PARTE SECONDA

LA SVOLTA DEI TEMPI

I settant’anni: 1-70 d.C.

4

LA VITA TERRENA DI CRISTO: 1-30 d.C.

5

IL PERIODO APOSTOLICO: 30-70 d.C.

 

 

 

4

LA VITA TERRENA DI CRISTO:

1-30 d.C.

 

OSSERVAZIONI PRELIMINARI

I settant’anni che hanno dato inizio alla nostra era (1-70 d.C.) sono stati testimoni di eventi storici di importanza capitale e decisiva, che insieme hanno costituito la svolta dei tempi.
Questo periodo è stato anche testimone della rivelazione della quarta e ultima parte della sacra Scrittura.
L’Antico Testamento o Bibbia ebraica (composto da tre parti chiamate la Torah, i Nevi’im e i Ketuvim – cioè la Legge, i Profeti e gli Scritti) presenta l’origine e lo sviluppo dell’antica amministrazione del Patto di Grazia da Adamo al tempo della restaurazione di Israele dopo l’esilio babilonese.
Il Nuovo Testamento (che costituisce la quarta e ultima parte della sacra Scrittura, che può essere chiamata la Tradizione degli Apostoli, composta da ventisette scritti del circolo apostolico) presenta l’origine e lo sviluppo della nuova amministrazione del Patto di Grazia in vigore dalla venuta del secondo Adamo, Gesù Cristo, e per tutto il tempo a seguire.
In questo modo possiamo pensare a tutta la Bibbia, ora completa, come al Trattato del Patto di Grazia.
Questi settant’anni (1-70 d.C.) comprendono due periodi. I primi trent’anni sono quelli della vita terrena di Cristo, dalla sua nascita alla sua ascensione. Gli ultimi quarant’anni sono quelli dei tempi apostolici, dall’ascensione di Cristo alla distruzione del Tempio di Gerusalemme.
Questi due periodi sono così inscindibili, così profondamente uniti, che possiamo conoscere il primo solo alla luce degli scritti del secondo. Inoltre, è solo sullo sfondo di tutti i settant’anni che inaugurano la nostra era (e non solo i primi trenta) che possiamo veramente apprezzare la rivelazione di Cristo come l’evento centrale della storia.

 

IL MISTERO DELL’INCARNAZIONE

Contrariamente alle opinioni del giudaismo nella sua forma attuale (un giudaismo che si è allontanato dalla sua stessa Bibbia!), contrariamente alle opinioni dell’Islam di oggi e contrariamente alle molte eresie antiche e moderne, il Dio che regna sulla storia non è un “Dio solitario”. Piuttosto, Egli è il Dio uno e molteplice, il Dio vivente che si è rivelato come Trinità, come il Dio che non è amore perché ci ama, ma che ci ama perché è eternamente amore in sé stesso, perché è l’unità indivisa delle tre Persone divine, colui che può dire “io”, “tu”, o “noi” nell’amore che è la sua stessa vita. Questo è il Dio che regna sulla storia.

L’Incarnazione di Dio Figlio

L’Incarnazione dell’unigenito Figlio di Dio è il coronamento della volontà creativa di Colui che “ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra” (Efesini 1:9-10).
Nel suo unigenito Figlio, Dio ha squarciato i cieli ed è sceso, i monti tremano alla sua presenza (Isaia 64:1), i monti dall’Eden al Sion, passando per l’Ararat, il Moria e il Sinai (Aggeo 2:6; Ebrei 12:26).

Il credo niceno

Per noi uomini e per la nostra salvezza, [il Figlio di Dio] si è incarnato dalla vergine Maria e si è fatto uomo. (Credo niceno, 325 d.C.)

Gesù stesso ha detto: “Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Giovanni 3:17).
Il Signore è entrato personalmente e realmente nel tempo e nella storia, ed è per questo che gli anni dall’1 al 30 d.C. occupano un posto centrale nel cuore di – e di fatto al di sopra di – tutti i tempi e tutte le storie. Il solo pensiero di tutto ciò fa girare la testa, ma tale è la creatività dell’amore di Dio!

Il Concilio di Calcedonia

Meditando la sacra Scrittura ed essendo pienamente fedeli ad essa, i Padri del Concilio di Calcedonia dichiararono nel 451,

Un solo e medesimo Figlio: il signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo … consustanziale al Padre per la divinità, e consustanziale con noi per l’umanità, simile in tutto a noi, fuorché nel peccato,
generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria vergine e madre di Dio, secondo l’umanità,
uno e medesimo Cristo signore unigenito; da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili,
non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi;
Egli non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e medesimo Figlio, unigenito, Dio, verbo e signore Gesù Cristo.

In questa bella confessione, non abbiamo altro che lo sviluppo della formula battesimale: “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Matteo 28:19). Il Nome è “uno”; il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono “tre”. Come dice la liturgia di Giovanni Crisostomo (344-407): “E concedi a noi con una sola bocca e un solo cuore di glorificare e di celebrare con inni l’onorabilissimo e magnifico nome tuo, di te Padre e Figlio e Spirito Santo” [1].
Non come intermediario, ma come Mediatore, essendo vero Dio e vero uomo, solo Dio Figlio fatto uomo aveva il potere di riportare gli uomini a Dio.
Con la sua incarnazione, Dio Figlio si è impossessato del tempo e della storia dall’interno, dalla loro origine alla loro fine. Le tappe storiche del Patto di Grazia, con le loro promesse, comandi, avvertimenti e sacramenti, presupponevano fin dall’inizio l’incarnazione: questo tempo, dall’anno 1 al 30, che si sarebbe rivelato decisivo e unico per tutta la storia.
Il Signore per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte è davvero il Redentore. E la sua Parola (Vangelo-Legge) è sigillata per tutti i tempi dal sangue del sacrificio del Figlio unigenito che è venuto, attraverso lo Spirito, dal Padre. Perciò l’apostolo Paolo non esitò a parlare del sangue di Dio (Atti 20:28).
I cieli furono aperti; Dio discese nel suo Figlio per combattere e strappare la vittoria al nemico – il diavolo, il peccato e la morte.

L’umiliazione del Figlio unigenito

Nella sua umiliazione, determinata dal Consiglio trinitario, Dio Figlio si spogliò volontariamente, senza smettere di essere Dio, per assumere pienamente la sua umanità.

… ma svuotò sé stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò sé stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce  (Filippesi 2:7-8).

Nel linguaggio pattizio, Colui che è autonomo, una Legge a sé, e il Datore della Legge a tutte le creature, ha voluto, in suo Figlio, porre sé stesso sotto la Legge, vivere sotto la Legge, diventare … teonomico.
Questo è ciò che è avvenuto con l’umiliazione sacrificale – pattizia e liberamente scelta, per amore “nostro e per la nostra salvezza.” Senza cessare di essere Dio, o più precisamente perché Egli è il Dio vivente ed è Amore, il Figlio unigenito ha assunto la condizione di servo, una condizione simile alla nostra, subendo la tentazione più difficile, la prova più difficile (“tentazione” e “prova” sono entrambi resi dalla parola greca peïrasmos), fino alla prova infernale della separazione da Dio al posto nostro – “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Matteo 27:46; cfr. Salmi 22).
Sia nel deserto immediatamente dopo il suo battesimo (Matteo 4:1-11) o con il suggerimento diabolico di Pietro di non andare alla croce (Matteo 16:21-23), o infine nel Getsemani poco prima del suo arresto, Gesù ha subìto inimmaginabili tentazioni e prove, nel corso delle quali: “è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato…benché fosse Figlio, imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì” (Ebrei 4:15; 5:8) [2].

Gesù ha assunto pienamente tutto ciò che è umano e, in quell’umanità, ha affrontato tentazioni e prove in tutta la loro forza. Mentre il primo Adamo sul monte dell’Eden soccombette e cadde, Gesù perseverò e trionfò – Egli “offrì preghiere e suppliche (con alte grida e con lacrime) a colui che poteva salvarlo dalla morte ed è stato esaudito per la sua pietà” (Ebrei 5:7).

L’APERTURA DEI QUATTRO VANGELI

Nei Vangeli troviamo la vita terrena del nostro Signore presentata in quattro specifiche “serie di immagini storiche”. Queste quattro versioni sono quattro angolazioni da cui vedere l’unico e medesimo Vangelo; e ogni “angolazione”, così come il quadro complessivo che emerge da esse nel suo insieme, era e continua ad essere sostenuto dallo Spirito Santo.
I Vangeli di Matteo e Luca non iniziano con il mistero fondamentale dell’Incarnazione (di cui abbiamo appena parlato). Piuttosto, ognuno dà una genealogia di Gesù – Matteo fin dall’inizio della sua introduzione (Matteo 1:1-17), Luca poco dopo la sua introduzione (Luca 3:23-38). Queste genealogie – quella di Matteo in particolare – includono alcune figure che non ci si aspetterebbe di trovare lì, ma la loro inclusione parla significativamente alla nostra condizione umana: noti peccatori come Tamar, Raab, Davide, la moglie di Uria, e Salomone; e stranieri che sono altrettanto importanti ad un altro livello, come Rut la Moabita (e ancora, Tamar e Raab, entrambe Cananee; cfr. Genesi 38 e Rut 2).
Queste genealogie servono a sottolineare l’umanità di Gesù, in ogni sua parte come la nostra, solamente senza peccato.
I Vangeli di Marco e Giovanni, invece, iniziano subito con il mistero dell’incarnazione. L’incipit di Marco è: “Inizio del vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio.” L’intero prologo di Giovanni evidenzia la stessa cosa (Giovanni 1:1-18).

