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L’ISTRUZIONE: UN ASPETTO DEL PATTO
(Prima parte)

C’è una forte enfasi educazionale che scorre attraverso tutta la Scrittura. Per esempio, il popolo di Dio è costantemente comandato e incoraggiato ad imparare e meditare la legge di Dio (De. 11:18-21; Sa. 1:2; 94:12). Infatti, la legge è essa stessa nel senso più fondamentale un corpo d’insegnamento, un curricolo educazionale in santità per ogni ambito di vita — la parola torah significa letteralmente “direzione” o “istruzione”.

Si consideri anche la parte data alla storia nella bibbia. L’insegnamento della storia è visto come un dovere genitoriale d’importanza vitale (De. 4:7-9; 6:20-25), e i libri storici costituiscono una parte considerevole della Scrittura tanto nel Vecchio quanto del Nuovo Testamento. Di fatto, la filosofia biblica della storia nel suo senso più ampio è basilare per il concetto di progresso ed è stata di fondamentale importanza nell’ascesa della civiltà occidentale. È stato argomentato che il concetto biblico di tempo lineare, in contrapposizione con l’idea pagana di tempo ciclico, sia stato responsabile per l’emergere del progresso scientifico nel mondo occidentale [1].

Poi c’è la letteratura sapienziale che è dedicata esclusivamente all’istruzione. Il libro di Proverbi fu scritto per istruire all’agire saggia- mente, alla giustizia, al giudizio e alla dirittura, per dare accorgimento ai semplici e conoscenza e riflessione al giovane, talché il savio accrescerà il suo sapere e l’uomo con intendimento otterrà saggi consigli (Pr. 1:3-5).

Similmente, nel Nuovo Testamento le epistole hanno un ampia enfasi educazionale. Infatti la bibbia intera s’interessa d’istruzione. Dio ha parlato all’uomo per mezzo della sua parola e noi dobbiamo comprendere ed applicare quella parola alla nostra vita e insegnare ai nostri figli di fare la stessa cosa. Perciò l’apostolo Paolo commenda e testimonia della validità ed efficacia dell’istruzione cristiana di Timoteo: “Tu però persevera nelle cose che hai imparato e nelle quali sei stato confermato, sapendo da chi le hai imparate, e che sin da bambino hai conosciuto le sacre Scritture, le quali ti possono rendere savio a salvezza, per mezzo della fede che è in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura è divinamente ispirata e utile a insegnare, a convincere, a correggere e a istruire nella giustizia, affinché l’uomo di Dio sia completo, pienamente fornito per ogni buona opera” (2 Ti. 3:14-17). Molto spesso facciamo riferimento a questo passo semplicemente come testo che prova la dottrina dell’infallibilità e manchiamo il suo significato per la filosofia biblica dell’istruzione. Dio ci ha dato le Scritture affinché possiamo essere effettivamente istruiti propriamente nei termini del suo proposito ed essere quindi equipaggiati per compiere la nostra vocazione come popolo di Dio.

Era stato responsabilità e destino d’Israele, come nazione che possedeva gli “oracoli di Dio”, d’essere “guida di ciechi, luce di quelli che sono nelle tenebre, istruttore degli insensati, insegnante dei bambini” perché avevano “la forma della conoscenza e della verità nella legge” (Ro. 2:19-20). E la vocazione della chiesa oggi non è da meno. Ecco perché i missionari alle nazioni pagane, istituiscono scuole come uno dei loro compiti più importanti. Prendono i non-credenti dalle loro culture pagane e li rieducano. Danno ai loro bambini un’istruzione cristiana al posto di una pagana. Il lavoro missionario è più che semplicemente stabilire chiese in terre lontane. È il compito di convertire un’intera cultura, un totale modo di vivere, alla religione cristiana. Qui il lavoro missionario è un esempio per noi. Dobbiamo vederne la logica e applicarla alla nostra situazione sempre più secolarizzata e pertanto pagana. È necessario stabilire scuole specificamente cristiane nel nostro paese quanto lo è nell’Africa più nera, e per la stessa ragione, ovvero che Cristo richiede che tutta la nostra vita e la nostra cultura siano sottoposte alla sua autorità.

