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IL PERIODO APOSTOLICO:

30-70 d.C.

DA PASQUA A PENTECOSTE

 

Dall’umiliazione alla glorificazione

Per un certo tempo, Cristo, con la sua incarnazione, si è astenuto dal manifestare e dall’avvalersi della gloria che gli apparteneva nella sua divinità.  Per compiere tutto ciò che era necessario per la salvezza del suo popolo, assunse la condizione di uomo e si sottomise alla Legge. Questo umiliarsi e sottomettersi alla Legge fu il frutto di una decisione d’amore trinitario. I teologi lo definiscono umiliazione del suo stato – o, come dice Paolo, “svuotamento” o “spogliamento” (Filippesi 2:7) di sé stesso. Tuttavia, con la risurrezione, il nostro Signore passa all’esaltazione del suo status, la sua glorificazione.

La risurrezione

Per un certo periodo, il corpo e l’anima di Cristo rimasero separati. Ma, con la sua risurrezione, la morte è sconfitta; i credenti, ora uniti a Lui, possono risorgere a nuova vita, trovando nella sua risurrezione una garanzia della loro propria risurrezione dei corpi (Romani 8:11; 1 Corinzi 15:17, 54; Colossesi 3:1-5; 1 Pietro 1:3, 21).

I cinquanta giorni

Dalla Pasqua all’Ascensione ci furono quaranta giorni, e dall’Ascensione alla Pentecoste – quando venne lo Spirito Santo, la Gerusalemme celeste discese, e iniziò il Regno di Dio sulla terra – ci furono altri dieci giorni. In tutto, tra la Pasqua e la Pentecoste, ci furono cinquanta giorni. Fu un tempo molto particolare e assai misterioso.

I quaranta giorni

Cristo passò dalla morte alla vita in un atto che fu più di una semplice risurrezione o rinascita, più di una semplice ripresa della vita. Con la sua risurrezione, aveva preso possesso di una vita trasfigurata, glorificata e immortale. Eppure, ciò che rende i quaranta giorni dalla Pasqua all’Ascensione così misteriosi è che, per quanto risorto, non aveva lasciato questo mondo.
L’identità individuale dell’umanità di Cristo rimaneva, ma in una condizione, uno status, di glorificazione. La tomba era vuota, tranne che per le vesti di lino e il lenzuolo per il volto che giacevano dove era giaciuto il corpo (Giovanni 20:3-8).
Nel corso dei quaranta giorni misteriosi, il Cristo risorto appare molte volte come se fosse ancora sulla terra. Non è più legato alle leggi fisiche. È lì e allo stesso tempo non lo è. Sono stati quaranta giorni straordinari, incredibili, durante i quali Gesù poteva essere visto, sentito e toccato in un momento, mentre ciò avveniva completamente al di là della percezione umana in quello successivo.  È ancora in questo mondo eppure è già altrove. Cristo, già innalzato al Padre, non è ancora asceso a Lui.
In questo modo e durante questo tempo, è in grado di rafforzare la fede in Dio del suo popolo di modo di porre la sua risurrezione al di là del dubbio. Mostra loro le sue ferite ed essi toccano le sue mani e i suoi piedi. Mangia con loro (Luca 24:13-49), parla con loro (Giovanni 21), dà loro degli ordini e li raduna su un monte in Galilea (Matteo 28:1-10; 16 e seg.) Spiega loro le Scritture e, dopo aver viaggiato con loro, dà loro il pane della comunione.
Si mostra, risorto, a Maria Maddalena al sepolcro. Si mostra ai discepoli, sia a Gerusalemme, dove si riunivano a porte chiuse, sia qualche tempo dopo sulle rive del mare di Tiberiade mentre pescavano (Giovanni da 20:11 a 21:23). E anche se non ci viene detto dove, sappiamo che si mostrò a più di cinquecento fratelli in tutto (1 Corinzi 15:6).

L’ascensione

Dopo essere apparso nel corso dei quaranta giorni ai discepoli, parlando loro delle cose del Regno di Dio – come furono lenti a capire che non era da confondere con il regno di Israele! – Gesù ascese al cielo (Atti 1:3-11):

Così è della mia parola, uscita dalla mia bocca:
essa non torna a me a vuoto,
senza aver compiuto ciò che io voglio
e condotto a buon fine ciò per cui l’ho mandata. (Isaia 55:11)

Questo cielo è simboleggiato dal cielo sopra le nostre teste. Ascendendo visibilmente davanti agli occhi dei discepoli finché una nuvola lo accolse e lo sottrasse agli sguardi, Gesù mostrò loro che stava lasciando questo mondo per entrare nella “luce inaccessibile, che nessun uomo ha visto né può vedere”, nascosta alla vista “fino all’apparizione (epifania) del nostro Signore Gesù Cristo, la quale sarà a suo tempo manifestata dal beato e unico sovrano, il Re dei re e Signore dei signori” (1 Timoteo 6:14-16).

I dieci giorni

Il mistero non finisce qui. Seguono dieci giorni durante i quali Gesù, salito al cielo e sul trono alla destra del Padre suo, prega il Padre di mandare ai suoi un altro Paracleto, cioè lo Spirito Santo (Giovanni 14:16).
La parola greca paraklètos significa colui che è chiamato accanto, un avvocato, un sostegno, un consolatore, un consigliere, una guida e un compagno. Il Paracleto, “lo Spirito di verità”, guiderà la cerchia apostolica in tutta la verità, parlando loro di tutte le cose che riceve dal Figlio, in cielo, e dicendo loro delle cose a venire. Egli glorificherà il Figlio sulla terra, prendendo ciò che è suo e dichiarandolo a loro. Gesù Cristo, avendo ancora molto da dire ai suoi discepoli, parlerà loro per mezzo del Paracleto che manderà. Dal momento che Cristo sarà glorificato, avendo ricevuto ogni potere dal Padre, che se ne vada sarà a loro vantaggio – “perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma se me ne vado, io ve lo manderò” (Giovanni 16:7-15).
Durante questi stessi dieci giorni, gli apostoli, seguendo il comando del loro Maestro, ritornano a Gerusalemme, nella sala di sopra dove Gesù ha istituito la cena del Signore, dove, insieme “con le donne e con Maria, madre di Gesù, e con i fratelli di lui”, aspettano lo Spirito Santo promesso (Atti 1:12-14).

Pentecoste

Quella che a volte viene chiamata la “Pentecoste di Cristo” avvenne all’inizio del ministero pubblico del nostro Signore, quando lo Spirito Santo discese su di Lui in forma di colomba al suo battesimo. Il giorno di Pentecoste, cinquanta giorni dopo la Pasqua, vide lo Spirito Santo scendere sulla Chiesa e sul mondo. Secondo l’antica amministrazione del Patto di Grazia, sotto varie forme da Adamo a Giovanni Battista, c’erano solo doni e azioni dello Spirito Santo. Con la Pentecoste della Chiesa, con la nuova amministrazione del Patto di Grazia, questi doni e azioni rimangono (e più abbondantemente, come attesta il Nuovo Testamento, a partire dagli Atti). Inoltre, con questa nuova era del Patto di Grazia, lo stesso Spirito Santo è personalmente presente, proprio come Gesù ha promesso che un altro Paracleto verrà, scenderà e rimarrà eternamente nel mondo con i discepoli di Cristo (Giovanni 14:16). Questo Paracleto sarà addirittura in loro (Giovanni 14:17) e pregherà con e in loro “con sospiri ineffabili” (Romani 8:26). In effetti, questa presenza personale dello Spirito Santo disceso è diversa da quella del Figlio incarnato durante la sua vita, in quanto lo Spirito non è visibile, anche se a volte si manifesta visibilmente nei suoi doni e azioni. Ma la sua presenza è ora così intima, così personale, che prende dimora nei cuori dei fedeli. Con Lui nei loro cuori, essi possono provare un inizio di obbedienza alla sua Parola-Legge, provare l’unità d’amore che esiste anche tra il Padre e il Figlio e loro (Giovanni 14:20-21). “Ma voi mi vedrete, perché io vivo, e voi vivrete” (Giovanni 14:19).
In verità, Cristo è intimamente con e dentro il suo popolo per mezzo dello Spirito. Infatti, possiamo persino parlare dello Spirito Santo come “l’altro sé” di Cristo, poiché il Figlio e lo Spirito del Padre, sebbene distinti, sono, insieme al Padre, uno. Poiché era necessario che Gesù salisse al Padre prima di poter inviare lo Spirito, vediamo che Gesù poté dire ai suoi discepoli: “Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente” (della nuova era, del nuovo inizio). Egli è con loro; sarà con loro, nello Spirito Santo, il suo altro sé. Questa presenza e opera dello Spirito Santo, lo Spirito di Cristo, è il principio della fede e della santificazione per grazia nella vita dei fedeli.

I PRIMI GIORNI DELLA CHIESA APOSTOLICA

La Chiesa apostolica sperimenterà una rapida crescita a partire dalla Pentecoste nel 30 d.C.
Per Chiesa apostolica intendiamo, molto semplicemente, la Chiesa al tempo degli apostoli – dal 30 al 70 d.C. Questa è la Chiesa sorta sulle prime pietre della “dimora a Dio per mezzo dello Spirito”, della Chiesa edificata “sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare” (Efesini 2:20-22).
Insieme agli apostoli, questo fondamento è composto dai profeti – senza dubbio quelli che avevano ricevuto “la comunicazione dello Spirito Santo” in modo miracoloso. Nella Chiesa apostolica, gli apostoli, in conformità con l’autorità spirituale ricevuta dal Signore (Giovanni 14:26; 15:16, 26; 16:12-14; 17:6-19), erano capaci sia di verificare che di autenticare la profezia incorporandola, quando lo ritenevano necessario, nel loro insegnamento. Potevano anche includere questa profezia quando mettevano per iscritto il loro insegnamento, sia che questo fosse fatto dagli stessi apostoli o dai loro fedeli compagni. Questo è ciò che abbiamo nei Vangeli, negli Atti, nelle Epistole e nell’Apocalisse.
Dio stesso rese conto della testimonianza e dell’insegnamento della cerchia apostolica “con segni e prodigi, con opere potenti di ogni genere e con doni dello Spirito Santo” (Ebrei 2:4; cfr. Atti 2:43).

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Agli inizi della sua esistenza, la stragrande maggioranza della Chiesa era giudaica. La primissima chiesa – la chiesa madre di Gerusalemme – era addirittura esclusivamente giudaica. Il giorno di Pentecoste, tutti i 3.000 battezzati erano ebrei, sia quelli che vivevano a Gerusalemme o nella terra d’Israele, sia quelli che erano “di ogni nazione che è sotto il cielo”. Gli apostoli, “riempiti di Spirito Santo” parlavano “come lo Spirito dava loro di esprimersi” e, miracolosamente, tutti i presenti udirono il messaggio degli apostoli “nella propria lingua” (Atti 2:4-11).
In quel giorno la profezia di Gioele cominciò a realizzarsi, come Pietro rese noto:

Avverrà negli ultimi giorni, dice Dio,
che io spanderò il mio Spirito sopra ogni persona;
i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno,
i vostri giovani avranno delle visioni,
e i vostri vecchi sogneranno dei sogni.
Anche sui miei servi e sulle mie serve,
in quei giorni, spanderò il mio Spirito
e profetizzeranno.
Farò prodigi su nel cielo
e segni giù sulla terra,
sangue e fuoco, e vapore di fumo.
Il sole sarà mutato in tenebre e la luna in sangue,
prima che venga il grande e glorioso giorno del SIGNORE.
E avverrà
che chiunque avrà invocato il nome del SIGNORE
sarà salvato. (Atti 2:17-21; cfr. Gioele 2:28-32)

Senza dubbio Pietro comprese che “gli ultimi giorni” di Gioele non si riferivano a un tempo futuro, bensì al suo tempo presente. Sebbene ci siano alcune rare occasioni nel Nuovo Testamento in cui “l’ultimo giorno” si riferisce al giorno della risurrezione e del giudizio finale (Giovanni 6:39; 11:24), molto più spesso “l’ultimo giorno[i]”, “gli ultimi tempi”, “ultimo tempo”, o persino “l’ultima ora” si riferiscono ai tempi apostolici dal 30 al 70 d.C. Prendiamo un un momento per considerare i seguenti testi:

“Gli ultimi tempi”

“Ma lo Spirito dice esplicitamente che nei tempi futuri alcuni apostateranno dalla fede (tempo futuro), dando retta a spiriti seduttori…” Poiché la profezia stava trovando il suo compimento al tempo della scrittura di Paolo, Paolo si riferisce a un tempo presente “Ordinando di non contrar matrimonio” (1 Timoteo 4:1-3).

Ma voi, carissimi, ricordatevi di ciò che gli apostoli del Signore nostro Gesù Cristo hanno predetto, quando vi dicevano: “negli ultimi tempi vi saranno schernitori…Essi sono quelli che provocano le divisioni, gente sensuale, che non ha lo Spirito”. (Giuda 17-19)

“Gli ultimi giorni”

Citando il profeta Gioele, l’autore degli Atti scrive: “’Avverrà negli ultimi giorni’, dice Dio, ‘che io spanderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno’”. Ma il verso precedente allude agli eventi che stavano accadendo in quel momento nel giorno di Pentecoste, specificando che “questo è quanto fu annunciato per mezzo del profeta Gioele” (Atti 2:16-17).
“Or sappi questo: negli ultimi giorni verranno tempi difficili; perché gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro…”. Paolo aggiunge che “nel numero di costoro ci sono quelli che si insinuano nelle case…” (2 Timoteo 3:1-9).

Dio…in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio. (Ebrei 1:2)

In un’osservazione fatta ai ricchi, Giacomo dice: “Avete accumulato tesori negli ultimi giorni” (Giacomo 5:3).

“L’ultima ora”

Ragazzi, è l’ultima ora…già ora sono sorti molti anticristi. Da ciò conosciamo che è l’ultima ora (1 Giovanni 2:18).

