomo, ma sei ancora schiavo del diavolo e del peccato! [38]

*

Ma qualcuno dirà: la sacra Scrittura non è un libro umano, soggetto a critiche come qualsiasi altro libro umano?
Rispondendo alla prima parte di questa domanda, possiamo dire che la sacra Scrittura è effettivamente un libro umano, composto da uomini. Ma è anche vero che non è un libro umano come gli altri, perché, a differenza di tutti gli altri, è anche e soprattutto la Parola di Dio!

Nella nostra nomenclatura delle varie scienze umane e per quanto riguarda la scienza specifica della teologia, suggerirei di coniare due nuovi termini, Mesitologia e Agiografologia, per descrivere meglio la mediazione del Cristo incarnato e della Parola di Dio iscritta.

  • Mesitologia, la scienza di Cristo mediatore (dal greco mesitès = mediatore, e logos = parola), la mirabile scienza della mediazione del Logos divino, Gesù-Cristo, sia Dio che Uomo, mediatore tra Dio e gli uomini.
  • Agiografologia, la scienza della mediazione della Parola scritta di Dio, la Bibbia (da hagia = santo, e graphê= ciò che è scritto), la scienza della mediazione della Santa Parola scritta, la Bibbia, sia l’Antico che il Nuovo Testamento, entrambi, allo stesso tempo, linguaggio divino e umano, mediando così tra gli imperscrutabili pensieri celesti di Dio e il pensiero creato dell’uomo.

Con l’aiuto di questi termini, possiamo dire che la Mesitologia ha un’influenza diretta sulla comprensione dell’Agiografologia.
Gesù non può essere criticato o giudicato come un uomo qualsiasi, nemmeno come Gesù nella sua umanità, perché è il Figlio di Dio incarnato, sia nella sua divinità che nella sua umanità.

Allo stesso modo, la sacra Scrittura non può essere criticata o giudicata come un qualsiasi altro libro – nemmeno nella misura in cui è realmente scritta da autori umani – perché è la Parola di Dio, scritta da Dio, sia nella sua paternità divina che in quella umana.

Non deve sorprendere che un non cristiano osi usare la sua formazione accademica, con i suoi presupposti anticristiani, per esprimere giudizi critici sull’uomo Gesù. Ne consegue che nega la divinità di colui che, veramente uomo, è anche, e da sempre, veramente Dio.

Né dovrebbe sorprendere che un non cristiano osi usare la sua formazione accademica per esprimere giudizi critici sulle sacre Scritture. Ciò deriva anche dal fatto che non riconosce che le sacre Scritture sono la Parola scritta di Dio.

Ciò che ci colpisce come anormale è che un cristiano, o una chiesa cristiana, osi esprimere giudizi critici su Gesù Cristo, il Figlio incarnato di Dio, sine labe conceptus (concepito senza peccato); o sulla sacra Scrittura, la Parola di Dio, sine labe concepta (concepita senza colpa, senza errore).

Proseguendo sulla linea di questa analogia, la Mesitologia, la dottrina del mediatore, non insegna di un intermediario che non è né Dio né uomo (un terzo “intermediario”), ma di colui che è il vero mediatore perché è veramente Dio e veramente uomo, inseparabilmente.

Similmente, l’Agiografia, la dottrina della sacra Scrittura, non insegna di un libro che non è né umano né Parola di Dio, o che è in parte umano e in parte Parola di Dio, ma di un libro che è interamente umano perché è stato scritto tutto da uomini, e allo stesso tempo – e in primo luogo – interamente Parola di Dio perché l’intero testo e il suo significato sono stati sovranamente soffiati da Dio (théopneustos).
Per quanto riguarda la Chiesa, essa deve cercare di trarre profitto dalle critiche che le vengono rivolte sia dall’interno che dall’esterno – Dio e la sua Parola lo sanno meglio di chiunque altro! Ma non può permettere che i suoi membri, specialmente i “teologi” e i “pastori-insegnanti”, assumano una posizione critica nei confronti del Dio trino e della sua Parola incarnata (Gesù Cristo) o scritta (la sacra Scrittura).

*

Alla Chiesa non sono certo mancati fedeli teologi e pastori-insegnanti capaci di difendere senza timore la fede e la tradizione cattolica in stretta obbedienza alla Parola di Dio. Il metodo storico-critico ha sempre incontrato degli oppositori all’interno della Chiesa, non timidi o esitanti, ma combattivi, coraggiosi e intransigenti. Ci volgiamo ora a uno di loro.

