1 b.
Il fondamento epistemologico della fede cristiana
(Seconda parte)

La botte piena e la moglie ubriaca

La prospettiva generale del non-credente è quindi distorta, benché egli sia capace di intuizioni e verità individuali. Queste intuizioni e verità non possono essere coerentemente poste in correlazione l’una con l’altra né con il presupposto non biblico che governa la sua comprensione dell’universo. In particolare, il non-credente vuole disperatamente mantenere certi aspetti della realtà, specialmente qualità e sfaccettature della personalità umana che istintivamente sa essere essenziali alla propria umanità ma delle quali non può rendere conto sulle basi della propria filosofia.

Questo ha fatto sviluppare il sistema di pensiero dualista che ha tentato di spiegare la natura della realtà nei termini della supposta razionalità autonoma dell’uomo, ad esempio lo schema forma-materia del periodo greco antico, lo schema natura-grazia dello scolasticismo medievale, e lo schema natura-libertà del periodo del Rinascimento e dell’Illuminismo fino ai nostri tempi [1]. Tutte queste filosofie non sono che un tentativo di avere la botte piena e la moglie ubriaca. Poiché sono il prodotto di un’epistemologia incoerente sono distorte e in ultima analisi irrazionali, ciò vale a dire che mancano di produrre un’interpretazione dell’universo razionalmente coerente. Il non-credente è quindi staccato dalla realtà, benché non ne sia consapevole, ed ecco la “schizofrenia intellettuale”, per usare il termine di R. J. Rushdoony, manifestarsi continuamente nel suo pensiero.

La visione cristiana della realtà

La posizione cristiana, dall’altra parte, è coerente con i propri presupposti; che vale a dire che consente un’interpretazione dei fatti della realtà razionalmente coerenti. Non è schizofrenica ma è capace invece di armonizzare il cosmo intero in una visione del mondo unificata che è basata su principi coerenti al proprio interno. Il cristiano, pertanto, diversamente dal non-credente, crede veramente in un universo, cioè un cosmo che è un’entità unificata perché trova i propri significato e scopo nell’atto creativo del Dio delle Scritture è che è pertanto intelligibile e spiegabile solamente nei termini della sua parola. Inoltre, è solo nei termini della teoria cristiana della conoscenza che l’uomo è in grado di arrivare ad una comprensione della realtà coerente ed unificata. Al non-credente potrà non piacere il Dio che trova al centro di questa teoria cristiana della conoscenza né la natura della visione del mondo che genera, ma non può, se è intellettualmente onesto, negare la sua razionalità ultima.

Ovviamente in non-credente non lo ammetterà mai perché è un peccatore, un ribelle in inimicizia con Dio. Non può perciò accettare che la natura della realtà sia Teo-centrica. Preferirà credere una menzogna che inchinarsi al Dio delle Scritture. La depravazione etica si manifesta in ogni ambito della sua vita e quindi nella sua comprensione di ogni aspetto dei fatti della realtà.

Ciò ch’è stato detto sopra non intende implicare, comunque, che il cristiano non possa mai sbagliare o che non commetta mai errori nei suoi tentativi di giungere ad una corretta comprensione dei fatti della realtà. Ovviamente, il cristiano commette errori e giunge a conclusioni incorrette sul mondo in cui vive. Ma fa queste cose malgrado, non a causa dei suoi presupposti basilari circa la natura della realtà che è di essere creata da Dio. La differenza tra il credente e il non-credente è questa: dati i suoi presupposti basilari circa l’origine e la natura della realtà è per principio impossibile per il non-credente parlare intelligibilmente di qualsiasi fatto dell’universo. Perché è incoerente con i propri presupposti, però, ed assume che l’universo sia ordinato razionalmente — in altre parole perché elabora il proprio pensiero nei termini di concetti pre-teoretici che sono presi in prestito della comprensione cristiana della realtà — è capace di arrivare ad una corretta comprensione di molti aspetti del mondo intorno a sé. Ma in ultima analisi non può inserire queste verità in una visione del mondo razionalmente coerente e significativa perché la sua negazione di Dio necessariamente lo taglia fuori dall’unico principio interpretativo che è in grado di provvedere un fondamento razionale per tale visione del mondo, cioè la creazione del cosmo intero ex nihilo da parte del Dio delle Scritture. Il cristiano, invece, benché capace d’errore nella sua comprensione di alcuni dei fatti davanti a sé, nondimeno è capace di giungere alla corretta comprensione della natura e del significato della realtà nel suo insieme. La sua visione del mondo è per principio coerente con se stessa e con il mondo che ha intorno.