Uno sguardo attento a questi testi mostra che i riferimenti erano a tempi, eventi e persone che erano presenti nella generazione degli apostoli (parleremo brevemente del “giorno del Signore”).
I riferimenti del profeta Gioele a “sangue e fuoco, e vapore di fumo”, con il sole mutato in tenebre e la luna in sangue, con “prodigi su nel cielo e segni giù sulla terra” parlano insieme di un grande giorno di giudizio su Israele, un giudizio dal quale solo coloro che invocavano il nome del Signore sarebbero scampati. Come vedremo, la generazione apostolica – gli ultimi tempi – culmina con un grande giudizio su Gerusalemme nel 70 d.C. che adempie la profezia di Gioele.
Il dono miracoloso di parlare in lingue straniere fu inaugurato il giorno di Pentecoste e continuò durante i tempi apostolici, cioè gli ultimi tempi. Questo dono, secondo Paolo, era l’adempimento della profezia di Isaia contro l’Israele che avrebbe rigettato Cristo, “la pietra angolare”. Isaia guarda ad un tempo “quando l’inondante flagello passerà, voi sarete da esso calpestati” (28:18). È un tempo in cui, “per mezzo di persone che parlano altre lingue e per mezzo di labbra straniere” il Signore “parlerà a questo popolo” (1 Corinzi 14:21; citando Isaia 28:11). “E neppure così mi ascolteranno. La parola del Signore è stata per loro precetto dopo precetto … regola dopo regola … un poco qui, un poco là, affinché essi andassero a cadere a rovescio, fossero fiaccati, colti al laccio e presi! Ascoltate dunque la parola del Signore, o schernitori, che dominate questo popolo di Gerusalemme” (Isaia 28:12-14; cfr. Matteo 21:42-44 e 1 Pietro 2:6-8).
I Giudei rimangono una priorità per la Chiesa apostolica, anche se il ministero di Paolo comincia a conquistare molti convertiti dalle nazioni (gli “incirconcisi”). Dopo tutto, i Giudei (i “circoncisi”) erano “i figli del patto”. Inoltre, l’estensione della diaspora ebraica – sia geograficamente che numericamente – era considerevole. Nell’Impero Romano, lungo le rive del Mediterraneo, erano sparsi più di un milione di Ebrei. 
La predicazione e l’insegnamento della Chiesa apostolica erano basati sulla Bibbia ebraica intesa alla luce del Vangelo di Gesù e degli apostoli, il Vangelo riguardante la persona e l’opera del Messia Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. E così i “figli del patto” erano chiamati alla conversione in via prioritaria (Atti 3:12-26).
I primi cristiani di Gerusalemme erano ebrei battezzati che, mentre spezzavano il pane della vita nelle loro case, continuavano anche “ogni giorno” a frequentare insieme il Tempio (Atti 2:42-46). Tra loro c’erano anche molti sacerdoti che svolgevano il loro servizio al Tempio (Atti 6:7). I cristiani di origine ebraica credevano che finché il Tempio era ancora in piedi e il suo servizio ancora attivo, la legge cerimoniale ne riattivava l’autorità. Tenendo presente questo, possiamo capire perché Paolo, anche dopo che il Concilio di Gerusalemme del 49 d.C. dichiarò che la circoncisione non era richiesta ai cristiani gentili, decise di circoncidere lui stesso il suo discepolo Timoteo – Timoteo era “figlio di una donna ebrea credente, ma di padre greco” (Atti 16:1 e seg.). Nella sua seconda lettera ai Tessalonicesi, scritta intorno al 50 d.C., Paolo non esita a parlare del Tempio di Gerusalemme come del “tempio di Dio” (2 Tessalonicesi 2:4). Poco prima del suo arresto a Gerusalemme nel 57 d.C., Paolo, che continuava ad osservare le feste del Tempio, fece il voto di nazireato (Atti 18:18; 21:15-26). I nazirei (dal verbo ebraico nazar, che significa “mettere da parte”, “consacrare”) erano ebrei che si dedicavano a Dio; i nazirei guardavano a Numeri 6 come una sorta di statuto e così, con l’era antica non ancora finita, e la nuova era già in corso, ci fu, per un certo tempo, una sovrapposizione tra le due.

LA MISSIONE DELLA CHIESA APOSTOLICA

Israele + le nazioni = la Chiesa

L’antica amministrazione del patto aveva preparato ed era costituita dal popolo speciale, Israele, posto in mezzo alle nazioni. La vita al di fuori di Israele, e anche la vita all’interno di Israele quando si allontanava dal Dio del patto e dalla sua Parola, era più o meno avvolta nelle tenebre: “Essi non conoscono né comprendono nulla; camminano nelle tenebre; tutte le fondamenta della terra sono smosse … Sorgi, o Dio, giudica la terra, poiché tutte le nazioni ti appartengono” (Salmi 82:5, 8).
Il patto ebbe certamente in prospettiva le nazioni. Uno degli scopi di Israele era quello di crescere nella fedeltà a Dio in modo da essere un modello per ogni nazione riguardo alla fedeltà collettiva (Deuteronomio 4:5-8). Inoltre, Israele era chiamato ad attrarre e raccogliere molti dalle nazioni nella propria vita e nei propri confini in espansione (Esodo 34:22-24), e quindi gli fu comandato di essere aperto alle nazioni che avvicinava o a quelle che venivano da lui. A questo scopo, e contrariamente a ciò che era accettato in ogni altra parte del mondo, non ci doveva essere una legge per gli Israeliti e un’altra per gli stranieri in mezzo a loro, ma una sola e unica legge per entrambi (Esodo 12:49).
È significativo a questo proposito che la festa dei Tabernacoli (cioè delle tende o delle capanne), che era anche la festa della Raccolta (Esodo 23:16), annunciasse la conversione delle nazioni alla vera fede. A lungo trascurata fino a quando fu ripresa dai rimpatriati dall’esilio babilonese, questa festa trovò il suo vero significato nella predicazione dei profeti successivi. Aggeo annunciò: “farò tremare tutte le nazioni, le cose più preziose di tutte le nazioni affluiranno e io riempirò di gloria questa casa” (Aggeo 2:7). Allo stesso modo Zaccaria profetizzò: “Tutti quelli che saranno rimasti di tutte le nazioni venute contro Gerusalemme saliranno di anno in anno a prostrarsi davanti al Re, al Signore degli eserciti, e a celebrare la festa delle Capanne” (Zaccaria 14:16).
Nella sua descrizione dettagliata di come la festa dei Tabernacoli (o della Raccolta) doveva essere celebrata (Numeri 29:12-38), la Torah comanda che settanta tori siano sacrificati, il che serve sia come un commemorazione delle settanta nazioni provenienti da Noè sia come una promessa della raccolta delle settanta nazioni nel Regno di Dio.
Le prime prefigurazioni di questa raccolta delle nazioni si possono trovare nell’influenza del patriarca Giuseppe, luce di Dio in Egitto, l’influenza del profeta Giona, attraverso il quale i Niniviti riconobbero Dio, e l’influenza dello statista e profeta Daniele, la cui testimonianza portò Nebukadnetsar e Dario a glorificare Dio. Quando la regina di Saba venne a Gerusalemme per visitare il re Salomone, non benedisse forse il SIGNORE (1 Re 10:1-13)?
Ma ora la storia del Patto di Grazia entrerà nei “tempi delle nazioni” (Luca 21:24). Ora Dio sta per aprire “la porta della fede agli stranieri” (Atti 14:27). Ora “tutte le nazioni verranno e adoreranno davanti a te, perché i tuoi giudizi sono stati manifestati” (Apocalisse 15:4), arrivando alla città di Dio, dove “le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra vi porteranno la loro gloria” (Apocalisse 21:24; Isaia 60:3). “Egli [Dio], nelle generazioni passate, ha lasciato che ogni popolo seguisse la propria via”, dichiarò Paolo, “senza però lasciare sé stesso privo di testimonianza, facendo del bene, mandandovi dal cielo pioggia e stagioni fruttifere e saziando i vostri cuori di cibo e di letizia” (Atti 14:16-17). Delle stesse nazioni Paolo dice più tardi: “Egli ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra […] Dio, dunque, passando sopra i tempi dell’ignoranza, ora comanda agli uomini che tutti, in ogni luogo, si ravvedano” (Atti 17:26, 30).

Il mandato missionario

Il Signore diede il grande mandato ai suoi undici discepoli su una montagna in Galilea poco prima della sua ascensione. Anche se fu solo dopo la Pentecoste e la venuta dello Spirito Santo che la Chiesa nascente poté comprendere pienamente la propria vocazione, il comando di Cristo, il grande mandato, era  però semplice e succinto:

UNA DICHIARAZIONE:

Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra.”

UN COMANDAMENTO

“Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate.”

UNA PROMESSA

“Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente.” (Matteo 28:18-20)

Il “Figlio di Dio-Figlio dell’uomo”, Gesù Cristo, che presto prenderà il suo posto alla destra del Padre e riceverà ogni autorità in cielo e in terra dal Dio trino, dà alla sua Chiesa, qui rappresentata dagli undici, un grande mandato. Come vedremo, questo mandato missionario comprende ed espande il mandato culturale dato all’umanità agli albori della storia. La portata di questo mandato è sottolineata dal quadruplice uso della parola “tutti[e]” [1] – due volte in relazione al comandamento – che contrassegna le sue tre parti.
Il comandamento è imperniato sulla dichiarazione, da cui il “dunque” (oûn in greco) – omesso in alcune traduzioni. È perché Cristo ha ricevuto – e possiede – tutta l’autorità che incarica la sua Chiesa di andare a tutte le nazioni. Proprio perché l’autorità di Cristo è con, dietro e sopra la sua missione la Chiesa, ambasciatrice del suo potente Signore, può andare.
Mentre viveva sulla terra, Gesù andava solo “alle pecore perdute della casa d’Israele” (Matteo 15:24). Solo occasionalmente gli altri ricevettero “le briciole che cadono dalla tavola”, per usare l’umile e ammirevole espressione della donna cananea di cui Gesù accolse la petizione e la cui fede lodò come grande. In questa stessa ottica, mandò i suoi discepoli solo in Israele (Matteo 10:5-6; 15:24).
Ma d’ora in avanti, senza dimenticare i figli e le figlie d’Israele, Cristo rivolge sé stesso e la sua Chiesa verso le nazioni (ethnê in greco).
Nel dare alla Chiesa una missione verso le nazioni, Gesù non diminuisce l’importanza dell’individuo. L’offerta del Vangelo deve essere sinceramente estesa alle singole persone in ogni tempo e luogo. Dopo tutto, è in gioco la salvezza degli esseri umani, chiamati a pentirsi e a credere. Ma è in gioco anche la salvezza, il benessere e la pace delle nazioni, cioè delle società come Dio le vorrebbe. Il Figlio di Dio deve “reggere tutte le nazioni” (Apocalisse 12:5). Le nazioni devono inchinarsi davanti al Signore e venire a camminare nella sua luce (Apocalisse 15:4; 21:24). Queste nazioni [2], con le loro culture, tradizioni e religioni lontane dal Dio della sacra Scrittura, sono chiamate a convertirsi a una salvezza sicura. La conversione di una nazione non avviene a prescindere dalle singole vite dei cristiani fedeli, ma proprio attraverso l’influenza di quelle vite. Inoltre, la conversione di ogni nazione deve riflettere l’unicità di quella nazione.
La nostra visione della portata della salvezza di Cristo dovrebbe essere non solo individuale e nazionale, ma anche cosmica. L’Agnello di Dio, ci dice Giovanni Battista, è venuto per “toglie[re] il peccato del mondo (kosmos)” (Giovanni 1:29). Dio “ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio”. Dio “ha mandato suo Figlio nel mondo […] perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Giovanni 3:16-17). Gesù ha detto: “io […] son venuto […] a salvare il mondo” (Giovanni 12:47). E “Egli è il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo” (1 Giovanni 2:2). Paolo ci dice che “Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo” (2 Corinzi 5:19).
Il mondo, il kosmos, è l’universo degli uomini con tutte le realtà subumane. È tutto ciò che Dio ha creato, tutto ciò che è stato sottoposto alla futilità, tutto ciò che geme e fatica, aspettando con ansia la rivelazione dei figli di Dio (Romani 8:18 e seg.). Tutti gli aspetti dell’esistenza, sia umani che subumani, costituiscono il mondo. Cristo desidera regnare su tutto, poiché ora è “al di sopra di ogni nome che si nomina” e “tutte le cose” sono state messe sotto i suoi piedi (Efesini 1:21-22). Inoltre, essendo mandata dal suo Signore, la Chiesa può – e deve – intraprendere il combattimento con armi che non sono della carne, ma sono potenti dinanzi a Dio perché “demoliamo i ragionamenti e tutto ciò che si eleva orgogliosamente contro la conoscenza di Dio, facendo prigioniero ogni pensiero fino a renderlo ubbidiente a Cristo” (2 Corinzi 10:3-5). E questo deve diventare, e diventerà, realtà.

Fate discepoli le nazioni

Quando leggiamo il mandato “fate discepoli le nazioni”, dovremmo fare attenzione a comprendere bene ciò che qui si intende. Non è “fate discepoli dalle nazioni”, come se la conversione di singoli individui provenienti da ogni nazione fosse la sola cosa qui intesa, ma “fate discepoli le nazioni” stesse. Il verbo greco mathéteuô corrisponde al nome mathétês, “discepolo”, e può essere equiparato al verbo italiano “discepolare”. Così come i singoli individui possono essere “discepolati”, così tutte le nazioni devono essere “discepolate”. Il senso personale, individuale può e dev’essere certamente sostenuto, come abbiamo detto precedentemente, ma lo scopo sociale del comandamento non dev’essere sminuito.
Che si tratti di discepoli-individui o di discepoli-nazioni (un discepolo è colui che ascolta e segue il Maestro), ognuno dev’essere battezzato e istruito a obbedire a tutto ciò che Cristo ha comandato. Riguardo il battesimo delle nazioni, la profezia di Isaia parla del Servo del Signore (il Messia) che, dopo la sua ascensione, “desterà l’ammirazione [di molte nazioni]; i re chiuderanno la bocca davanti a lui, poiché vedranno quello che non era loro mai stato narrato, apprenderanno quello che non avevano udito” (Isaia 52:15).
Paolo, l’apostolo degli incirconcisi (cioè, i non ebrei), citò questo brano da Isaia quando scrisse: “Avendo l’ambizione di predicare il vangelo là dove non era ancora stato portato il nome di Cristo” (Romani 15:20).
“Fare discepoli tutte le nazioni” significa guidare sia gli individui che le nazioni alla fede in Cristo, e all’obbedienza a lui:  Dio fatto uomo. Senza dubbio, tutto dipende dalla sovranità della grazia efficace del Signore Salvatore. Ma, sotto questa sovranità, l’appello va alle singole persone e, laddove c’è un gran numero di persone, a intere nazioni, di essere battezzati e istruiti a osservare tutto ciò che Cristo ha comandato. A queste persone e nazioni potrebbe essere necessario chiedere: “Cosa ne è stato del tuo battesimo?” 
Quando si tratta di osservare tutto ciò che Cristo ha comandato, c’è un’unione profonda tra battesimo ed insegnamento. Innanzitutto, sia il battesimo nel Nome trino che l’insegnamento apostolico (l’insegnamento degli apostoli stessi e/o l’insegnamento fedele a quello degli apostoli) sono sotto l’autorità del Dio trino. In aggiunta, il battesimo nel Nome trino e l’insegnamento apostolico sono entrambi parte della rivelazione del Dio trinitario – il nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo non sono altro che la rivelazione delle sacre Scritture dall’inizio alla fine di Colui che è Signore, Creatore e Salvatore.[3]
La persona battezzata (o la nazione) viene indirizzata alla scuola della bibbia per imparare dallo Spirito Santo e per mezzo della Chiesa fedele a svelare il mistero della Parola di Dio e osservarne i comandamenti.