Il contributo della Teopneustia di Louis Gaussen

Ho qui davanti a me la “seconda edizione, riveduta e ampliata dall’autore”, di Theopneustie ou Inspiration plénière des Saintes Écritures (1842), di Louis Gaussen (tradotto in inglese nel 1867 da David D. Scott in Theopneustia: The Bible: Its Divine Origin and Inspiration). La mia copia reca l’iscrizione latina di una domanda posta da Francesco Turrettini:

Quaeitur-an, in scribendo, ita acti et inspirati fuerint a Spiritu Sancto, et quoad res ipsas, et quoad verba, ut ab omni errore immunes fuerint; adversarii negant; nos affirmamus [39].

In risposta alla domanda se gli autori, mentre scrivevano, fossero guidati e ispirati dallo Spirito Santo, non solo nell’argomento ma anche nelle parole, in modo da essere preservati da ogni errore, i nostri avversari negano; noi affermiamo.

In questa lunga opera, Gaussen dimostra una grande padronanza delle opere dei teologi razionalisti del suo tempo. Prende di mira la scienza critica perché “invece di essere un investigatore scientifico, sarebbe un giudice; quando, non contenta di raccogliere gli oracoli di Dio, si mette a comporli, a scomporli, a canonizzarli, a decanonizzarli; e, quando emette oracoli essa stessa! Allora non tende ad altro che a sovvertire la fede dalle sue fondamenta” [40].

Quando i Padri della Chiesa antica, così come i Dottori dell’età della fede e della Riforma, menzionavano l’azione dello Spirito Santo esercitata sugli autori delle Scritture, spesso aggiungevano come gli autori umani scrivessero ciò che lo Spirito Santo dettava loro (questi erano allora chiamati segretari, pennaioli, scribi, flautisti, utilizzati dal sovrano Autore divino per comunicarci la sua Parola, il suo canto, la sua verità). Tuttavia, non possiamo tralasciare il fatto che quando i Padri o i Dottori della Chiesa usavano tali espressioni e sottolineavano la vera natura di Dio come autore infallibile e onnipotente delle sacre Scritture – Calvino parlava allo stesso modo degli apostoli come “scrivani dello Spirito Santo, affinché i loro scritti fossero considerati autentici” [41] – essi sottolineavano anche, spesso nella stessa pagina, come gli uomini fossero i veri autori dei libri sacri.

Più volte Gaussen sostiene che Dio ha dettato le Scritture in modo tale da affermare “l’individualità degli scrittori sacri, così profondamente impressa nei libri che hanno scritto con grande devozione” [42]. Spiega che:

Sì (ci uniamo cordialmente agli obiettori nel dire), qui c’è la fraseologia, il tono, l’accento di un Mosè; lì, di un Giovanni; qui, di un Isaia; lì, di un Amos; qui, di un Daniele o di un Pietro; lì, di un Neemia, lì ancora di un Paolo. Li riconosciamo, li ascoltiamo, li vediamo. Qui, si può dire, non c’è spazio per l’errore [43].

In linea con le Confessioni di fede e con i Dottori della Riforma, Gaussen prosegue dicendo che:

Non bisogna dimenticare che l’azione sovrana di Dio, nei vari campi in cui si manifesta, non esclude mai l’impiego di cause secondarie. Al contrario, è nella concatenazione dei loro reciproci sostegni che ama far risplendere la sua potente saggezza [44].

Il Padre delle misericordie, quando parlava ai suoi profeti, non solo si serviva del loro modo di fare e della loro voce, del loro stile e della loro penna, ma spesso metteva in funzione tutte le loro facoltà di pensiero e di sentimento [45].

Il paragrafo sull'”individualità degli autori sacri” si chiude con queste parole: “Concludiamo, quindi, che l’abbondanza di umanità individuata nelle Scritture, lungi dall’inficiare la loro ispirazione divina, è solo un segno in più della loro divinità” [46].

Sebbene si tratti di affermazioni chiare ed esplicite sul pieno coinvolgimento dell’umanità degli autori, Gaussen fu tuttavia accusato di sostenere una teoria meccanicistica dell’ispirazione in cui gli autori umani erano relegati a semplici portavoce privi di una reale partecipazione alla composizione del testo! (Questa accusa pende ancora oggi su Gaussen, e pochi si preoccupano di approfondire ciò che scrisse realmente). Gaussen, in ogni caso, rifiutò categoricamente qualsiasi teoria di questo tipo, dicendo che “la trovava assolutamente ripugnante” e che “gli era stata superficialmente attribuita” e, sebbene non avesse “mai avuto l’idea”, era costernato dal fatto che alcuni gliel’avessero attribuita.