Giovanni il Battista

Se le introduzioni di Matteo e Luca, l’incipit di Marco e il prologo di Giovanni fossero rimossi, i quattro Vangeli inizierebbero tutti con Giovanni il Battista (Matteo 3:1; Marco 1:2; Luca 3:1; Giovanni 1:19).
Giovanni il Battista occupa un posto singolare nella storia del Patto di Grazia. L’ultimo Profeta, e il più grande, dell’antico patto, per certi versi come Samuele, o addirittura come Elia, fu mandato da Dio come un messaggero speciale per annunciare e introdurre il Cristo “affinché tutti credessero per mezzo di lui” (Matteo 11:7-15; Giovanni 1:6-7).
Insieme a Giovanni, e attraverso le mani e la bocca di Giovanni, tutti i santi e i profeti dell’antico patto indicano Gesù e dicono: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” (Giovanni 1:29). Isaia non disse forse: “Il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti … Come l’agnello condotto al mattatoio … Egli ha portato la colpa di molti” (Isaia 53:5-12)?
Il tempo dell’antico patto aveva finalmente raggiunto il suo compimento! Il Regno di Dio avrebbe fatto il suo ingresso nella storia nella persona stessa del Re! E Giovanni acclamò Colui che, pur venendo dopo di lui, era in realtà prima di lui, poiché era “il Figlio di Dio” (Giovanni 1:30, 34).
La missione di Giovanni il Battista, il precursore, aveva raggiunto il suo culmine: preparare, spianare la via del Signore. E così Giovanni chiama Israele al ravvedimento, avvertendo la nazione che se non si ravvede, Gesù battezzerà Israele con il fuoco del giudizio. Infatti, ha in mano il suo ventilabro per ripulire la sua aia. Un residuo, il grano, sarà raccolto nel granaio, ma la pula sarà bruciata con fuoco inestinguibile. Dire “abbiamo per padre Abrahamo!” non servirà a nulla se non c’è pentimento. Ormai la scure è posta alla radice degli alberi (Matteo 3:1-12; Marco 1:4; Luca 3:1-9, 16-17).
Con Giovanni Battista arriviamo alla svolta dei tempi, la svolta decisiva della storia del patto e del mondo. Arriviamo a quel tempo che il Nuovo Testamento chiama “gli ultimi tempi”, o “gli ultimi giorni”, o ancor più brevemente, “l’ultima ora”. Questa svolta dei tempi segna la fine di un mondo, di un’epoca antica, del vecchio “eone”.
Il tempo adamitico, misurato dalla creazione del mondo, lascerà il posto al tempo del secondo Adamo, l’era cristiana, un’era che durerà fino alla fine del mondo – cioè fino al ritorno di Cristo nella gloria, fino alla risurrezione dei morti, fino al giudizio finale, fino alla trasfigurazione dell’universo, l’apokatastasis, cioè “i tempi della restaurazione di tutte le cose” di cui parla Pietro (Atti 3:21).

Il residuo fedele raccolto intorno al bambino

Diversi eventi significativi nella vita di Gesù e dei suoi genitori sono riportati solo in due dei quattro Vangeli: Matteo e Luca.

Questi eventi includono:

  • il concepimento e la nascita miracolosa di Giovanni, che sarebbe diventato il Battista (Luca 1:5-25 e 57-80);
  • la visita di una madre in attesa, Maria, a un’altra, sua cugina Elisabetta (Luca 1:39-56);
  • il concepimento divino di Gesù e la sua nascita verginale (Matteo 1:18-25; Luca 1:26-38 e 2:1-6);
  • le visite dei pastori e dei Magi al bambino a Betlemme (Luca 2:8-20; Matteo 2);
  • la circoncisione di Gesù l’ottavo giorno secondo il comandamento della Torah e la sua presentazione al Tempio di Gerusalemme il quarantesimo giorno (Luca 2:21-40);
  • il pellegrinaggio di Gesù e dei suoi genitori quando aveva dodici anni allo stesso Tempio da Nazareth (Luca 2:41-52);
  • e la drammatica predicazione di Giovanni il Battista nel deserto (Matteo 3:1-12; Luca 3:1-20).

Questi episodi iniziali ci introducono a vari membri del residuo, fedeli al patto. Incontriamo:

  • il sommo sacerdote Zaccaria e sua moglie Elisabetta;
  • i genitori di Giovanni il Battista;
  • la vergine Maria e suo marito Giuseppe genitori di Gesù;
  • il profeta Simeone che prende in braccio Gesù bambino;
  • e la profetessa Anna, molto avanti negli anni.

A questi uomini e donne – raffigurati come icone letterarie (specialmente da Luca, che aveva indubbiamente appreso di tutti questi eventi dalle stesse labbra di Maria, colei che “serbava in sé tutte queste cose, meditandole in cuor suo”; Luca 2:19) – a questi membri del residuo d’Israele dobbiamo diversi salmi, vale a dire il Cantico di Maria (Magnificat), quello di Zaccaria (Benedictus Domine Deus) e quello di Simeone (Nunc Dimittis). 
Le introduzioni di Matteo e Luca tolgono ogni dubbio circa le radici ebraiche e giudaiche di Gesù (“la salvezza viene dai Giudei”, dirà Gesù stesso; Giovanni 4:22). Queste radici – le radici del residuo fedele che ha ascoltato il messaggio di Giovanni Battista – cresceranno e porteranno i loro frutti nella vita degli apostoli, dei discepoli, di tutta la Chiesa di Gerusalemme (la prima chiesa, la chiesa madre) e dei primi martiri dopo Gesù, a cominciare da Stefano. Tutti costoro erano ebrei. Le loro vite testimoniano la continuità del Patto di Grazia mentre il vecchio eone, la vecchia era, lascia il posto al nuovo.

Due nomi importanti

Quando si parla della nascita verginale (con tanta delicatezza, tale rispetto, pieni di timore e saggezza che Dio stesso dà!), Matteo tira fuori due nomi il cui significato esplicito (e meraviglioso!) può essere compreso solo nella lingua ebraica. Apprendiamo che Dio comandò a Giuseppe di chiamare il bambino Yehoshuah (Iêsous in greco, Gesù in italiano), che significa “Dio salva” (“ciò che Dio fa attraverso Gesù”, o “ciò che Gesù, essendo Dio, fa Egli stesso”: salva!). L’altro nome poi, quello indicato in anticipo dal profeta Isaia (Isaia 7:14), è Emanu-El, che significa Dio (El) con noi (Emanu). Il bambino si chiama Emanu-El perché è veramente Dio e veramente uomo, insieme e inseparabilmente, con la nostra umanità, solamente senza peccato.

I Magi e i pastori

I Magi, i saggi, gli studiosi d’Oriente (forse dalla Mesopotamia o dalla Persia?), non erano ebrei, ma credevano nel Signore e nel Re dei Giudei (c’erano stati alcuni di questi credenti non ebrei prima di loro e molti altri dopo!). Avevano seguito il cammino tracciato per loro dalla stella luminosa della gloria di Dio ed erano venuti a Betlemme (ebraico per “casa del pane”) per adorare il bambino con gioia. In questo erano stati preceduti dai pastori d’Israele, che erano stati visitati dagli angeli che avevano detto loro dove andare, e che avevano udito il primo Gloria in onore di Gesù.
Quanto al re Erode, egli reagì a questa notizia massacrando “tutti i maschi che erano in Betlemme e in tutto il suo territorio dall’età di due anni in giù” (Matteo 2:16). Gesù comunque fuggì, grazie a Giuseppe che portò Lui e sua madre in Egitto dopo essere stato avvertito da un angelo. Simeone non aveva forse dichiarato a Maria: “Ecco, egli è posto a caduta e a rialzamento di molti in Israele, come segno di contraddizione” (Luca 2:34)? Mentre alcuni celebravano il Natale con gli angeli, altri celebravano a modo loro con i demoni.

L’OBBEDIENZA DI GESÙ

Ci è pervenuta solo una storia riguardante l’infanzia di Gesù. Sappiamo che quando aveva dodici anni i suoi genitori andarono in pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme per celebrare la Pasqua, accompagnati per la prima volta dal loro figlio (l’età di dodici anni segnava la fine dell’infanzia – il bar mitsvah degli Ebrei). Oltre a questo, non abbiamo dettagli biografici nel Nuovo Testamento, nemmeno nei Vangeli, sui primi trent’anni di Gesù.
Notiamo di seguito che il nostro Salvatore è nato molto probabilmente nel settembre dell’anno 3 a.C. I pastori fecero la loro visita quando Gesù era ancora un neonato (Luca 2:12), invece i Magi fecero la loro quando aveva poco più di un anno mentre viveva con i suoi genitori in una casa a Betlemme (cfr. Matteo 2:11, 16). Quando Gesù e i suoi genitori tornarono dal loro periodo da rifugiati in Egitto alla loro accogliente città di Nazaret, in Galilea, Gesù aveva più di due anni (cfr. Matteo 2:19-23).

Gesù cresce

A Nazaret, dove Giuseppe era un falegname (Matteo 13:55), Gesù cresceva “in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini” (Luca 2:40, 50-52). Sappiamo che aveva dei fratelli: Giacomo, Iose, Simone e Giuda (Giovanni 2:12; Marco 6:3).
Anche se non ci viene data la minima descrizione del suo aspetto fisico, possiamo evidenziare alcuni punti importanti del suo sviluppo e della sua maturazione da quando aveva due anni fino ai trentatré (1-30 d.C.).
Come fu educato Gesù nella sua famiglia? Sappiamo che era sotto l’autorità dei suoi genitori come comandato dalla Torah (Luca 2:51). Giuseppe, che senza dubbio morì durante l’adolescenza di Gesù (dato che non sentiamo parlare di lui nei Vangeli dopo quel periodo), era “uomo giusto”, cioè un uomo di fede e di preghiera, che obbediva ai comandi di Dio. Promesso sposo di Maria, affrontò certamente una vera prova durante il mistero del concepimento e della nascita verginale di suo “figlio”, prova che superò con successo (Matteo 1:18-24). Maria cercò sempre di essere “la serva del Signore” (Luca 1:38). Madre di Dio secondo la sua umanità, favorita e benedetta tra le donne (Luca 1:42, 48), era un membro fedele per eccellenza del residuo di Israele, un residuo che comprendeva anche i suoi parenti, Zaccaria ed Elisabetta, “entrambi giusti davanti a Dio, osservando in modo irreprensibile tutti i comandamenti e i precetti del Signore” (Luca 1:6), il loro figlio Giovanni (il Battista), e Giuseppe, il marito di Maria. Qui c’era un’intera comunità di santi che viveva nel “timore” di Dio e secondo la sua misericordia (Luca 1:50), un popolo spiritualmente “affamato” che Dio colmava con i suoi beni (Luca 1:53). Maria, sebbene discendesse dalla linea reale davidica (come Giuseppe), era di condizioni modeste (Luca 1:27, 69; 2:4). Di sicuro dovette soffrire molto: dalla grande tensione nella sua relazione con Giuseppe quando le fu annunciato per la prima volta che sarebbe rimasta incinta, all’indegnità di dare alla luce suo figlio in una stalla, alla spaventosa fuga in Egitto sotto le terribili minacce di Erode. Ma Dio, sia in cielo che tra le sue braccia sulla terra, la rafforzò in tutte queste cose. Sapeva che una spada le avrebbe trafitto l’anima; ma come le aveva detto Elisabetta, “Beata è colei che ha creduto!” (Luca 1:45).
La fedeltà di Maria e Giuseppe li portò a crescere Gesù con un rispetto misto all’adorazione (così come doveva essere!), in una vita di preghiera quotidiana, in una devota attenzione ai comandi della Torah (soprattutto per quanto riguarda l’educazione dei figli) che occupava costantemente le loro menti e abbelliva le loro labbra. E così Gesù, prima da piccolo bebè, poi da bambino, poi da adolescente, cresciuto con le Scritture, circondato dall’amore e dall’esempio della sua famiglia, crebbe in sapienza, obbedienza e grazia.
Sin dai primi tempi Gesù era “pieno di saggezza”, di quella saggezza radicata nel timore di Dio (Salmi 111:10) e nell’osservanza dei suoi comandamenti, la Torah (Deuteronomio 4:6). In qualità di secondo Adamo, l’Adamo del nuovo patto, del patto pienamente rinnovato, Egli cercò in ogni cosa di dipendere da quella grazia mediante la quale visse la sua esistenza umana.
Ora siamo pronti a guardare più da vicino l’obbedienza di Gesù – l’obbedienza che Gli è stato richiesto di imparare, l’obbedienza che lui desiderava imparare, proprio lui al quale “anche i venti e il mare ubbidiscono” (Matteo 8:27).

