9. Il significato di ispirazione

 

Nel XX secolo la dottrina dell’ispirazione e dell’autorità della Scrittura è stata persistentemente relegata sullo sfondo da molti che la considerano d’importanza periferica. Eppure qui come in pochi altri posti sono messe a fuoco alcune delle questioni centrali di filosofia e teologia.

Ci sono basilarmente tre possibili risposte alla questione di una parola autoritativa e ispirata. Primo, si può sostenere o che Dio non esiste affatto, o che esiste solo un Dio che rimane fuori dal campo d’azione dell’uomo, o un Dio che non sceglie di parlare mediante la Scrittura. In questi casi la Scrittura cessa di essere la parola di Dio; solo l’uomo parla e per quanto alta si consideri la bibbia, è la voce dell’uomo e dell’uomo solamente. Secondo, si può mantenere che la Scrittura contiene la parola di Dio, che ambedue Dio e l’uomo parlano creativamente ma che Dio, come colui che è nascosto e trascendente, non può essere identificato con la parola scritta. Egli è nascosto nella parola, parla mediante la parola, e incontra l’uomo mediante la parola, e la rivelazione è essenzialmente soggettiva. Non può mai essere ridotta a un pacchetto di verità oggettive scritte, date in un libro. La terza visione asserisce che mentre l’uomo certamente parla dall’inizio alla fine nella Scrittura, solo Dio parla creativamente. La Scrittura è perciò nel senso più completo della parola l’autoritativa e ispirata parola di Dio.

L’importanza e le implicazioni di queste tre posizioni non può essere compresa senza un’analisi dei loro presupposti basilari, e da nessun altra parte quest’analisi è messa in evidenza così chiaramente come lo è negli scritti di Van Til.

La prima posizione, sia che riconosca o che non riconosca Dio, inevitabilmente scade nella relatività e nel nichilismo. Se solo l’uomo parla e se solo l’uomo è l’interprete della vita e della realtà, allora l’uomo non ha criterio oltre se stesso. Nessun tentativo di stabilire un criterio sfugge al collasso dentro alla soggettività e alla relatività. Si consideri, per esempio, l’approccio ai Dieci Comandamenti. Un uomo nato con un’eredità di moralità cristiana può mollare i primi quattro Comandamenti e insistere sul valore umanistico degli altri sei e sentire che questa è una base di vita sufficiente e valida. Uno che chiama in questione la validità del settimo Comandamento può immediatamente sollevare la domanda che il compimento umanistico richiede l’abolizione di questa legge e che solo una psicologia datata, ossessionata dai sensi di colpa e masochista trattiene gli uomini dal liberarsi dalle catene. Ogni singolo comandamento prima o poi è stato reso inutile in qualche società funzionante e di successo, e l’interpretazione cristiana è stata troppo raramente presa in considerazione. Il relativismo morale e il pragmatismo diventano inevitabili. La castità viene difesa su basi pragmatiche come necessaria socialmente o psicologicamente e viene attaccata su basi altrettanto pragmatiche come una restrizione imposta sulla vita. Filosoficamente, ogni tentativo dell’uomo di stabilire una legge o un universale è sempre fallito allo stesso modo. Senza un Dio assolutamente sovrano e una parola infallibile, qualsiasi universale è inevitabilmente un costrutto della mente umana. La conoscenza che l’uomo ha delle cose è sia limitata che soggettiva; egli non può stabilire universali neppure sulle basi di una conoscenza esaustiva perché molta della realtà è per lui un mistero, o sulle basi di una conoscenza delle cose in-se-stesse. La sua conoscenza è solo delle sensazioni del mondo dei fenomeni; la realtà stessa rimane inconoscibile. Pertanto, sostenere che nella Scrittura parla solo l’uomo è distruggere non solo la verità della Scrittura ma ogni verità e ridurre tutta la conoscenza a soggettivismo e relativismo. L’uomo infatti diventa un’isola in sé, non sentendo voce alcuna eccetto la propria, e dedito solo al suicidio. Il nichilismo di Nietzsche è la sola esposizione coerente di questa posizione; ogni tentativo da parte sua di stabilire un universale senza Dio e Scrittura fallì. Nemmeno la vita poteva essere un universale perché egli non aveva ora nessun criterio per mezzo del quale chiamarla buona, e di conseguenza il suo suggerimento ultimo di suicidio. Negare Dio è in definitiva anche negare l’uomo e negare la vita e anche la conoscenza perché Dio è il solo creatore e sostenitore di tutte le cose e senza di lui la sola alternativa è la negazione di tutte le cose.