Ovviamente un tale compito richiede un popolo istruito. Gli ebrei avevano nella loro legge vera conoscenza e saggezza, e avevano il requisito d’istruire i loro figli coerentemente nei termini della loro fede. Perciò la legge dichiara: “E queste parole che oggi ti comando rimarranno nel tuo cuore; e inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando sei seduto in casa tua, quando cammini per strada, quando sei coricato e quando ti alzi” (De. 6:6-7; cfr. 11:18-21). L’istruzione doveva essere un procedimento coerente e continuo. Mancare di provvedere ai propri figli un’istruzione pia era pertanto trascurare le proprie responsabilità genitoriali pattizie.

Il contesto sociale e culturale

Ora dobbiamo volgerci a considerare più da vicino cosa dica la bibbia circa le responsabilità di genitori riguardo all’istruzione dei loro figli. Nel farlo, però, dobbiamo tenere presente che ci sono considerevoli differenze culturali tra il tipo di società rappresentata nel racconto biblico e la nostra società.

Queste differenze sono particolarmente evidenti nella quantità delle forme istituzionali sviluppate nella nostra cultura per provvedere a molte necessità sociali. Infatti, la differenziazione istituzionale è una caratteristica particolare della nostra società. In contrasto, nella società biblica c’è una differenziazione istituzionale molto minore attraverso l’intero spettro della vita sociale. Pertanto, a prima vista può sembrare che una necessità particolare come l’istruzione non sia provveduta adeguatamente perché nella società biblica non vediamo l’esistenza di un’istituzione separata dedicata solamente al provvedimento di questa necessità.

Questo è un giudizio che molto probabilmente faremo perché tendiamo a guardare indietro a culture più primitive con una prospettiva moderna e a valutarle nei termini delle nostre disposizioni sociali e burocratiche altamente differenziati spesso assumendo che quest’ultime siano necessariamente superiori. Però, la mancanza nella società biblica di una specifica istituzione dedicata solamente all’istruzione non implica per sé una mancanza di provvedimento, né significa necessariamente che noi oggi si sia maggiormente illuminati e la disposizione biblica per il provvedimento dell’istruzione fosse inferiore alla nostra. Al contrario, per quanto concerne l’istruzione il modello biblico dovrebbe essere considerato avere validità permanente e pertanto essere il modello cristiano corretto per il presente. Pertanto, in quest’ambito specifico, come in molti altri, un ritorno al modello biblico sarebbe un miglioramento considerevole rispetto alle disposizioni altamente istituzionalizzate e burocratiche che sono oggi credute una grande conquista.

Nondimeno, a causa di queste differenze istituzionali tra la nostra società e quella biblica, manchiamo spesso di apprezzare il pieno impatto dell’insegnamento biblico su questo soggetto. Dobbiamo riconoscere, perciò, che in contrasto con la nostra società organizzata istituzionalmente la società biblica è organizzata su una base altamente pattizia. Questo significava che l’istruzione, come ogni altro ambito di vita, trovava il proprio contesto nella struttura pattizia della vita. Per la natura del caso la società biblica non richiedeva una struttura sociale altamente differenziata o distintamente istituzionalizzata per fare in modo che i genitori potessero provvedere ai figli un’istruzione fedele ai dettami del patto. Se noi ci accostiamo all’insegnamento biblico sull’istruzione con una prospettiva aliena che assume che un’istruzione adeguata necessiti un tale provvedimento, che è essenzialmente un’idea moderna, molto probabilmente mancheremo il significato di ciò che la bibbia ha da dire sul soggetto. Per poter apprezzare le norme bibliche dell’istruzione, perciò, dobbiamo ri-orientarci verso la prospettiva pattizia enunciata nella parola di Dio.

La prospettiva pattizia

Nel capitolo precedente fu fatto riferimento al fatto che c’è una comunione di persone all’interno della Divinità. Ciascun membro della Trinità è in comunione con gli altri membri della Trinità. Poiché l’uomo è creato ad immagine di Dio, riflette anche quest’aspetto della natura di Dio. Il bisogno di comunione è pertanto una caratteristica basilare della natura umana. Ma diversamente da Dio, che è un’aseità — una realtà totalmente auto-contenuta e indipendente, non creato ed eterno — l’uomo è un essere che dipende dal suo creatore in tutte le cose e quindi, come dichiarato sopra, il suo bisogno di comunione trova compimento prima e soprattutto in comunione con Dio.

