Il Nuovo Patto: il regno di Cristo e il Grande Mandato

Quando arriviamo al Nuovo Testamento, dobbiamo esaminare una serie di passaggi per determinare se le affermazioni della teologia 2K sono fedeli alla Parola di Dio. Diamo particolare attenzione a dove la Scrittura discute i seguenti argomenti: l’unità delle due nature di Cristo, la regalità di Gesù Cristo, il ruolo della legge, la santificazione e le buone opere, il rapporto della chiesa con il mondo e il Grande Mandato. Non siamo in grado di fornire una trattazione completa di tutti i passaggi rilevanti, ma ci concentreremo su alcuni testi chiave.

I Vangeli

A partire dai Vangeli, leggiamo molto sul regno dei cieli e sul regno di Dio. Durante la tentazione di Cristo, Satana Gli offrì tutti i regni di questo mondo e la loro gloria (Matteo 4:8). Cristo avrebbe potuto rispondere che erano già sotto la sua regalità comune e governati dalla legge naturale. Questi regni sarebbero diventati suoi in futuro, ma solo attraverso la strada dell’espiazione redentrice e l’istituzione del regno dei cieli. Per il momento, il ministero di Cristo si è concentrato sulla predicazione del regno dei cieli, come in: “Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Matteo 4:17) 1.

Nel Sermone sul Monte troviamo una presentazione dell’etica del regno di Cristo che, come l’Antico Testamento, si basa sulla legge rivelata non su quella naturale. Cristo conferma l’importanza della legge del Vecchio Testamento per la Nuova Alleanza, descrivendo come questa osservanza delle leggi abbia implicazioni sociali e culturali di vasta portata; Ha descritto i suoi discepoli come luce e sale (Matteo 5:13-16). L’immagine del sale parla di come il regno di Cristo preserva e dà sapore alla cultura e alla società in cui esiste. La metafora della luce indica come questo regno deve trasmettere la verità di Dio e praticare buone opere davanti a un mondo che guarda. Mentre vivono nel “regno comune”, Gesù istruisce i credenti a “far risplendere la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (5:16).

Nelle parabole di Matteo 13 abbiamo la presentazione più completa della visione di Cristo del regno di Dio. Tra questi si legge: “Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prende ed impasta con tre misure di farina finché tutta la pasta sia lievitata” (Matteo 13:33). Ciò indica che il regno di Cristo non deve essere una comunità isolata in attesa del mondo a venire, ma piuttosto una comunità attiva che influenza tutta la vita e la cultura con cui entra in contatto.

In un’altra parabola Gesù insegna: “Il regno dei cieli è simile a un granello di senape che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è certamente il più piccolo di tutti i semi, ma una volta cresciuto è il più grande di tutte le erbe e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a ripararsi tra i suoi rami” (Matteo 13:31–32). Lungi dall’essere una piccola comunità di pellegrini, la chiesa è destinata ad essere un vasto regno che si estende su tutta la terra. Questo concorda con la visione rivelata in Daniele. Cristo non presenta una visione strettamente religiosa del regno, ma una visione ampia e influente in questo mondo.

Il Grande Mandato e il Mandato Culturale

Quando Gesù fu pronto a salire alla destra del Padre, annunciò un programma e un comando di portata mondiale: “Ogni autorità mi è stata data in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli di tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro di osservare tutte le cose che vi ho comandato; ed ecco, io sono con voi sempre, fino alla fine del mondo” (Matteo 28:18–20).

A Cristo è stata data autorità giuridica su tutti i regni, istituzioni e forme di autorità in questo mondo come risultato della sua vittoriosa risurrezione. Paolo fa ulteriormente eco a questa verità: “. . . che egli ha messo in atto in Cristo risuscitandolo dai morti e facendolo sedere alla sua destra nei luoghi celesti, al di sopra di ogni principato, potestà, potenza, signoria e di ogni nome che si nomina non solo in questa età, ma anche in quella futura” (Efesini 1:20-21).

Quando Gesù fu risorto, fu dichiarato essere il Figlio di Dio con potenza (Romani 1:4). In qualità di Re Mediatore, Cristo ha assunto il regno mediatoriale su ogni cosa nel cosmo. Gesù ha messo gli occhi sul mondo intero, su tutte le sue nazioni e popoli. Dopo tutto, questo era esattamente ciò che Dio aveva promesso ad Abrahamo (Ge. 12:3; 18:18; 22:18); era ciò che avevano promesso i Salmi e i profeti (Sl. 2, 72, 110; Is. 2, 54, 60; Da. 2: 7).

Cristo ha dato il Grande Mandato nei giorni della sua carne, parlando ai suoi discepoli come un vero uomo. L’insegnamento 2K che Gesù riceve “ogni autorità” aggirando la sua carne non può essere sostenuto scritturalmente, specialmente quando magnifichiamo la sua risurrezione, ascensione e sessione alla destra di Dio “nella nostra carne” (Catechismo di Heidelberg D.49). La frase “in cielo e sulla terra” rivela la portata del suo governo sovrano come esaltato Dio-uomo. Come risultato dell’incarnazione e della risurrezione di Cristo, c’è un nuovo ordine di governo nel cosmo. Quindi nessuna istituzione terrena è al di fuori dell’ambito del suo governo come esaltato Dio-uomo. Come potrebbe esserlo?

Il dominio di Cristo supera di gran lunga quello che Adamo aveva o avrebbe potuto avere (Romani 5:8-21) perché Gesù è il Figlio di Dio incarnato. È una divinità eterna. La sua autorità si estende su tutta la creazione, su tutta la vita e la cultura umana. È imperativo vedere che questa autorità è quella di Cristo come mediatore. Questa è l’autorità che Gesù come Dio-uomo, il Messia, l’ultimo Adamo, ricevette per la sua obbedienza fino alla morte sulla croce (Fl. 2: 5–11).