L’obbedienza di Gesù

Mediante la sua obbedienza Gesù adempì la Legge in due modi. L’adempì obbedendo a tutto ciò che la Legge richiede, cioè i suoi precetti e comandamenti. Ma l’adempì anche sottomettendosi alle giuste punizioni che la Legge dichiara e richiede.
Gesù, il nuovo e secondo Adamo, a capo di una nuova umanità salvata, avendo assunto la condizione di servo mettendo da parte la sua gloria, desiderò obbedire perfettamente alla Legge di Dio, in contrasto con il primo Adamo che si ribellò contro la Legge di Dio e così divenne il capo di un’umanità soggetta al peccato originale. Mentre il peccato del primo Adamo ha portato alla morte e alla perdizione di tutti noi, l’obbedienza del secondo Adamo porterà alla nuova nascita e alla salvezza di tutti gli eletti, tutti coloro che crederanno in Lui e compiranno i primi passi dell’obbedienza.
Gesù dovrà “imparare l’obbedienza”, anche se non nel senso di passare dalla disobbedienza all’obbedienza, perché Lui è quello senza peccato dal concepimento. Egli sta “imparando l’obbedienza” in quanto sta crescendo sempre di più, e meglio, in obbedienza. Il primo Adamo, creato obbediente, divenne inspiegabilmente disobbediente. Il secondo Adamo, concepito obbediente, sta per migliorare in obbedienza, un’obbedienza che gli costerà più di quanto si possa immaginare, perché lo porterà al punto di separazione da Dio, di accettare di essere maledetto da Dio – al nostro posto, per il nostro peccato, in modo che la giustizia possa venire dalla giusta punizione dei peccati della razza umana, commessi da tutti gli uomini con e in Adamo, il primo Adamo.
Mentre Gesù cresce nell’obbedienza, lo farà, fin dall’inizio, con la morte infernale e maledetta della croce costantemente in vista (Deuteronomio 21:23; Galati 3:13). Fin dall’inizio Gesù deve immaginare, e andare volontariamente verso l’insostenibile: cioè che Lui, l’unico vero Giusto senza peccato, soffrirà la morte in croce. La tentazione e la prova (peïrasmos) che Gesù subirà durante tutta la sua vita, e soprattutto alla fine, è di accettare, o non accettare, di sperimentare l’inferno della separazione da Dio, la maledizione di Dio il Santo sul peccato e sui peccatori – al nostro posto, al posto di coloro per i quali desidera essere l’unico e perfetto Salvatore. Un santo, tagliato fuori da Colui che è la santità stessa: questo è ciò che Gesù ha scelto di essere; questo è ciò che Gesù ha scelto di sperimentare nella sua morte – di accettare, per il bene dei suoi, proprio ciò che trova intollerabile, inaccettabile.
Dall’Incarnazione alla croce, Gesù rivela l’amore e la giustizia di Dio. Tutta la sua vita, e soprattutto la sua fine, è una piena e completa obbedienza alla Legge, la Legge che si esprime non solo nei comandamenti, nei precetti, ma anche nella condanna della separazione da Dio per i peccati dei peccatori come tutti noi, noi della razza caduta di Adamo.
Nel nostro stato decaduto, desideriamo l’amore di Dio, ma neghiamo la sua giustizia. Se proprio dobbiamo, accettiamo che Dio abbia dato la sua Legge, ma una Legge che vorremmo spogliare dei suoi avvertimenti, minacce e condanne. Gesù, invece, ha preso su di sé tutto il peso, ha abbracciato tutta la sua chiamata nel suo amore per noi: tanto i comandamenti della Legge quanto le  sue condanne. Per noi e per la nostra salvezza “era necessario” (ah! questa piccola parola deї di enfasi del testo greco del Nuovo Testamento!), “era opportuno”, “era indispensabile”, non solo che Gesù obbedisse pienamente alla Legge, ma anche che prendesse su di sé e per sé, al nostro posto, la punizione di tutti i peccati dei peccatori dal primo peccato di Adamo ai peccati degli ultimi uomini pentiti e credenti che cammineranno sulla terra.
In questo modo, la morte maledetta della croce è l’atto finale di un’obbedienza iniziata con l’incarnazione. Il Cristo, Dio Figlio diventato uomo, ha dovuto imparare sempre di più, sempre meglio, quale fosse la pienezza della sua obbedienza.
Il dolore fisico della crocifissione impallidiva in confronto all’inimmaginabile dolore morale provato da Colui che, santo e innocente, portava volontariamente la maledizione di Dio, la separazione infernale da Dio. Eppure, era ciò che Cristo aveva scelto una volta per tutte:

Ecco perché Cristo, entrando nel mondo, disse:

“Tu non hai voluto né sacrificio né offerta,

  ma mi hai preparato un corpo;

  non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato.

  Allora ho detto: ‘Ecco, vengo’

  (nel rotolo del libro è scritto di me)

  ‘per fare, o Dio, la tua volontà’”

(Ebrei 10:5-7; cfr. Salmi 40:7-9)

L’obbedienza umana di Gesù, iniziata quando era solo un bambino, culminerà nell’offerta suprema, la preghiera suprema nel Getsemani la mattina della sua morte:

Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi!

e poi:

Padre mio, se non è possibile che questo [calice] passi oltre da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà!

infine, quel pomeriggio, il suo grido di abbandono:

Elì, Elì, lamà sabactàni?”, cioè: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Matteo 26:39, 42; 27:46)

 

IL PROLOGO DI GIOVANNI

Nel prologo del suo Vangelo, Giovanni si muove rapidamente per evidenziare la stretta relazione tra la Torah di Mosè e la persona di Gesù Cristo.

Primo punto: la creazione

Con stile liturgico, il prologo di Giovanni celebra la stessa Parola che, essendo Dio, ha dato vita all’universo creato e che, facendosi carne, ha portato la nuova creazione – o il rinnovamento della creazione che è la salvezza in e attraverso questa nuova creazione (cfr. 2 Corinzi 5:17 e Apocalisse 21:5).

Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio…Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei…In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini. La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno sopraffatta…La vera luce che illumina ogni uomo stava venendo nel mondo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l’ha conosciuto. È venuto in casa sua, e i suoi non l’hanno ricevuto; ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome, i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d’uomo, ma sono nati da Dio.

E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre…Infatti dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia. Nessuno ha mai visto Dio; l’unigenito Dio, che è nel seno del Padre, è quello che l’ha fatto conoscere. (Giovanni 1:1-18)

Come la Genesi, il prologo di Giovanni si apre con le parole: “Nel principio … Dio”. E, sempre come la Genesi, tratta immediatamente della creazione, la creazione della luce che vince le tenebre, della vita e degli esseri umani.

Secondo punto: il Tabernacolo

Giovanni 1 dice letteralmente: “E la Parola è diventata carne e ha ‘piantato la sua tenda’ (‘ha tabernacolato’) fra di noi”.
Il verbo greco usato qui da Giovanni, skénoô, ha la stessa radice del sostantivo skénôma, che nel greco sia della Septuaginta che del Nuovo Testamento si riferisce al Tabernacolo, il Tempio di Dio (Atti 7:46), o il corpo umano (2 Pietro 1:13-14). Facendosi carne, l’unigenito Figlio di Dio prese per sé un corpo umano, assunse la vita degli uomini tra gli uomini; ma fu anche quel Tempio di Dio di cui dirà ai farisei: “Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere!” (Giovanni 2:19-22). Questo stesso verbo skénoô appare due volte nel Libro dell’Apocalisse. La prima volta, parlando dei martiri, dice: “Sono davanti al trono di Dio e lo servono giorno e notte, nel suo tempio; e colui che siede sul trono stenderà la sua tenda su di loro” (Apocalisse 7:15). La seconda volta, lo Sposo della Chiesa – Gesù Cristo – viene menzionato in questo modo: “Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro, essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio” (Apocalisse 21:3).
Con l’Incarnazione del Figlio di Dio, si realizzano tre promesse. La prima, dalla Torah: “Io stabilirò la mia dimora in mezzo a voi e non vi detesterò. Camminerò tra di voi, sarò vostro Dio e voi sarete mio popolo” (Levitico 26:11-12). La seconda, dai Profeti: “Metterò il mio santuario in mezzo a loro per sempre. La mia dimora (tabernacolo) sarà presso di loro; io sarò loro Dio ed essi saranno mio popolo” (Ezechiele 37:26-27). E la terza, dagli Scritti: “Poiché egli mi nasconderà nella sua tenda in giorno di sventura, mi custodirà nel luogo più segreto della sua dimora, mi porterà in alto sopra una roccia.” (Salmi 27:5).

Terzo punto: Heséd ed Eméth

Giovanni 1:17 dichiara: “Poiché la legge (la Torah) è stata data per mezzo di Mosè; la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo”[3].
Questa frase collega Mosè a Gesù Cristo, in modo indissolubile.
La prima parte di questo versetto, come abbiamo già detto, riecheggia ciò che la Torah stessa dice: “Mosè ci ha dato una legge” (Deuteronomio 33:4). Come vedremo, Gesù stesso dice all’inizio del suo ministero: “Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti (la Torah); io sono venuto non per abolire, ma per portare a compimento. Poiché in verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, neppure uno iota o un apice passerà dalla legge (la Torah) senza che tutto sia adempiuto.” (Matteo 5:17-18).
Né “grazia e verità” sono concetti nuovi aggiunti al vecchio comandamento della Torah, perché li troviamo già nella Torah (per esempio, Esodo 34:6). “Grazia” e “verità” (in ebraico, héséd ed éméth) caratterizzano il Patto di Grazia. Héséd, che è anche tradotto come “benignità”, significa la fedeltà di Dio alle promesse del patto in senso positivo, (la sua “ira”, o la sua “vendetta”, sono la sua fedeltà, in senso negativo, agli avvertimenti e alle minacce del suo patto; cfr. Numeri 11:33; Deuteronomio 11:17; Matteo 3:7; Luca 21:22-23). Éméth, tradotto con “verità”, significa la lealtà, la sincerità, la rettitudine e la sicurezza di Dio riguardo a tutto ciò che dice, che sia indirizzato al suo popolo, i membri del Patto di Grazia, o a coloro che sono al di fuori del suo Patto e ai quali ha comunque indirizzato la sua Parola. Éméth deriva dalla stessa radice di Amen, la parola che Dio usa per ratificare ciò che dice – “Amen, Amen, vi dico” – o che noi usiamo per ratificare ciò che Dio o un altro (magari un angelo) ci dice (Apocalisse 7:11-12). Quando il popolo dice Amen dopo che qualcuno lo ha guidato in preghiera, per esempio, sta dicendo: “Sono d’accordo! Mi unisco a questa preghiera!”. Dire Amen è un impegno; è una parola seria da non pronunciare casualmente. Dire Amen è dire “sì”. Secondo Apocalisse 3:14, Gesù Cristo è “l’Amen, il testimone fedele e veritiero, il principio della creazione di Dio”. Amen!