La natura della relazione che esiste tra Dio e l’uomo è espressa nella Scrittura col concetto di patto. Dio si relaziona con l’uomo mediante un patto e non ci può essere comunione tra Dio e l’uomo se non sulla base di questo patto. Il patto definisce la relazione che esiste tra Dio in quanto Creatore e l’uomo in quanto sua creatura e portatore della sua immagine.

Inoltre, è importante comprendere il fatto che questa relazione pattizia è la conseguenza della creazione dell’uomo come essere dipendente ad immagine di Dio e pertanto un fatto della vita ineludibile, non un’opzione da prendere o lasciare da parte di chi abbia una disposizione religiosa. Il patto è inestricabilmente legato con la natura dell’uomo in quanto essere creato ad immagine di Dio perché la comunione che c’è tra Dio e l’uomo è un riflesso dell’eterna comunione che c’è tra i membri della Trinità.

La natura creaturale e dipendente della relazione dell’uomo con Dio, e la natura sovrana della relazione di Dio con l’uomo sono espresse dalla struttura del patto che Dio ha stabilito con l’umanità. In questo patto, il Signore Dio, in quanto creatore e sovrano dell’uomo, stabilisce la sua autorità sulla sua creatura e pertanto definisce i limiti della vita dell’uomo secondo la sua sovrana volontà. L’uomo, in quanto creatura di Dio, sta sotto quell’autorità nella reazione di un soggetto al suo sovrano. I termini del patto promettono salvezza e comunione con Dio e richiedono fedeltà e obbedienza da parte dell’uomo. La portata del patto è comprensiva, abbraccia il tutto della vita dell’uomo. Definisce la vocazione dell’uomo come vice-reggente di Dio e prescrive i termini del suo mandato creazionale di stabilire il proprio dominio sulla terra. In altre parole, il patto non dev’essere inteso come un contratto limitato o incidentale stabilito come mezzo verso uno scopo particolare, ma anzi un totale modo di vivere mediante il quale l’uomo deve amare e servire il proprio creatore [2]. Il patto è pertanto il fatto supremo della vita per l’uomo, il cui abbandono costituisce il tutto della caduta dell’uomo nel peccato, e la restaurazione dentro ad una comunione pattizia con Dio, il tutto della salvezza.

Quando Adamo peccò contro Dio nel Giardino egli ruppe il patto e decadde dalla propria posizione di uno che viveva in comunione con Dio. In Adamo cadde anche l’intera razza umana perché egli era il capo federale e rappresentante dell’umanità. Però, Dio ha ristabilito la posizione dell’uomo con Sé per mezzo di un perfetto sacrificio cruento, offerto da Gesù sul Calvario, come propiziazione per il peccato. Per fede, i membri del popolo di Dio nei tempi passati ebbero accesso a questa redenzione in Gesù Cristo che era tipizzata nei riti sacrificali della legge cerimoniale del Vecchio Testamento e venivano così restaurati a comunione pattizia con Dio. Avendo un questo modo redento il suo popolo Dio rivelò loro la sua legge come una guida e regola di vita. Questa legge costituisce i termini del patto sotto cui Dio ha redento il suo popolo e dà direzione e regola per ogni ambito di vita. La vita dell’intera comunità del popolo di Dio era perciò strutturata pattiziamente; vale a dire che era una teocrazia. In altre parole, i termini (la legge) del patto stabilivano ad ogni livello la natura e la forma basilare della struttura sociale mediante la quale il popolo di Dio esprimeva la vita di fede e d’obbedienza.

Il ruolo e la responsabilità della famiglia
nel patto

In questa struttura sociale il ruolo della famiglia è di fondamentale importanza. La famiglia è l’unità sociale primaria e basilare mediante la quale si realizza la vita pattizia della comunità. Funzionava tanto come basilare unità economica ed educativa quanto al provvedimento del welfare dei propri membri. Questi tre ambiti di responsabilità famigliare — welfare, economia e istruzione — formano gli elementi basilari di ciò ch’è stata chiamata la “famiglia fiduciaria”.