Poco dopo la metà del XIX secolo, quando la critica letteraria era in voga, il teologo tedesco Friedrich Adolf Philippi pubblicò la sua Kirchliche Glaubenslehre (“Dottrina della fede ecclesiale”), all’interno della quale, come Gaussen, si batteva a favore dell’ispirazione verbale. Contro i teologi critici [47] , che dividevano la Scrittura in parti contraddittorie, Philippi sosteneva che il compito necessario dei veri teologi era il “compito dell’armonizzazione” (Aufgabe der Harmonistik). Come Gaussen, inoltre, anch’egli si lamentava dei suoi avversari, che valutavano il suo lavoro con disprezzo, mettendo peraltro in dubbio la sua sincerità e onestà.

Sarebbe ingiusto concludere questo paragrafo su Louis Gaussen senza citare i nomi dei suoi compagni di lavoro durante il Risveglio, uomini come i fratelli Frederic e Adolphe Monod in Francia, e Ami Bost, César Malan e Henri Merle d’Aubigné in Svizzera, i quali, senza alcun timore, hanno lottato per la conservazione della fede cattolica nelle Chiese della Riforma.

CRITICA DELLA CRITICA BIBLICA [48]

Abbiamo inoltre la parola profetica più salda: farete bene a prestarle attenzione … la Scrittura (2 Pietro 1:19).

Con più di due secoli alle spalle, l’esegesi biblica si è sempre più affermata come disciplina a sé stante. Non dobbiamo però dimenticare che la sua nascita ha rappresentato una rottura con la fede e la tradizione cattolica (di nuovo, “cattolico” significa “fedele a tutte le Scritture”). Si è allontanata dal consenso sull’ispirazione plenaria (cioè “verbale”) delle Scritture, consenso che si estende dalla letteratura degli apologeti e dei Padri della Chiesa, attraverso l’età della fede e la Riforma, fino ai giorni nostri.

Come risultato di questa rottura, gran parte della Chiesa ha  soccombuto ulteriormente alla malattia dell’Umanesimo, e questo a scapito, piuttosto che a vantaggio, della lettura, dello studio e della meditazione delle Scritture. Particolarmente triste è il fatto che un gran numero di studiosi cristiani, molti dei quali ministri ordinati, abbiano contribuito a questo enorme passo falso. Oltre a sprecare tempo e talento, i loro sforzi hanno causato l’allontanamento di un gran numero di chiese dal vero significato delle Scritture, alcune delle quali sono ora cadute nell’apostasia.

Alcuni studiosi hanno consapevolmente rotto con la fede e la tradizione cattolica. Uno di questi è Ernest Troeltsch (1865-1923). Teologo modernista, insegnò a Bonn, Heidelberg e infine a Berlino e affermò notoriamente che il metodo storico, “una volta applicato allo studio scientifico della Bibbia e della storia della Chiesa, costituisce un lievito che trasforma tutto e, in ultima analisi, fa esplodere la forma stessa dei precedenti metodi teologici” [49].

Edgar Krentz, definito uno degli eredi spirituali della critica storica [50], ha affermato audacemente: “La teoria delle quattro fonti sulle origini [51] del Pentateuco e la teoria delle due fonti sulle interrelazioni sinottiche [52] sono le sue principali conquiste. La critica letteraria (delle fonti) ha permesso di delineare in modo più preciso le varie fonti e i  vari libri, nonché gli autori che ne sono all’origine. Essa è indispensabile per qualsiasi interpretazione informata della Bibbia” [53]. La sua implicazione è chiara: non c’è stata “interpretazione consapevole della Bibbia” nella Chiesa fino all’arrivo della “modernità” nel XIX secolo, perché solo allora è entrata in scena la “critica”. Era necessario avvicinarsi al testo con sospetto e scetticismo sull’autorità e l’ispirazione della Scrittura così com’è, una posizione intellettuale che non è stata sostenuta fino al recente arrivo e alla graduale accettazione della critica, che non si è accontentata di far sentire la sua voce, ma ha insistito fino a imporsi come l’unico approccio accademicamente accettabile per lo studio della Scrittura. Gli esperti biblici (così come gli scrittori più popolari) erano ora liberi di interpretare un passo della Scrittura desacralizzandolo – cioè rifiutandolo come Parola di Dio scritta – e poi scomponendolo in pezzi separati. Alcuni pezzi vengono scartati e altri conservati, per poi essere ricostruiti per promuovere un significato diverso e riordinati secondo una diversa cronologia. E voilà! si ottiene una Scrittura accomodante, non minacciosa e anzi in linea con – lo spirito dell’Umanesimo!