IL BATTESIMO E L’UNZIONE DI CRISTO

I Vangeli scritti attestano tutti l’unico vero Vangelo. Allo stesso modo, le introduzioni di Matteo e Luca e il prologo di Giovanni sono prefazioni a quest’unico vero Vangelo, tutte notevoli, preziose e indispensabili. La prima frase del Vangelo di Marco (che funge da titolo) rende molto chiaro che il Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio – cioè il ministero di Gesù Cristo – inizia con il suo battesimo e l’unzione (o “battesimo-unzione”), un evento riportato in tutti e quattro i Vangeli.
Abbiamo già esaminato il mistero del concepimento e della nascita verginale di Gesù, noto come il fiat (mi sia fatto; Luca 1:38) della beata Maria, chiamata ad essere la theotokos, la madre di Dio. Dall’inizio alla fine, questo fiat è stato preparato, diretto, avvolto e accompagnato fino alla fine in modo speciale dalla grazia sovrana del Dio Trinitario. Tra le molte attestazioni di questa opera di Dio ci sono l’Annunciazione dell’Angelo Gabriele: “Il Signore è con te” (Luca 1:28), la testimonianza di Elisabetta, la madre di Giovanni il Battista: “Benedetta sei tu fra le donne” (Luca 1:42), e il Magnificat di Maria stessa: “Lo spirito mio esulta in Dio, mio Salvatore … perché grandi cose mi ha fatte il Potente” (Luca 1:47-49). Allo stesso modo, mentre ora consideriamo il mistero del battesimo-unzione di Gesù, arriviamo al fiat (il “lascia fare”; Matteo 3:13-17) a Giovanni il Battista, chiamato ad essere “più che un profeta” (Matteo 11:9; Luca 7:27-28).
Il fiat di Giovanni, il Precursore (Luca 1:17, 76), fu preparato, diretto, avvolto e accompagnato fino alla fine in modo del tutto particolare dalla grazia sovrana del Dio Trinitario. Noi riconosciamo l’opera di Dio nell’autorità del Figlio incarnato che convince Giovanni, che per primo si oppose a Lui; nella discesa e nella venuta pre-pentecostale dello Spirito su Gesù in forma di colomba; e nella voce del Padre che dice: “Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto”. Qui si sta svolgendo molto di più del semplice battesimo, perché è il battesimo di Giovanni, insieme con l’apertura dei cieli e le azioni e le dichiarazioni delle distinte persone della Santa Trinità che si riuniscono per costituire inseparabilmente il battesimo-unzione del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo.
Sebbene il battesimo-unzione di Gesù sia ricco di significato, noi dobbiamo intenderlo in primo luogo come l’evento che consacra Gesù come Cristo (dal greco Christos), come Messia (dall’ebraico Mashîah), come l’Unto (dal latino Unctus) per essere prima di tutto e principalmente Sacerdote, ma anche Profeta e Re.
È anche il battesimo-unzione di Gesù Cristo come Capo del suo corpo, del suo popolo.
Queste due prospettive, questi due significati del battesimo-unzione di Gesù si riuniscono, si congiungono strettamente, perché questo evento segnala l’ingresso dell’unico Mediatore nel suo triplice ufficio, nel suo ministero per la gloria di Dio e la salvezza di tutto il suo popolo. Questo non sminuisce il fatto che Gesù, fin dalla sua incarnazione, è già ripieno dello Spirito Santo per il quale Egli cresce in sapienza e grazia nella sua umanità. Ma il battesimo-unzione di Gesù fu la sua ordinazione, la sua consacrazione nel pubblico e manifesto ministero di Mediatore, nel quale ora entra. È già il Mediatore, ma in segreto. Nel corso di forse due anni, al massimo tre, darà testimonianza e dimostrazione del fatto che è il Mediatore, fino alla fine della sua vita di uomo e la fine del suo ministero, fino alla croce dove sigillerà il Vangelo col suo sangue, mediante il sacrificio che gli costerà il tormento infernale e orribile della sua separazione da Dio.

I vecchi sacerdoti…

Nell’antico patto, i sacerdoti – Aronne e suo figlio – erano unti, investiti, santificati, cioè “consacrati”, per servire il Signore nell’offerta fedele di sacrifici (Esodo 28:41; 29:7; 40:12-15), per servire come sacerdoti santi al Signore (Esodo 30:30). Questa unzione era fatta con “olio” (Levitico 8:12; 21:12), un profumo accuratamente preparato con olio d’oliva e mescolato con spezie pregiate (Esodo 30:22-25). La cerimonia includeva anche l’aspersione con acqua, come vedremo tra poco.
Si era “consacrati” quando questa unzione veniva “versata sul capo” per aspersione.
Tra i molti comandi specifici dati dalla Torah riguardo al sommo sacerdote e il giorno dell’espiazione, si afferma che “il sacerdote che ha ricevuto l’unzione … farà l’espiazione” (Levitico 16:32).
Nell’antico patto non venivano unti solo i sacerdoti ma anche i re (1 Samuele 10:1; 16:3, 12, 13; 2 Samuele 2:4; 3:39; 1 Re 1:34-45; 2 Re 9:3-6; 11:12; 23:30). A volte l’unzione fu ricevuta anche dai profeti (per esempio 1 Re 19:16). L’unzione – sacerdotale, regale, profetica – era il segno sacramentale e il sigillo dello spargimento dello Spirito Santo (1 Samuele 10:1, 6; 16:13; Isaia 61:1).
L’unzione di Cristo è annunciata diverse volte nell’Antico Testamento (per esempio: 1 Samuele 2:10, 35; Salmi 2:2, 6; 45:8; Daniele 9:24-26).

…e il nuovo Sacerdote

Poco dopo il suo battesimo-unzione, Gesù andò nella sinagoga di Nazareth in giorno di sabato. Dopo aver letto Isaia 61:1-2 (“Lo Spirito del Signore Dio è su di me”), dichiarò alla congregazione: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura, che voi avete udito” (Luca 4:14-21).
Parlando con la Samaritana al pozzo di Giacobbe, Gesù afferma di essere davvero il Cristo, il Messia, l’Unto (Giovanni 4:25-26). Più tardi, Gesù accetterà la dichiarazione di Pietro: “[Tu sei] il Cristo [il Messia, l’Unto] di Dio” (Luca 9:20). E ancora, davanti al sommo sacerdote il giorno della sua passione e crocifissione, Gesù dichiarerà di essere il Cristo (Marco 14:61-62; cfr. anche Atti 2:36 e Romani 1:4).
È noto come Giovanni, in un primo momento, si sia rifiutato di battezzare Gesù chiedendo la stessa cosa a lui: “Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?” Ma Gesù insiste e comanda: “Lascia fare per ora, poiché conviene che noi adempiamo in questo modo ogni giustizia” (Matteo 3:14-15). Gli Ebrei fedeli alla Torah sapevano che la giustizia era osservare tutto ciò che Dio comandava (Deuteronomio 6:25). Gesù, nato sotto la Torah (Galati 4:4), aveva sempre cercato di compiere tutta la giustizia prescritta dalla Torah. Questo è il modo in cui il residuo fedele di Israele intendeva la giustizia. Questo è ciò che Gesù aveva imparato dai suoi genitori.

Il suo battesimo-unzione

Durante il suo battesimo, il nostro perfetto e unico Sacerdote desiderava che ogni giustizia fosse adempiuta e che tutto ciò che la Torah insegnava venisse osservato.
C’erano tre requisiti per l’ordinazione di un sacerdote. Doveva aspettare fino all’età di trent’anni (Numeri 4:3, 47), doveva ricevere una chiamata (Esodo 28:1; cfr. Ebrei 5:4), e doveva essere asperso con acqua da un sacerdote (Levitico 8:6; Esodo 29:4; 30:17-21; cfr. per i Leviti: Numeri 8:6-7).
Il battesimo di Gesù, l’atto sacramentale della sua ordinazione, era conforme alle disposizioni della Torah. È specificamente detto che fu battezzato all’inizio del suo ministero quando aveva trent’anni (Luca 3:23); fu debitamente chiamato da Dio (Ebrei 5:4-10); e fu asperso con acqua da Giovanni, che era un sacerdote legittimo, essendo il figlio del sacerdote Zaccaria (Luca 1:5, 13).
Inoltre, i sacerdoti dell’antico patto venivano unti con olio. Meglio che con l’olio, Gesù fu unto con lo Spirito Santo, che discese e venne su di Lui mentre saliva fuori dall’acqua (Matteo 3:16).
Nell’affermare che il battesimo-unzione di Gesù fu di fatto la sua ordinazione, gli ovvi paralleli tra l’evento e le prescrizioni dell’Antico Testamento non sono l’unica prova. Un episodio riportato in Matteo 21 e Marco 11 conferma che questa fu effettivamente la sua ordinazione. Questi due Vangeli ci dicono che dopo aver fatto il suo ingresso a Gerusalemme per subire la sua passione, Gesù cacciò i mercanti dal Tempio, dicendo: “È scritto: ‘La mia casa sarà chiamata casa di preghiera’, ma voi ne fate un ‘covo di ladri’” Le autorità ebraiche intervengono mentre Gesù sta insegnando nel Tempio e si avvicinano a Lui per chiedere: “Con quale autorità fai tu queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?”.
Gesù risponde loro dicendo: “Anch’io vi farò una domanda; se voi mi rispondete, vi dirò anch’io con quale autorità faccio queste cose. Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?”
Gesù stabilisce un nesso tra il suo battesimo-unzione e la sua autorità di cacciare i ladri dal Tempio e di insegnare lì, e così facendo, mostra che il diritto e la responsabilità dell’ufficio di Sacerdote gli appartengono. Viene sollevata un’obiezione estemporanea: “Ma Gesù non avrebbe potuto essere sacerdote poiché non era della famiglia di Aronne! Gesù non è neppure della tribù di Levi i cui membri erano legati alla famiglia di Aronne per il ministero del tempio!” (Numeri 3:9-12). Lo stesso Nuovo Testamento fornisce la risposta.