Applicazioni della teoria cristiana della conoscenza
alla filosofia dell’istruzione

Il principio sola scriptura implica che il tutto della vita debba essere sottoposto alla volontà di Dio rivelata nelle Scritture, e almeno in teoria quelli che lo sostengono hanno sempre mantenuto che sia così. Quando giungiamo all’applicazione pratica di questo principio diventa chiaro che le implicazioni dell’epistemologia su cui si fonda sono di ampia portata. In nessun ambito questo è oggi più vero, e più urgentemente necessita della nostra attenzione, che nel campo della filosofia dell’istruzione.

Genericamente parlando — benché forse con l’eccezione della “conoscenza religiosa” — il non-credente insegnerà le stesse materie e gli stessi fatti che il cristiano insegna, ma cercherà di adattarli in una visione della realtà che nega l’esistenza del Dio delle Scritture e che cerca di spiegare tutte le cose nei termini di quella visione del mondo. In una tale prospettiva la fede cristiana è meramente il prodotto di una visione del mondo passata di moda e non-scientifica, e pertanto un sistema di credenze irrazionale nell’epoca scientifica odierna. Ma la fede cristiana è irrazionale agli occhi del non-credente perché è contrapposta ai propri presupposti religiosi circa la natura della realtà.

Per il cristiano la situazione è esattamente opposta. La comprensione della vita del cristiano è centrata in Dio e perciò il cristiano cerca di comprendere e d’interpretare tutte le cose nei termini dei propositi creativi del Dio delle Scritture e della parola che Egli ha dato per governare la vita dell’uomo. Poiché Egli è il creatore e sostenitore di tutte le cose l’universo trova il proprio scopo e significato solamente in Lui. Pertanto, la negazione di Dio è un salto nell’irrazionalità e nel suicidio intellettuale.

Questo colloca il tema dell’istruzione nel suo contesto filosofico. Le due posizioni suo mutuamente esclusive. Se sono coerenti con i propri presupposti non potranno mai concordare fondamentalmente sull’interpretazione dei fatti della realtà su nessun punto. Per il cristiano e l’umanista, pertanto, non ci può essere terreno comune [2]. Finora, questa verità è stata compresa di più dagli umanisti che dai cristiani. È la mutua esclusività di queste due posizioni che rende essenziale provvedere un’istruzione specificamente cristiana per i nostri figli, e mandare i nostri figli alla scuola statale per essere istruiti da umanisti un implicito rinnegamento della fede.

Questa verità — che è la natura dei nostri basilari presupposti religiosi che governano la nostra comprensione di tutte le cose — è dunque il fondamento logico che regge una filosofia e una prassi dell’istruzione specificamente cristiane, poiché se è vero che la sola valida interpretazione del mondo in cui viviamo è basata sulla parola di Dio rivelata, allora l’istruzione che diamo ai nostri figli deve poggiare su quella parola in tutti i punti. Un’istruzione cristiana, perciò, è un’istruzione che rende lo studente capace di pensare i pensieri di Dio nella sua cornice di pensiero in ogni disciplina e ambito di vita; in altre parole un’istruzione che gli mette a disposizione sia una struttura concettuale basata sull’interpretazione definitiva della realtà dettata dalla parola di Dio e coerente con essa, sia gli strumenti intellettivi necessari per assimilare i dati della realtà dentro a quella struttura. Solo una siffatta istruzione renderà capace lo studente di cogliere il senso ultimo del mondo in cui vive lo attrezzerà per compiere il suo mandato culturale di portare tutte le cose in soggezione a Cristo.