La famiglia fiduciaria è il concetto di famiglia illustrato nella bibbia. Secondo R. J. Rushdoony: “La famiglia biblica può essere paragonata ad una corporazione — una società di capitali. Una società di capitali differisce nel fatto che è una persona giuridica artificiale ed è creata dallo stato. Una società di capitali non muore quando muoiono i suoi fondatori, o quando muoiono i suoi funzionari; continua ad esistere giuridicamente separatamente dai suoi azionisti, che continuano a ricevere i dividendi finché vivono. Similmente, la famiglia è una corporazione che consiste di genitori e figli. Paga i dividendi ai figli con cura, sostegno ed eredità, e restituisce dividendi ai genitori in cura e sostegno secondo necessità. Come società di capitali amministra le sue proprietà e redditi nei termini degli scopi che Dio ha ordinati e le ha dato. Per questa ragione, i membri della corporazione non prendono decisioni arbitrarie o puramente personali, sono sia persone individuali sia un’entità corporativa, e la loro funzione più vera è nei termini di una piena considerazione di entrambe le funzioni sotto Dio” [3].

L’idea di Stato del Welfare, nel quale queste aree di vita che Dio ha ordinato siano responsabilità della famiglia sono prese in cura dallo stato, è perciò chiaramente non biblico e in contrapposizione al patto. Lo Stato del Welfare è un attacco frontale alla dottrina biblica della famiglia perché distrugge precisamente quegli ambiti in cui la famiglia ha autorità che le permette di funzionare come amministratore fiduciario delle proprie risorse economiche con la responsabilità per il welfare e l’istruzione dei propri membri. “Per lo stato, entrare nel controllo dei figli e/o della proprietà, è violare la sfera della famiglia e rivendicare d’essere quella corporazione che esiste per prendersi cura della famiglia. Tale rivendicazione è una capitale infrazione dell’ordine-giuridico di Dio” [4].

Sotto il socialismo la famiglia è realmente una forma di vita superflua e fuori moda. Lo stato è l’amministratore fiduciario della società in tutti gli ambiti e quindi in effetti asserisce d’essere la sola vera famiglia dell’individuo. Il concetto biblico della famiglia è eresia per la filosofia statalista perché rappresenta l’indipendenza dal controllo statale. La famiglia amministratore fiduciario deve perciò essere distrutta. Il programma di welfare dello stato è uno dei mezzi usati per distruggerla. Pertanto, per lo statalista la famiglia non è nulla più che un gruppo di individui geneticamente correlati che condividono la stessa unità abitativa. Essi trovano il loro vero significato e funzione di vita nei termini dello stato.

L’insegnamento biblico su società e famiglia non è né individualistico né centralista, ma enfatizza le responsabilità e i privilegi dell’uomo come creatura pattizia in ogni ambito di vita. Tanto lo stato che la famiglia sono istituzioni pattizie che funzionano nei termini dell’ordine giuridico di Dio — vale a dire che sono istituzioni governate teocraticamente. Tanto stato che famiglia sono istituzioni importanti nella società biblica ma i loro rispettivi ruoli sono chiaramente separati. La funzione dello stato è un ministero di giustizia: un governo civile limitato all’amministrazione di quelle leggi che costituiscono un dovere civile o che portano con sé una pena. Questa è un’area ove la legge biblica mantiene una chiara differenziazione istituzionale che ai nostri tempi è stata offuscata. Non è prerogativa dello stato o del magistrato civile agire come ministero del welfare, dell’economia o dell’istruzione, o interferire in alcun altro modo con le responsabilità della famiglia, fatta eccezione nella legittima amministrazione di quelle leggi che esiste per implementare — che nella parola di Dio sono considerevolmente limitate. Sotto il patto che Dio ha stabilito con l’umanità la famiglia amministratore fiduciario è responsabile per il provvedimento di queste necessità sociali.