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La Chiesa, cioè questa Gerusalemme di lassù, la madre di tutti noi (Galati 4:26), questa Gerusalemme celeste dove tutti i battezzati sono cittadini (Ebrei 12:22; Filippesi 3:20), questa nuova Gerusalemme che scende dal cielo (Apocalisse 21:2), questa santa Gerusalemme che ha per fondamento i dodici apostoli dell’Agnello (Apocalisse 21:10-14), ha una missione – una missione che ha ricevuto da Cristo e dalla sua potenza “in cielo e sulla terra”. Essa consiste nel “fare discepoli” dei singoli individui e delle famiglie di tutte le nazioni, e fare discepoli di tutte le nazioni stesse (Atti 2:38-39), battezzandoli e insegnando loro ad osservare tutto ciò che Cristo ha comandato. Con ciò  comprendiamo che intenda:

  • la Bibbia (la Torah di Mosè, i Profeti e gli Scritti) che Cristo ha ricevuto, riconosciuto, confermato e sigillato come l’autorevole Parola di Dio anche nei suoi più piccoli dettagli (Luca 24:44; Matteo 5:17-20);
  • e la Tradizione (la Verità da tramandare) che Cristo, ancor prima che fosse scritta, ha affidato ai suoi apostoli, la quale ha trasmesso, comunicato, confermato e sigillato poiché dotata di autorità divina, prima, quando era sulla terra, fino alla sua ascensione, con il suo insegnamento, le sue promesse e la sua preghiera, poi, dopo la Pentecoste, con lo Spirito Santo che aveva promesso loro in modo speciale (Luca 10:16; 24:44-48; Giovanni 14:25-26; 16:13-15; 17:6-19).

GLI APOSTOLI

Fedeli alla promessa che accompagna il comandamento missionario: “Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente”, e la profezia del risorto: “Mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all’estremità della terra”, gli apostoli vivranno per vedere l’adempimento immediato di queste parole tra gli anni 30 e 70 d.C.
Gli apostoli erano dodici più uno (dodici per indicare il residuo fedele d’Israele e la continuità del Patto di Grazia; uno per indicare l’innesto delle nazioni in Israele).  Tre di questi – Pietro, Paolo e Giovanni – illustreranno questo periodo eccezionale.

Pietro

L’apostolo Pietro (Simone, Képhas) fu uno dei primissimi discepoli, il portavoce dei dodici e nominato capo da Gesù stesso (Luca 22:32; Giovanni 21:15-19). La sua figura domina la prima parte degli Atti (1-12), dalla Pentecoste del 30 d.C. fino al suo arresto nel 44 durante la persecuzione ordinata da Erode Agrippa I, nipote di Erode il Grande, nel corso della quale l’apostolo Giacomo, fratello di Giovanni, fu decapitato (Atti 12:2). Dopo aver guidato la chiesa madre a Gerusalemme – cosa che fece almeno fino alla lapidazione del primo martire, il diacono predicatore Stefano, nel 37 – Pietro fu uno degli evangelisti, insieme al diacono predicatore Filippo, che diffuse il Vangelo in tutta la Giudea, la Galilea e Samaria. Anche se ufficialmente “l’apostolo dei circoncisi”, fu il primo a battezzare i non circoncisi, i non ebrei, il primo dei quali fu Cornelio. Cornelio era un centurione di quella che era chiamata la Coorte italica. Era anche un “timorato di Dio”, un termine usato per coloro che, sebbene Gentili, avevano qualche affinità spirituale con gli Ebrei. Prima di visitarlo, Pietro ebbe la strana visione di un grande lenzuolo che scendeva dal cielo contenente ogni sorta di animali, sia puri che impuri. Per mezzo dello Spirito Santo, Pietro capì che il Signore, attraverso questi simboli, gli stava mostrando che non c’era più distinzione tra Israeliti e Gentili nella Chiesa, il nuovo Israele che scendeva dal cielo.
Pietro prese parte al Concilio di Gerusalemme nell’anno 49 con gli altri apostoli, compresi Paolo e gli anziani, presieduto da Giacomo, uno dei fratelli di Gesù, che era succeduto a Pietro come capo della Chiesa. Questo concilio si riunì per affrontare la questione della relazione tra la Chiesa e i Gentili. Dopo aver ascoltato le relazioni di Pietro e Giacomo, essi indirizzarono una lettera ai “fratelli di Antiochia, di Siria e di Cilicia” lungo la costa meridionale dell’Asia Minore. Secondo la lettera, questi fratelli Gentili non avrebbero dovuto essere circoncisi, e i non circoncisi avrebbero avuto il loro posto nella Chiesa (Atti 15).
In una data non precisamente nota – intorno al 60? – Pietro andò a Roma. Almeno una delle due lettere che possediamo di Pietro nel Nuovo Testamento fu scritta da Roma (cfr. 1 Pietro 5:13). Testimonianze attendibili ci dicono anche che fu a Roma nel 67 d.C., durante la persecuzione ordinata da Nerone dopo l’incendio di Roma nel 64, e che morì martire (crocifisso come Gesù, ma a testa in giù).

Paolo

L’apostolo Paolo (Atti 13-28) è talvolta chiamato “l’apostolo in più”, cioè “l’apostolo in aggiunta ai dodici”. È più comunemente conosciuto come “apostolo degli incirconcisi”, l'”apostolo delle nazioni”, ed è la figura dominante della seconda parte del Libro degli Atti (Atti 13-28).
Nato cittadino romano nella città di Tarso in Cilicia, Paolo era un ebreo della tribù di Beniamino, un fariseo, formato sotto il rinomato Rabbi Gamaliele (Atti 22:3). Nel periodo immediatamente successivo alla Pentecoste, Saulo, come era allora conosciuto, era uno dei più feroci persecutori della Chiesa. Aveva approvato la lapidazione di Stefano. Egli “devastava la chiesa, entrando di casa in casa; e, trascinando via uomini e donne, li metteva in prigione.” Nel 37 d.C., “sempre spirante minacce e stragi contro i discepoli del Signore”, Saulo viaggiò alla volta di Damasco, intento a scovare i cristiani lì presenti da “condurre legati a Gerusalemme”. Invece, sulla strada, fu affrontato da Gesù, che lo chiamò in una visione.
Improvvisamente convertito, poi battezzato, Paolo proclamò immediatamente il Vangelo del Figlio di Dio nella stessa città di Damasco (Atti 7:55-8:4; 9:1-22; Galati 1:15-17)! Gli apostoli inizialmente ricevettero questa notizia con scetticismo. Tuttavia, grazie a Barnaba, un cristiano di origine ebraica e cipriota, Paolo riuscì a convincerli della genuinità della sua fede e della sua conversione.
In seguito, rimase a Gerusalemme per qualche tempo, accompagnando gli apostoli nella loro predicazione del Vangelo. Ma quando seppero degli attentati pianificati alla sua vita, i discepoli lo esortarono a rifugiarsi nella sua città natale, Tarso. Vi rimase dieci anni, dal 37 al 47, nel completo anonimato. Non sappiamo nulla di questo periodo se non che servì a prepararlo per i dieci anni successivi, dal 47 al 57, quando, nel corso di tre “viaggi missionari”, fondò chiese in Asia minore, Macedonia e Grecia.
Dopo il suo arresto a Gerusalemme nel 57, trascorse due anni come prigioniero a Cesarea (Atti 24:27). Essendo cittadino romano, si appellò a Cesare, invocando così il suo diritto di essere giudicato a Roma, e pertanto a Roma fu mandato nel 59.
Paolo morì martire a Roma nel 67, così come Pietro. Fu decapitato, piuttosto che crocifisso, poiché i cittadini romani non potevano essere giustiziati per crocifissione. In totale trascorse dieci anni come prigioniero, anche se le condizioni della sua detenzione erano a volte meno restrittive (cfr. Atti 28:23, 30).

Giovanni

In larga parte grazie al Libro dell’Apocalisse, la figura di Giovanni domina gli ultimi sette anni dell’antico patto, cioè i sette anni dal 64 (l’inizio della grande persecuzione di Nerone) al 70, quando il Tempio fu distrutto. Nello specifico, il suo ministero ha a che fare con “un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo”, i tre anni e mezzo che vanno dal martirio di Pietro e Paolo nel 67 alla distruzione di Gerusalemme nel 70 (Daniele 7:25; 12:7; Apocalisse 12:14). Giovanni ha sperimentato la tribolazione di molti dei suoi fratelli in fede, trascorrendo almeno una parte di questo periodo di tempo in esilio, bandito “a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù [Cristo]” sull’isola di Patmos, tra la Grecia e l’Asia Minore (Apocalisse 1:9).
Sia Giovanni che suo fratello Giacomo [4] erano cugini di Gesù, ed entrambi erano anche apostoli.
In tre occasioni vediamo gli apostoli Pietro e i fratelli Giacomo e Giovanni presi in disparte dagli altri discepoli: alla risurrezione della figlia di Iairo, alla trasfigurazione del Signore, e nell’ora della sua prova e tentazione nel giardino di Getsemani (Marco 5:37; 9:2; 14:33).
Immediatamente dopo la Pentecoste vediamo Giovanni operare al fianco di Pietro (Atti 3:1 e seg.; 4:7, 13; 8:14). Rimase nella chiesa madre a Gerusalemme per un po’ di tempo (Galati 2:9), ma una solida tradizione patristica lo vuole alla fine residente a Efeso con la beata Maria, poi da Efeso esiliato a Patmos. Fu da Patmos, nel 67 o 68 circa, che scrisse la sua Apocalisse e 1 Giovanni. Pensata per incoraggiare la Chiesa perseguitata mentre attraversava la tribolazione, egli rivelò loro (“apocalisse” significa “rivelazione”) una serie di visioni, cose che aveva visto e udito nel giorno del Signore.  Giovanni descrive in dettaglio la prossima Epifania (cioè, apparizione) del Signore Gesù Cristo, il rettore sovrano su tutta la storia, il Giudice del proprio popolo, Colui che le sette chiese dell’Asia, e per mezzo di esse tutte le chiese, devono pregare, adorare, ascoltare e seguire: colui che è, che era e che viene (Apocalisse 1:4) [5] .
L’Apocalisse di Giovanni, come le apocalissi dei tre Vangeli sinottici (Matteo 24; Marco 13; Luca 21), non è in alcun modo paragonabile agli scritti ebraici del secondo e primo secolo a.C., né a quelli del primo secolo d.C. Questi scritti sono spesso chiamati “apocalittici” (cioè, rivelatori), ma erroneamente – infatti è degno di nota che essi non si riferiscono mai a se stessi come “apocalittici”. Infatti, questi scritti ebraici “apocalittici” sono pieni di simboli inutili e incomprensibili in forte contrasto con i simboli dell’Apocalisse di Giovanni che si basano sulla Bibbia ebraica: la Torah, i Profeti e i Salmi. Inoltre, gli scritti “ebraici apocalittici” sono tipicamente pessimistici e mostrano poca considerazione per la storia, lanciandosi in speculazioni arbitrarie; L’Apocalisse di Giovanni, invece, non solo è fondamentalmente ottimista, ma si attiene anche alla storia, perché è sulla storia che Giovanni vede regnare il Signore. Infine, questi scritti non si preoccupano della vita morale e del comportamento dei loro lettori; Nell’Apocalisse, tuttavia, l’enfasi sulla vita etica è semplice e chiara.