La seconda posizione è quella che s’incontra più spesso: L’uomo e Dio ambedue parlano creativamente nella Scrittura. La parola di Dio è lì, ma è una parola nascosta, soggettiva, che si manifesta solo nell’incontro divino-umano. Questo punto di vista è comune specialmente per la Neo-ortodossia, benché appaia in varie forme in altre teologie. Una parola infallibile data da un Dio assoluto è un’offesa per questa posizione: è una negazione dell’uomo e della sua libertà; è una negazione della storia e del tempo. La bibbia non può essere presa in questo senso ma solo come mito e simbolo. Reinhold Niebuhr, per esempio, insiste che i simboli devono essere presi seriamente ma non letteralmente perché prenderli letteralmente sarebbe “presupporre un’eternità che annulla il processo storico anziché compierlo” [1]. Qui la questione è dichiarata molto chiaramente. Se Dio solo parla creativamente nella Scrittura il tempo e la storia sono annullati perché sono il costo dell’eternità. Una Scrittura infallibile significa un Dio assolutamente sovrano che governa tutta la sua creazione e determina il corso di tutte le cose. Il pensiero dell’uomo a quel punto non può essere interpretativo ma solo re-interpretativo, non creativo ma anzi analogico; l’uomo deve pensare i pensieri di Dio nella sua cornice di pensiero e re-interpretare il tempo e la storia nei termini di un’interpretazione divina già stabilita. Questa fede ortodossa sfida la rivendicazione d’autonomia dell’uomo, il suo desiderio di essere, in qualche grado, il proprio dio e una creatura indipendente e d’avere un’indipendente interpretazione della realtà. L’uomo vuole essere un cooperante di Dio, un dio tirocinante, pronto a riconoscere la posizione superiore di Dio ma insieme volgersi verso l’universo come un problema comune su cui ambedue devono impegnarsi. La storia non è determinata dall’eternità ma dal tempo, e tanto Dio che l’uomo s’impegnano nel tempo per interpretare e determinare la storia. Questa posizione vuole Dio, ma non un Dio assoluto e sovrano; vuole che Dio parli, ma non più chiaramente di quanto faccia l’uomo. Vuole Dio, ma al prezzo della sua autarchia (self-sufficiency), ovvero proprio della sua deità. L’uomo deve rimanere la figura centrale nel palcoscenico del tempo, e la voce dell’uomo è quella che deve parlare più chiara; la voce di Dio non può parlare se non avviene l’incontro soggettivo divino- umano. Se egli parla in verità oggettive in un libro, in un sistema di dottrina e una filosofia della storia in esse presentata, l’indipendenza dell’uomo e la centralità della storia come l’arena di valore ultimo piuttosto che l’arena immediata sono distrutte. L’uomo può parlare separatamente da Dio ma Dio non può parlare separatamente dall’uomo; egli è limitato ad un soggettivo incontro divino-umano. Il Dio trascendentale della Neo-ortodossia è uno che non determina la storia; questo non è trascendentalismo biblico. Come risultato, Dio in questa posizione è altrettanto irrilevante che nella prima. Van Til ha ragione nel mantenere che fondamentalmente la questione è tra la visione cristiana ortodossa del Dio autonomo quale punto finale di riferimento e che è il solo che parla in modo creativo, contrapposta alla visione moderna “dell’aspirante uomo autonomo che è il punto di riferimento finale in ogni interpretazione” [2].