Da qui l’abbondanza di Bibbie in stile moderno, ognuna progettata e difesa dai nuovi teologi, esperti del metodo, che lavorano a partire dalle loro particolari ideologie dogmatiche, filosofiche e politiche. Le Bibbie moderne attingono alla Bibbia antica, ma la decontestualizzano secondo la propria ideologia e poi la ricontestualizzano in modo che si adatti meglio all’ambiente umanista della modernità al quale sono adattate.

Ciò a cui assistiamo oggi è l’identificazione de facto della “parola cristiana” (sermoni, pubblicazioni, libri, dichiarazioni denominazionali, ecc.) con la “parola umanista” che è disseminata dai vari tipi di media praticamente ovunque nel mondo. Romani 12:1 viene forse reinterpretato? “Conformatevi a questo mondo presente, lasciate che le vostre menti siano trasformate da esso fino a non preoccuparsi più della volontà di Dio dei giorni passati, che non è né buona né accettabile né rilevante per questi tempi che cambiano!”.

 

LE OPERE DELLA DOTTRINA RIFORMATA

Anche all’interno del campo critico dobbiamo distinguere due gruppi. Da un lato ci sono coloro che si dichiarano razionalisti in tutto e per tutto, che si attengono al metodo critico, pienamente impegnati nei precetti sopra menzionati e quindi radicalmente opposti alla tradizione e alla fede cattolica. Dall’altra parte ci sono coloro che praticano il metodo critico in modo più moderato, ma che comunque (anche se non ne consegue logicamente) si sforzano di essere fedeli alla tradizione e alla fede. Per quanto strano possa essere, questi “pastori e insegnanti” professano la validità teorica e la necessità del metodo critico, anche se non sembrano farne un uso concreto nelle loro prediche, catechesi e ministero. (Tale incoerenza è sconcertante, ma dobbiamo ringraziare il Signore per questo!).

È compito degli apologeti criticare la critica biblica, avendo come destinatari i razionalisti che utilizzano il metodo critico. I teologi, invece – e penso in particolare a quegli studiosi che cercano di esaminare, esplorare e approfondire la conoscenza della Bibbia nelle sue lingue originali – dovrebbero stare attenti a non reagire alla critica biblica facendo in modo che siano i temi e i problemi di quest’ultima a dettare l’agenda, perché allora l’ideologia umanista, con la sua scissione kantiana tra ragione e fede, potrebbe ottenere una vittoria fin troppo facile. Allo stesso tempo, i teologi dovrebbero guardarsi dal ricorrere a posizioni antiscientifiche e oscurantiste, ignorando o mettendo da parte dati di fatto indiscutibili. Dopotutto, come diceva Lecerf: “I fatti sono il risultato delle parole di Dio, e questo perché nessun fatto può accadere al di fuori di lui”.

In altre parole, i teologi dovrebbero preoccuparsi meno dei critici che, chiusi nel loro a priori antiteistico, non li avrebbero comunque ascoltati, e piuttosto proseguire nella loro ricerca teologica che, se condotta in fedeltà alla Parola di Dio scritta, non solo si rivela indispensabile per il benessere del popolo di Dio, ma forse, involontariamente, riuscirebbe anche a rispondere ai critici stessi. Che lo facciano tenendo presente che solo la potenza della Parola e dello Spirito del Signore potrà fare breccia in loro e convertirli (1 Corinzi 12:3). La migliore apologetica non consiste forse nel sostenere e difendere sempre la verità, piuttosto che discutere con i nemici della fede insistendo costantemente sui loro errori, sulle loro incongruenze e sulle loro speculazioni?

I teologi dovrebbero concentrarsi d’andare al cuore di questi problemi, sul recuperare i veri temi fondamentali del pensiero e della vita rivelati nella Parola di Dio e metterli in pratica.

Da qualche tempo a questa parte – anche se in modo più evidente dagli anni Settanta – il pensiero della Riforma e il lavoro di ricostruzione cristiana hanno ricevuto un nuovo e decisivo impulso dal lavoro di studiosi, tutti dichiaratamente riformati (riformati o anglicani). Esperti di lingue antiche, esegeti, storici o operanti in altre discipline, il loro lavoro ha attinto alle filosofie e alle epistemologie esplicitamente cristiane dei loro predecessori, come Herman Dooyeweerd (1894-1977) nei Paesi Bassi, Hendrik Stoker (1899-1993) in Sudafrica e Cornelius Van Til (1895-1987) negli Stati Uniti. Dobbiamo anche menzionare l’importante lavoro di Kenneth Pike negli Stati Uniti sulla filosofia e la linguistica.

