8. L’immagine di Dio e l’uomo senza volto

 

La dottrina dell’immagine di Dio nell’uomo ha più di un collegamento accademico col problema centrale della filosofia e della teologia. Inoltre, ha un’attinenza pratica. L’uomo oggi è incapace di definire se stesso perché non ha standard nei termini dei quali definire checché. L’uomo oggi è incapace di definire se stesso perché privo anche di uno standard nei cui termini possa conoscere qualsiasi cosa. Nessuna quantità miscellanea di dati è in grado di superare questa mancanza. Oggi la conoscenza dell’uomo è alessandrina, masse di dettagli senza un punto focale. E secondo la fede cristiana, per conoscere se stesso l’uomo deve conoscere Dio perché è ad immagine di Dio che è stato creato. Inoltre, come dice Van Til:

Per non conoscere Dio l’uomo dovrebbe distruggere se stesso. Non lo può fare. Non c’è alcuna non-esistenza in cui l’uomo possa scivolare per sfuggire alla faccia e alla voce di Dio. Le montagne non lo copriranno; l’Ades non lo nasconderà. Nulla può prevenire che sia confrontato “con Colui col quale abbiamo a che fare”. Ogni qualvolta vede se stesso, si vede a confronto con Dio [1].

Il concetto di immagine di Dio ha ricevuto rinnovata attenzione dalla Neo- ortodossia, ma solo a propria confusione. Essendo priva della distinzione Creatore-creatura e di un reale principio di discontinuità perché manca di credere nella creazione, la neo-ortodossia confonde l’immagine con la corrispondenza a, o la partecipazione nell’Essere. Il risultato è la confusione della finitudine col peccato. L’uomo ha confuso la finitudine col peccato perché è nel peccato. Essendosi fatto buono ai propri occhi, l’uomo vede la propria lacuna, non come etica ma come metafisica. Mutabilità e finitudine lo turbano e sono peccati ai suoi occhi perché è volto ad essere Dio determinando da sé il bene e il male, e stabilendo la propria ragione come arbitro di tutte le cose. L’uomo non può vedere il peccato come lo vede la Scrittura a meno che non creda nel Dio della Scrittura.

Cos’è dunque l’immagine di Dio e qual’è la sua importanza teologica? La visione Scolastica dell’immagine diceva che è un donum superadditum. Il mondo sensibile era visto in termini semi-pagani, come pre-esistente e più o meno malvagio o indesiderabile. Il materiale era distinto radicalmente dallo spirituale, quest’ultimo era il dominio della religione. Per servire Dio si lasciava il mondo e si rinunciava alle cose materiali. A causa di questa divisione tra materia e spirito, e poiché in questo modo di pensare lo spirito aveva una speciale affinità con Dio, il corpo era considerato divisivo, e lo spirito, portando l’immagine, produceva unione con Dio. Il protestantesimo non è stato libero da questa stessa tensione come testimonia il commento di Robert Hall nel suo sermone “Sulla Spiritualità della Natura Divina”: “Il corpo ha la tendenza di separarci da Dio per la difformità della sua natura; l’anima, al contrario, ci unisce di nuovo a lui, mediante quei principi e facoltà che, benché infinitamente inferiori, sono di carattere congeniale alle sue. Il corpo è la produzione di Dio; l’anima è la sua immagine”. Similmente Chalmers dichiarò: “La mente dell’uomo è una creazione e perciò indica con le sue caratteristiche il carattere di Colui del cui “fiat” e del compiersi della cui volontà deve la propria esistenza”. Chafer, che cita queste affermazioni, dichiara inoltre: “Non è affermato che la natura corporale dell’uomo sia implicata in questa comparazione, poiché di Dio è detto che Egli è Spirito (Gv. 4:24)” [2]. Ma se anche il corpo e la materia sono creazione di Dio, non riveleranno egualmente il loro Fattore? E se l’anima ha una siffatta sostanziale affinità con Dio per la mera virtù di essere spirito come si spiega (contrariamente all’opinione contemporanea nei banchi di chiesa) che la Scrittura considera i peccati più odiosi essere quelli dello spirito? E perché le persone “più spirituali” sono regolarmente la piaga più grande per la chiesa?

In queste opinioni è implicito il lievito del paganesimo, un dualismo tra materia e spirito e una convinzione che la materia sia, se non malvagia, quantomeno inferiore. Implicito c’è anche un approccio etico metafisico alla questione dell’immagine. Siccome Dio è Spirito, allora anche la sua immagine può essere solamente ciò che è spirito; siccome Dio non è materia, la sua immagine non può essere impartita alla materia che è considerata al massimo una mera produzione di Dio e pertanto aliena a lui in un senso in cui lo spirito non può essere.