C’è una serie di elementi distinti in questo Mandato che mostrano una somiglianza col Mandato Culturale che sono un’indicazione che i due sono interconnessi. Il Grande Mandato, in quanto parte della Nuova Alleanza, è il mezzo mediante il quale Dio rinnova, ripristina e adempie il mandato culturale/sociale di Genesi 1–2. Il Nuovo Patto non riprende alcune, ma tutte le promesse delle precedenti alleanze, e il Nuovo Testamento mostra come esse si adempiono in Cristo. Il piano di Dio per il regno pattizio del suo Figlio “unto” non è dualistico, ma unificato.

1. Il primo mandato ordinava ad Adamo di “essere fecondo e moltiplicarsi”; allo stesso modo, il secondo Adamo comandò che i suoi discepoli fossero “fecondi” andando e facendo discepoli di tutte le nazioni. Successivamente Atti descrive come “la parola di Dio cresceva e si diffondeva” (Atti 12:24). Paolo scrisse persino: “Perché anche se aveste diecimila educatori in Cristo, non avreste però molti padri, poiché io vi ho generato in Cristo Gesú, mediante l’evangelo” (1 Co. 4:15). Così il Grande Mandato è simile al Mandato Culturale per quanto riguarda la fecondità. Certamente il Vangelo non produce figli tramite il matrimonio fisico ma attraverso il matrimonio di Cristo e della chiesa. Paolo scrive: “Invece la Gerusalemme di sopra è libera, ed è la madre di tutti noi” (Galati 4:26). La Nuova Alleanza fornisce quindi il modo in cui il mandato culturale/sociale deve essere adempiuto, vedendo le persone trasformate dalla nuova nascita e dalla fede in Gesù Cristo. Il resto dell’umanità otterrà i benefici della vita e della benedizione temporale (grazia comune) per il bene degli eletti.

2. La prospettiva globale del Mandato Culturale ha anche un parallelo nel Grande Mandato. Gesù chiama la chiesa a fare “tutte le nazioni” discepole. Dice anche: “Ma riceverai potenza quando lo Spirito Santo verrà su di te; e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino all’estremità della terra” (Atti 1:8). La sottomissione della terra per la gloria di Dio deve ora essere ottenuta attraverso missioni globali, evangelizzazione e discepolato.

3. L’enfasi sul discepolato include l’insegnamento di “tutte le cose che vi ho comandato”. Non dovremmo prendere questo a significare solo i comandi “lettere rosse” [i comandi esplicitamente pronunciati da Gesù nei vangeli], ma piuttosto il sistema etico totale della Bibbia, compreso il mandato culturale. Ciò non significa che ogni cristiano sia obbligato a realizzare la trasformazione della nazione in cui vive, ma ad essere obbediente alla Signoria di Cristo in tutti i settori della sua vita. In questo modo ha un’influenza positiva sulla società come sale e luce [2].

Giovanni 15: unione con Cristo e portare frutto

Sembra che la teologia 2K metta più l’accento sulla relazione oggettiva (forense) dei credenti con Cristo, rispetto all’unione spirituale o mistica alla luce di Giovanni 15. Vedere la Chiesa come il corpo di Cristo sembra essere mancante per quanto riguarda la santificazione. Al contrario, Cristo ha parlato di una connessione vitale tra i credenti e se stesso che si tradurrebbe in frutti che hanno un significato culturale: “Io sono la vite, voi siete i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto; perché senza di me non puoi fare nulla ” (Giovanni 15: 5).

La teologia 2K evidenzia una visione più luterana che riformata dell’unione con Cristo. Louis Berkhof nella sua Systematic Theology dedica un intero capitolo all’unione mistica con Cristo (unio mystica) in cui dice: “La teologia riformata, d’altra parte, tratta teologicamente dell’unione dei credenti con Cristo, e come tale fa maggiore giustizia a questo importante soggetto” [3]. Questa unione, progettata dall’eternità, si realizza in Cristo in questo modo: “. . . quell’unione intima, vitale e spirituale tra Cristo e il suo popolo, in virtù della quale egli è la fonte della loro vita e forza, della loro beatitudine e salvezza”. Infatti, l’aspetto del coronamento di quell’unione è “la sua realizzazione soggettiva per opera dello Spirito Santo”. Perché “da questa unione i credenti sono trasformati nell’immagine di Cristo secondo la sua natura umana”. E “L’unione mistica con Cristo assicura anche al credente il potere di trasformazione continua della vita di Cristo, non solo nell’anima ma anche nel corpo” (449-51). Se questo è vero per il corpo del credente, che è materiale, è altrettanto vero che la vita del credente nella società e nella cultura deve essere di trasformazione. La teologia 2K manca della piena comprensione riformata del ruolo dello Spirito Santo in questa questione cruciale.

Le lettere di Paolo: Romani

La lettera di Paolo ai Romani fornisce un’ampia discussione sulla legge di Dio. In Romani 1 e 2 Paolo insegna riguardo alla natura della legge di Dio e alla sua relazione con la coscienza umana. In Romani 2 Paolo spiega la differenza tra il Gentile e l’Ebreo, sostenendo che entrambi devono rendere conto a Dio, poiché entrambi possiedono la legge. Tuttavia, anche se entrambi possiedono la legge (uno ha la legge nel suo cuore e l’altro nella sua mano), questo non motiva automaticamente il rispetto della legge che li confronta. Se gli ebrei che hanno sperimentato l’opera della legge scritta nei loro cuori più la legge scritta nelle loro mani, se anche loro hanno disobbedito alle cose della legge, allora viene sottolineato il bisogno impellente dei Gentili “senza legge” di essere ulteriormente illuminati (specialmente in luce dell’accusa di Romani 1).