Secondo l’ordine di Melchisedec

Gesù non era un sacerdote secondo l’ordine di Aronne per la semplice ragione che il suo sacerdozio, sia come offerente che come offerta, non era, come quello dell’antico patto, solo per gli Ebrei, ma secondo il nuovo patto, per tutte le nazioni del mondo. Egli fu fatto “sacerdote secondo l’ordine di Melchisedec”.

Il salmo 110 annunciò:

Il SIGNORE (YHWH) ha detto al mio Signore (Adonai)…

Il SIGNORE stenderà da Sion lo scettro del tuo potere…

Il SIGNORE ha giurato

e non si pentirà:

“Tu sei Sacerdote in eterno,

secondo l’ordine di Melchisedec.”

La Lettera agli Ebrei, citando sia il salmo 2 che il salmo 110 (5:5-6), ci dice che Gesù, il Figlio unigenito e il Cristo, fu proclamato “sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchisedec” (Ebrei 5:10; 6:20; 7:17).
Tutto il settimo capitolo della Lettera agli Ebrei celebra la superiorità misteriosa e qualitativa di Melchisedec (il Re della Giustizia) su Mosè stesso, e la superiorità di quest’opera sacerdotale secondo l’ordine di Melchisedec sull’opera sacerdotale della famiglia di Aaronne in Israele. I sommi sacerdoti del sacerdozio Israelita, del sacerdozio dell’antico patto – cioè, dell’antica disposizione del Patto di Grazia – essendo uomini soggetti a debolezza, avevano bisogno di offrire sacrifici continuamente. Ma Cristo, il Figlio unigenito, il Sommo Sacerdote secondo l’ordine di Melchisedec, si è offerto una volta per tutte, “toglie(ndo) il peccato del mondo”, come disse Giovanni il Battista (Giovanni 1:29), con il suo sacrificio perfetto.
Genesi 14 racconta la storia dell’incontro tra Abrahamo e Melchisedec. Questa storia ci rivela radicalmente e profeticamente che c’è un sacerdozio, nascosto nell’Antico Testamento, rivelato nel Nuovo, che è più profondo e più alto, più ampio e più universale, del sacerdozio di Aaronne e di quello levitico. Il vero sacerdozio archetipico dell’Antico Testamento è quello di Melchisedec, anche se la sua realizzazione storica, nell’unico, sovrano, Sommo Sacerdote, viene dopo il sacerdozio levitico. Cristo venne dopo Abrahamo, dopo Mosè, dopo Aaronne, dopo i Profeti dell’Antico Testamento, che includono Giovanni il Battista. Eppure, era prima di loro, essendo “l’Agnello, che è stato ucciso fin dalla fondazione del mondo” (Apocalisse 13:8).
Dando la “decima di tutto” a Melchisedec, Abrahamo confessò – un tale mistero di fede! – che colui che gli aveva dato “pane e vino” e lo aveva “benedetto” era un sacerdote del Dio altissimo (Genesi 14:18-19).
Questo re di Salem, questo re della pace, era anche “senza padre, senza madre, senza genealogia, senza inizio di giorni né fine di vita, reso simile quindi al Figlio di Dio, egli rimane sacerdote in eterno” (Ebrei 7:3-4). Cristo Gesù è indirettamente indicato come Re di Giustizia nel Nuovo Testamento (ad esempio, Matteo 6:33; Apocalisse 15:3-4).
Allo stesso modo, con autorità regale, Egli dona la sua pace (Giovanni 14:27; 16:33; Atti 10:36; Romani 5:1; Efesini 2:14).
In questo vediamo Cristo Gesù obbedire umilmente alla Torah ricevendo, come sacerdote ordinario, il suo battesimo in acqua da un sacerdote umano all’età di trent’anni.
Egli adempie anche le promesse della Bibbia ebraica, che, sia nella sua descrizione del vecchio sacerdozio ordinato da Dio per mezzo di Mosè in vista di Colui che doveva venire, sia nella sua rappresentazione della singolare figura di Colui che doveva venire a immagine di Melchisedec, annunciava, preparava e tipizzava l’Unto, il Messia, il Cristo a venire, il Sacerdote straordinario, l’unico vero Sacerdote, il cui sacerdozio sarebbe stato “per sempre” (Ebrei 5:6), “perfetto” (Ebrei 7:11) e “immutabile” (Ebrei 7:24).

Infatti, a noi era necessario un sommo sacerdote come quello (deï!), santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori ed elevato al di sopra dei cieli. (Ebrei 7:26)

Il battesimo-unzione di Gesù può essere inteso in due modi. È stato in primo luogo quello di Cristo come Sacerdote, Re, e Profeta, ma come vedremo, è stato anche quello di Gesù Cristo come Capo del suo corpo, come Capo del suo popolo.

Il battesimo di Cristo come Capo del suo corpo

Coloro che venivano da Giovanni per il battesimo ascoltavano la sua chiamata a pentirsi – il Regno di Dio è vicino! Gesù, naturalmente, non aveva bisogno di pentirsi, perché era senza peccato. Eppure, non sarebbe certo stato un Re senza sudditi, un Profeta senza discepoli, un Sacerdote senza coloro che beneficiavano del suo sacrificio. Non sarebbe stato un Capo senza un corpo.
Nella sua lunga profezia che va dai capitoli 40 a 55, Isaia annunciò la venuta di un Pastore per il suo gregge, le sue pecore e i suoi agnelli (40:10-11); la venuta del Redentore per il suo popolo (41:14); la venuta dell’Eletto di Dio per tutte le nazioni (42:1, 4, 6); la venuta del Signore per il popolo del suo patto (49:8 e seg.); la venuta del Liberatore per coloro che Egli coronerà di gioia (51:11-12); la venuta del Servo per coloro di cui sopporterà il castigo (53:4 e seg.).
Le parole di questa profezia sono riprese da Dio quando al battesimo-unzione di Gesù dice: “Ecco…il mio eletto di cui mi compiaccio” (42:1). E quando Giovanni il Battista dice che Gesù “toglie il peccato del mondo”, si riferisce alla profezia di Isaia sull’Agnello (53:7), profezia che egli stesso attesta, perché con i suoi occhi la “vede” adempiuta, realizzata, in Gesù.
Con il suo battesimo-unzione da parte di Giovanni, Gesù, come Capo, inizia quel cammino che porterà alla sua passione per il suo popolo, il suo corpo. Il suo battesimo nel Giordano annuncia quel battesimo di sudore e sangue che subirà nella sua morte redentrice. Indica che Gesù, il Sacerdote Unto, è anche il Sacrificio Unto carico dei peccati, del giudizio, della condanna e della punizione del suo popolo, di quei peccatori eletti in Lui, per togliere i loro peccati e assicurare la loro salvezza.
L’obiettivo del battesimo-unzione di Gesù, il Capo, è la salvezza del corpo.
Lì, al suo battesimo-unzione, Gesù accetta che i peccati del suo popolo cadano su di Lui come le acque del Giordano; accetta che l’ira giusta di Dio cada su di Lui fino a diventare una “maledizione” (Galati 3:13; cfr. Deuteronomio 21:23). L’acqua versata su di Lui simboleggia l’ira di Dio che cade sul Capo invece che sul corpo. L’espressione: “l’ira di Dio su/sopra” appare frequentemente nell’Antico Testamento (cfr. per esempio, 2 Cronache 32:25) e nel Nuovo (cfr. Giovanni 3:36; Romani 1:18; Efesini 5:6).
Gesù è il Capo della Chiesa; Egli è un tutt’uno con essa in senso mistico. Egli rappresenta tutto il suo popolo davanti al volto del Padre suo, assumendo, prendendo su di sé, tutti i peccati dei membri del suo corpo. Con l’acqua del suo battesimo-unzione, Gesù accetta in anticipo il castigo della maledizione della croce.
Questo è stato fatto anche perché si compisse tutta la giustizia – i peccati di molti sono stati “tolti” perché l’Innocente si è “assunto la responsabilità” per loro, ricevendo la punizione per loro, pagando per loro, per amore del suo popolo e in loro vece.
Battezzando Gesù secondo il suo comando, Giovanni il Battista Lo consacrò Sacerdote. Ma per la volontà libera e sovrana della Trinità, questo battesimo significava che Gesù era anche il sacrificio vicario per il suo popolo affinché si compisse tutta la giustizia.
Luca sottolinea il fatto che Gesù pregò durante il suo battesimo (3:21). Questa preghiera può e deve essere intesa insieme alla preghiera di Gesù sul monte degli Ulivi alla vigilia della sua morte.
In quanto vero essere umano, lottando in preghiera mentre scendeva nel Giordano per essere battezzato, Gesù ebbe bisogno della piena misura dello Spirito Santo. “E lo Spirito Santo scese su di lui in forma corporea, come una colomba; e venne una voce dal cielo [che diceva]: ‘Tu sei il mio diletto Figlio; in te mi sono compiaciuto'” (Luca 3:22).
Il battesimo del Signore e Salvatore avviene nel contesto di un’epifania, una teofania, in cui il Dio trinitario si manifesta. I cieli furono aperti (Matteo 3:16; Marco 1:9; Luca 3:21; Giovanni 1:32). Il sacramento! Il mistero!

L’INSEGNAMENTO PROFETICO DI GESÙ

Le due prospettive della profezia di Cristo

Gesù esercita il suo ministero profetico subito dopo il suo battesimo-unzione. La Parola di Dio fatta uomo diventa il Profeta.
Quando si considera la profezia di Gesù (l’insieme di ciò che dice: discorsi, insegnamenti, parabole, sermoni, aforismi, ecc.), si trovano due prospettive – queste due prospettive sono a volte distinte e altre volte sovrapposte.
Secondo la prima prospettiva, Gesù consola (sorregge, sostiene, incoraggia, rafforza) il resto d’Israele e coloro che vi aderiscono.
Secondo la seconda prospettiva, Gesù lancia un appello a tutto il popolo d’Israele, a tutto Israele. Con sempre maggiore urgenza, fa sapere che ora è il momento di ascoltare e seguire la Parola di Dio: la Parola scritta dallo Spirito di Dio nella Torah, nei Profeti e negli Scritti; e Cristo, la Parola incarnata, venuta ai suoi come la Bibbia di Israele aveva predetto.
Distinguiamo due fasi nel suo ministero profetico riguardo a questa chiamata. Durante la prima tappa, che continua dal suo battesimo-unzione fino alla sua trasfigurazione e al suo viaggio fino a Gerusalemme per morire, Gesù mobilita i suoi discepoli (i dodici: Matteo 10; poi i settanta: Luca 10) affinché chiamino il popolo di Dio a ritornare, ravvedendosi, alle questioni di vita e di morte sollevate dalle parole del patto.