Questi uomini e le loro opere (disponibili nell’odierna lingua teologica internazionale: l’inglese) sono tutti profondamente radicati nella tradizione cattolica dei quattro dogmi fondamentali: Trinità, Incarnazione, Soteriologia e Scrittura. Per questo li ho definiti “riformati confessanti” e il loro pensiero “espressamente cristiano”.

Li ho anche definiti studiosi per la profondità, l’ampiezza e il rigore della loro ricerca e conoscenza. “Non possiamo combattere i Filistei di oggi con le mascelle”, amava dire Lecerf negli anni ’30, alludendo al libro dei Giudici (15:15-17)! E aveva ragione! È con l’erudizione e il rigore, andando alla radice di questi problemi, per fedeltà alla Parola di Dio scritta, che dobbiamo forzare l’antitesi, che dobbiamo condurre la lotta tra le due Città di cui parlano personaggi come Sant’Agostino, Calvino e Van Til:

  • la Gerusalemme di lassù, la Città di Dio fatto uomo per noi e per la nostra salvezza;
  • e la città di Babele, la Babilonia di quaggiù, la città dell’uomo fattosi dio, per la miseria e la morte di tutti.

*

Diverse opere degne di nota sono apparse nell’area vitale degli studi e della ricerca biblica, un’area troppo a lungo dominata dalla critica di ispirazione umanistica. Questi lavori hanno fatto avanzare diversi fronti della ricerca biblica, tra cui:

  • la rinnovata attenzione ai vari manoscritti giunti fino a noi (direttamente o indirettamente) che ci dà un maggior grado di fiducia nella qualità delle nostre traduzioni;
  • la luce che le scoperte archeologiche degli ultimi decenni dovrebbero gettare sulla nostra comprensione dei testi; cfr. Deuteronomio 7 e 1 Samuele 15;
  • la rinnovata attenzione alla datazione dei testi e dei libri, che ha permesso di riconoscere nuovamente la paternità mosaica della Torah, l’unità del Libro di Isaia, l’ordine cronologico dei Vangeli sinottici (Matteo, Marco, Luca), la datazione della composizione di tutti i libri del Nuovo Testamento prima del 70 d.C., ecc.
  • un più profondo riconoscimento del carattere progressivo della rivelazione scritturale, in modo che le differenze tra una fase e l’altra dei rapporti di Dio con il suo popolo non vengano scambiate per contraddizioni;
  • una maggiore attenzione alle diverse modalità di “ispirazione” divina, senza per questo sminuire la qualità dell’ispirazione della Scrittura;
  • mostrare l’unità dei diversi testi biblici attraverso la pratica dell’armonizzazione interpretativa, senza forzare un’armonia artificiale su di essi; e pur accettando che ci sono alcuni fenomeni della Scrittura che non possono essere risolti in questo momento, e quindi presentano delle difficoltà che, tuttavia, non devono essere ritenute in contraddizione con ciò che la Scrittura dice su di sé, cioè che è la Parola scritta di Dio;
  • la necessità di tenere conto dell’ambiente e del contesto degli autori e dei testi;
  • l’importanza che dobbiamo dare alle diverse forme letterarie della rivelazione biblica, forme che a volte sono piuttosto specifiche;
  • l’importanza del carattere proprio del simbolismo biblico; ecc.

L’agiografia (la scienza della Scrittura), che per troppo tempo ha trattato i testi biblici come testimonianze imperfette di uomini fallibili, sta vivendo un rinnovamento in cui torna ad affermare che questi testi sono sia la Parola di Dio sia testi umani che comunicano autenticamente questa Parola. Rinnovata in questo modo, l’agiografia può e deve svolgere un ruolo importante nella trasmissione da parte della Chiesa (e dei fedeli) della verità di cui è “colonna e sostegno” (1 Timoteo 3:15).

*

Così dice il Signore Dio:
“Le mie pecore si smarriscono … su tutta la distesa del paese, e non c’è nessuno che se ne prenda cura, nessuno che le cerchi! Perciò, o pastori, ascoltate la parola del Signore! Com’è vero che io vivo”, dice il Signore, Dio, “poiché le mie pecore sono abbandonate alla rapina e poiché le mie pecore, che sono senza pastore, servono di pasto a tutte le bestie dei campi, e i miei pastori non cercano le mie pecore, perché i pastori pascono sé stessi e non pascono le mie pecore…

Eccomi contro i pastori … io strapperò le mie pecore dalla loro bocca ed esse non serviranno più loro di pasto…

Infatti così dice il Signore, Dio: “Eccomi! Io stesso mi prenderò cura delle mie pecore e andrò in cerca di loro…

così io andrò in cerca delle mie pecore e le ricondurrò da tutti i luoghi dove sono state disperse in un giorno di nuvole e di tenebre…