Mentre è vero che uno degli scopi della legge di Dio è accusare la razza umana e renderla colpevole davanti a Dio, in modo che possiamo cercare Cristo, è anche vero che la legge scritta di Dio trascende anche le impostazioni evangelistiche, richiedendo anche ai non evangelizzati di “fare” le cose della sua legge, anche se il loro agire non è all’altezza di un’obbedienza credente e sincera. Ciò è dimostrato quando Paolo scrive anche che sia gli ebrei che i greci sono anche “sotto” la legge dei Dieci Comandamenti in Romani 3:919, perché chiaramente la “legge” che rende il mondo colpevole è la legge di Dio.

La legge di Dio confronta continuamente i non credenti, che è il significato dell’espressione paolina, “sono legge a se stessi”. L’opera della legge scritta in ogni cuore è più di uno standard che rende gli uomini pienamente responsabili davanti al tribunale di Dio; è anche uno standard di obbedienza esterna. Sebbene il non credente non possa “adempiere” la legge, poiché la parola “adempiere” implica fede e amore (Romani 13: 8 s), tuttavia, può fare la legge. Questa legge morale ha valore più che nominale; al contrario, è un motore che spinge gli uomini all’obbedienza esterna a ciò che la legge di Dio richiede.

Il punto di vista di Paolo presuppone anche ciò che ha già insegnato sulla rivelazione generale nel capitolo 1. Frame scrive:

“… la stessa legge naturale è profondamente religiosa. Ciò è perfettamente evidente da Rom. 1:18-32, probabilmente il testo fondamentale sulla legge naturale. Lì, la legge naturale fornisce una chiara conoscenza di Dio – non solo la moralità, certamente non una qualche morale civile secolare – ma Dio stesso. La legge naturale rivela chiaramente la natura e gli attributi di Dio (v. 20). Porta anche a una conoscenza personale di Dio: non solo a conoscere fatti su di lui, ma a conoscerlo (v. 20). La soppressione della legge naturale porta all’idolatria (vv. 21-25), forse il più religioso di tutti i peccati. Quell’idolatria porta a sua volta al peccato sessuale (vv. 26–27) e ad ogni altro tipo di peccato (vv. 28–31). Chiamare questa morale “laica” o “meramente civile” manca profondamente il suo intento.

Ma penso sia straordinario che nel libro VanDrunen non dica altro sulla soppressione della verità da parte dei miscredenti. Certamente questo complica il ruolo della legge naturale nel fornire la conoscenza morale agli esseri umani. Se esiste una legge naturale, ma l’uomo la sopprime completamente, allora non serve affatto da guida. Evidentemente la soppressione non è assoluta, perché il passo dice che la legge naturale serve come mezzo adeguato per rimuovere le scuse. Quindi c’è una relazione dinamica tra la vera comprensione e la soppressione di quella verità. Per comprendere la coscienza morale del non credente, dobbiamo comprendere non solo la sua esposizione alla legge naturale, ma anche il paradosso del suo riconoscimento mentre si ribella contro di essa. VanDrunen sembra essere del tutto ignaro di questa complicazione [4].

Alcuni potrebbero obiettare che Paolo insegna che la natura è la fonte della legge. Paolo non dice forse: “Allo stesso modo anche gli uomini, lasciando l’uso naturale della donna” (Ro. 1:27), e insegna che quelli “che non hanno la legge, fanno per natura le cose nella legge” (2:14). Allo stesso modo, in 1 Corinzi ragiona anche: “La natura stessa non v’insegna che è un disonore per l’uomo portare la chioma?” (11:14).

La nostra risposta è che Paolo usa davvero il termine “natura”, ma mai come lo usavano i Greci o i Romani, in modo panteistico. Quando Paolo usa il termine, lo colloca sempre nel contesto della creazione. In Romani 1 l’omosessualità è contraria alla natura perché contraddice il modo in cui Dio ha creato la natura umana come maschio e femmina e il suo progetto per il matrimonio. In Romani 2 i Gentili fanno per natura le cose della legge, ma la “natura” non li informa di ciò che devono fare. Paolo prosegue dicendo che il loro comportamento riflette l’“opera” originale di Dio che scrive la sua legge nei loro cuori alla creazione. In 1 Corinzi, l’argomento contestualizzato di Paolo si basa sulla creazione, poiché si riferisce a come Dio ha creato l’uomo e la donna. Altri riferimenti seguono uno schema simile.

Al contrario, VanDrunen vede Romani 1:28–2:16 come una dichiarazione sulla rivelazione naturale e la legge naturale. Per lui, questo passo porta quasi tutti e dieci i comandamenti nell’ambito della legge naturale. Non solo l’omosessualità, ma anche l’idolatria è proibita dalla natura. La sua approvazione implicita della teologia naturale e dell’empirismo è un chiaro rifiuto di Van Til in favore dell’Aquinate [5].

Ci sono passi ulteriori in Romani che contraddicono la teologia 2K. In Romani 4 scopriamo che l’alleanza con Abramo aveva una portata cosmica e non era un’alleanza strettamente religiosa. Romani 4 lo chiarisce: “Infatti la promessa di essere erede del mondo non fu fatta ad Abrahamo e alla sua progenie mediante la legge, ma attraverso la giustizia della fede” (Romani 4:13). In Romani 8 Paolo insegna che la restaurazione della creazione è profondamente unita alla redenzione finale dei cristiani: “Infatti il desiderio intenso della creazione aspetta con bramosia la manifestazione dei figli di Dio, perché la creazione è stata sottoposta alla vanità non di sua propria volontà, ma per colui che ve l’ha sottoposta, nella speranza che la creazione stessa venga essa pure liberata dalla servitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Ro. 8: 19–21).