La terza posizione asserisce che Dio solo parla creativamente nella Scrittura e che l’uomo, mentre ha partecipato pienamente e personalmente nella stesura della Scrittura, non ha partecipato creativamente. Solo Dio crea, determina e sostiene tutte le cose che accadono; solo lui parla creativamente. L’eternità determina il tempo. Il ruolo dell’uomo è re-interpretativo e analogico. Ma farne determinativa l’eternità non distrugge la storia più di quanto la nostra incapacità di camminare su per un muro distrugga la nostra capacità di camminare. Senza la voce infallibile e autoritativa di Dio, l’uomo non può udire voce altra dalla propria, non ha altro percorso che il relativismo e il nichilismo. In un mondo in cui Dio non parli prima di tutto e parli con autorità non può sopravvivere nessuna legge di contraddizione e nessun universale. La storia diventa reale solo perché le Scritture sono vere e il Dio delle Scritture governa e predestina in modo assoluto tutte le cose. L’uomo vive in un mondo creato di cose create e di azioni create. La sua vita è dunque vissuta in un universo personalistico in cui egli incontra Dio dappertutto perché ogni fatto è un fatto dato-da-Dio, determinato-da-Dio, e interpretato-da-Dio. La sua vita e la sua storia sono pertanto significative ed egli è salvato dal nichilismo precisamente perché Dio è autonomo e sovrano e parla autoritativamente e dà all’uomo il significato e l’interpretazione della vita. In tutto questo la bibbia ha una posizione centrale. Non ha da essere usata, come evidenzia Van Til, come raccolta di fonti in biologia o come sostituto per uno studio paleontologico in Africa. “La bibbia non rivendica d’offrire una teoria rivale che possa o possa non essere vera. Rivendica di possedere la verità su tutti i fatti” [3]. L’uomo peccatore non può sapere nulla senza la Scrittura pienamente autoritativa e ispirata, a meno che, ovviamente, operi su principi presi in prestito. Se Dio non parla, l’uomo non può parlare: è perso nella soggettività. Per Sartre non c’è legislatore altro che l’uomo stesso, e l’uomo è perciò intrappolato nella soggettività e l’esistenza di altri uomini e la relazione con loro diventa un problema risolto molto inadeguatamente mediante “l’inter- soggettività”. Non solo la nostra conoscenza di Dio ma anche la nostra conoscenza di tutte le cose dipende dalla parola di Dio ispirata e autoritativa nella quale Dio parla chiaramente.

L’autorità della Scrittura deve posare, inoltre, non sul test e l’approvazione che l’uomo ne può dare ma sulla priorità di Dio e la sua richiesta di soggezione alla sua autorità. Quando Bernard Ramm in The Pattern of Authority, definisce l’autorità prima di tutto senza Dio e poi dice che possiamo cominciare con Dio, ha detto prima di tutto che l’autorità di Dio ha bisogno di convalida dall’uomo. L’autorità dell’uomo è assunta e presupposta come previa e sia auto-validante che validante Dio! Quando Carnell dice: “Porta le tue rivelazioni! Facciano pace con la legge di contraddizione e con i fatti della storia e meriteranno l’assenso dell’uomo razionale” [4], mette l’uomo razionale, rigenerato o non-rigenerato, come giudice su Dio e la sua parola e costituisce uno standard di verità al di sopra a la di là del cristianesimo stesso.

La visione ortodossa dell’autorità della Scrittura è spesso rigettata come implicare un ragionamento circolare: è accusata di stare meramente ragionando da Dio a Dio e dalla bibbia alla bibbia. Non c’è motivo per ricusare quest’accusa. Anzi, bisogna affermare che in un senso molto reale ogni ragionamento è ragionamento circolarmente. Gli uomini passano dai loro presupposti basilari alla cruda fattualità: “fatti” il cui significato è predeterminato dai loro presupposti filosofici e dalla soggettività del loro ragionamento, per tornare alla loro propria interpretazione. Il pensare del cristiano coerente è da Dio. Passa da fatti interpretati e dati da Dio, ed è valido benché circolare o spirale perché si conforma alla natura della realtà. Ogni ragionare muove più o meno nei termini dei propri presupposti di base: o Dio o l’uomo autonomo, e vede la realtà nei relativi termini. Nei termini della Scrittura, dobbiamo insistere che poiché Dio ha creato tutte le cose, il completo cerchio di significato esiste solo dove egli è accettato sia come creatore che come interprete della realtà. E questi principi di interpretazione provengono solo da una Scrittura ispirata e autoritativa. In definitiva, perciò, tutta la conoscenza e non meramente la conoscenza di Dio, s’incardina sulla dottrina dell’ispirazione la quale, di conseguenza, non è periferica ma centrale per la fede cristiana. L’alternativa è il cieco campo d’azione del soggettivismo e del nichilismo.

 

Note:
1 Reinhold Niebuhr: Nature and Destiny of Man, New York: Scribner’s, Vol. 2, p 289.
2 C. Van Til, Introduzione a B.B. Warfield: The Ispiration and Authority of the Bible, Philadelphia: Presbyterian and Reformed, p. 18.
3 C. Van Til: Metaphysics of Apologetics, p. 114.
4 E. J. Carnell: An Introduction to Christian Apologetics; Eerdman’s, p. 178.


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