Ebrei contro Ebrei

I tempi apostolici conobbero una guerra spirituale combattuta all’interno di Israele, una guerra spirituale tra gli Ebrei che rifiutarono il mandato messianico di Gesù e gli Ebrei che si convertirono per ricevere Gesù Cristo. Lungi dall’essere localizzata in Palestina, questa guerra spirituale colpì anche quelli della diaspora all’estero.
Tuttavia, mentre i Giudei convertiti a Cristo e, con loro, tutta la Chiesa apostolica, si limitavano alle armi spirituali, lo stesso non si può dire dei loro avversari (Efesini 6:10-18; 1 Tessalonicesi 5:8; 1 Pietro 5:8-9). L’opposizione ebraica al Vangelo – di solito sporadica, anche se a volte più epidemica, come negli anni 37 e 44 – non esitava a impiegare la violenza e l’odio. Perseguitando, picchiando, imprigionando e talvolta mettendo a morte coloro che seguivano Cristo, cercavano spudoratamente l’appoggio del braccio secolare di Roma. Lo testimoniano sia il Libro degli Atti, dall’inizio alla fine, sia le lettere apostoliche. Anche se non risparmiati da queste persecuzioni, le chiese e i cristiani in gran numero non solo sopravvissero, ma anzi prosperarono, dal momento che la Chiesa crebbe in modo prodigioso in tutto l’impero. 
L’accusa del patto di Dio contro l’Israele infedele fu chiaramente enunciata nel complesso della predicazione di Gesù durante il suo ministero, e fu ripetutamente esposta dagli apostoli, dagli anziani e dai diaconi quando si rivolgevano agli Ebrei nelle sinagoghe, nel Tempio o altrove. Questo atto d’accusa annunciava che “l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ingiustizia degli uomini”, compresi quelli tra i Giudei e le nazioni (Romani 1:18; 2:12-24; 3:27-30). Poiché il popolo del patto ha manifestato la sua apostasia rifiutando il Messia-Re di Dio e chiedendo la sua crocifissione (Giovanni 19:14-16), ora sta per essere raggiunto dai “giorni di vendetta, affinché si adempia tutto quello che è stato scritto” (Luca 21:22). Questi sono i giorni che Gesù aveva già predetto che sarebbero avvenuti in “questa generazione” (Luca 21:32). L’Apocalisse dice che verranno “rapidamente” e “presto”. E infatti così avvenne, perché nel 67 o 68 – entro una generazione dalla crocifissione di Cristo nel 30 d.C., abbastanza rapidamente! – venne il giudizio.
Ma nella predicazione di Gesù e della cerchia apostolica, l’accusa non è mai l’intero messaggio. Questo è sempre accompagnato da un appello sincero e insistente, rivolto in primo luogo agli Ebrei, a riconciliarsi con Dio per mezzo di Cristo. Alla fine dell’Apocalisse compare l’ultima beatitudine, che è anche un’esortazione:

Beati quelli che lavano le loro vesti,
per aver diritto all’albero della vita,
e per entrare per le porte della città! (Apocalisse 22:14)

I SETTE SEGNI

I sette segni di avvertimento adempiuti

Proprio come Gesù aveva predetto, “questa generazione” – cioè il tempo degli apostoli – avrebbe visto l’adempimento dei sette segni che avvertivano della sua venuta come Figlio e Giudice del suo popolo.

Segno #1 – “Falsi Cristi” (Luca 21:8)

Non volendo che la Chiesa apostolica fosse ingannata riguardo alle cose a venire, Gesù la mise in guardia. Il primo segno sarebbe stato l’arrivo di falsi Cristi, persone che asserivano di essere Cristo stesso: “Perché molti verranno in nome mio, dicendo: “Sono io”; e: “Il tempo è vicino”. Non andate [dunque] dietro a loro” (Luca 21:8).
Eppure, molti cristiani convertiti dal giudaismo non ascoltarono questo avvertimento e furono ingannati. Il desiderio di un Messia-Re conquistatore che liberasse la terra dal giogo oppressivo di Roma e riconquistasse il regno per Israele era forte. Molti falsi Messia hanno sfruttato questo desiderio ottenendo un buon successo. Un precursore di questi falsi Cristi si trova senza dubbio in Simone, di cui molti dicevano: “Questi è ‘la potenza di Dio’” (Atti 8:9-11). L’apostolo Giovanni richiama l’attenzione su questo crescente numero di falsi cristi in due delle sue lettere, scritte intorno al 60-65 d.C., in cui Giovanni si riferisce a loro come “anticristi” che saranno rivelati nell'”ultima ora” – “già ora sono sorti molti anticristi. Da ciò conosciamo che è l’ultima ora” (1 Giovanni 2:18-19, 22-23, 26; 4:6; 2 Giovanni 7-11).
Come Gesù aveva preannunciato, la generazione degli apostoli ha effettivamente assistito all’arrivo di molti falsi Cristi.

Segno #2 – “Guerre e rumori di guerre”

Il mondo mediterraneo godette della famosa Pax Romana (Pace Romana), a partire dal lungo regno di Augusto dal 27 a.C. al 14 d.C. Questa pace, che continuerà durante i regni di Tiberio Cesare (14-37), Caligola (37-41), Claudio (41-54) e Nerone (54-68), facilitò la rapida espansione della fede e della Chiesa cristiana: l’avanzata trionfale di Cristo. Come cantava il poeta francese Péguy nella sua Eva: “I passi delle legioni avevano marciato per Lui”.
Ma la pace non sarebbe durata a lungo; le cose precipitarono alla fine del regno di Nerone:

  • Già durante la vita di Nerone, ci fu la cospirazione di Pisone, che fu sedata da una dura repressione (64-65).
  • Dopo la morte di Nerone arrivarono le guerre civili che quasi distrussero l’impero. In questo periodo, tre imperatori – Vitellio, Otone e Vespasiano – si contesero il potere con l’imperatore Galba (68). Nel corso dell’anno successivo, ognuno di questi si sarebbe proclamato imperatore. Così il 69 è ricordato come l'”anno dei quattro imperatori”. Da questa situazione di confusione, Vespasiano sarebbe emerso e sarebbe rimasto l’unico imperatore dal 69 al 79 d.C.
  • Oltre a registrare la fine della dinastia giulio-claudia con Nerone e le sue conseguenze fino alla morte di Domiziano nel 96 d.C., lo storico Tacito (55-120 d.C.) riporta problemi significativi anche fuori Roma. Egli riferisce che diverse province, nel dividere la Gallia, tentarono di approfittare delle guerre civili per riconquistare la propria indipendenza.
  • Infine, ci fu la guerra giudaica (66-70 d.C.), che esamineremo più avanti.

La Pax Romana non esisteva più. “Guerre e rumori di guerre” – il secondo segnale d’allarme! – era arrivato davvero. “Nazione contro nazione, regno contro regno”, proprio come Gesù aveva predetto.

Segno #3 – “Carestie e terremoti”

Il terzo segno di avvertimento fu “carestie e terremoti in vari luoghi”. Il Libro degli Atti ci racconta di un profeta nella Chiesa di Gerusalemme chiamato Agabo. Quest’uomo, che scese ad Antiochia con gli altri apostoli, “predisse mediante lo Spirito che ci sarebbe stata una grande carestia su tutta la terra” (Atti 11:27-30). Questa espressione “tutta la terra” (in greco olen ten oikoumenen) si riferisce in questo caso, come altrove negli scritti degli apostoli, al mondo mediterraneo, il mondo dell’Impero Romano. Apprendiamo in Atti che “[questa grande carestia] si ebbe infatti durante l’impero di Claudio [Cesare]”, che governò dal 41 al 54 d.C. In un altro libro, Gli Annali, Tacito allude a questa carestia – “Passò per un segno prodigioso anche la scarsità del raccolto e la conseguente carestia”. Le scorte di cibo nella capitale diminuirono al punto tale che “a Roma erano rimasti viveri per quindici giorni, non più”. Inoltre, in quello stesso anno, “per una serie di terremoti crollarono abitazioni” [6].
Dal 55 al 57 d.C., Paolo dovette invitare le chiese della Macedonia, comprese quelle di Filippi, della Grecia e di Corinto, a fare grandi collette per i credenti e i poveri della chiesa di Gerusalemme, che erano privi persino dei beni di prima necessità (Romani 15:26; 1 Corinzi 16:1; 2 Corinzi 8:20).
Apprendiamo anche dai resoconti di Giuseppe Flavio (37-101 d.C.) che Gerusalemme, nell’anno 67 (un anno in cui la città era già minacciata da attacchi di assalitori romani e edomiti), fu colpita da un terremoto.
Nei suoi Annali, Tacito racconta anche di terremoti in quel periodo da Creta alla Frigia e da Roma all’Asia Minore.
“Carestie e terremoti in vari luoghi” furono notevoli durante la generazione apostolica, negli anni che precedettero la distruzione di Gerusalemme, proprio come Gesù aveva predetto.

La guerra giudaica di Giuseppe Flavio

Dato che l’abbiamo appena menzionato e che faremo spesso riferimento alla sua opera, segnaliamo qui l’importanza della Guerra giudaica di Giuseppe Flavio, un libro che getta luce sugli ultimi settant’anni dell’antica amministrazione del patto.
Di origine sacerdotale, Giuseppe ben Mallathias ha-Cohen divenne un ufficiale militare e uno storico, anche se non uno ricordato per il suo coraggio! Diventato generale dell’esercito ebraico, e avendo capito subito che la loro sconfitta per mano dei romani sotto il comando di Vespasiano era praticamente certa, abbandonò il suo posto e passò al nemico. Una volta dalla parte dei Romani, assistette all’assalto di Gerusalemme e alla distruzione del Tempio. In seguito, fu ricoperto di favori dal nuovo imperatore Vespasiano e del suo successore Tito, e alla fine si stabilì a Roma. Lì scrisse le sue tre opere principali, tutte in greco: Contro Apione, una difesa del giudaismo; Antichità giudaiche, una storia di Israele dalla creazione alla guerra giudaica del 66; e Guerra giudaica. Le opere di Giuseppe rivelano che la guerra giudaica durò dal mese di Artemisiōn (maggio-giugno), 66 d.C., fino all’assalto di Gerusalemme da parte di Tito l’8 di Gorpiaios (26 settembre), 70 d.C. La guerra comprese tre fasi importanti:

Prima fase: un periodo di disordini e insurrezioni sotto il procuratore Gessio Floro, da maggio a ottobre del 66 d.C.

Seconda fase: una spedizione militare di Cestio, procuratore della Siria, da ottobre a novembre del 66 d.C.

Terza fase: la guerra giudaica “vera e propria”, comprendente quattro campagne (le prime tre sotto Vespasiano):

    • La prima, da aprile a novembre del 67 d.C.
    • La seconda, da marzo a giugno del 68 d.C.
    • La terza, da aprile a giugno del 69 d.C.
    • La quarta, da maggio a settembre dell’anno 70, sotto il comando di Tito (Vespasiano era diventato imperatore). Il 1° maggio, Tito si accampa fuori Gerusalemme. Il 5 agosto, il sacrificio perpetuo viene interrotto. Il 29 agosto, il Tempio viene bruciato. Il 26 settembre, ci furono massacri e incendi nella città santa.

Le opere di Giuseppe registrano per noi l’ampiezza e l’intensità della sofferenza e della morte sperimentate dagli Ebrei nel 70 d.C., ma esamineremo gli eventi di quell’anno cruciale solo dopo aver concluso il nostro breve esame del resto dei segni di avvertimento che Gesù diede a “questa generazione”.

Segno #4 – Il martirio di coloro che perseverano fino alla fine

I falsi Cristi, le guerre e i rumori di guerre, le carestie e i terremoti, non erano che il “principio dei dolori” (un’espressione greca che si riferisce alle doglie del parto; Matteo 24:8). Il Regno di Dio, che inaugura la nuova era del Patto di Grazia, non si sarebbe instaurato senza tali dolori. Le sofferenze del Capo, Cristo, sarebbero state completate da quelle che gli mancavano: le sofferenze del Corpo, la Chiesa (cfr. 2 Corinzi 4:10, Colossesi 1:24, Atti 9:4).
È questo tempo di persecuzione che il dodicesimo capitolo dell’Apocalisse, usando simboli tratti dai profeti, descrive: “Allora il dragone s’infuriò contro la donna e andò a far guerra a quelli che restano della discendenza di lei che osservano i comandamenti di Dio e custodiscono la testimonianza di Gesù” (12:17).
Il martirio di coloro che hanno perseverato, predetto da Gesù (Matteo 24:9, 13), è la continuazione delle doglie del parto. Il Libro degli Atti, le lettere degli apostoli e l’Apocalisse testimoniano il loro martirio.

Hupomonè

Il tipo di perseveranza dei fedeli che Gesù predice e incoraggia è meglio compreso quando afferriamo il significato della parola greca hupomonè, tradotta nelle nostre Bibbie italiane con “pazienza” in alcuni punti, con “perseveranza” in altri. L’etimologia è intrinseca. Il sostantivo hupomonè, e anche il verbo hupoménô (dal verbo menô che significa “riposare” o “esistere”, e la preposizione hupo che significa “sotto”), evoca il senso di “sopportare” o “sostenere”. Con la “pazienza” non cediamo sotto il peso delle prove e delle sofferenze; noi “sopportiamo”. Con “perseveranza” sopportiamo la durata della prova con pazienza; “aspettiamo” fino alla fine. La virtù e la potenza della hupomonè si manifestano in modo grandioso nel martirio, in cui chi è fedele sopporta e resiste sotto il peso e la durata delle prove.
Il verbo hupoménô compare quindici volte, e il sostantivo hupomenè trenta volte, negli scritti apostolici, per una buona ragione. Caratterizza giustamente i cristiani fedeli degli “ultimi tempi”, cioè i tempi apostolici che furono anche i “primi tempi”, i tempi che fecero nascere il Regno di Dio.
Di fronte alla persecuzione, era necessario che Dio fornisse, suscitasse, sostenesse e rinnovasse “la hupomonè [la pazienza perseverante/costanza] e la fede dei santi” (Apocalisse 13:10). Dopo tutto, quando il Figlio dell’uomo sarebbe venuto presto a portare il giudizio su Israele, avrebbe trovato la fede sulla terra (cioè, la terra d’Israele) e Dio avrebbe vendicato immediatamente i suoi eletti che gridano a Lui giorno e notte (Luca 18:7-8; Apocalisse 6:9-11)?
Dopo la prima ondata di tribolazioni affrontate dalla Chiesa apostolica per mano dei loro persecutori ebrei, ci fu una seconda ondata di tribolazioni, questa volta sotto la feroce direzione di Roma. L’esecuzione di due dei tre grandi apostoli, Pietro e Paolo, nel 67 d.C., fu solo l’inizio di questa seconda ondata – un gran numero di credenti avrebbe “perseverato” sulla loro scia. Tuttavia, il martirio sia di Pietro che di Paolo fu significativo in quanto confermò la verità da poco scoperta e tanto cara alla Chiesa: i Giudei convertiti al cristianesimo che avevano ricevuto Cristo attraverso il ministero dell’apostolo dei circoncisi erano effettivamente uno, in Cristo, con i Gentili convertiti al cristianesimo che avevano ricevuto Cristo attraverso il ministero dell’apostolo dei non circoncisi.
Il terzo di questi grandi apostoli della Chiesa apostolica, Giovanni, fu esiliato e isolato sull’isola di Patmos.  Da lì avrebbe scritto il Libro dell’Apocalisse, il cui messaggio era destinato a rafforzare la fede e la pazienza della Chiesa apostolica appena nata che stava portando la croce. L’Impero Romano, “la bestia che sale dal mare”, e il giudaismo apostata, “la bestia che sale dalla terra”, saranno impotenti nel fermare la discesa dal cielo della nuova Gerusalemme, la Chiesa e la Sposa che celebra le sue nozze eterne con l’Agnello nella Cena del Signore. Anche se il serpente antico, il dragone, si solleva contro la donna, è definitivamente vinto dall’incarnazione, dalla morte, dalla risurrezione e dall’ascensione al cielo dell’Uomo-Dio, che ora giudica l’antica casa di Dio. Satana viene progressivamente sconfitto mentre la Chiesa abbatte le sue porte una ad una nel corso della storia – queste porte non possono prevalere contro di lei. Sarà schiacciato una volta per tutte quando Cristo tornerà nella gloria per risuscitare i morti, giudicare il mondo e fare nuove tutte le cose. Questa potente visione fortificò la fede dei santi al tempo di Giovanni, permettendo loro di sopportare, con coraggio e speranza, le varie tribolazioni che li colpirono. Tutte le potenze del mondo visibile schierate contro di loro, provenienti dalla Gerusalemme terrena e da Roma, erano destinate a cadere davanti alla potenza della nuova Gerusalemme di lassù.