La redenzione non è fine a se stessa. Il suo scopo è glorificare Dio come dice il nostro Catechismo: “Perché Cristo, dopo averci acquistato a prezzo del suo sangue, ci rinnova anche a sua immagine mediante il suo Santo Spirito, affinché ci mostriamo con tutta la nostra vita grati a Dio del suo beneficio ed egli sia glorificato per mezzo nostro. Inoltre, per poter essere noi stessi sicuri della nostra fede dai suoi frutti”. (Catechismo di Heidelberg D.86). Glorificare Dio mediante il frutto di buone opere include entrare nell’esercizio dell’attività culturale con nuovi motivi, obiettivi e scopi. Paolo sviluppa la nostra comprensione dell’unione con Cristo in Romani 6–7: “Così dunque, fratelli miei, anche voi siete morti alla legge mediante il corpo di Cristo per appartenere ad un altro, che è risuscitato dai morti, affinché portiamo frutti a Dio” (Romani 7: 4).

L’unione con Cristo è al centro dell’opera soteriologica di Cristo. Ma se la nostra comprensione di questa unione deve essere riformata e non semplicemente luterana, dobbiamo abbracciare sia i suoi aspetti oggettivi che quelli soggettivi. L’aspetto oggettivo è questo: Cristo come nostro Capo federale visse e morì vicariamente al nostro posto, portando i nostri peccati e procurando così la nostra giustificazione (Ro. 5:15-19). Ma questo aspetto oggettivo corrisponde al soggettivo: è stato crocifisso, morto, sepolto e risorto per la nostra santificazione (Ro. 6: 1-11). La redenzione di Cristo non è solo compiuta per i suoi eletti, ma è applicata a loro e in loro come benedizioni spirituali. Delineato in passi come Efesini 1, Cristo riversa il suo Spirito e impartisce i benefici della sua opera.

Il fattore oggettivo nella nostra unione con Cristo è la sua “headship” [posizione di capo] federale; il fattore soggettivo è l’opera dello Spirito Santo. La teologia riformata nel seguire le Scritture, in particolare i discorsi del cenacolo, ha una robusta teologia dello Spirito Santo. Ciò si riflette nelle Istituzioni di Calvino, nel Catechismo di Heidelberg e in una pletora di libri riformati sull’opera dello Spirito. Sembra che la teologia 2K sia più luterana che riformata su questo punto, poiché enfatizza la realizzazione oggettiva “per noi” trascurando di enfatizzare anche l’applicazione interna “a noi”.

In Romani 12 Paolo utilizza infatti un termine non adeguatamente considerato dagli insegnanti di 2K: “E non vi conformate a questo mondo, ma siate trasformati (metamorphoo) mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza qual sia la buona, accettevole e perfetta volontà di Dio” (v. 2). Potrebbe non significare tutto ciò che è indicato dal termine nel pensiero neo-calvinista, ma si noti come i capitoli seguenti descrivono un’etica cristiana distintiva che trasforma il ruolo del credente nella società e nella cultura. Il cristiano può non essere in grado di cambiare tutto, ma è responsabile di essere un testimone cristiano nella sfera della sua influenza.

Ad esempio, in Romani 13 Paolo, un insegnante cristiano, insegna come i cristiani devono essere sottomessi al governo civile come parte dell’obbedienza alla legge di Dio. Si occupa di questioni del “regno comune”, che sono state “proibite” da alcuni sostenitori della 2K. Dice che il magistrato civile in Romani 13:4 deve essere considerato “un ministro di Dio” per il bene, l’agente dell’ira di Dio per eseguire la giustizia di Dio. Sebbene la parola “santo” non sia usata in Romani 13, la valutazione di Paolo del magistrato civile coincide con l’opinione di Calvino secondo cui “l’autorità civile è, agli occhi di Dio, non solo sacra e lecita, ma la più sacra, e di gran lunga la più onorevole, di tutte le posizioni nella vita mortale” (Istituzioni, 4, XX, 4; vedi anche Is. 45:1).

Galati, 1° e 2° Corinzi

Nel resto delle lettere di Paolo, troviamo un’enfasi ripetuta sulla santificazione che ha il suo frutto nelle buone opere. Ad esempio, dice: “facciamo del bene a tutti, ma principalmente a quelli della famiglia della fede” (Galati 6:10). Per Paolo, questo “bene” deve essere compreso dai comandi della Scrittura. I credenti devono vivere nel contesto della società (regno comune) in un modo che sia distintamente cristiano e che evidenzi la novità di vita.

Paolo riconosce l’importanza della legge in una varietà di contesti sociali e lo fa per servire l’evangelizzazione. “Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti, per guadagnarne il maggior numero. Mi sono così fatto Giudeo con i Giudei, per guadagnare i Giudei; mi sono fatto come uno che è sotto la legge con coloro che sono sotto la legge, per guadagnare quelli che sono sotto la legge; tra quanti sono senza legge, mi sono fatto come se fossi senza la legge (benché non sia senza la legge di Dio, anzi sotto la legge di Cristo), per guadagnare quanti sono senza la legge. Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per poterne salvare in qualche modo alcuni” (1 Co. 9:19–22).

Alla fine di 1 Corinzi, Paolo non solo parla di Cristo come il secondo Adamo, ma fornisce uno schema dell’opera di Cristo dopo la risurrezione nella storia. Mentre l’opera redentrice di Cristo è stata completata alla croce, l’opera dei suoi tre uffici continua in cielo. Dice il Catechismo Minore: “Cristo, come nostro Redentore, esegue gli uffici di profeta, di sacerdote e di un re, sia nel suo stato di umiliazione che di esaltazione” (D.23). Questa è un’interpretazione fedele alla Scrittura, poiché Paolo scrive: “Bisogna infatti che egli regni, finché non abbia messo tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico che sarà distrutto è la morte. Dio infatti ha posto ogni cosa sotto i suoi piedi …” (1 Co. 15: 25–27). Paolo, citando il Salmo 8, mostra che l’opera culturale di Cristo non era terminata alla croce ma solo iniziata. Cristo sta sottomettendo ora “tutti i suoi e nostri nemici”, e lo fa mentre edifica la sua chiesa.