L’istruzione, il welfare, e l’amministrazione delle risorse economiche della società sono di centrale importanza per la preservazione e lo sviluppo di una civiltà. Il fatto che queste aree di responsabilità nella bibbia siano state date specificamente alla famiglia è significativo. Significava che la famiglia è l’unità sociale fondamentale nella struttura pattizia della nazione. La prosperità e il futuro della nazione furono quindi affidati primariamente alla famiglia, non allo stato. Era dai capi famiglia che venivano eletti gli ufficiali delle strutture politiche e giudiziarie nazionali, cioè gli anziani, vale a dire i capi di case, clan e tribù i quali funzionavano come capi civili, politici e nel primo periodo capi militari. La funzione della famiglia come amministratore fiduciario era pertanto vitale per la vita dell’intera comunità ed aveva un significato che si estendeva ben oltre i propri confini in quanto la qualità della vita famigliare e la sua fedeltà al patto si sarebbe riflessa nella qualità e carattere degli uomini che conducevano la nazione. Il futuro della nazione dipendeva, pertanto, dal fedele assolvimento da parte della famiglia delle sue responsabilità pattizie [5].

Chiaramente, perciò, nella bibbia l’educazione dei figli è vista come una responsabilità della famiglia. I figli dovevano essere educati nel contesto della vita pattizia della famiglia sotto l’autorità e la custodia del suo capo (Sa. 78:4-7) [6], la natura dell’istruzione provveduta doveva anche essere strutturata pattiziamente; che è come dire che il padre era responsabile d’assicurarsi che i propri figli ricevessero un’istruzione che fosse teocentrica e che in questo modo rendesse il fanciullo capace di comprendere i propri vocazione e dovere nella vita in qualità di servo di Dio e portatore della sua immagine. In altre parole, la prospettiva pattizia doveva governare l’intera istruzione del fanciullo (Sa. 78:4-7). Abrahamo è segnalato per la sua fedeltà nel provvedere una pia istruzione per i suoi figli e per quelli nati nella sua casa (Ge. 18:19) in contrasto con Lot, il quale, pur mantenendo la propria pietà personale nel mezzo di una generazione malvagia, era stato evidentemente negligente nell’istruire fedelmente i propri figli nei termini dei requisiti del patto (Ge. 19:4, 31-36).

Nè doveva essere, peraltro, semplicemente una “istruzione religiosa” nel senso stretto del termine. Storia, giurisprudenza, filosofia, etica, economia, psicologia, scienza, ecc., sono tutti termini moderni, ma la sostanza delle discipline che rappresentano erano tutte presenti in vari gradi nella cultura ebraica dei tempi biblici — benché l’istruzione fosse data nella forma di sapienza pratica anziché mediante dissertazioni accademiche astratte. Lo scrittore del Libro della Sapienza ci dice “Egli mi ha concesso la conoscenza infallibile delle cose, per comprender la struttura del mondo e la forza degli elementi, il principio, la fine e il mezzo dei tempi, l’alternarsi dei solstizi e il susseguirsi delle stagioni, il ciclo degli anni e la posizione degli astri, la natura degli animali e l’istinto delle fiere, i poteri degli spiriti e i ragionamenti degli uomini, la varietà delle piante e le proprietà delle radici. Tutto ciò che è nascosto e ciò che è palese io lo so, poiché mi ha istruito la sapienza, artefice di tutte le cose” [7].

Nella cultura ebraica, era inoltre responsabilità del padre provvedere al figlio un mestiere o un mezzo per vivere. Una massima rabbinica ben nota recita: “Chi non insegna un mestiere al proprio figlio, gli insegna a rubare” [8]. La ragione per questo detto era che senza un mestiere che provvedesse dei mezzi legittimi per vivere uno sarebbe stato tentato di ricorrere al furto.

Questo principio è altrettanto rilevante oggi e la correttezza del ragionamento che lo sostiene è stata dimostrata fin troppo bene nella nostra società. Oggi molti che non hanno un mestiere o un lavoro come mezzo legittimo per vivere — o che non hanno accesso al lavoro nel loro mestiere a causa, per esempio, di restrizioni indotte da cartelli sindacali — fanno ricorso ad una forma di furto legalizzato, cioè emolumenti del welfare statale finanziati da eccessiva tassazione ovvero il cosiddetto programma di “redistribuzione del reddito”. La decapitalizzazione della società che consegue da questi programmi di welfare finanziati dalle tasse minaccia di distruggere la struttura tradizionale — e fondamentalmente biblica — della società occidentale perché non solo crea una vasta sezione della comunità che è economicamente, e nel tempo diverrà psicologicamente —dipendente dallo stato paternalistico, ma anche a causa dello strangolamento finanziario dovuto alla percentuale oppressiva di tassazione che rende impossibile alla famiglia pia compiere il proprio dovere ordinato da Dio di provvedere per l’istruzione e il benessere dei propri membri. I programmi di welfare statale, nei quali i mezzi che la famiglia avrebbe per provvedere per i suoi vengono confiscati per poter mantenere quelli che sono in welfare sono una forma di furto e sono un fattore cruciale nella disintegrazione della famiglia come unità sociale basilare nella società oggi. Il programma di welfare dello stato moderno costituisce dunque un completo rovesciamento del sistema di welfare famigliare, integrato se necessario dalla chiesa e da opere di carità personali che è stabilito nella bibbia.