L’inizio della persecuzione romana dei cristiani sotto Nerone

Fino all’anno 64 d.C., i cristiani erano stati protetti dalle leggi di Roma e da molti dei suoi alti funzionari, come Gallio il proconsole romano a Corinto (Atti 18:12-16), il tribuno Lisia a Gerusalemme (Atti 23:12-35), e il procuratore Festo a Cesarea (Atti 25).
Fu l’incendio di Roma, iniziato in piena notte il 18 luglio dell’anno 64, a scatenare la prima persecuzione dei cristiani per mano delle nazioni (l’Impero Romano era infatti composto da molte nazioni). Essa si aggiunge alla persecuzione già operata dagli Ebrei, e certamente la supera in intensità. Seguirono numerose ondate di persecuzione fino all’Editto di Milano, emanato da Costantino il Grande nel 313.
Nerone divenne imperatore nel 54 d.C. alla giovane età di 17 anni. Sotto l’influenza restrittiva di Seneca, il capo del Senato, e di Burro, il capo delle legioni, non rappresentò una minaccia per i cristiani. Ma questo cambiò quando, nel 62, Burro morì e un Seneca angosciato si dimise.
Quell’anno un Nerone scatenato, e Roma con lui, divenne la bestia di Apocalisse 13 (di contro, Romani 13:1-7 fu scritto nel 57 d.C., nella prima parte del regno di Nerone). Un attore, sia un comico che un tragico che si divertiva a organizzare e mettere in scena vari spettacoli, e un vero megalomane in tutti i sensi della parola, Nerone ricorse a omicidi del tipo più efferato, pensando che avrebbero messo al sicuro il suo regno folle e sanguinario. Tra coloro che incontrarono un tragico destino ci furono suo fratello, Britannico, la sua stessa madre, Agrippina, le sue mogli in successione, Ottavia e Poppea, e il suo maestro, Seneca. Dopo che il Senato lo depose definitivamente nel 68 d.C., si suicidò.  Aveva 31 anni.
L’incendio di Roma nel 64 fu grandioso, un vero spettacolo agli occhi di Nerone. Scoppiò nelle cabine di legno sul lato sud-est del Circo Massimo, vicino al Monte Palatino, e bruciò per sette notti e sei giorni. Alimentato da venti implacabili, l’incendio scoppiò di nuovo e consumò il Campo Marzio, bruciando per altri tre giorni. Solo quattro dei quattordici quartieri della città furono risparmiati. Templi, monumenti e collezioni secolari di arte greca furono ridotti in polvere e cenere. Migliaia di vite umane caddero vittime delle fiamme.
Secondo Tacito e il suo contemporaneo Svetonio, Nerone stesso fece bruciare la città, desiderando di ricostruirne una più moderna e gloriosa al suo posto, che aveva intenzione di chiamare Neopolis.
I cristiani furono immediatamente accusati da Nerone e dal popolo di aver appiccato il fuoco. In quel momento, e in gran parte grazie al processo di Paolo e alla proclamazione della Parola di Dio, non erano più considerati una setta interna al giudaismo, ma erano arrivati ad essere considerati come un genus tertium, una terza razza. Che Nerone e altri li biasimassero non è una grande sorpresa. Dopo tutto, Tacito e Svetonio si riferivano alla fede cristiana come una exitiabilis superstitio, una perniciosa superstizione. Tacito arrivò persino ad accusare i cristiani di odiare la razza umana (odium generis humani). Si mormorava che avessero commesso crimini segreti, compreso il cibarsi di bambini offerti in sacrificio. Furono dichiarati atei a causa del loro rifiuto di offrire sacrifici agli dèi, e anti-romani perché si appellavano a un re più grande di Cesare.
Scrivendo da Roma alla Chiesa di Corinto nel 70 d.C., Clemente riferisce che “una grande schiera di eletti” ha sofferto “molti oltraggi e torture” [7] . L’Epistola agli Ebrei, scritta intorno al 67, parla di coloro che vennero “esposti agli oltraggi e alle vessazioni” (Ebrei 10:32-34). La prima epistola di Pietro, composta nella primavera del 65, contiene questa esortazione: “Carissimi, non vi stupite per l’incendio che divampa in mezzo a voi per provarvi … Anzi, rallegratevi in quanto partecipate alle sofferenze di Cristo”. Questa è seguita da una profezia relativa agli eventi che presto avranno luogo: “Infatti è giunto il tempo in cui il giudizio deve cominciare dalla casa di Dio; e se comincia prima da noi, quale sarà la fine di quelli che non ubbidiscono al vangelo di Dio?” (1 Pietro 4:12-13, 17).
La storia registra che un gran numero di fedeli perseveranti – quelli che mostravano hupomonè – furono massacrati. Alcuni furono crocifissi. Alcuni furono gettati alle bestie nell’arena. Altri furono imbrattati di pece e usati come torce per illuminare i giardini imperiali lungo i quali Nerone avrebbe trionfalmente fatto sfilare il suo carro, frustando i suoi cavalli per tutto il tragitto tra gli applausi della folla.
È estremamente chiaro che il quarto avvertimento di Gesù si è realizzato nell’oïkoumené, la terra abitata, cioè l’Impero Romano. Roma, regina delle nazioni, e Gerusalemme, la città santa apostata, vengono unite nell’Apocalisse come una sola città simbolica, “Babilonia la grande, la madre delle prostitute e delle abominazioni della terra…ubriaca del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù” (Apocalisse 17:5-6).

Segno #5 – L’apostasia di molti

Gesù aveva annunciato il pericolo esterno che avrebbe minacciato la Chiesa apostolica. I cristiani avrebbero affrontato la persecuzione, ma l’avrebbero superata con la hupomonè, la pazienza perseverante. Tuttavia, preannunciò anche una seconda e altrettanto terribile minaccia, questa volta proveniente dall’interno. “Molti falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti” (Matteo 24:11).
Gli apostoli seguirono Gesù in questo ammonimento, avvertendo i cristiani e la Chiesa in tutti i loro ministeri. Paolo usò l’occasione di una sosta a Mileto nel 47 per mettere in guardia i capi della Chiesa di Efeso:

Badate [dunque] a voi stessi e a tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la chiesa di Dio, che egli ha acquistata con il proprio sangue. Io so [infatti] che dopo la mia partenza si introdurranno fra di voi lupi rapaci, i quali non risparmieranno il gregge; e anche tra voi stessi sorgeranno uomini che insegneranno cose perverse per trascinarsi dietro i discepoli. (Atti 20:28-30)

Nelle sue lettere Paolo mette costantemente in guardia i fedeli contro le eresie. (Ogni eresia, secondo il significato del sostantivo greco haїresis, “scegliere”, consiste nel preferire un aspetto della Rivelazione al tutto. Per questo motivo, la Sola Scriptura non è sufficiente; dobbiamo anche tenere conto della Tota Scriptura. Egli li invita a non essere “sballottati e portati qua e là da ogni vento di dottrina per la frode degli uomini, per l’astuzia loro nelle arti seduttrici dell’errore” (Efesini 4:14). Ricorda a Timoteo che c’è una sola santa e buona “dottrina che è conforme alla pietà”, e lo mette in guardia, con un occhio rivolto al futuro, contro altre dottrine, “dottrine di demòni” [8] . Paolo è enfatico su questo punto:

Ma lo Spirito dice esplicitamente che nei tempi futuri alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori e a dottrine di demòni, sviati dall’ipocrisia di uomini bugiardi, segnati da un marchio nella propria coscienza. (1 Timoteo 4:1-2)

Or sappi questo: negli ultimi giorni verranno tempi difficili… [Ci saranno uomini] aventi l’apparenza della pietà, mentre ne hanno rinnegato la potenza. Anche da costoro allontànati! (2 Timoteo 3:1-5)

Al tempo in cui scriveva a Timoteo, Paolo aveva già incontrato apostati come Dema e Alessandro il ramaio [9].
Le preoccupazioni e gli avvertimenti espressi da Paolo sono presenti anche in altre epistole. Giovanni, scrivendo intorno al 65 d.C., dice espressamente:

Ragazzi, è l’ultima ora. Come avete udito, l’anticristo deve venire, e di fatto già ora sono sorti molti anticristi. Da ciò conosciamo che è l’ultima ora. Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri; perché se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma ciò è avvenuto perché fosse manifesto che non tutti sono dei nostri (1 Giovanni 2:18-19).

E di nuovo ancora:

Poiché molti seduttori sono usciti per il mondo, i quali non riconoscono pubblicamente che Gesù Cristo è venuto in carne. Quello è il seduttore e l’anticristo. Badate a voi stessi … Chiunque … non rimane nella dottrina di Cristo, non ha Dio. Chi rimane nella dottrina, ha il Padre e il Figlio. Se qualcuno viene a voi e non reca questa dottrina, non ricevetelo in casa e non salutatelo. (2 Giovanni 7-10)

Già nel 62 d.C., vediamo Giuda, il fratello del Signore e di Giacomo, che esorta i suoi uditori a:

Combattere strenuamente per la fede, che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre. Perché si sono infiltrati fra di voi certi uomini …empi … che negano il nostro unico Padrone e Signore Gesù Cristo …Ma voi, carissimi, ricordatevi di ciò che gli apostoli del Signore nostro Gesù Cristo hanno predetto, quando vi dicevano: «Negli ultimi tempi vi saranno schernitori che vivranno secondo le loro empie passioni». Essi sono quelli che provocano le divisioni, gente sensuale, che non ha lo Spirito (Giuda 3-5, 17-19).

E l’Epistola agli Ebrei, scritta intorno al 67 d.C., emette questo avvertimento: “Non vi lasciate trasportare qua e là da diversi e strani insegnamenti” (Ebrei 13:9).
Non solo la persecuzione si intensificherà, ma anche le eresie peggioreranno, culminando nell’apostasia di molti. Gesù aveva annunciato questo quinto segno di avvertimento: “Molti falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti. Poiché l’iniquità aumenterà, l’amore dei più si raffredderà” (Matteo 24:11-12).

Segno #6 – Il vangelo predicato a tutte le genti

Il sesto e penultimo segno di avvertimento nel discorso di Gesù sul monte degli Ulivi è la sua dichiarazione che il Vangelo del Regno “sarà predicato in tutto il mondo, affinché ne sia resa testimonianza a tutte le genti” (Matteo 24:14; Marco 13:10; Luca 21:13 e seg.).
Una delle prove straordinarie della potenza dello Spirito Santo che avanzava e accompagnava la predicazione della Parola di Dio nei tempi apostolici era la rapidità con cui il Vangelo si faceva strada in tutte le nazioni dell’oïkoumené. Nel Nuovo Testamento, questa parola greca, tradotta con “mondo” o “terra”, si riferisce più spesso all’Impero Romano, come quando Luca ci dice che “uscì un decreto da parte di Cesare Augusto, che ordinava il censimento di tutto l’impero (oïkoumené)” (Luca 2:1).[10] Allo stesso modo, “tutte le genti” era inteso come l’oïkoumené, ovvero l’Impero Romano. Anche gli ebrei erano considerati parte della oïkoumené, sebbene il Vangelo fosse stato predicato prima a loro affinché molti di loro potessero sfuggire al giudizio imminente su Gerusalemme.[11]
Inoltre, abbiamo la testimonianza dello stesso Paolo che il Vangelo fu effettivamente predicato a tutte le nazioni mentre egli era ancora in vita. Scrive, infatti, ai Romani: “Rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché la vostra fede è divulgata in tutto il mondo” (1:8). Si rivolge ai Colossesi riguardo al Vangelo che “È in mezzo a voi, e nel mondo intero”, riferendosi in seguito ad esso come il “vangelo che avete ascoltato, il quale è stato predicato a ogni creatura sotto il cielo” (1:6, 23).