Paolo afferma anche l’insegnamento di Cristo che mentre i credenti sono nel mondo, non sono del mondo (Gv. 17:16). Afferma in tal modo l’antitesi etica nella relazione del credente con il “regno comune”: “Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo diverso, perché quale relazione c’è tra la giustizia e l’iniquità? E quale comunione c’è tra la luce e le tenebre?” (2 Co. 6:14). Paolo quindi insegna che non dovrebbe esserci alcun terreno comune morale tra il regno della luce e il regno delle tenebre.

Paolo non nega l’idea che i cristiani siano pellegrini, ma li chiama anche ambasciatori di Cristo, sulla base del fatto che fanno parte della nuova creazione di Dio. Dice Paolo: “Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, tutte le cose sono diventate nuove. Ora tutte le cose sono da Dio, che ci ha riconciliati a sé per mezzo di Gesú Cristo e ha dato a noi il ministero della riconciliazione, poiché Dio ha riconciliato il mondo con sé in Cristo, non imputando agli uomini i loro falli, ed ha posto in noi la parola della riconciliazione. Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro, e noi vi esortiamo per amore di Cristo: Siate riconciliati con Dio”. (2 Co. 5:1720).

Efesini: Cristo capo federale

Un’affermazione sorprendente che confuta l’idea di due regni è l’insegnamento di Paolo sull’esaltazione di Cristo nel capitolo 1, dove descrive: “… la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi che crediamo secondo l’efficacia della forza della sua potenza, che egli ha messo in atto in Cristo risuscitandolo dai morti e facendolo sedere alla sua destra nei luoghi celesti, al di sopra di ogni principato, potestà, potenza, signoria e di ogni nome che si nomina non solo in questa età, ma anche in quella futura, ponendo ogni cosa sotto i suoi piedi, e lo ha dato per capo sopra ogni cosa alla chiesa, che è il suo corpo, il compimento di colui che compie ogni cosa in tutti” (Ef. 1:19–23).

Nessun altro passo afferma così esplicitamente l’unitario [singular] governo di Cristo, divino e umano, conseguente alla sua risurrezione. C’è un governo e un dominio, e tutti sono descritti in termini presi dal Salmo 8. L’ultima frase può essere tradotta per dire che Dio ha dato Cristo come capo su tutte le cose per il bene della Chiesa, cioè, che il suo governo di tutte le cose ha costantemente in vista il bene della chiesa.

Una delle sfide della cristologia di VanDrunen è spiegare i testi che insegnano che Cristo, in quanto esaltato Dio-uomo, di fatto governa su tutta la cultura. Queste parole proclamano che Gesù è “capo” sulla sua chiesa e su tutte le cose per il bene della sua chiesa. Notate: il glorioso Gesù non governa solo tutte le cose nella Chiesa, ma tutte le cose esterne alla Chiesa e per la sua chiesa. O, nelle parole di A. A. Hodge, Dio usa il governo civile per operare “. . . i grandi fini della redenzione nell’edificazione del suo regno nel mondo” [6]. Hodge compara Dio come Creatore a Cristo come Mediatore su tutti, quando afferma:

Dio come Creatore, come rivelato alla luce della natura, ha stabilito fin dall’inizio il governo civile tra gli uomini e tra tutti i popoli e le nazioni di tutte le età e generazioni. Ma nello sviluppo del piano di redenzione l’uomo-Dio come Re mediatore ha assunto il governo dell’universo. Matteo 28:18; Filippesi 2: 9-11; Efesini 1: 17–23.
Siccome l’universo costituisce un sistema fisico e morale, era necessario che la sua autorità come Mediatore si estendesse al tutto e a ogni suo dipartimento, affinché tutte le cose cooperino per il bene del suo popolo e per la sua gloria, che tutti il suoi nemici siano sottomessi e infine giudicati e puniti, e tutte le creature lo adorino, come suo Padre aveva stabilito. Romani 8:28; 1 Corinzi 15:25; Ebrei 10:13; 1: 6; Apocalisse 5: 9–13. (294)

Il dominio universale di Cristo è per il bene della sua chiesa (Efesini 1: 19-23). Tutto ciò che fa è per il bene del suo popolo, per la sua salvezza in tutta la sua totalità cosmica. Non mantiene due regni, due programmi, uno per il suo popolo e un altro per il mondo in generale. Egli governa per sottomettere le nazioni alla sua grazia e verità, per fare delle nazioni suoi discepoli, cittadini del suo regno e membri della sua chiesa (Mt. 28: 18–20; Sl. 72; Is. 60). Regnerà dal cielo finché non avrà raggiunto quell’obbiettivo (Sl. 110; 1 Co. 15: 24–26).

Giustamente il Catechismo di Heidelberg descrive il credente come partecipe dei tre uffici di Cristo, poiché Paolo dice che Cristo, “… ci ha fatto sedere insieme nei luoghi celesti in Cristo Gesù” (Efesini 2:6). Il significato culturale delle buone opere distintamente cristiane viene di nuovo in vista quando afferma che i cristiani sono “… opera sua, creati in Cristo Gesù per le buone opere che Dio ha precedentemente preparato, perché le compiamo” (Efesini 2:10 ).

L’antitesi pratica e il conflitto spirituale in questo mondo non è una parte molto importante dell’insegnamento 2K. Tuttavia, in questo mondo di peccato la maturità cristiana è sempre una battaglia. Il figlio di Dio deve passare attraverso “molte prove, fatiche e insidie”. Possiamo solo perseverare e avere successo in questa battaglia attraverso la fede in Gesù Cristo, confidando che Dio in Cristo ci dà il potere spirituale di vincere il mondo, la carne e il diavolo. Viviamo la nostra vita sulla base dell’opera finita di Gesù Cristo sulla croce. Dobbiamo farlo non come individui isolati ma come Corpo di Cristo, come membri l’uno dell’altro – uniti, animati e resi abili dallo stesso Spirito. Proprio come ognuno di noi ha bisogno di crescere in Cristo, anche la Chiesa ha bisogno di crescere. Ha bisogno di maturare. Paolo lo presenta come un vero obiettivo storico (Efesini 4:13-16). Fino a quando Dio non avrà completato questo processo nel suo popolo, non avrà finito con la storia.