Le porterò fuori…

Le pascerò lungo i ruscelli … in buoni pascoli …

Io cercherò la perduta, ricondurrò la smarrita, fascerò la ferita, rafforzerò la malata …

Conosceranno che io, il Signore, loro Dio, sono con loro, e che esse … sono il mio popolo.” (Ezechiele 34)

Ecco la dichiarazione regale di Gesù Cristo:

Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore. Il mercenario, che non è pastore al quale non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e si dà alla fuga (e il lupo le rapisce e le disperde) …

Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me…

Ma colui che entra per la porta è il pastore delle pecore. A lui apre il portinaio, e le pecore ascoltano la sua voce; ed egli chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori. Quando ha messo fuori tutte le pecore, va davanti a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. (Giovanni 10:11-14 e 3-4)

Note:

1 L’Umanesimo, il soggetto degli evi successivi, può essere definito come la religione dell’Uomo che si fa divino, dell’Uomo misura di tutte le cose, dell’uomo che colloca la Ragione, la propria ragione al di sopra di tutto.

2 Per un eccellente approccio introduttivo al soggetto, vedi: Those Terrible Middle Ages: Debunking the Miths, di Régine Pernoud (pubblicato originariamente in francese col titolo Pour en fionir avec le Moyen Age, e poi in inglese nel 2000 da Ignatius Press). Leggi anche Saint Louis, di Jacques le Goff (pubblicato originariamente in francese con lo stesso titolo nel 1996, e poi in inglese nel 2009 dalla University of Notre Dame Press).

3 Otto Scott: The Great Christian Revolution (Vallecito. CA: Ross House Books, 1991).

4 Questa affermata opera di letteratura francese cui fa riferimento Courthial è disponibile in inglese col titolo The Gods Will Have Blood (Trad. di Frederick Davies, Penguin Classic, 1980).

5 Nicene and Post-Nicene Fathers, vol. 4 “St. Athanasius: Select Works and Letters”; (Edinburgh: T&T Clark, ristampa 1991) 66, 41, 56, 62, 61.

6 Zoroastro o Zaratustra (VII a.C.) un carattere più o meno leggendario, si pensa abbia fondato il Mazdaismo (dal nome del dio Ahura Mazda e/o da Mazda, antica parola persiana per “saggio”). Lo Zoroastrianismo o Mazdismo è essenzialmente dualismo che insegna l’irriducibile opposizione tra il Bene e il Male, tra Luce e Tenebre, tra Materia e Spirito.

7 Gli Gnostici hanno sempre aggiunto le loro speculazioni alla rivelazione di Cristo, speculazioni che a volte modificavano altre contrastavano la Scrittura. Consideravano la loro gnosi (ovvero la loro “speciale conoscenza”) superiore a quella del cristiano ordinario in quanto era esoterica, conosciuta solo dagli iniziati, mentre le persone comuni conoscevano solo le cose ordinarie ed “essoteriche”. I Nicolaiti menzionati da san Giovanni (Apocalisse 2:6, 15) potrebbero essere stati i primi cristiani gnostici.

8 Per questo paragrafo e per quello che segue, ho attinto dall’opera del filosofo riformato olandese Herman Dooyeweerd (1894-1977): Roots of western Culture (Toronto, Canada, 1977), 114-117; quanto dall’opera dell’americano Rousas John Rushdoony: The One and the Many (1971), 185-229).

9 Per una prospettiva diversa da quella che sto presentando, si può consultare il libro del mio amico cattolico romano Daniel Bourgeois de La fraternité des Moines apostoliques d’Aix-en-Provence, intitolato La sagesse des anciens dans le mystère du Verbe [“La saggezza degli anziani nei misteri del mondo”] (Parigi: Téqui, 1981).

10 Boezio: La consolazione della filosofia, primo libro.

11 Cfr. Joseph C. McLelland: The Visible Words of God (Grand Rapids, 1997),

un’esposizione della teologia sacramentale di Vermigli.

12 Cfr. Il magistrale resoconto di Etienne Gilson ne The Spirit of Mediaeval Philosophy (University of Notre Dame Press, 1991) e Father Sertillanges, O.P., in Le christianisme et les philosophes La cristianità e i filosofi), vol. 1 (Paris: Aubier éd., 193999, 244 – 354.

13 Si considerino le prime parole del memoriale di Pascal: “Dio d’Abrahamo, Dio d’Isacco, Dio di Giacobbe, non dei filosofi o dei sapienti!”

14 Ciò non significa che Lutero ed Erasmo fossero agli antipodi in ogni questione, Lutero ha infatti attinto da alcune delle opere di Erasmo, in particolare dalla sua edizione del Nuovo Testamento Greco (1516).