Segno #7 – L’abominazione della desolazione

Gesù giunge all’ultimo dei sette segni di avvertimento – “l’abominazione della desolazione, della quale ha parlato il profeta Daniele, posta in luogo santo” (Matteo 24:15).
Il Libro di Daniele parla delle “settanta settimane” che culminano nelle ultime settimane dell’antica era del Patto di Grazia. Le “devastazioni” e le “abominazioni” segnano queste ultime settimane (9:26-27). Più tardi, indica che “delle truppe si presenteranno e profaneranno il santuario … sopprimeranno il sacrificio quotidiano e vi collocheranno l’abominazione della desolazione” (11:31).
Più avanti ancora, parla di nuovo del “momento in cui sarà abolito il sacrificio quotidiano e sarà rizzata l’abominazione della desolazione” (12:11).
Nella Bibbia ebraica, “abominazione”, shiqûs, o “abominazioni”, shiqûsîm, designano atti blasfemi di idolatria destinati a insultare il nome di Dio, sia che siano commessi dagli Israeliti o dalle nazioni. Molech è chiamato “l’abominevole divinità degli Ammoniti” (1 Re 11:5); mentre di quegli Israeliti che offrono sacrifici in modo irriverente si dice che “prendono piacere nelle loro abominazioni” (Isaia 66:3) [12].
Nel suo passo parallelo a Matteo 24:15, Luca registra: “Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina” [13].
L’accerchiamento di Gerusalemme, la città santa, avvenne una notte dell’anno 68 d.C., quando 20.000 soldati idumei (precedentemente “Edomiti”), alleati dei romani, circondarono la città di Davide e le sue montagne sacre. Tanto gli idumei, figli di Esaù, quanto gli ebrei, figli di Giacobbe-Israele, commisero le loro atrocità, anche all’interno del Tempio. Giuseppe Flavio racconta:

Durante la notte scoppiò un violento temporale con venti impetuosi, piogge torrenziali, un terrificante susseguirsi di fulmini e tuoni e spaventosi boati di terremoto. Sembrava la rovina dell’universo per la distruzione del genere umano, e vi si potevano riconoscere i segni di un’immane catastrofe. (Guerra giudaica, IV, 4:5)

E aggiunge:

Gli Idumei…attraversando la città salirono al tempio… Gli Idumei non risparmiarono nessuno…perché erano per natura feroci e sanguinari … Non v’era alcuna via di scampo né speranza di salvezza, ma risospinti l’uno sull’altro venivano trucidati, e i più, incalzati dove non c’era più spazio per indietreggiare mentre i loro carnefici avanzavano, presi dalla disperazione si precipitavano a capo fitto sulla città, affrontando volontariamente una morte a mio parere più dolorosa di quella cui si sottraevano. Il piazzale antistante al tempio fu tutto un lago di sangue, e il giorno spuntò su ottomila e cinquecento cadaveri [14]. (IV, 5:1)

Giuseppe Flavio riferisce che gli insorti ebrei “trasformarono il tempio di Dio nel loro fortilizio”. “Quelli che stavano portando alla rovina la città si dividevano in tre schiere” – quelli che seguivano Eleazar, quelli che seguivano Giovanni, e quelli che seguivano Simone – che avevano trasformato “il tempio … in una fossa comune per le vittime della guerra civile” (IV, 3:7; V, 1:4; V, 1:3). I sommi sacerdoti dei tempi apostolici, che si attenevano a un giudaismo più o meno sadduceo, avevano fatto di tutto per minare la fede cristiana. I loro sforzi contribuirono all’apostasia di un gran numero di ebrei che, divenuti cristiani, tornarono poi al giudaismo. Solo la continua proclamazione del Vangelo e la presenza della Chiesa a Gerusalemme “trattenne”, per un certo tempo, l’azione del “mistero dell’empietà” e la rivelazione di “quell’empio”(Nerone?), come Paolo aveva predetto (2 Tessalonicesi 2:9) [15].
Negli avvertimenti che seguono (Matteo 24:16-22), Gesù fornisce dettagli più concreti:

Allora quelli che saranno nella Giudea fuggano ai monti; chi sarà sulla terrazza non scenda per prendere quello che è in casa sua; e chi sarà nel campo non torni indietro a prendere la sua veste. Guai alle donne che saranno incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni! Pregate che la vostra fuga non avvenga d’inverno né di sabato; perché allora vi sarà una grande tribolazione, quale non v’è stata dal principio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà. Se quei giorni non fossero stati abbreviati, nessuno scamperebbe; ma, a motivo degli eletti, quei giorni saranno abbreviati.

Ancora una volta Gesù si riferiva al Libro di Daniele: “Vi sarà un tempo di angoscia, come non ce ne fu mai da quando sorsero le nazioni fino a quel tempo” (12:1 e seg.).
Notiamo, per inciso, che quando il Vangelo di Matteo subì un’ultima redazione alla fine degli anni ’40, un profeta, cioè uno scriba ispirato, inserì queste poche parole: “chi legge faccia attenzione!” (24:15).
Con tali avvertenze, i cristiani che hanno letto questo Vangelo negli anni ’50 e ’60 hanno potuto mettere a punto un piano, come si conveniva. I sette segni di avvertimento, e quest’ultimo in particolare, erano un appello – anzi un’esortazione – a fuggire da Gerusalemme e dalla Giudea finché ce ne fosse stata la possibilità e, in ogni caso, quando avrebbero visto l’esercito circondare la città santa e l’abominazione della desolazione incombere su di essi.
Inoltre, i santi, divinamente e debitamente avvertiti, osservarono il graduale adempimento di questi avvertimenti e determinarono, di conseguenza, il loro sviluppo.
Tenendo conto di questi segni, fu senza dubbio nel 67 che la maggior parte dei cristiani di Gerusalemme fuggì dalla città santa e dalla regione. Un’antica tradizione storica, che può essere confermata nonostante l’opposizione di alcuni storici, colloca un gran numero di rifugiati a Pella, al di là del Giordano, nella Decapoli, dopo essere passati sani e salvi attraverso la tribolazione. Questa era la stessa tribolazione che Giovanni menziona più volte nella sua Apocalisse, alla quale egli stesso prese parte, considerandosi un “compagno nella tribolazione” (Apocalisse 1:9; 2:20-25; 7:13-17).
Questa tribolazione durò tre anni e mezzo, il che corrisponde alle profezie di Daniele – “in mezzo alla settimana” (9:27); “un tempo, dei (due) tempi e la metà d’un tempo” (7:25; 12:7); e “milletrecentotrentacinque giorni” (12:12) [16].

 

LA VENUTA DEL SIGNORE

Il segno del Figlio dell’uomo nel cielo

Sulla scia dei sette segni di avvertimento appare il segno del Figlio dell’uomo nel cielo, il segno decisivo annunciato da Gesù sul monte degli Ulivi:

Infatti, come il lampo esce da levante e si vede fino a ponente,
così sarà [anche] la venuta del Figlio dell’uomo.
Dovunque sarà il cadavere, lì si raduneranno le aquile.
Subito dopo la tribolazione di quei giorni,
il sole si oscurerà, la luna non darà più il suo splendore,
le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno scrollate.
Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo;
e allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio
e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo
con gran potenza e gloria.
E manderà i suoi angeli con gran suono di tromba
per riunire i suoi eletti dai quattro venti,
da un capo all’altro dei cieli. (Matteo 24:27-31)

Immagini cosmiche nella profezia biblica

Se vogliamo capire queste parole di Gesù e vedere il loro adempimento negli eventi del 70 d.C., dobbiamo confrontarle alla luce della Bibbia ebraica e, in particolare, dei Nevi’im, i Profeti. Altrimenti, saremo destinati ad una cattiva interpretazione.
Innanzitutto, notiamo che alcune traduzioni riportano: “Allora il segno del Figliuolo dell’uomo comparirà nel cielo”, rigirando l’ordine delle parole greche laddove non è necessario modificarlo.
La profezia di Gesù riguardo al “Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo” (vv. 27 e 30) e tutta la serie di immagini celesti che la accompagnano, rivela e trasmette la massima gravità del giudizio del Signore e il drastico sconvolgimento portato dal giorno della sua venuta.
Le immagini celesti del sole, della luna, delle stelle e delle potenze del cielo rimandano alle profezie della Bibbia ebraica, alla luce delle quali il loro significato reale – quasi letterale – diventa chiaro [17]. In Isaia, lo sconvolgimento del cosmo accompagna la venuta del giorno del Signore contro Babilonia (13:9-10). Esso è profetizzato più tardi per quanto riguarda la spada dell’Eterno contro Edom (34:4). Le perturbazioni cosmiche riguardanti il giudizio dell’Eterno su Israele si trovano in Amos 8:9 e in Ezechiele 32:7-8, riguardo al suo lamento sull’Egitto. Zaccaria profetizzò sugli “abitanti di Gerusalemme” che “guarderanno a me, a colui che essi hanno trafitto” (12:10; cfr. Giovanni 19:37; Apocalisse 1:7).
“Il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo” è un’espressione simbolica e poetica abbastanza abituale nella Bibbia e nei profeti, come vediamo, per esempio, nei seguenti passi:

Allora la terra fu scossa e tremò,
Le fondamenta dei monti furono smosse e scrollate;
perché egli era colmo di sdegno.
Un fumo saliva dalle sue narici;
un fuoco consumante gli usciva dalla bocca
e ne venivano fuori carboni accesi.
Egli abbassò i cieli e discese,
una fitta nube aveva sotto i piedi.
Cavalcava un cherubino e volava;
volava veloce sulle ali del vento. (Salmo 18:7-10)
In quel tempo si dirà
a questo popolo e a Gerusalemme:
«Un vento infuocato viene dalle alture del deserto
verso la figlia del mio popolo…»
Io guardo la terra,
ed ecco, è desolata e deserta (cfr. il tohu-bohu di Genesi 1:2);
i cieli sono senza luce.
Guardo i monti,
ed ecco, tremano;
tutti i colli sono agitati.
A causa di ciò, la terra è afflitta
e i cieli di sopra si oscurano. (Geremia 4:11, 23-24, 28)
Ecco, il Signore cavalca una nuvola leggera
ed entra in Egitto;
gli idoli d’Egitto tremano davanti a lui
e all’Egitto si scioglie il cuore nel petto. (Isaia 19:1)
Tremino tutti gli abitanti del paese,
perché il giorno del Signore viene,
è vicino,
giorno di tenebre, di densa oscurità,
giorno di nubi e di fitta nebbia. (Gioele 2:1-2)
Il Signore è un Dio geloso e vendicatore;
il Signore è vendicatore e pieno di furore…
e le nuvole sono la polvere dei suoi piedi. (Nahum 1:2-3)
Il grande giorno del Signore si avvicina.

Dies Irae, Dies Illa

Il gran giorno del Signore è vicino…
Quel giorno è un giorno d’ira,
un giorno di sventura e di angoscia,
un giorno di rovina e di desolazione,
un giorno di tenebre e di caligine,
un giorno di nuvole e di fitta oscurità. (Sofonia 1:14-15)

Non si dovrebbe assumere in maniera semplicistica che ogni qualvolta la Bibbia parla di giudizio, lo faccia sempre in riferimento giudizio finale; né che quando parla del giorno del Signore, intenda unicamente il giorno finale del suo ritorno in gloria alla fine dei tempi; né che quando parla della venuta – l’avvento del Signore – ciò si riferisca esclusivamente alla sua ultima venuta per risuscitare i morti e trasformare l’intero universo.
Infatti, la Scrittura ci mostra due, e solo due, venute fisiche di Cristo nel mondo:

  • la prima, quando Dio il Figlio divenne uomo, incarnandosi attraverso il concepimento della beata vergine Maria (la prima venuta fisica, nell’umiliazione, è avvenuta in una posizione centrale della storia);
  • la seconda, quando Dio il Figlio ritornerà, nella sua umanità, un’umanità glorificata dall’ascensione, per risuscitare tutti coloro che sono morti, per giudicarli assieme ai vivi, per prendere con sé i suoi e trasformare l’universo (questa seconda venuta fisica, in gloria, avverrà alla fine della storia, nel giorno e nell’ora che solo il Padre conosce).

Tuttavia, oggettivamente, l’intera Bibbia, dalla Genesi all’Apocalisse e, di conseguenza, l’intera vita del popolo di Dio e dei suoi membri, è legata all’avvento, alla parusia – cioè, aspetta con impazienza l’apparizione del Figlio di Dio. In vari modi, il Signore è Colui che viene sempre; e la Chiesa e i fedeli sono coloro che aspettano sempre, vegliando e pregando mentre svolgono i loro incarichi, missioni, compiti e ministeri ai quali sono stati ordinati dalla Parola-Legge di Dio. Il Signore Dio che venne nel giardino dell’Eden in seguito alla caduta per annunciare il primo giudizio e il primo Vangelo (Genesi 3:8, 14-24), che venne per camminare con Enoc, poi con Noè (Genesi 5:24; 6:9), che venne a giudicare Babele e i suoi abitanti (Genesi 11:5-9), che venne poi a Mosè (Esodo 20:24) e Samuele (1 Samuele 3:10), ecc., è Colui che viene sempre.

Nunc

Egli è Colui che viene sempre, suscitando o assecondando la preghiera del suo popolo. Egli è Colui che viene sempre ora, “finché si può dire: «Oggi»” (Salmi 95:7-8; Ebrei 3:7-8; 4:7; 2 Corinzi 6:2).

Et in hora mortis nostrae sursum corda!

Egli viene alla dipartita del suo popolo, per incontrarlo nell’ora della sua morte. Riceve a Sé le loro anime, le loro persone, mentre i loro corpi ritornano alla terra fino alla risurrezione (Filippesi 1:23-24; 2 Timoteo 4:6, 8). Alla loro morte  introduce i fedeli, mediante la loro approfondita consapevolezza, ad una nuova rivelazione del mondo spirituale, ad una nuova intercessione con Cristo in questa inimmaginabile lode celeste nella quale, nella sua liturgia, la Chiesa ancora sulla terra è inclusa: “In alto i cuori! Li teniamo rivolti al Signore!” (Apocalisse 5:8; 8:3-4; Ebrei 12:22-24).
Nel corso dei secoli il popolo di Dio arriva a vivere sempre più pienamente, sempre più fedelmente, nella realtà della “venuta”, la “parusia” del Signore che lo incalza. “Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni!» E chi ode, dica: «Vieni!» Chi ha sete, venga … Colui che attesta queste cose, dice: «Sì, vengo presto!» Amen! Vieni, Signore Gesù!” (Apocalisse 22:17, 20).

Amen! Vieni Signore Gesù!

Egli viene al suo popolo riunito nel giorno di sabato, e più tardi, nel giorno del Signore (Apocalisse 1:10), il primo giorno della settimana (Atti 20:7; 1 Corinzi 16:2) – viene a loro con la Parola, il pane e il vino.
Così venne al tempo della sua incarnazione!
Così venne, presente in un altro (nello Spirito Santo), il giorno di Pentecoste (Giovanni 14:18, 20; 16:16, 22).
E così venne nel 70 d.C., proprio come aveva predetto quando ancora camminava sulla terra:

  • per giudicare l’antica Chiesa, Israele, per stabilire d’ora in poi al suo posto, per gli Ebrei come per le nazioni, il nuovo Israele, la Chiesa;
  • per voltare la pagina dell’antica era del Patto di Grazia e iniziare la nuova era dello stesso;
  • per suggellare il completamento dello Spirito Santo;
  • e per portare la sua Chiesa dai tempi apostolici ai tempi post-apostolici in cui ancora viviamo.