Le questioni includono:

  1. Chi è il Signore?
  2. Cosa ha fatto fino a questo momento?
  3. Quali sono i suoi comandamenti?
  4. Quali benedizioni o maledizioni ci si deve aspettare da Lui come conseguenza della fedeltà o dell’infedeltà?
  5. Quale futuro c’è, cosa c’è davanti, per il popolo del patto?

Quelli mandati da Gesù – i dodici, poi i settanta – hanno poco tempo per compiere la loro missione verso “le pecore perdute della casa d’Israele”. Perciò non devono caricarsi di borse di denaro o di altri averi. Se non vengono accolti, devono scuotere la polvere dai loro piedi e andare oltre (Matteo 10:5-15; Marco 6:7-13; Luca 9:1-6 e 10:1-20). Notiamo per inciso che questa priorità missionaria verso Israele non avrà fine con la partenza del loro Maestro, ma continuerà dopo la venuta dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste. Sarebbe continuata anche al prezzo del martirio, anche se fossero stati odiati da tutti per il nome di Gesù. Il Figlio dell’uomo verrà a giudicare Israele prima ancora che abbiano terminato la loro missione (Matteo 10:16-23).
Durante la seconda fase, dopo la sua trasfigurazione e il viaggio fino a Gerusalemme per morire, le cose subiscono una forte accelerazione. Gesù dichiarerà apertamente il giudizio di Dio sul suo popolo. Dice che sono come l’albero senza frutto che, in un’occasione lui maledice e che era “seccato fin dalle radici” (Marco 11:11-26), o come i vignaioli a cui il proprietario ha affittato la sua vigna e che poi picchiano i servi che il proprietario ha inviato “al tempo della raccolta” – una, due, tre volte – e che alla fine, quando il proprietario manda il suo amato figlio lo uccidono  (Marco 12:1-12).
Questi episodi e parabole raffigurano il Signore Dio, il Signore (Suzerain) e Fondatore del patto, che fa causa e persegue una giusta azione legale contro il suo vassallo infedele che ha rotto l’accordo pattizio. È come se il Signore Dio fosse venuto a dare un ultimatum a questi ribelli prima di eseguire la sua vendetta (Deuteronomio 32:35; Ebrei 10:30-31; Matteo 23:32-36).
Spesso è stato detto che il Dio dell’Antico Testamento è terribile e iracondo, mentre il Dio del Nuovo Testamento è amorevole e indulgente. Questa contrapposizione del Dio dell’Antico Testamento a quello del Nuovo Testamento è un errore grossolano e incomprensibile, un’errata interpretazione dei testi, perché Dio è amore e Dio è santo in un testamento come nell’altro. Infatti, se il Nuovo Testamento rivela più pienamente l’amore di Dio, rivela più pienamente anche la sua santità.
Vediamo l’amore e la santità di Dio chiaramente raffigurati insieme nel Vangelo di Giovanni, il più “predestinazionista” dei Vangeli (per esempio 3:5-8, 27; 6:37-39, 44, 65; 17:24), ma che ha anche più da dire sul giudizio messianico. È comune citare – e citare erroneamente il significato dell’affermazione di Gesù: “Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Giovanni 3:17), senza menzionare ciò che segue immediatamente:

Chi crede in lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, e gli uomini hanno amato le tenebre più della luce, perché le loro opere erano malvagie. Perché chiunque fa cose malvagie odia la luce e non viene alla luce, affinché le sue opere non siano scoperte; ma chi mette in pratica la verità viene alla luce, affinché le sue opere siano manifestate, perché sono fatte in Dio. (Giovanni 3:18-21) [4].

Ed è il quarto Vangelo che riporta questa dichiarazione di Gesù: “Chi rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui” (Giovanni 3:36; cfr. anche Giovanni 5:21-30; 8:16; 9:39; 12:31).
Gesù, alla fine del suo ministero, arriva a dire che questa generazione – questa generazione “malvagia”, “adultera”, “peccatrice”, “perversa” – vedrà la distruzione di Gerusalemme e del Tempio, la venuta su di loro del giudizio del Figlio dell’Uomo, la fine del mondo, la fine dell’era dell’antico patto.
Gesù, l’Israelita, piange quando considera ciò che sta per accadere: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto!” (Matteo 23:37).
Ci sono stati molti che hanno pianto, molti che sono stati mossi dalla chiamata di Cristo, e così sono diventati suoi discepoli, lo hanno salutato come il Messia, e si sono uniti al fedele residuo di Israele. Ma, nel suo complesso, la generazione ha seguito falsi pastori e lo ha ostinatamente respinto. Molti sono stati chiamati, ma pochi sono stati scelti (Matteo 22:14).

*

Nel sermone sul monte, in Galilea, all’inizio del suo ministero pubblico (Matteo 5, 6 e 7), Gesù esercita il suo ufficio profetico mentre si rivolge ai suoi discepoli che sono venuti ai suoi piedi e alla folla di Giudei che si è riunita per ascoltare.

I “poveri” d’Israele

Gesù dichiara che gli umili, i poveri in spirito (coloro che formano il fedele residuo d’Israele) sono “contenti”, “beati”, anche – e soprattutto – quando soffrono insulti, calunnie e persecuzioni per il nome del Signore. Essi sono il sale della terra d’Israele. Che il sale non perda il suo sapore, né la luce sia messa sotto un secchio! Con la loro semplice obbedienza alla Torah, essi glorificano il loro Padre nei cieli davanti agli uomini.

I farisei

Successivamente, Gesù mette in guardia i suoi ascoltatori dall’insegnamento degli scribi, dei dottori della legge e dei farisei.
I farisei – che deriva dalla parola ebraica Perushîm, che significa “quelli messi da parte” – erano stati influenti fin dal regno di Giovanni Ircano (134-104 a.C.) ed erano divisi in varie scuole (per esempio, la scuola di Hillel il Vecchio contro la scuola di Shammay). Essi sostenevano di seguire le “tradizioni” che presumibilmente risalivano a Mosè, ma queste tradizioni spesso contraddicevano la legge mosaica. Di conseguenza, per mezzo di queste tradizioni, i farisei cambiavano e distorcevano il significato della Torah in modo che quella che promuovevano non era la vera Torah, ma una Torah deformata.
A partire dal sermone sul monte, Gesù chiama ripetutamente e vigorosamente i suoi ascoltatori a rifiutare queste tradizioni d’umana invenzione e a tornare alla Parola di Dio – cioè alla sola Parola di Dio e alla Parola di Dio per intero. Su questa linea, troviamo verso la fine del suo ministero profetico la sua condanna degli “scribi e farisei, ipocriti” sotto forma di sette maledizioni più una, che corrisponde alle sette benedizioni più una che Egli pronunciò sui “poveri” e i “mansueti” di Israele, coloro che “sono affamati e assetati di giustizia”. (Dico sette più una, e non otto, perché in ogni caso l’ottava differisce dalle prime sette in quanto non riguarda tipi particolari di obbedienza, ma afferma esiti universali sperimentati da coloro che si troveranno perseguitati da un lato, e quelli che sono diventati persecutori dall’altro [Matteo 5:10; 23:33-36]).
I farisei, i loro scribi, i loro maestri della Legge e i loro anziani (o rabbini) erano colpevoli di aver distorto la Torah su diversi punti.
In primo luogo, focalizzando tutta l’attenzione sull’ese-cuzione esterna di certi rituali, anteponevano cose di secondaria importanza a cose di primaria importanza (e questo in contrasto con i chiari insegnamenti della Scrittura). Hanno lasciato in sospeso le “cose più importanti della legge: il giudizio, la misericordia e la fede” (cfr. Michea 6:8; Zaccaria 7:9-10), cose che “bisognava fare, senza tralasciare le altre” (Matteo 23:23).
In secondo luogo, hanno esteriorizzato il significato della Legge invece di cercare di cogliere la pienezza e la profondità del suo significato interiore (cfr. Proverbi 6:16-18, 25). Avevano certamente ragione a riconoscere che la Legge condanna le azioni malvagie, ma sbagliavano a minimizzare o a non riconoscere che essa condanna anche le fonti di quelle azioni malvagie che scaturiscono dal cuore, dal profondo dell’io – “Custodisci il tuo cuore più di ogni altra cosa, poiché da esso provengono le sorgenti della vita” (Proverbi 4:23; questo insegnamento biblico si trova anche in Esodo 20:3, 17; Deuteronomio 5:20 e 8:2; Ezechiele 11:19-20; 36:25-27; ecc.).
Infine, ciò che li rendeva ipocriti, autosufficienti e orgogliosi era che si giustificavano davanti a Dio, non vedendosi come peccatori (Matteo 9:10-13; Luca 16:15; 18:9-14). Non riuscivano a capire che la Legge non era stata data agli uomini come mezzo per giustificarsi, e che la salvezza viene solo per grazia. La Legge non dà la capacità di adempiere la Legge; questa capacità perviene agli uomini solo per grazia.

I sadducei

Accanto ai farisei, i Vangeli parlano dei sadducei (forse discendenti di Zadok, il sommo sacerdote), molti dei quali erano essi stessi sacerdoti. I sadducei furono tenuti in alta considerazione dai re Asmonei e dai dirigenti (della famiglia di Erode) fino al 65 d.C. Molti dei membri del sinedrio erano sadducei. Ma dopo la distruzione del Tempio nel 70 d.C., la loro influenza scomparve, mentre prevalse l’influenza dei farisei. Per i sadducei, solo la Torah propriamente detta (il nostro Pentateuco) aveva piena autorità. I Sadducei non credevano nella resurrezione, nell’esistenza di creature spirituali (angeli o demoni), o nel giudizio oltre la tomba. Erano dediti alla promozione dell’autonomia umana.

*

Non dobbiamo supporre che ci sia il minimo contrasto tra la Torah di Mosè e gli insegnamenti del nostro Signore nel sermone sul monte. Infatti, Gesù mette esplicitamente in guardia contro tale contrapposizione, dicendo: “Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire, ma per portare a compimento. Poiché in verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un iota o un apice passerà dalla legge senza che tutto sia adempiuto. Chi dunque avrà violato uno di questi minimi comandamenti e avrà così insegnato agli uomini, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli; ma chi li avrà messi in pratica e insegnati sarà chiamato grande nel regno dei cieli” (Matteo 5:17-19).
Infatti, in Matteo 5:17-48, Gesù contrappone ciò che viene detto dagli anziani (i maestri della Legge, gli scribi e i rabbini) a ciò che è effettivamente scritto nella Torah. Con autorità (Matteo 7:29), Gesù ritorna e sottolinea l’autorità normativa della Torah, della Bibbia ebraica. Ogni sua affermazione che inizia con “ma io vi dico…” associa le sue parole (provenienti dalla Parola incarnata) con quelle della Scrittura, la Parola scritta (trasmessa dal suo stesso Spirito).
Proprio come aveva fatto durante la sua tentazione da parte del diavolo nel deserto, così fa qui: risponde con forza all’uso improprio di testi isolati (e quindi male interpretati) della Scrittura, e in questo modo affronta e corregge la Halakhah (il compendio sistematico dell’insegnamento) degli scribi farisaici, dei rabbini, esponendo la loro errata interpretazione.