Basandosi sul Patto della Creazione, il Nuovo Patto mira non solo a una terra sviluppata, ma ancor più a un popolo dell’alleanza spiritualmente maturo che ha sviluppato i propri talenti e doni per il servizio di Dio e l’uno dell’altro. Il Mandato Culturale, come modificato dal Grande Mandato, mira alla Città Santa, non prima di tutto come una questione di mattoni e acciaio e manufatti culturali, ma come il Corpo vivente di Cristo che si edifica nell’amore.

Filippesi

In Filippesi 2:9-10 leggiamo che “Perciò anche Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio delle creature (o cose) celesti, terrestri e sotterranee”. Queste parole sublimi insegnano che nel “nome di Gesù”, cioè il Gesù che è sia divino che umano, tutti debbano inchinarsi. Non solo viene esaltata la natura umana di Cristo, ma anche la responsabilità di tutti gli uomini che è di sottomettersi. Ciò include i re come re e i signori come signori. In ragione di questa descrizione regale del dominio dell’uomo-Dio dal cielo, dicendo a tutti gli uomini cosa “debbano” fare, la sfida dei teologi 2K è spiegare come la natura umana di Cristo possa essere sottratta dal suo esaltato governo e dominio. Louis Berkhof espresse al meglio il punto di vista neo-calvinista quando scrisse:

Questa investitura faceva parte dell’esaltazione dell’uomo-Dio. Non gli dava alcun potere o autorità che non possedesse già come Figlio di Dio; né aumentò il suo territorio. Ma l’uomo-Dio, il Mediatore, fu ora fatto possessore di questa autorità e la sua natura umana fu resa partecipe della gloria del suo dominio regale. Inoltre, il governo del mondo era ora sottomesso agli interessi della Chiesa di Gesù Cristo [7].

La cristologia 2K afferma che mentre Cristo, governa come Logos di Giovanni 1:1–3, aggira però la sua carne per farlo. La giustificazione per questo strano modo di pensare sembra essere che solo la sua divinità sia operativa perché il governo di Cristo come Dio-uomo significherebbe che lui regna anche come Redentore; mentre i sostenitori 2K affermano che egli regna come Messia e Redentore solo sul suo regno spirituale, che è la Chiesa Cristiana. La posizione 2K, specialmente come formulata da VanDrunen, mette in dubbio se ci sia qualche progresso storico-redentivo dal governo pre-incarnazione di Cristo al suo governo post-incarnazione, tranne che nella Chiesa.

Colossesi: cristologia cosmica

L’intero libro di Colossesi è una polemica contro la visione filosofica e religiosa greca del mondo. Include una critica del giudaismo corrotto che ha accolto questa visione del mondo. Nel capitolo 1 Paolo inizia mettendo in contrasto i due regni che sono molto diversi da quelli descritti nella teologia 2K. Non fa menzione di un “regno comune” o qualcosa di simile. Paolo invece parla di due regni antitetici: “Poiché egli ci ha riscossi dalla potestà delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figlio in cui abbiamo la redenzione per mezzo del suo sangue e il perdono dei peccati” (Cl. 1: 13-14).

Come ha insegnato Agostino, entrambi i regni sono orientati eticamente: uno ad amare e servire Cristo e l’altro a servire il dio di questo mondo. I cristiani non possono essere identificati allo stesso modo con entrambi i regni perché sono stati salvati o liberati (rhoumai) dal dominio delle tenebre. Non esiste una morale comune con il “regno delle tenebre” perché è antitetico al regno della luce. Un altro verbo descrive il processo mediante il quale i credenti diventano membri del regno della luce. Sono trasferiti o trasportati (methistemi) nel regno di Cristo. Entrambi i verbi implicano un cambiamento radicale di stato e condizione. Pertanto, l’idea che i cristiani appartengano a due regni ugualmente legittimi non è un’idea insegnata dal vangelo secondo Paolo.

Inoltre, l’Apostolo parla dell’opera cosmica di Cristo:

Egli è l’immagine dell’invisibile Dio, il primogenito di ogni creatura, poiché in lui sono state create tutte le cose, quelle che sono nei cieli e quelle che sono sulla terra, le cose visibili e quelle invisibili: troni, signorie, principati e potestà; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui, Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui. Egli stesso è il capo del corpo, cioè della chiesa; egli è il principio, il primogenito dai morti, affinché abbia il primato in ogni cosa, perché è piaciuto al Padre di far abitare in lui tutta la pienezza, e, avendo fatta la pace per mezzo del sangue della sua croce, di riconciliare a sé, per mezzo di lui, tutte le cose, tanto quelle che sono sulla terra come quelle che sono nei cieli (Cl. 1:15-20).

Paolo parla qui di un’unità della persona di Cristo che agisce sia nella creazione che nella redenzione. Queste due non sono scollegate, come se la creazione dovesse essere distrutta e sostituita dal “mondo a venire”. Invece l’intero contesto mostra che Paolo sta parlando di Cristo che riconcilia (ripristina) “tutte le cose”. La ripetizione di questa frase mostra che lo Spirito Santo descrive una visione del mondo cosmica e cristiana. Non vi è qui alcun accenno a una dicotomia “culto/cultus” o “religioso/secolare”. La Parola di Dio coordina l’insegnamento della creazione e della riconciliazione. Cristo non è solo il mezzo attraverso il quale Dio ha creato il mondo, ma anche colui attraverso il quale Dio riconcilia il mondo a Sé. Il discorso di Paolo suona molto come i neo-calvinisti che insegnano del “redimere il mondo” [8].