E così verrà alla fine, in un determinato giorno e ora, per l’apokatastasis pantas, la restaurazione di tutte le cose (Atti 3:21).

“Questa generazione”

Nella sua profezia in Matteo 24:1-34, Gesù rese chiaro che la sua imminente venuta – in questa generazione – non sarebbe stata una venuta fisica, corporea, dal momento che paragonò la sua venuta al “lampo [che] esce da levante e si vede fino a ponente” (v. 27). Inoltre, nel contesto immediatamente precedente disse: “Allora, se qualcuno vi dice: ‘Il Cristo è qui’, oppure: ‘È là’, non lo credete” (vv. 23, 25). La venuta di Cristo nel 70 d.C., una venuta reale e spirituale, sarebbe stata accompagnata dal segno del Figlio dell’uomo nel cielo, un segno assolutamente fisico e visibile. Questo segno consisteva nella distruzione del Tempio e la rovina di Gerusalemme. Con quel segno il Figlio dell’uomo, seduto e regnante alla destra del Padre, rese abbondantemente chiaro che Egli aveva davvero ricevuto ogni potere. Il giorno della sua morte, quando Gesù si presentò davanti al Sinedrio (il tribunale ebraico), il sommo sacerdote gli chiese: “«Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?» Gesù disse: «Io sono; e vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nuvole del cielo»” (Marco 14:61-62). E così avvenne, quando i membri ancora in vita del Sinedrio nel 70 d.C. videro con i loro occhi esattamente ciò che Gesù aveva predetto: l’esecuzione del giudizio che il tribunale trinitario aveva pronunciato su Israele.
L’ora era ormai giunta, come Gesù aveva annunciato alla Samaritana al pozzo di Giacobbe, che il Padre non sarebbe più stato adorato nella Gerusalemme terrena (Giovanni 4:21-24). L’adorazione in Spirito e Verità avrebbe avuto luogo nella Gerusalemme celeste (Ebrei 12:22-24), dove sarebbero stati riuniti uomini, donne e bambini di tutte le nazioni, sia Ebrei che Gentili. Il Tempio, da quel momento in poi, sarebbe stato Cristo nella sua totalità – capo e corpo (Giovanni 2:21; 1 Corinzi 3:16-17; 6:19; Efesini 2:20-22).

I lamenti per la fine

Tutte le tribù della terra (, in greco, si riferisce a volte alla terra d’Israele, il significato qui confermato da “le tribù”) faranno lutto: la città santa è sparita, il santuario è sparito, il sacrificio perpetuo non c’è più, e, per molti abitanti di Gerusalemme: le nostre case non ci sono più, e per alcuni persino: i nostri genitori non ci sono più, i nostri amicinon ci sono più!
Gli eventi del 70 d.C., il segno e tutto ciò che ne conseguì, mandarono onde d’urto in tutta la Giudea e in tutta la Diaspora. Israele, scrisse Giuseppe Flavio, fu “immerso nella più grande disgrazia che si possa immaginare”. Il terrificante avvento-evento segnalò “la fine dell’era”, la fine del mondo sotto l’amministrazione dell’antico patto, la fine del sacrificio perpetuo e del Tempio. Israele non si riprese mai più da questa catastrofe. Gesù aveva predetto che sarebbe stata una tribolazione “quale non v’è stata dal principio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà” (Matteo 24:21; Daniele 12:1). Questi lamenti sono persistiti durante i venti secoli che Israele ha conosciuto da allora.
Nell’Apocalisse siriaca di Baruch, o Il Secondo Libro di Baruch, scritto tra il 75 e il 100 d.C. (da non confondere con il Libro di Baruch negli apocrifi dell’antico patto), si legge:

Beato chi non è nato
o chi è nato ed è morto!
Guai a noi, invece, noi, quanti siamo vivi,
perché vediamo i dolori di Sion
e quel che è accaduto a Gerusalemme… (X, 6-7)

E voi, cieli, trattenete la vostra rugiada
e non aprite i depositi della pioggia.
E tu, sole, trattieni la luce dei tuoi raggi;
e tu, luna, spegni la moltitudine della tua luce:
perché infatti sorgerebbe ancora la luce
lì dove è stata ottenebrata la luce di Sion? … (X, 11-12)

Abbi tu, terra, orecchie,
e tu, polvere, un cuore,
e andate e mostrate (questo) nello Sheol
e dite ai morti:
Beati voi più di noi, noi che viviamo! (XI, 6-7)

Tutti coloro tra i Giudei che rifiutarono di ascoltare il Vangelo del Regno proclamato da Gesù, dai dodici e dai settanta e che rifiutarono l’ultimatum (e il tempo della pazienza) dato dal Signore e dagli apostoli (Matteo 23:37), tutti i figli e le figlie del patto che non hanno ricevuto il loro Messia (Giovanni 1:11), ora hanno visto il segno della potenza e della gloria del Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo. Tuttavia, il Signore, avendo raccolto i suoi eletti dai quattro venti (molti chiamati, ma pochi scelti; Matteo 22:14) per mezzo dei suoi angeli (i suoi messaggeri, i suoi inviati, i suoi apostoli, i suoi ambasciatori) al suono di una tromba, li strappa via dal giudizio e li salva. La tromba che suona è una chiara allusione alla tromba del giubileo. L’anno del giubileo (Levitico 25) celebra simbolicamente la liberazione e la redenzione degli uomini – non solo degli Ebrei, ma anche delle nazioni (Efesini 2:12, 21) – operata da Colui che li avrebbe liberati da tutti i loro debiti pagandoli. Il tema del giubileo è ripreso ripetutamente in tutta la Bibbia (cfr. Isaia 61:1-2 e Luca 4:17-21).

La carcassa e le aquile

Un’altra profezia resta da considerare. Gesù predisse: “Dovunque sarà il cadavere, lì si raduneranno le aquile” (Matteo 24:28).
Non possiamo fare a meno di vedere in questa profezia un’allusione alla presa e alla distruzione di Gerusalemme. Il paragone del popolo santo con un cadavere, e persino con le ossa secche, era stato fatto da Ezechiele (37:1-14). Leggiamo anche in quel capitolo che lo Spirito viene “dai quattro venti” per soffiare sugli uccisi, facendoli rivivere (v. 9). Nell’ultima settimana dell’antico patto, Israele è spiritualmente morto, come un deserto (Matteo 23:38). Deuteronomio 28, cominciando dal versetto 15, annuncia le maledizioni che sarebbero venute sul popolo di Dio se avesse disobbedito alla Parola del loro Signore. Vi si dice che “Il Signore ti farà sconfiggere dai tuoi nemici … I tuoi cadaveri saranno pasto di tutti gli uccelli del cielo e delle bestie della terra, che nessuno scaccerà” (vv. 25-26).
Questo è avvenuto alla fine delle ultime settimane. I Romani erano i nemici che avrebbero sconfitto Israele. Tutto ciò che rimaneva di Israele era una carcassa attorno alla quale si radunavano le aquile. La luce delle fiamme che inghiottirono il santuario brillava persino sulle aquile dell’esercito romano, per il quale l’aquila era il simbolo dell’Impero, un’insegna sotto la quale marciavano le legioni. Giuseppe Flavio riferisce: “I romani, ora che i ribelli erano scesi a rifugiarsi nella città e il santuario bruciava con tutti gli edifici circostanti, portarono le loro bandiere [‘oggetti sacri’] nell’area antistante al tempio e, collocatele di fronte alla porta orientale, celebrarono un sacrificio in loro onore e salutarono Tito imperatore fra grandissime acclamazioni di giubilo” (Guerra giudaica, VI, 6,1).
Flavio Giuseppe aveva precedentemente notato riguardo a queste “insegne” (o “oggetti sacri”) che esse “circondano l’aquila, la quale viene portata in testa a ogni legione dei romani: è la regina e il più forte di tutti gli uccelli” (III, 6,2).

IL CANONE SCRITTURALE

La chiusura del canone biblico

I tempi apostolici dal 30 al 70 d.C. (e, più in particolare, dal 40 al 70) furono quelli in cui il Libro sacro fu sigillato – cioè finito, completato, concluso – secondo la profezia di Daniele (9:24).
Sebbene Daniele avesse ricevuto l’ordine: “Tieni segreta la visione, perché si riferisce a un tempo lontano” (Daniele 8:26), a Giovanni, scrivendo l’ultimo libro della sacra Scrittura, fu ordinato: “Non sigillare le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino” (Apocalisse 22:10). Ciò solleva per noi la questione del canone biblico, alla quale ora ci rivolgiamo. La parola “canone” deriva dalla parola greca kanón, che significa canna, misura o regola. Può essere intesa in due modi diversi, ciascuno ugualmente accettabile.

La lista canonica

Il primo senso di canone biblico è la lista ecclesiastica dei libri contenuti nella sacra Scrittura. Inteso in questo modo, possiamo dire che la Chiesa romana e le Chiese della Riforma hanno lo stesso canone, la stessa lista, di ventisette libri del Nuovo Testamento.  Hanno invece liste di libri diverse, e quindi canoni diversi, per l’Antico Testamento.
Non sembra che la Chiesa romana avesse una lista di libri rigorosamente definita prima del Concilio di Trento, 1545-1563. I primi Padri e i Dottori medievali avevano opinioni diverse sulla questione. Ma con il Concilio di Trento, la Chiesa romana approvò ufficialmente un presunto canone alessandrino, lo stesso usato dalla traduzione in greco dell’Antico Testamento chiamata “la Septuaginta” [18], che aggiunge diversi libri apocrifi al canone ebraico tradizionale (Tobia, Giuditta, 1 e 2 Maccabei, Sapienza, Ecclesiastico, Baruch, e una lettera di Geremia) e include anche aggiunte ai libri di Ester e Daniele.
Dico “presunto” canone alessandrino, perché l’evidenza favorisce il canone ebraico tradizionale. Questo era il canone approvato da Padri come Melito di Sardi (secondo secolo), sant’Atanasio (295-378), san Cirillo di Gerusalemme (315-386), e san Girolamo (347-420), l’esperto maestro di greco, ebraico e latino, la cui mirabile traduzione della Bibbia dall’ebraico e dal greco in latino è conosciuta come la Vulgata latina. Questo canone ebraico fu anche quello rigorosamente tenuto in considerazione dai riformatori, come era giusto e opportuno per diverse ragioni.
In primo luogo, vi è la testimonianza dello storico del primo secolo, Giuseppe Flavio, secondo cui solo il canone ebraico aveva autorità al tempo di Gesù e degli apostoli [19]. Un’altra prova esterna si trova nel prologo del Libro di Ben Sira o Ecclesiastico, un libro apocrifo dell’inizio del secondo secolo a.C. Il prologo si riferisce due volte all’Antico Testamento come Legge, Profeti e Scritti (Torah, Nevi’im e Ketuvim), che è la triplice divisione del canone ebraico [20].
In secondo luogo, ci sono diversi passi (la Parola di Dio!) nel Nuovo Testamento che alludono chiaramente alle tre parti della Bibbia ebraica: “La legge, i profeti e i Salmi” (i Salmi erano il primo libro degli Scritti). Questo idioma spesso veniva abbreviato in “la legge e i profeti”, o anche “la legge” (cfr. per esempio Matteo 5:17-18; 22:36-40; Luca 16:16; 24:44; Giovanni 1:45; Atti 13:15; 28:23; Romani 3:21; Giacomo 2:10).
In terzo luogo, Matteo 23:35 e Luca 11:51 usano l’espressione “dal sangue del giusto Abele, fino al sangue di Zaccaria” (cfr. 2 Cronache 24:20-22). Questi versi mostrano abbastanza chiaramente che la Bibbia ebraica usata da Gesù e dagli apostoli iniziava con la Genesi e terminava con 2 Cronache.
Quarto, e più importante, Romani 3:1-2 (la Parola di Dio!) parla proprio della questione del canone. Rivela che i Giudei hanno un privilegio (perissos in greco), una superiorità, un vantaggio: cioè che a loro furono affidati gli oracoli, le parole di Dio (ta logia tou theou) [21] . La Chiesa antica, Israele, aveva in suo possesso la tradizione, la trasmissione (paradosis) della Parola di Dio scritta, iniziata con Mosè. È questa tradizione, questa paradosis, che il resto fedele dell’antica Chiesa, Israele, ha trasmesso alla Chiesa, il nuovo Israele; ed è questa tradizione che si completerà con la Tradizione degli Apostoli del Nuovo Testamento.
Mentre la Chiesa romana, almeno dal Concilio di Trento, ha ricevuto un canone che include diversi libri e aggiunte al canone ebraico tradizionale, le Chiese della Riforma si sono attenute, con buona ragione, a quest’ultimo.
In tutto questo, abbiamo affrontato la questione storica riguardante il canone – cioè, quale lista di libri sacri è riconosciuta e dichiarata dalla Chiesa, custode delle Scritture, come canonica (la Chiesa antica, Israele, che ha riconosciuto e dichiarato quali sono i libri sacri dell’antica amministrazione del patto; il nuovo Israele che ha riconosciuto e dichiarato quali sono i libri sacri della nuova amministrazione del patto).

Il canone dogmatico

Il secondo significato di canone biblico differisce dal primo in quanto riconosce che questi libri hanno un’autorità divina che si impone alla Chiesa e ai fedeli in quanto sono la Parola stessa di Dio e pertanto la norma sovrana.
Qui si tratta di una questione dogmatica. Sebbene la Chiesa riconosca e dichiari la lista dei libri canonici, è lo Spirito Santo il testimone certo e sicuro, che operava nei cuori dei Padri Dottori e Riformatori della Chiesa nei tempi passati, e opera nei cuori dei credenti più semplici in ogni tempo, affinché essi possano afferrare, con la certezza della fede divina, che questa sacra Scrittura è veramente Parola di Dio [22]. Egli è il garante della verità e dell’autorità delle infallibili sacre Scritture (Giovanni 3:31-34; 1 Corinzi 1:4-6; 1 Giovanni 5:6, 9-13; Apocalisse 19:10).
Per questo motivo, ogni volta che le Chiese e i fedeli leggono o ascoltano le Scritture, devono ricevere umilmente questa parola come se, faccia a faccia col Signore, la ascoltassero dalle sue stesse labbra.