Inoltre, poiché il cristiano crede che tutte le cose sono state create da Dio e quindi che i fatti della realtà possono essere correttamente compresi solo nei termini dei propositi creativi di Dio, la filosofia cristiana dell’istruzione nega categoricamente che qualsiasi disciplina o materia di studi, qualsiasi metodo scientifico, o le scoperte e le conclusioni delle investigazioni di qualsiasi aspetto o sfaccettatura del cosmo possano essere neutrali rispetto ai presupposti fondamentali dell’epistemologia su cui si fonda. È l’atto creativo di Dio a dare significato ai dati della realtà e pertanto la sola teoria che può parlare con autorità di questi dati o coglierne il senso è quella che presuppone il Dio delle Scritture come principio fondamentale per l’interpretazione di tutte le cose: “Poiché da lui, per mezzo di lui e in vista di lui sono tutte le cose” (Ro. 11:36) e “ Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui” (Cl. 1:17). Questa verità è il principio di tutta la conoscenza perché la conoscenza è possibile solamente nei termini di questa verità. Ecco perché “Il timore dell’Eterno è il principio della conoscenza” (Pr. 1:7).

È pertanto tradimento contro Dio consegnare i nostri figli ai non- credenti per la formazione del loro punto di vista intellettuale e della filosofia di vita — perché questo è ciò che viene dato al ragazzo nella scuola, vale a dire una totale visione del mondo, non semplicemente informazioni specializzate o tecniche su certi soggetti che i genitori non sono in grado di provvedere; di fatto, la maggior parte degli educatori si gloria esattamente di stare provvedendo una completa filosofia di vita. Chiunque supponga di poter mantenere il controllo su quel tipo di visione del mondo che i suoi figli assorbono mandandoli in una scuola statale o umanista è un illuso. È impossibile smantellare cinque giorni di sistematica istruzione nella visione umanista del mondo con una mattinata alla scuola domenicale, che usualmente è tutto quello che i figli dei cristiani ricevono come istruzione specificamente cristiana — e anche questo è spesso di qualità scadente e limitato all’ “istruzione religiosa” in senso stretto. Noi rinneghiamo la fede quando consegnamo i nostri figli perché siano educati dai nostri nemici ad essere istruiti ed incoraggiati a vedere il mondo e tutte le cose in esso nei termini delle empie categorie del pensiero umano. Farlo è dedicare i nostri figli ad un altro dio. È una combinazione di idolatria e tradimento.

Conclusione

Ho iniziato questo capitolo reclamando che la teologia protestante moderna ha abbandonato le basi di sola scriptura su cui era stata originariamente fondata, e che ciò è avvenuto perché il fondamento epistemologico su cui era posata è stato abbandonato. Ciò non è stato fatto auto-consapevolmente, comunque, ed è perché in linea di massima, le basi epistemologiche del concetto sola scriptura della teologia non era sostenuto auto-consapevolmente da quelli che aderivano al principio di sola scriptura. Per questo Van Til critica quelli che sostenevano il principio di sola scriptura ma che, ciò nonostante cercarono di mettere insieme un’apologetica che era basata su un’epistemologia di terreno comune razionalista — ad es. Hodge, Warfield e quelli del vecchio Princeton. Questo, secondo Van Til concede troppo; di fatto arrende tutto in principio al nemico. Con l’ascesa dell’umanismo razionalistico e la sua rivendicazione del metodo scientifico ecc., molti sono giunti alla conclusione che il vangelo non sia più difendibile razionalmente — quanto meno il tipo di vangelo sostenuto dai Riformatori con la loro credenza nelle Scritture come l’infallibile parola del Dio vivente e la suprema e vincolante autorità in tutte le questioni di fede e di condotta.

In questo modo, senza una base sicura su cui collocarsi quando costretta a difendere la fede, la chiesa Protestante, inclusa l’ala evangelicale, ha rotto le file ed è fuggita davanti ad un nemico la cui forza risiede in un’illusione di razionalità. Alcuni, imbarazzati dalle affermazioni delle Scritture, non essendo disposti a sacrificare la rispettabilità intellettuale in un mondo accademico ostile alla verità biblica, hanno disperatamente cercato modi di dimostrare che le Scritture in realtà intendevano da sempre ciò che i razionalisti “scientifici” di oggi stanno dicendo — lo testimonia la teoria di “gap” nella creazione e l’idea dell’evoluzione teista, che furono sviluppate per adattarsi ad una teoria che non solo non è biblica ma è anche insostenibile nei termini di una corretta comprensione del metodo scientifico. In questo processo di accomodamento, comunque, la teologia protestante ha cessato di essere essenzialmente scritturale in qualsiasi senso onesto e significativo, ed è scivolata verso una forma di teologia naturale che è più accettabile nel clima intellettuale e accademico attuale. Altri, desiderando affermare la loro adesione alla fede biblica e non volendo adottare una teologia razionalistica, sono sfuggiti inconsapevolmente proprio dentro la gabbia che i razionalisti hanno costruito per loro, cioè la dicotomia fede-ragione tra la religione cristiana e la cosiddetta verità scientifica o empirica. Entrambe queste tendenze sono il risultato d’aver dato troppo credito alle illegittime rivendicazioni della filosofia razionalistica. In breve, la chiesa protestante sta soffrendo oggi di un severo attacco di codardia davanti al nemico.