15 Nell’introduzione alla loro traduzione di The Bondage of the Will (De servo arbitrio), Johnston e Paker scivono: “Il De servo arbitrio è il pezzo di teologia più grande che sia uscito dalla penna di Lutero. Era questa la sua opinione. Scrivendo a Capito il 9 luglio, 1537, con riferimento al suggerimento di un’edizione completa delle sue opere, affermò severamente che nessuna di esse meritava di essere preservata fatta eccezione per il Piccolo Catechismo e il De servo arbitrio perché solo questi, nei loro diversi dipartimenti, erano ‘giusti’ (justum)” (40).

16 Herman Doloyeweerd: The Roots of Western Culture: pagan, Secular, Christian Options (Toronto: Wedge Publishing Foundation, 1979), 150. N.d.t.: In linea con Dooyeweerd, Johnston e Paker scrivono di Erasmo: “ I suoi ideali per la riforma erano basati su un cristianesimo non-dogmatico, un cristianesimo eviscerato precisamente perché era un cristianesimo senza Cristo al livello più profondo. L’epigramma è irresistibile — Erasmo era astuto ma superficiale, un freddo calcolatore piuttosto che un uomo di ardenti convinzioni. Non avrebbe mai potuto ergersi contra mundum” (op. cit.. , 19).

17 Luther and Erasmus: Free Will and Salvation, trad. ed ed. E. Gordon Rupp and Philip Signore Watson: “Library of Christian Classic” (Philadelphia: Westminster Press, 1969), 47. Tutte le citazioni che seguono sono tratte da questa edizione; tutte le enfasi sono mie.

18 Luther and Erasmus, 38.

19 R. J. Rushdoony: The One and the Many, 248 ss. 20 Luther and Erasmus, 161-162.

21 Ibid., 110-111.

22 Ibid., 114.

23 Ibid., 116.

24 Ibid., 117.

25 Ibid., 118-119. N.d.t. Anche la traduzione di Paker e Johnson merita di essere trascritta: “È dunque fondamentalmente necessario e salutare che il cristiano sappia che Dio non pre-conosce nulla in modo contingente ma che prevede, decide e fa tutte le cose secondo la sua immutabile, eterna e infallibile volontà. Questa bomba stende il “libero arbitrio” e lo distrugge completamente … Supponete che non voglia ciò che prevede e che non preveda ciò che vuole? Se vuole ciò che prevede, la sua volontà è eterna e immutabile perché la sua natura è così”. (Luther: The Bondage of the Will, trad. di J.I. Paker e O.R. Johnson, 80).

26 Luther and Erasmus, 122. 27 Ibid., 135.

28 Ibid., 137.

29 Ibid., 137-138.

30 Ibid., 138.

31 The Bondage of the Will, trad. J.I. Paker e O.R. Johnson, 105

32 Ibid., 117.

33 Luther and Erasmus, 327-328.

34 Immanuel Kant: Critica della ragion pura, prefazione alla prima edizione (1781), A, xi.

35 Cfr. Dooyeweerd, op. cit., 152-153.

36 Gary North: Tools of Dominion (Tyler, TX: Institute for Christian Economics, 1990), 1064. North sostiene con vigore che il Deismo britannico ancor più del razionalismo tedesco, sia alla radice della critica letteraria e del metodo storico-critico. Cita uno degli eredi spirituali: Edgar Krenz, dalla sua opera: The Hisporical Critical Method (Philadelphia; Fortress Press, 1975): “L’Illuminismo razionalista radicalizzò la rivendicazione della ragione e della storia; come risultato collocò le rivendicazioni della religione fuori dal reame della ragione. In questa divisione la teologia ortodossa perse le proprie radici nella storia. La spaccatura tra la ragione e la storia trionfò tra gli eruditi — inclusi i teologi — e rimosse la basi dell’epistemologia dell’ortodossia. … [Durante questo periodo la chiesa dogmatica esibì un] timore del cambiamento, timore di perdere le basi per la certezza della fede, e timore di porre domande nell’area dell’autorità … I deisti del XVIII secolo trattarono la bibbia con libertà quando ai loro occhi non si accordava con la ragione. Per esempio, argomentarono che Isaia fosse composito, i vangeli contraddittori e gli apostoli spesso inaffidabili” (North: op. cit., 1064-1065). Ciò che questi deisti trovavano veramente insostenibile fu che questa Torah, questa Legge di Mosè, questa fondamentale Legge di Dio, potesse ingombrare il passo della civilizzazione umanistica che desideravano veder avanzare, una civilizzazione fondata non sulla Parola di Dio, ma sulla legge naturale.