Sei antitesi

Alla luce di quanto sopra, vediamo come Gesù espone sei antitesi (Matteo 5:21-48), mostrando come gli insegnamenti dei rabbini siano contrari a ciò che la Torah, la Bibbia, dice veramente. Gesù si appella alla Scrittura nel suo insieme, dalle sue radici ai suoi frutti, mentre i rabbini raccolgono solo alcune parti, rami tagliati via dal resto e quindi seccati.
Anche se ogni “Voi avete udito che fu detto” contiene un versetto della Scrittura, dobbiamo riconoscere che i farisei e i rabbini stanno usando questo versetto per sminuire, rendere superficiale, torcere o travisare il significato di ciò che è scritto. Il principio della Sola Scriptura (la sola Scrittura) è vero solo nella misura in cui si allinea con la Tota Scriptura (tutta la Scrittura): le due cose devono andare insieme.

  1. “Non uccidere”, secondo i rabbini, si applicava solo all’atto, e non all’ira ingiusta che dà origine all’atto (Zaccaria 7:10; 8:17). Gesù va oltre, mostrando che il sesto comandamento include anche un aspetto positivo: essere riconciliati con il prossimo, l’amore per il prossimo (Matteo 5:23-26; cfr. Levitico 19:16-18).
  2. Allo stesso modo, secondo i rabbini, “Non commettere adulterio” non si applicava alla lussuria (cfr. Esodo 20:17 e Giobbe 31:1).
  3. “Quando un uomo sposa una donna che poi non vuole più, perché ha scoperto qualcosa di indecente a suo riguardo, le scriva un atto di ripudio, glielo metta in mano e la mandi via” (Deuteronomio 24:1), secondo i rabbini, permetterebbe ad un uomo di divorziare da sua moglie semplicemente perché lo desidera (cfr. Malachia 2:14-16). La scuola del rabbino Hillel, contemporaneo di Gesù, permetteva a un uomo di divorziare dalla moglie per qualsiasi causa: se la trovava troppo rumorosa, una cattiva cuoca, meno attraente di prima, ecc.
  4. Per i rabbini, “Non giurare il falso; da’ al Signore quello che gli hai promesso con giuramento” (Matteo 5:33, riferendosi a Levitico 19:12) significava che si poteva giurare e fare giuramenti nella vita quotidiana, con riserve mentali, secondo le quali si giurava “per questo” o “per quello” o “sulla testa di”, ecc. C’è un posto legittimo per i giuramenti (il Signore stesso li ha fatti), come nel tribunale pubblico; ma nella vita quotidiana il nostro sì deve essere sì e il nostro no, no; qualsiasi cosa più di questa è del maligno.
  5. “Occhio per occhio, dente per dente.” Lo scopo della lex talionis, un principio affermato nella Bibbia, è di assicurare che la punizione sia adatta al crimine. Tuttavia, è stato preso dai rabbini per giustificare la vendetta personale in questioni private – situazione in cui la Scrittura, invece, ci esorta a mostrare misericordia (Proverbi 19:22; 22:9; Isaia 1:17; Zaccaria 7:9).
  6. I rabbini presero il comandamento della Torah, “Ama il tuo prossimo”, e aggiunsero perniciosamente “odia il tuo nemico”. La Bibbia, tuttavia, comanda: “Se il tuo nemico ha fame, dagli del pane da mangiare; se ha sete, dagli dell’acqua da bere” (Proverbi 15:21).

Gesù espande ulteriormente il vero significato della Bibbia, la Bibbia che era la sua, dicendo: “Ma io vi dico: amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano, e pregate per quelli che vi maltrattano e che vi perseguitano … Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste” (Matteo 5:44-48).

Il Re e il suo Regno

Consacrato Sacerdote e Profeta con il suo battesimo, Gesù Cristo viene anche consacrato Re – Re del Regno di Dio, del Regno dei Cieli.
All’inizio del suo ministero Gesù “andava attorno per tutta la Galilea … predicando il vangelo del regno” (Matteo 4:23).  Ha sottolineato la necessità della grazia e dello Spirito Santo, come lo vediamo dire a Nicodemo che venne da lui di notte: “Se uno non è nato di nuovo, non può vedere il regno di Dio … se uno non è nato d’acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio” (Giovanni 3:3, 5).
Lungo tutto il suo ministero Gesù dichiara che il Regno è vicino (Matteo 4:17; Marco 1:15; 12:34), poiché è arrivato e, nella sua persona, è in mezzo a loro (Luca 17:21).
Il suo invito è di cercare prima il regno di Dio e la sua giustizia (Matteo 6:33) e di chiedere lo Spirito Santo senza il quale nessuno può entrare nel regno e vivere della sua giustizia (Luca 11:9-13). Inoltre, il Regno e la giustizia (la giustizia è il compimento della legge) vanno assieme (Romani 8:4; 14:17). La giustizia dei discepoli supera quella degli scribi e dei farisei, è la giustizia che Dio dà per grazia ai peccatori che si umiliano e si pentono, e che sanno di essere lontani dalla perfezione, ma che si sforzano di raggiungere la meta per il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù, compiendo ogni sforzo per vivere secondo i comandamenti di Dio in ogni area della vita (cfr. Filippesi 3:8-14).
Il Regno di Dio è il quinto regno annunciato da Daniele. Dopo aver spiegato a Nebukadnetsar la sua visione della statua e aver parlato della pietra che avrebbe frantumato la statua e sarebbe diventata una grande montagna che avrebbe riempito tutta la terra (Daniele 2:31-35), il profeta e uomo di stato concluse: “Il Dio del cielo farà sorgere un regno, che non sarà mai distrutto … ma esso durerà per sempre” (Daniele 2:44). Nell’Apocalisse, le voci nel cielo proclamano a gran voce: “Il regno del mondo è passato al nostro Signore e al suo Cristo ed egli regnerà nei secoli dei secoli” (Apocalisse 11:15).
Troviamo l’insegnamento di Gesù sul Regno nelle parabole.
In una di queste parabole (una sola frase!), Gesù, alla fine del suo ministero, dichiara: “In verità, in verità vi dico che se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto” (Giovanni 12:24). Il Re, che misteriosamente porta il Regno in sé, deve morire per portare molto frutto.
Un’altra volta, Gesù presenta questa parabola: “Il regno dei cieli è simile a un granello di senape che un uomo ha preso e seminato nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi; ma, quand’è cresciuto, è maggiore degli ortaggi e diventa un albero; tanto che gli uccelli del cielo vengono a ripararsi tra i suoi rami” (Matteo 13:31-32). Il Regno crescerà largamente nel corso dei secoli fino al giorno in cui, alla fine, “la conoscenza del Signore riempirà la terra, come le acque coprono il fondo del mare” (Isaia 11:9). Stesso annuncio ha fatto la Torah (Levitico 26:3-13; Deuteronomio 28:1-14).
Ancora una volta, Gesù dice: “Il regno dei cieli è simile al lievito che una donna prende e nasconde in tre misure di farina, finché la pasta sia tutta lievitata” (Matteo 13:33). Apprendiamo qui che il Regno crescerà anche in maniera approfondita – nel tempo il Regno penetrerà e farà lievitare i vari aspetti della realtà fino a quando, alla fine, nessuna parte della vita umana sarà lasciata intatta.
Il Re, il detentore del Regno, morirà da solo, un singolo granello caduto a terra, affinché poi, non più solo, diventi un albero immenso.
È mediante la sua morte, risurrezione e ascensione che Cristo, il Re vittorioso sul diavolo, sul peccato e sulla morte, siederà sul trono “al di sopra di ogni principato, autorità, potenza, signoria e di ogni altro nome che si nomina non solo in questo mondo, ma anche in quello futuro” (Efesini 1:20-21).
Questo regno di Cristo, inaugurato nel 30 d.C. e manifestato in modo straordinario dal 30 al 70 d.C., non è di questo mondo (Giovanni 18:36) poiché esercita il proprio influsso dal cielo dove Cristo siede alla destra del Padre. Tuttavia, lo sviluppo del Regno è progressivo, in quanto si estende e si radica in modo un po’ embrionale nelle prime fasi e poi continua ad esercitare quell’influsso in modo sempre più prominente, “come in cielo, anche in terra“, in ogni settore della vita, fino a giungere al punto di piena fioritura annunciato in Isaia 2:2-4 e Michea 4:1-4.
In cielo, da dove regna sempre più sulla terra, Gesù “divenne per tutti quelli che gli ubbidiscono autore di salvezza eterna” (Ebrei 5:9). Il progresso del Regno, del Patto di Grazia, non è però del tutto automatico. Esso avanza e retrocede secondo la fedeltà o l’infedeltà, la perseveranza o la caduta, l’obbedienza o la disobbedienza dei sudditi del Regno, dei membri del Patto di Grazia, alla Parola-Legge di Dio. Fin dai giorni del ministero terreno di Gesù, la proclamazione del Regno imminente si accompagna alla chiamata all’obbedienza alla Legge (Matteo 7:12-27).
Nel Te Deum, la Chiesa ha cantato lungo i secoli al Re del Regno, il Garante del Patto di Grazia: “Vincitore della morte, hai aperto ai credenti il regno dei cieli”.

LA FINE DEI TEMPI

Veniamo ora al discorso che Gesù rivolse ai suoi discepoli sul monte degli Ulivi alla fine del suo ministero terreno (Matteo 24; Marco 13; Luca 21).
Poco prima, mentre i discepoli stanno lasciando il Tempio, ne esaltano la bellezza. L’anno è il 30 d.C. Anche se costruito dopo il ritorno degli esuli quattro secoli prima, questo secondo Tempio brilla in modo impressionante sotto il sole, risultato di un progetto di restauro totale iniziato qualche decennio prima da Erode il Grande (Erode, un re idumeo, cercava con questa mossa di conquistarsi il favore degli Ebrei). Si stavano ancora aggiungendo gli ultimi dettagli.
“Maestro,” dice uno dei discepoli, “guarda che pietre e che edifici!” Con loro stupore, Gesù risponde: “Vedi questi grandi edifici? Non sarà lasciata pietra su pietra che non sia diroccata”. I discepoli decidono di interrogarlo su questo.
Più tardi, sul monte degli Ulivi, dove Gesù si era seduto, vengono da Lui in privato, chiedendo: “Dicci, quando avverranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine dell’eone [5]  [l’era, l’epoca nella quale ci troviamo]?” È a questa domanda che Gesù risponde.