Se la chiesa vuole riprendersi da questa condizione e riconquistare terreno perduto deve scuotersi di dosso la propria schiavitù intellettuale alla prospettiva razionalistica della filosofia e teologia moderne e ritornare di nuovo al concetto della fede cristiana che scaturisce dal sola scriptura. Il nostro compito è dunque di ricostruire una teologia coerente nei termini di quel principio e sviluppare un’ermeneutica che sia in grado di applicare le Scritture al mondo moderno effondendo in questo modo la parola-comando di Dio nella vita della chiesa e nel mondo che ci è stato commissionato di portare sotto la disciplina di Cristo.

Se vogliamo comunicare la verità biblica con efficacia, comunque, la nostra apologetica deve essere basata su un’epistemologia che sia razionalmente coerente con se stessa e con la nostra comprensione delle Scritture come l’infallibile e autoritativa rivelazione da parte di Dio della sua volontà per l’uomo. Su un tale fondamento possiamo con fiducia sfidare tutte le filosofie razionalistiche e i sistemi di pensiero schierati contro la religione cristiana ai nostri giorni. Nel farlo, però, dobbiamo rendere chiaro che l’epistemologia cristiana su cui edifichiamo non è meramente un fondamento razionale per la verità che proclamiamo, è il solo fondamento razionale per qualsiasi rivendicazione sulla verità. È il fondamento, non solo della verità scritturale, ma di tutta la verità, che sia concepita religiosamente o scientificamente, perché le rivendicazioni della verità biblica abbracciano la totalità della realtà. Solo sulla base di una tale epistemologia saremo nella posizione di mettere a nudo l’idolatria intellettuale dell’incredulità e mostrare al non-credente l’irrazionalità della sua posizione.

 

Note:

1 Queste idee filosofiche sono state descritte da Herman Dooyeweerd in A New Critique of Theoretical Thought (Presbyterian and Reformed Publishing Company, 1969), In The Twilight of Western Thought, Studies in the Pretended Autonomy of Philosophical Thought (Nutley, New Jersey: The Craig Press, 1980), e The Secularization of Science citato sopra.
2 Terreno comune non deve essere confuso con grazia comune. A motivo della grazia comune di Dio all’umanità il non-credente comprende in una certa misura il mondo in cui vive ed è capace di giungere alla verità riguardo a molti aspetti della realtà. Ma, come ho discusso sopra, ciò avviene malgrado piuttosto che a motivo dei presupposti basilari che governano il suo pensiero. In altre parole, il non-credente è incoerente con la propria epistemologia, e il motivo per questo è che egli è creato ad immagine di Dio ed è incapace di negare o di cancellare totalmente quell’immagine. Infatti, è solo in ragione della propria creazione ad immagine di Dio che il non-credente è in grado di funzionare come essere umano razionale anche quando usa tutto il proprio potere come essere razionale per negare il proprio creatore — cioè quando quando cerca di usare argomenti razionali per negare l’esistenza del Dio delle Scritture. Il fatto che l’immagine di Dio nell’uomo non sia stata obliterata totalmente dalla caduta, e pertanto il fatto che il non-credente sia ancora capace di giungere ad un grado di verità riguardo il mondo in cui vive, è un aspetto della grazia comune di Dio alla razza umana, ma non significa che ci sia, nei termini di un’epistemologia coerente da ambo le parti, alcun terreno comune tra il credente e il non-credente riguardo a qualsiasi aspetto o fatto della realtà.


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