37 Con anti-teistico (o anti-teista) intendiamo qualsiasi cosa o chiunque si opponga al Dio della rivelazione biblica, il vero Dio e salvatore di Abrahamo, Isacco e Giacobbe … e di Gesù Cristo.

38 N.d.t.: Per un esempio di questo assalto alla baionetta all’Umanesimo, vedi il Padre ortodosso serbo del XX secolo Justin Popovich: L’Homme et le Dieu-homme (“L’uomo e l’uomo-dio”) che Couthial lesse con grande apprezzamento. Popovich non concede nulla alla ragione che operi senza Cristo. Egli dichiara: “In verità, la vita della mente è inferno, a meno che, cioè, sia trasformata dalla mente di Cristo. Senza Dio-la-Parola, il pensiero umano si trova continuamente nella demenza, nel delirio, in una soddisfazione di sé folle e satanica, in qiuesta attività satanica che è pensata per amore del pensare, analoga all’ ‘arte per amore dell’arte’ … Quando non è unita con Dio la parola, l’anima si ritrova fuori da se stessa, si trova in eterna demenza, eternamente vagabonda da peccato e peccato, da passione a passione, da calamità a calamità” (L’homme et le Dieu- homme, tradotto dal Serbo da Jean Louis Palierne [Lausanne: L’Age d’Homme, 1989] 53, 54: traduzione mia dal Francese all’Inglese).

39 Institutio theologiae elenticae, locus II, questio 4.La prima edizione di Théopneustie fu pubblicata nel 1830. Gaussen, un minostro della Chiesa nazionale di Ginevra, fu allontanato da le Conseil d’État il 30 novembre, 1831. Un capo del Revival, fu accusato di essere troppo dogmatico, di essere letteralista e di sostenere l’ “ispirazione meccanica” (accuse portate anche contro César malan e henry Merle d’AubignÉ, tra gli altri). È vero che la Venerabile Compagnia dei pstori aveva adottato, il 3 maggio, 1817, una mozione che proibiva che fosse mai menzionata la divinità di Gesù Cristo, del peccato originale, di grazia e predestinazione nei loro sermoni! Gaussen aprì il Tempio dell’Orazione a Ginevra il 9 febbraio, 1834, e insegnò nella Scuola di Teologia, fondata nella stessa città nel 1830 da amici del Risveglio.

40 Louis Gaussen: Theopneustia: The Bible: Its Divine Origin and Inspiration, trad. David W. Scott (Cincinnati: Hitchcock & Walden, 1867), 324.

41 Calvino: Istituzione, IV. I8. 9.

42 Gaussen: Theopneustia, 38.

43 Ibid., 41.

44 Ibid., 43.

45 Ibid., 54.

46 Ibid., 57.

47 Richiamando il significato etimologico di “teologo” vediamo che parlare di “teologi critici” è un ossimoro come parlare di un “silenzio eloquente” o di un “oscura chiarezza”!

48 Per questa sezione ho fatto particolare uso delle seguenti opere: Gerhard Maier: Das Ende Der historish-kritishen Methode (“La fine del metodo storico critico”), Wuppertal, 1974; Gerhard Maier: Biblishe Hermeneutik (“Ermeneutica biblica”) (Wuppertal und Zürich, 1990); Moisés Silva: has the Church Misread the Bible? (Grand Rapids: 1987); Gary North: Tools of Dominion, Appendix C (Tyler, TX: ICE, 1990); Theodore P. Letis: “The language of Biblical Authority”, Christianity and Society 5, n° 3 (luglio, 1995).

49 Cfr. Moisés Silva, op. cit, 43.
50 North: Tools of Dominion, 1064.

51 Queste quettro fonti sono chiamate Jahvista (o Yahwista, da Yahweh), Eloista (da Elohim), Deuteronomica e Sacerdotale: J-E-D-P, definita dalla scuola tedesca di Graf- Keunen-Wellhausen e compagnia, poi portata avanti dai loro epigoni ed imitatori inglesi ed altri, sin da William Robertson Smith (The Old testament in the Jewish Church, 1881). Tutte queste fonti sono ipotetiche e sono rigettate sempre più da eminenti esegeti.

52 Queste due fonti ipotetiche – anch’esse sempre più rigettate da eminenti esegeti, sono un vangelo primitivo di Marco e il Q (“Q” sta per Quelle, o fonte in tedesco, facendo riferimento ad un ipotetico documento contenente i detti e le parabole di Gesù).

53 The Historical Critical Method (Philadelphia: 1975); citato da North: Tools of Dominion, 1070 n. 22.


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