Questa è una confutazione decisiva della teologia 2K. Invece di marginalizzare la religione cristiana al culto e alla pietà personale, la Scrittura vede Cristo come il Signore sovrano su ogni area e sfera della vita. Niente è escluso: né l’istruzione, né la vocazione, né la politica sono al di fuori della sovranità cosmica di Cristo. Non è semplicemente il capo della chiesa, ma è il Signore della creazione e il riconciliatore di “tutte le cose”. Non c’è qui nemmeno il minimo accenno di una stretta dualità tra natura e grazia. Cristo è Re della cultura e delle nazioni perché è Re della creazione e Capo della Chiesa.

Paolo prosegue spiegando come questa visione del mondo cristiana viene elaborata nell’area dell’etica (capitolo 2-3), disegnando una netta antitesi tra etica cristiana e quella non cristiana. Fa quello che sembra essere un sorprendente rifiuto del concetto greco-romano di “legge naturale” come si trova nella filosofia stoica. Dice Paolo: “Guardate che nessuno vi faccia sua preda con la filosofia e con vano inganno, secondo la tradizione degli uomini, secondo gli elementi [stoicheia] del mondo e non secondo Cristo” (Cl. 2:8).

Ci sono state molte discussioni e dibattiti sul significato del termine stoicheia. Significa letteralmente un rango, una serie di oggetti o il primo di quella serie. Quindi è venuto a significare un elemento o un primo principio. Nella filosofia greca il termine si riferiva sempre al mondo fisico, o agli elementi del mondo, o ai corpi celesti, o agli spiriti dietro di loro. Paolo stesso conosceva gli stoici da quando li incontrò ad Atene (Atti 17:18). Il significato di stoicheia è più o meno la stessa cosa della teoria della “legge naturale” dello stoicismo. Lo Spirito Santo non ci sta forse avvertendo di evitare questo insegnamento e di rigettarlo come parte della filosofia del “regno delle tenebre?” Infatti l’argomento di Paolo si basa sulla sufficienza di Gesù Cristo come il Creatore-Redentore. Egli applica questa verità ai credenti che vivono in questo mondo (il cosiddetto regno comune), “poiché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità. E voi avete ricevuto la pienezza in lui, essendo egli il capo di ogni principato e potestà” (Cl. 2:9-10).

VanDrunen, tuttavia, dipinge il quadro con colori diversi. La sua preoccupazione è: (a) identificare la legge mosaica con la legge naturale, e (b) identificare entrambe come “protologiche”, il che significa che sono destinate esclusivamente allo scopo di giudizio. Siamo d’accordo con lui sul fatto che il termine stoicheia abbia un significato prevalentemente morale, e anche che ci sia un parallelo tra la legge mosaica e quella naturale. Ma ci separiamo quando egli implica che la condanna primaria di Paolo della “stoicheia” si riferisce alla legge mosaica. Crediamo sia l’opposto. Paolo condanna i sistemi morali pagani di questo mondo perché non sono cristiani e ci allontanano dalla verità. Ciò includerebbe lo stoicismo e i suoi insegnamenti etici sulla legge naturale. La somiglianza che Paolo ha in mente è che proprio come i cristiani non sono sotto la legge mosaica come via di salvezza, così non dovrebbero assoggettarsi a nessun sistema etico non cristiano, compreso lo stoicismo. Invece di respingere la legge mosaica, [VanDrunen] avrebbe dovuto imparare che Paolo include nella sua condanna il tipo di sistema di legge naturale promosso dal tomismo [9].

L’avvertimento di Paolo è chiaro: una filosofia umanistica e incentrata sulla natura può ingannare i cristiani, sia attraverso la sua visione del mondo che i suoi principi etici. Paolo li chiama stoicheia perché sono principi o regole ordinati derivati dalla tradizione umana nell’etica umanistica. Come può dunque un cristiano vivere sotto le stesse norme morali di questo mondo? “Quale comunione c’è tra la luce e le tenebre?” (2 Co. 6:14).

Se questo è vero, allora il concetto di “legge naturale” riceve un ulteriore rigetto più avanti nel capitolo 2 di Colossesi: “Se dunque siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché vi sottoponete a dei precetti [stoicheia] come se viveste nel mondo, quali: ‘Non toccare, non assaggiare, non maneggiare’, tutte cose che periscono con l’uso, secondo i comandamenti e le dottrine degli uomini?” (Cl. 2:20–23). Si potrebbe obiettare che Paolo si riferisca semplicemente al legalismo ebraico o gentile, ma la polemica è piuttosto ampia. La sua argomentazione è tratta dal Vangelo e dall’unione del credente con Cristo. A causa di questa unione, iniziata con la rigenerazione e sviluppata attraverso la santificazione, i cristiani non devono sottomettersi ai sistemi di leggi di questo mondo, ai suoi decreti e regolamenti etici staccati dalla legge di Dio.

Quindi possiamo dire che la parola “precetti” [principi di base] è certamente comprensiva dell’idea di “legge naturale”. Mentre ci sarà qualche dibattito sul significato di Colossesi nel suo insieme, il credente riformato non deve mai cortocircuitare la Parola di Dio a favore di teorie personali. La teologia 2K non riesce a spiegare questo e altri ampi insegnamenti del Nuovo Testamento.

Ebrei e l’unità dei patti

L’unità dello scopo di Dio nella storia e nel suo Patto della Promessa è visto nel culminare di tutte le sue promesse pattizie in Cristo. Il Mandato Culturale è sicuramente incluso quando nel capitolo 2 l’autore fa riferimento al Salmo 8, commentando: “Infatti, nel sottoporgli tutte le cose non ha lasciato nulla che non gli fosse sottoposto. Tuttavia al presente non vediamo ancora che tutte le cose gli sono sottoposte, ma vediamo coronato di gloria e d’onore per la morte che sofferse, Gesù, che è stato fatto per un po’ di tempo inferiore agli angeli, affinché per la grazia di Dio gustasse la morte per tutti” (Ebrei 2:8-9) .