La Tradizione degli apostoli

La Chiesa di Cristo, la Chiesa della nuova amministrazione del Patto, non è mai stata sprovvista dei libri sacri, la Parola scritta di Dio. Non dimentichiamoci che la Chiesa era, all’inizio, quasi esclusivamente costituita dal residuo fedele di Israele. Di conseguenza essi “ricevettero” da Israele (o piuttosto “mantennero”) la Torah, Nevi’im e Ketuvim (il TaNaKh) fin dall’inizio. Inoltre, la cerchia apostolica, eseguendo il comando impartitole da Cristo, diede alla Chiesa abbastanza presto, libro per libro, gli scritti che componevano il Nuovo Testamento. Questi scritti, uno per uno, e poi nel loro insieme, si stabilirono gradualmente nelle chiese come aventi la stessa autorità divina della Bibbia di Israele.
L’autorità divina degli scritti degli apostoli è chiaramente attestata all’interno degli stessi. Questa “Tradizione” apostolica, questa “trasmissione” apostolica dei nuovi scritti sacri, è definita come il Vangelo proclamato dallo Spirito Santo inviato dal cielo (1 Pietro 1:12); come la parola insegnata dallo Spirito (1 Corinzi 2:13); come prescrizione da ricevere come se procedesse dal Signore stesso (1 Tessalonicesi 4:2), tanto che se qualcuno dovesse scegliere di non obbedirvi, “notatelo, e non abbiate relazione con lui” (2 Tessalonicesi 3:14), poiché le cose scritte da un apostolo erano “comandamenti del Signore” (1 Corinzi 14:37).
Quando una o più chiese ricevevano un Vangelo, una lettera o uno scritto recante l’autorità o il sigillo di un apostolo, esso veniva ricevuto come Parola del Signore. Di conseguenza veniva classificato con le Scritture della Bibbia ebraica, diventando, a sua volta, Scrittura. Doveva essere letto pubblicamente ai fratelli (1 Tessalonicesi 5:27). Inoltre, doveva essere trasmesso alle chiese sorelle, a tutti nella comunione spirituale del Padre e del Figlio. “Quando questa lettera sarà stata letta da voi”, ordinò Paolo, “fate che sia letta anche nella chiesa dei Laodicesi, e leggete anche voi quella che vi sarà mandata da Laodicea” (Colossesi 4:16; cfr. Apocalisse 1:3). In questo modo tutte le Chiese nell’oîkouméné gradualmente arrivarono a riconoscere una nuova raccolta di libri come la Parola-Legge di Dio.
Inoltre, questa nuova raccolta di scritti sacri venne riconosciuta nel tempo come una quarta parte della sacra Scrittura, insieme alle tre parti principali della Bibbia ebraica. Inizialmente, era conosciuto come “il Vangelo e gli Apostoli” – o, in forma abbreviata, “il Vangelo”. Le opere successive dei Padri della Chiesa parlavano di un’unica grande raccolta in quattro parti: “la Legge e i Profeti con i Vangeli e gli Apostoli” o, più semplicemente, “la Bibbia e la Tradizione”, o “la Legge e il Vangelo”.
Per quanto riguarda il primo senso del “canone”, il senso di una lista definita dalla Chiesa, il primo tentativo noto nella Chiesa di definire un elenco dei nuovi scritti sacri arriva verso la fine del secondo secolo (elenco chiamato nel 1740 il canone “muratoriano” dal nome del suo compilatore milanese. Non includeva Ebrei, Giacomo, 2 Pietro, 2 e 3 Giovanni, Giuda e Apocalisse) e non sarà fino ad Atanasio, nel 367, che troveremo il canone esatto di ventisette libri del Nuovo Testamento.
Tuttavia, per quanto riguarda il secondo senso di “canone”, il senso dogmatico sotto il controllo dello Spirito Santo, possiamo dire che il canone del Nuovo Testamento è stato sigillato in tempi apostolici, prima del 70 d.C. Gli apostoli e i loro assistenti esercitarono immediatamente la loro autorità, un’autorità ricevuta dal Signore, per prendersi cura della Chiesa e proteggerne la fedeltà. Di conseguenza, ciascuno dei ventisette libri del Nuovo Testamento non solo fu scritto, ma fu anche immediatamente riconosciuto e dichiarato, almeno in alcune chiese, come la Scrittura-Parola di Dio.
Pietro, scrivendo intorno al 65, dichiara che il suo “caro fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; e questo egli fa in tutte le sue lettere, in cui tratta di questi argomenti. In esse ci sono alcune cose difficili a capirsi, che gli uomini ignoranti e instabili travisano a loro perdizione come anche le altre Scritture” (2 Pietro 3:15-16).
Paolo si riferisce esplicitamente sia al Deuteronomio che a Luca come Scritture, una verità che considera evidente (1 Timoteo 5:18; cfr. Deuteronomio 25:4 e Luca 10:7).
Quando Giovanni scrisse l’Apocalisse, che non è solo l’ultimo libro del Nuovo Testamento, ma anche di tutta la Bibbia (Nerone, morto nel giugno del 68, è ancora in vita quando viene scritta l’Apocalisse), anch’egli “canonizzò”, a suo modo, l’intera raccolta di scritti nel Nuovo Testamento. Concludendo e sigillando “la visione e la profezia”, egli termina il suo libro con queste parole:

Io lo dichiaro a chiunque ode le parole della profezia di questo libro: se qualcuno vi aggiunge qualcosa, Dio aggiungerà ai suoi mali i flagelli descritti in questo libro; se qualcuno toglie qualcosa dalle parole del libro di questa profezia, Dio gli toglierà la sua parte dell’albero della vita e della santa città che sono descritti in questo libro. Colui che attesta queste cose, dice: «Sì, vengo presto!» Amen! Vieni, Signore Gesù! La grazia del Signore Gesù [Cristo] sia con tutti. [Amen.] (Apocalisse 22:18-21)

Note:

1 N.B. “Ogni” in UNA DICHIARAZIONE

2 La parola ethnê “popolo; nazione” troppo spesso viene tradotta con “gentili; pagani”.

3 Biblicamente, il nome rivela la persona (il suo carattere, le sue opere). Cfr. nell’Antico Testamento – e questo ne è solo un esempio – Salmi 5:11; 9:10; 22:22; 23:3; 25:11; 75:1; 76:1; 89:16, 24; 119:55; Geremia 10:6; Ezechiele 20:44; Michea 4:5; Malachia 3:16; nel Nuovo Testamento: Giovanni 17:6; Atti 9:15. Inoltre, la blasfemia non è né l’unico né il principale scopo del terzo comandamento del decalogo, bensì ciò che viene proibito al di sopra di tutto è il disprezzo o il rifiuto della rivelazione di Dio stesso (Esodo 20:7; Isaia 52:5; Geremia 34:16; Proverbi 30:9).

4 Questo Giacomo non dev’essere confuso con un altro tra “i dodici”, Giacomo figlio d’Alfeo (Matteo 10:3; Atti 1:13), né con Giacomo il fratello di Gesù, così come lo erano anche Giuseppe, Simone e Giuda (Matteo 13:55). È ben noto che il nome di suo padre fosse Zebedeo, mentre sua madre, Salome, era la sorella della beata Maria (a prova di ciò basta allineare Marco 15:47 e 16:1 con Matteo 27:55-56 e Giovanni 19:25). Quando viene raccontato della crocifissione di Gesù e della sua sepoltura, i Vangeli menzionano quattro donne in particolare: tre Marie (la madre di Gesù, la madre di Giacomo e Giuseppe, e Maria Maddalena) e una quarta che Marco chiama Salome, mentre Matteo la chiama “la madre dei figli di Zebedeo” e Giovanni la chiama “la sorella di sua madre”, cioè, la sorella della madre di Gesù. Così come Giovanni non indica il suo proprio nome nel suo Vangelo, riferendosi a sé stesso semplicemente come “il discepolo che Gesù amava” (13:23; 19:26; 20:2; 21:20), allo stesso modo tiene celato il nome di sua madre (cfr. Matteo 27:55; Marco 15:40; Giovanni 19:25-27). Essendo uno dei più vicini al Signore, fu a lui che Gesù, mentre era appeso alla croce, affidò le cure della beata Maria: “Ecco tua madre!”

5 È stato detto che questa espressione rende il greco atroce, ma la teologia eccellente!

6 Tacito, Gli Annali, Libro XII, 43.

7 Clemente di Roma, Prima lettera di Clemente, VI, 1.

8 1 Timoteo 1:3, 10; 4:1, 6; 6:3.

9 2 Timoteo 4:10, 14.

10 Cfr. anche Luca 4:5; 21:26; Atti 11:28; 17:6, 31; 19:27; 24:5; Romani 10:18; Apocalisse 3:10; 12:9; 16:14.

11 Cfr. Romani 1:15; 2:9-10; Atti 2:29-41; 21:21; 24:5; ecc.

12 Cfr. anche Deuteronomio 29:17; Geremia 7:30; Ezechiele 5:11; 11:18, 21; 20:7-8, 30.

13 Nota del traduttore: Courthial è convinto che gran parte del greco impiegato dagli scrittori apostolici sia un greco “ebraicizzato”, il che significa che essi cercavano consapevolmente di trasmettere parole e pensieri ebraici con la lingua greca. Questo è un esempio eccellente dell’impiego di questo principio ermeneutico. Per approfondimenti, vedi Pierre Courthial, De bible en bible (Lausanne: L’Age d’Homme, 2001).

14 Flavio Giuseppe, Guerra giudaica. DIGITALSOUL, 2018.

15 Cfr. anche Genesi 18:20-23; Apocalisse 11:3-13; 14:12-20.

16 Cfr. anche Apocalisse 12:14 – “Ma alla donna furono date le due ali della grande aquila affinché se ne volasse nel deserto, nel suo luogo, dov’è nutrita per un tempo, dei tempi e la metà di un tempo, lontana dalla presenza del serpente”.

17 Nota del traduttore: lo studioso del Nuovo Testamento R. T. France affronta l’uso delle immagini celesti nel discorso degli Ulivi come riportato nel Vangelo di Matteo: “…i vv. 29-31 devono essere intesi come il modo di Gesù di parlare nel linguaggio colorito della profezia dell’AT, dell’evento culminante della distruzione del tempio e della sua stessa autorità di Figlio dell’uomo vendicato, che fornisce la necessaria contropartita alla perdita di quello che è stato finora il centro terreno del dominio di Dio tra il suo popolo … Se questi testi sono compresi sullo sfondo del loro significato nei contesti dell’AT, essi forniscono un suggestivo e (per coloro che sono a proprio agio nell’immaginario dell’AT) teologicamente ricco resoconto degli sviluppi di vasta portata nell’economia divina che devono essere focalizzati nell’evento storico della distruzione del tempio. Il problema è che i lettori cristiani moderni non sono generalmente molto a loro agio con l’immaginario profetico dell’AT, e sono invece eredi di una lunga tradizione di esegesi cristiana che dà per scontato che tale linguaggio celeste, e in particolare l’immaginario di Daniele 7:13-14, possa essere compreso solo per la parusia e la fine del mondo. Tuttavia, Gesù parlava prima che questa tradizione si sviluppasse, e le sue parole devono essere comprese all’interno del loro contesto, dove è stato l’AT a fornire il modello naturale per interpretare tali immagini … Il linguaggio relativo al crollo del cosmo, quindi, è usato dai profeti dell’AT per simboleggiare l’atto di giudizio di Dio all’interno della storia, con l’accento su catastrofici rovesci politici. Quando Gesù prese in prestito l’immaginario di Isaia, è giusto intenderlo in un senso simile. Se tale linguaggio era appropriato per descrivere la fine di Babilonia o di Edom sotto il giudizio di Dio, perché non dovrebbe descrivere il giudizio di Dio sul tempio di Gerusalemme?” (R. T. France, The Gospel of Matthew (2007), 920, 922).

18 Per quanto riguarda i settanta, o la Septuaginta, notiamo:

  1. L’espressione “septuaginta” (settanta) non si riferisce in alcun modo allaleggenda diffusa dalla Lettera di Aristea (secondo secolo a.C.) secondo la quale 72 uomini ebrei anziani (sei per tribù) vennero da Gerusalemme sotto l’autorità del sommo sacerdote e su richiesta del sovrano egiziano Tolomeo (terzo secolo a.C.), e, sistemati ad Alessandria in 72 celle separate e ben isolate, avrebbero composto miracolosamente 72 traduzioni greche assolutamente identiche del manoscritto ebraico della Bibbia. Sant’Agostino, lasciandosi un po’ trasportare dall’episodio, diede credito a questa leggenda, facendola diffondere con la pretesa di autenticare giustamente l’autorità divina della Septuaginta! (cfr. La città di Dio, libro XVIII, 42-43)La verità è che la Septuaginta trae il proprio nome dal fatto che fu destinata dai traduttori ebrei alessandrini ai non ebrei, i Gentili, le nazioni, simbolicamente numerate come 70 perché, alla loro origine (Genesi 10), costituivano un tale numero.
  2. Il Nuovo Testamento usa frequentemente la Septuaginta quando cita l’Antico Testamento perché ciò facilitava l’inserimento di queste citazioni in un testo già scritto in greco.
  3. Se, come risulta, ci sono allusioni (ma non citazioni) nel Nuovo Testamento ai libri apocrifi aggiunti dalla Septuaginta alla Bibbia ebraica, esse non attestano l’origine divina di questi testi più di quanto le citazioni (non allusioni in questo caso!) di autori pagani nel Nuovo Testamento “sacralizzino” gli autori citati e il testo da cui sono tratti (Arato in Atti 17:28, Menandro in 1 Corinzi 15:33, ed Epimenide in Tito 1:12).

19 Contro Apione, 1, 8.
20 Ecclesiastico 1.10 e 1.20.

21 Cfr. anche Romani 9:4.

22 Nota del traduttore: Courthial distingue tra la Chiesa, che fait connaître le canon per quanto riguarda la questione storica, e lo Spirito Santo, che fait savoir…que cette Écriture Sainte est vraiment la Parole de Dieu per quanto riguarda la questione dogmatica.


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