Il contesto

Durante tutto il suo ministero, Gesù aveva già annunciato in vari modi la fine dell’età presente (che diventa così l’era antica): “E io vi dico che molti verranno da Oriente e da Occidente e si metteranno a tavola con Abrahamo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, ma i figli del regno saranno gettati nelle tenebre di fuori. Là ci sarà pianto e stridor di denti” (Matteo 8:11-12). Un’altra volta racconta la parabola del banchetto di nozze:

Il regno dei cieli può essere paragonato ad un re, il quale fece le nozze di suo figlio. Mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze; ma questi non vollero venire. Mandò una seconda volta altri servi, … ma quelli [gli invitati], non curandosene, se ne andarono, chi al suo campo, chi al suo commercio; altri poi presero i suoi servi, li maltrattarono e li uccisero. Allora il re [udito ciò] si adirò, mandò le sue truppe a sterminare quegli omicidi e a bruciare la loro città. Quindi disse ai suoi servi: “Le nozze sono pronte, ma gli invitati non ne erano degni. Andate dunque ai crocicchi delle strade e chiamate alle nozze quanti troverete” … e la sala delle nozze fu piena di commensali (Matteo 22:2-10).

Alle città d’Israele che rifiutarono la sua chiamata, Gesù disse:

Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsaida! perché se in Tiro e Sidone fossero state fatte le opere potenti compiute tra di voi, già da molto tempo si sarebbero pentite, con sacco e cenere. Perciò vi dichiaro che nel giorno del giudizio la sorte di Tiro e di Sidone sarà più tollerabile della vostra. E tu, o Capernaum, sarai forse innalzata fino al cielo? No, tu scenderai fino all’Ades. Perché se in Sodoma fossero state fatte le opere potenti compiute in te, essa sarebbe durata fino ad oggi. Perciò vi dichiaro che nel giorno del giudizio la sorte del paese di Sodoma sarà più tollerabile della tua (Matteo 11:21-24).

Raccontò anche la terribile parabola dei vignaiuoli a cui un proprietario aveva affittato la sua vigna.

Quando fu vicina la stagione dei frutti, [il proprietario del terreno] mandò i suoi servi dai vignaioli … ma i vignaioli presero i servi e ne picchiarono uno, ne uccisero un altro e un altro lo lapidarono … alla fine mandò loro suo figlio, dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio”. Ma i vignaioli, veduto il figlio,… lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà il padrone della vigna, che farà a quei vignaioli? … Li farà perire malamente, quei malvagi, e affitterà la vigna ad altri vignaioli i quali gli renderanno i frutti a suo tempo (Matteo 21:34-41).

Poi Gesù si rivolse ai sacerdoti, ai farisei e agli altri che lo ascoltavano e aggiunse:

Perciò vi dico che il regno di Dio vi sarà tolto e sarà dato a gente che ne faccia i frutti (Matteo 21:43).

Gesù, dopo aver rimproverato i capi d’Israele (Matteo 23:1-12), pronunciò su di loro le sette maledizioni più una (Matteo 23:13-36). Ci è detto che dopo questo incontro Gesù pianse su Gerusalemme (Matteo 23:37-39). Infine, mentre si dirigeva verso il luogo del Teschio, portando la sua croce, dirà alle donne che piangevano su di Lui: “Figlie di Gerusalemme, non piangete per me, ma piangete per voi stesse e per i vostri figli. Perché, ecco, i giorni vengono nei quali si dirà: ‘Beate le sterili, i grembi che non hanno partorito e le mammelle che non hanno allattato’. Allora cominceranno a dire ai monti: ‘Cadeteci addosso!’ e ai colli: ‘Copriteci!'” (Luca 23:28-30).

“Questa generazione”

Ora che abbiamo una visione del contesto, possiamo capire meglio il discorso degli Ulivi in cui Gesù predice i “giorni della vendetta” che stanno per arrivare sul Tempio, su Gerusalemme e Israele, e che stanno per arrivare presto, poiché questi eventi accadranno durante la vita di “questa generazione”, prima che “questa generazione” passi (Matteo 24:34; Marco 13:30; Luca 21:32).  La parola greca genea è usata trentatré volte nei Vangeli e più di quaranta volte nel Nuovo Testamento. In ogni istanza significa chiaramente e specificamente una generazione, un “gruppo di contemporanei”. Il segno nel cielo del Figlio dell’uomo, come gli altri sette segni che lo precedono e lo annunciano, deve quindi avvenire prima che passi l’attuale generazione d’Israele, una generazione che Gesù ha definito “malvagia”, “adultera” e “peccatrice”. Questa generazione, di conseguenza, era anche la generazione del circolo apostolico.

I sette segni di avvertimento

Nel suo discorso Gesù dice ai suoi ascoltatori di cercare sette segni di avvertimento – sette segni che richiedono la massima attenzione, procedendo uno dopo l’altro con precisione crescente, dal più generale al più specifico.

Essi sono:

  1. Falsi cristi che “ne sedurranno molti” (Matteo 24:4-5; Marco 13:6; Luca 21:8).
  2. Guerre e rumori di guerre (Matteo 24:6-7; Marco 13:7; Luca 21:9-10).
  3. Terremoti e carestie in vari luoghi (Matteo 24:7; Marco 13:8; Luca 21:11).
  4. Il martirio di coloro che resistono fedelmente fino alla fine (Matteo 24:9, 13; Marco 13:9, 11 e 13; Luca 21:12-19).
  5. L’apostasia di molti (Matteo 24:10-12; Marco 13:12; Luca 21:16).
  6. Il Vangelo proclamato a tutte le nazioni nell’oїkouménê (il mondo abitato) (Matteo 24:14; Marco 13:10).
  7. L’abominazione della desolazione e la grande tribolazione (Matteo 24:15-28; Marco 13:14-23; Luca 21:20-26).

Il segno del Figlio dell’uomo in cielo

Dopo i sette segni di avvertimento, “apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo” (Matteo 24:29-35; Marco 13:24-31; Luca 21:25-33). Questa sarà la venuta del “Messia e Giudice” del suo popolo; la distruzione del Tempio e la fine dell’era dell’antico patto.
Considereremo queste profezie storiche in maggiore dettaglio quando parleremo del loro adempimento alla fine dei quarant’anni dal 30 al 70 d.C.

La preghiera sacerdotale

Giovanni non registra il discorso di Gesù sul monte degli Ulivi nel suo Vangelo (anche se, intorno al 68 d.C., Giovanni, guidato dallo Spirito Santo, scrisse il Libro dell’Apocalisse dopo aver ricevuto una serie di visioni sull’isola di Patmos, un libro destinato a incoraggiare i cristiani mentre la venuta di Cristo, il Giudice di Israele, e della grande tribolazione si stava avvicinando).
Tuttavia, nel Vangelo di Giovanni, troviamo la preghiera di Gesù per gli apostoli e le successive generazioni di discepoli, specifica per il tempo in cui vivono e vivranno. Stiamo parlando, naturalmente, della preghiera sacerdotale del nostro Signore registrata in Giovanni 17.
Questa preghiera, rivolta dal Figlio al Padre poco prima della sua passione, è composta di tre parti, ognuna delle quali riguardante una delle tre epoche successive dell’era cristiana.

Prima parte

Essendo giunta l’ora in cui il Figlio deve glorificare il Padre, il Figlio chiede al Padre di glorificarlo mentre attraversa gli eventi che lo attendono: la sua morte imminente sulla croce, la sua risurrezione e la sua ascensione. Questi eventi imminenti, insieme alle sofferenze e alla vittoria che vi sono racchiuse, culmineranno con il fatto che Cristo riceverà da suo Padre “autorità su ogni carne” (cfr. Matteo 28:18) e, in particolare, l’autorità di dare la vita eterna a coloro che il Padre ha dato al Figlio (Giovanni 17:1-3). “Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l’opera che tu mi hai data da fare. Ora, o Padre, glorificami tu presso di te della gloria che avevo presso di te prima che il mondo esistesse.” (versi 4 e 5).
La prima parte della preghiera sacerdotale riguarda gli anni dall’1 al 30 d.C.: il periodo della vita terrena di Cristo.

Seconda parte

Il Padre ha affidato al Figlio i membri della cerchia apostolica. Questi credettero nel nome del Padre e del Figlio e ricevettero e custodirono la Parola (e le parole!) data dal Padre al Figlio. Ora il Figlio chiede al Padre di glorificare il Figlio in loro. Il Figlio sta lasciando questo mondo per andare al Padre. Gesù chiede al Padre di conservare i membri della cerchia apostolica nel nome del Padre e del Figlio: “affinché siano uno, come noi.” Gesù conservò i dodici e “nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta” (cfr. Giovanni 13:18, che cita Salmi 41:9). Ha dato loro la Parola del Padre. Essi sono ancora nel mondo; il mondo li odia perché non sono del mondo (versetti 6-14). “Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno … Santificali nella [tua] verità: la tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anch’io ho mandato loro nel mondo. Per loro io santifico me stesso, affinché anch’essi siano santificati nella verità.” (versi 15-19).
Questa seconda parte della preghiera sacerdotale riguarda gli anni dal 30 al 70 d.C.: il periodo della Chiesa apostolica.

Terza parte

Avendo già pregato per la sua glorificazione e la santificazione della cerchia apostolica nella verità, il Figlio prega ora per tutti coloro che crederanno in seguito, lungo i secoli fino alla risurrezione dei morti, il giudizio universale, il ritorno di Cristo nella gloria e la trasfigurazione universale. “Non prego soltanto per questi (gli apostoli), ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola: che siano tutti uno; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano [uno] in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato … Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché vedano la mia gloria che tu mi hai data; poiché mi hai amato prima della fondazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l’amore del quale tu mi hai amato sia in loro, e io in loro” (versetti da 20 a 26).
Questa terza parte della preghiera sacerdotale riguarda tutto l’arco della nostra era dopo il 70 d.C.: il periodo post-apostolico della Chiesa.

 

Note:

1 Jaroslav Pelikan e Valerie Hotchkiss, editori Creeds and Confessions of the Faith, vol. I (New Haven, CT: Yale University Press, 2003), 288-289

2 Notiamo che ogni peïrasmos è allo stesso tempo una tentazione nel piano concepito da Satana e una prova nel piano sovrano voluto da Dio. Mentre la tentazione invita il male, la prova chiama la fede alla vittoria su quel male (1 Giovanni 5:4).

3 Molte versioni recitano: “ma la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo”. L’avversativa, “ma”, non è inclusa nel testo greco, e tende a sostenere la nozione marcionita che Legge e Vangelo sono opposti l’uno all’altro.

4 Nota del Traduttore: Il tipo di citazione selettiva di Giovanni 3:17 dalla quale Courthial mette in guardia è vivo e vegeto. Per un esempio recente, vedi Love Wins di Rob Bell: A Book About Heaven, Hell, and the Fate of Every Person Who Ever Lived (New York, NY: HarperOne, 2011), 160.

5 Qui è usata a parola greca aїon.


Altri Libri che potrebbero interessarti