La Scrittura mostra che il mandato di Genesi 1 fu dato a Cristo nella sua applicazione a Lui del Salmo 8. Ebrei 2 interpreta il significato di questo salmo relativo al Mandato Culturale nel contesto della Nuova Alleanza. L’autore inizia raccontando ai suoi lettori le eccellenze di Gesù il Messia. Egli è la rivelazione finale e completa di Dio all’uomo, l’erede di tutte le cose, colui attraverso il quale Dio ha creato l’universo. È seduto alla destra di Dio (1: 3). È Elohim, Adonai e Yahweh (vv. 8-13) e il Signore del mondo a venire (2:5).

Quando lo scrittore dice che Gesù è il Signore del mondo a venire (2:5), parla del regno di Dio, la nuova creazione iniziata in Cristo e perfezionata nella risurrezione, un mondo che vediamo e afferriamo ora per fede (12:22-24) [10]. Lo scrittore sottolinea che questo nuovo mondo non è soggetto agli angeli e cita il Salmo 8 per dimostrarlo. La sua sostanza è questa: l’uomo è stato creato per governare il mondo. Ma in questo momento non vediamo tutte le cose soggette all’uomo. Il peccato ha distorto e corrotto l’impulso al dominio dell’uomo e la maledizione ha reso la sua attuazione lenta e difficile. Ma ciò non significa che Dio abbia ritirato il Mandato Culturale/Dominio o che il peccato dell’uomo sia una valida scusa per la sua incapacità di obbedirgli. La natura peccaminosa dell’uomo non lo scusa dalla giusta richiesta di obbedienza da parte di Dio. Ma se vogliamo vedere come Dio salverà il mondo e ristabilirà il dominio dell’uomo, dobbiamo guardare oltre Adamo caduto e l’umanità peccatrice. Dobbiamo guardare a Gesù.

Infatti, anche se attualmente non vediamo tutte le cose sottomesse all’uomo, vediamo Gesù, “coronato di gloria e d’onore per la morte che sofferse, Gesù, che è stato fatto per un po’ di tempo inferiore agli angeli, affinché per la grazia di Dio gustasse la morte per tutti” (2: 9). Gesù indossa questa corona perché l’ha ricevuta come uomo. L’implicazione è che nulla sfugge al suo controllo (v. 8). È il Figlio dell’Uomo incoronato (sottolineiamo la sua umanità) che risiede in cielo, il cui scettro regna su tutto, anche quando i suoi nemici scagliano pietre contro il suo popolo (Atti 7: 55-59).

Apocalisse

Quando arriviamo all’ultimo libro della Bibbia, leggiamo di Cristo: “… poiché è il Signor dei signori e il Re dei re …” (Apocalisse 17:14; cfr Ap. 19:16 ). Insegnando che Gesù è il più eccellente dei re, questi versi esprimono molto più che un superlativo; insegnano anche un regno singolare, non duplice. Gesù regna su tutti i monarchi perché è l’Eccelso Uomo-Figlio che governa le nazioni con “una verga di ferro” (Ap. 12:5), cioè come il Re incarnato che è venuto per redimere. Questa prospettiva ci aiuta a ricevere un famoso detto del padre della Chiesa Tertulliano, che disse di Roma: “…. ho il diritto di dire:

Cesare è più nostro che tuo, nominato come è dal nostro Dio” [11]. Quell’intuizione perspicace, insieme alla posizione di Cristo come Re dei re e Signor dei signori, insegna che i cristiani hanno maggior diritto di partecipare e di cercare di trasformare i governi civili e altre istituzioni.

Quando avanziamo ulteriormente nel libro troviamo un’affermazione sorprendente: “Poi il settimo angelo suonò la tromba e si fecero grandi voci nel cielo che dicevano: ‘I regni del mondo sono divenuti il regno del Signor nostro e del suo Cristo, ed egli regnerà nei secoli dei secoli’”. (Apocalisse 11:15). In greco la parola “regni” è al singolare, e dunque recita: “Il regno del mondo (cosmo) è diventato quello del nostro Signore e del suo Cristo”. Questo non può essere spiegato dalla teologia 2K, perché Cristo ha già il regno del mondo tranquillamente sotto il controllo della legge naturale. Ma in Apocalisse leggiamo di grandi lotte e persecuzioni della chiesa da parte di Babilonia. Ecco l’antitesi descritta in Genesi 3 al suo punto terminale; il “divenire” di questo versetto significa che il cosiddetto regno comune diventa il regno di Cristo con la sua conquista di esso. In questo egli è il vero, divino, Re-Guerriero. Questo testo non compare nell’indice delle Scritture delle Divine Alleanze di VanDrunen. Un uso così selettivo della Bibbia non solo costituisce un grande disservizio alla Chiesa, ma mostra che la teologia 2K non è completamente biblica.

Note:

1 Raccomandiamo l’opera di Geerhardus Vos, The Kingdom and the Church (Phillipsburg, NJ: Presbyterian and Reformed, 1979) per una sana presentazione della visione riformata del regno.

2 Vedi Charles H. Dunahoo, Making Kingdom Disciples: A New Framework (Phillipsburg, NJ: P&R Publishing 2005).

3 Louis Berkhof, Systematic Theology (Grand Rapids, MI: Eerdmans, 1949), 447

4  Frame, “Review of Biblical Case for Natural Law.”

5  VanDrunen, Divine Covenants, 226, 217.

6  A. A. Hodge, The Confession of Faith (Carlisle, PA: Banner of Truth Trust, 1978), 294ff.

7  Berkhof, Systematic Theology, 411; enfasi aggiunta.

8  A. Wolters refers to this passage in his Creation Regained (Grand Rapids: Eerdmans, 2005), 67.

9  VanDrunen, Divine Covenants, 358–65.

10 Il “mondo a venire” non è un riferimento ad una condizione extra-mondana sconnessa dal presente ordine creato ma piuttosto un riordinamento della creazione a servire Cristo.

11 Tertullian, Apology, Ante-Nicene Fathers, 33:1–3; enfasi aggiunta.


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