Note:

1 Stanley L. Jaki: Science and Creation, From eternal cycles to an oscillating universe; Edimburgo: Scottish Academic Press. Ad ogni modo, il concetto di tempo lineare non deve essere considerato come il solo concetto distintamente biblico che fu necessario per lo sviluppo della scienza moderna. In effetti esso forma una necessaria precondizione intellettuale per gli sforzi dell’uomo per sviluppare e controllare il mondo naturale. A fianco del concetto di tempo lineare, la dottrina biblica del mandato culturale e la validità del dominio dell’uomo sulla terra sono stati di eguale importanza. Ambedue questi concetti sono peculiarmente biblici e questa è la ragione preminente per cui il progresso scientifico è stato il prodotto di una matrice culturale specificamente cristiana ed ha accompagnato la diffusione della civiltà cristiana. In contrasto con questa enfasi biblica sul dominio legittimo che progredisce nel tempo verso un risultato definito c’è il paganesimo nel quale l’uomo cerca di migliorare le sue condizioni di vita o cercando un dominio illegittimo sugli altri mediante l’uso della forza, come ad es, nel fascismo e nel comunismo, o mediante il controllo del mondo spirituale per mezzo della magia come ad. es. nell’animismo, induismo, ecc. Questi due differenti approcci alla condizione umana producono civiltà radicalmente diverse, le cui caratteristiche generali si possono vedere contrastando le società del Primo e del Terzo Mondo.
2 Herman Hoeksema: Reformed Dogmatics; Grand Rapids: Reformed Free Publishing Association, p. 222.
3 R. J. Rushdoony: The Institutes of Biblical Law (Presbyterian and Reformed Publishing Company, p. 417. Le istituzioni della legge biblica La citazione è da questo capitolo La famiglia come amministratore fiduciario
4 Ibid., p. 418.
5 Non sto qui argomentando a favore di un governo patriarcale della società — quantomeno non nel senso in cui il termine viene solitamente usato. Nella bibbia l’autorità della bibbia non regna suprema. La famiglia è una delle tre istituzioni maggiori, la chiesa e lo stato sono le altre due. L’autorità della famiglia, come quella di chiesa e stato, è limitata nelle Scritture e non dovrebbe oltrepassare la legittima sfera d’autorità di nessuna della altre due istituzioni, per le quali vale la stessa cosa nei confronti della famiglia. Non sto dicendo, pertanto, che l’autorità della famiglia dovrebbe estendersi al di là dei suoi confini istituzionali ma semplicemente che la sua influenza inevitabilmente lo fa per la ragione che è l’istituzione fondamentale della società, alla cui autorità Dio ha consegnato i compiti essenziali di welfare, economia (nel senso più ampio) e istruzione, e che pertanto ha un ruolo formativo da svolgere nello sviluppo del carattere morale dei suoi membri, e di conseguenza della società nel suo insieme.
6 È vero che una tribù, Levi, fu designata quale tribù sacerdotale e le fu affidata la speciale responsabilità d’insegnare la legge di Dio alla nazione. Ma i leviti non erano responsabili per l’educazione generale dei fanciulli. Piuttosto, erano responsabili dell’istruzione religiosa (nel senso più stretto) della nazione. Erano analoghi agli anziani col ruolo d’insegnare che lavorano nell’ambito della parola e della dottrina nell’epoca cristiana (1° Ti. 5:17).
7 Libro della Sapienza 7:17-21.
8 The Babylonian Talmud, Kiddishin 29a.


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