Lutero mancò di rompere completamente col concetto Scolastico dell’uomo e intese l’immagine di Dio esclusivamente nei termini degli attributi morali di conoscenza, giustizia e santità, ai quali generazioni successive aggiunsero il dominio per quanto concerne il maschio. Calvino, d’altro lato, intese l’immagine nel senso più ampio consistere dell’intelletto e della volontà dell’uomo. Benché Calvino abbia visto la centralità di giustizia e vera santità per qualsiasi concezione di Dio, egli rimarcò che “non sono il tutto dell’immagine di Dio”. L’immagine si estendeva ad ogni aspetto dell’essere dell’uomo, il suo corpo e la sua anima, talché il commento di Calvino riguardo all’immagine e dominio dell’uomo è appropriata in modo speciale:

Perciò con questa parola di perfezione è designata l’intera nostra natura, come fu evidente quando Adamo fu dotato di giusto giudizio, ebbe gli affetti in armonia con la ragione, ebbe tutti i suoi sensi buoni e ben regolati, e veramente eccelleva in ogni cosa buona. Pertanto la sede principale dell’immagine divina era nella sua mente e nel suo cuore, ove essa era eminente; tuttavia non non c’era parte di lui in cui non brillasse qualche scintillio di essa [3].

Includere l’interezza della personalità dell’uomo nell’immagine di Dio fu un passo con tremende implicazioni riguardo la natura dell’uomo, la sua relazione col mondo e la sua relazione con Dio. Come ha osservato Van Til, nell’osservare il lievito pagano nella dottrina Scolastica:

L’uomo fu in parte formato da questo preesistente mondo sensibile. Di conseguenza l’interezza della relazione dell’uomo come essere auto- consapevole non era con la personalità di Dio. In altre parole, la relazione dell’uomo col mondo intorno a sé non era completamente mediata attraverso la personalità di Dio. C’era in tutto questo un residuo d’impersonalismo [4].

Per l’uomo, essere creato ad immagine di Dio significa che è come Dio in ogni rispetto in cui una creatura può essere come Dio. Significa, in un senso più ampio, che l’uomo, come Dio, è una personalità. Ma l’uomo è sempre differente da Dio benché creato a sua immagine, per il fatto che è una creatura e non può partecipare degli attributi incomunicabili di Dio: la sua aseità, immutabilità, infinità e unità. Poiché l’uomo fu creato ad immagine di Dio ha una relazione organica con l’universo che Dio ha creato. Come dice Van Til:

Vale a dire che l’uomo doveva essere profeta, sacerdote e re sotto Dio in questo mondo creato. Le vicissitudini del mondo sarebbero dipese dalle azioni dell’uomo. Come profeta l’uomo doveva interpretare questo mondo, come sacerdote doveva dedicare questo mondo a Dio e come re doveva governarlo per Dio. In opposizione a questo, le teorie non-cristiane sostengono che le vicissitudini dell’uomo e dell’universo intorno a lui sono solo accidentali e accidentalmente in correlazione tra loro [5].

L’uomo, poiché fu creato ad immagine di Dio, fu creato con la legge di Dio nel suo essere. Per l’uomo vivere nei termini della propria natura significa vivere nei termini della legge di Dio. Poiché ogni fibra del suo essere era creata da Dio e in più rivelava l’impronta dell’immagine di Dio, e siccome ogni fatto nella creazione era creato da Dio e interpretato da Dio, l’uomo non poteva e non può evitare di conoscere Dio e rivelarlo in se stesso e attraverso se stesso. La caduta dell’uomo, però, fu la ribellione contro questa realtà e “il suo tentativo di fare in ogni aspetto senza Dio”. L’uomo ora tenta di negare la testimonianza di Dio nel suo essere e in tutta la creazione e di interpretare l’universo senza fare riferimento a Dio.

Il risultato per l’uomo fu che si fece per sé un falso ideale di conoscenza. L’uomo fece per sé l’ideale della comprensione assoluta nella conoscenza. Non avrebbe mai potuto farlo se avesse continuato a riconoscere di essere una creatura. Che l’uomo cerchi di ottenere conoscenza globale è totalmente incoerente con l’idea di creaturalità; se potesse essere ottenuta spazzerebbe Dio fuori dall’esistenza; allora l’uomo sarebbe Dio. E … poiché l’uomo mirò a questo ideale irraggiungibile, attrasse su se stesso guai senza fine.

In congiunzione col falso ideale di conoscenza dell’uomo, possiamo qui menzionare il fatto che quando l’uomo vide che non poteva ottenere il proprio falso ideale di conoscenza, ne diede la colpa al suo carattere limitato (finito). L’uomo ha confuso la finitudine col peccato. In questo modo ha mescolato l’aspetto metafisico e quello etico della realtà. Non volendo prendersi la colpa per il peccato l’uomo l’ha posta sulle circostanze attorno a sé o dentro di sé [6].

Barth, Brunner e Niebhur sono pronti a dire che l’uomo è finito e malvagio ma, non volendo concedere che sia realmente creato, o che sia peccaminoso nel senso descritto sopra, non possono dare un concetto biblico dell’uomo. Per loro l’uomo è il proprio punto di riferimento ultimo perché, malgrado i loro tentativi di superare la loro eredità, si attengono ancora basilarmente al modo di pensare dell’uomo caduto: che il peccato e il cuore della situazione dell’uomo sia la finitudine.

Ma l’uomo, malgrado questi sotterfugi, non può sfuggire dal conoscere Dio. La natura rivela Dio all’uomo, e rivela anche l’uomo a se stesso, essendo stata creata per l’uomo come l’uomo è stato creato per Dio. Tanto la natura che l’uomo sono sostenuti da Dio e sotto l’influenza della sua grazia non salvifica o grazia comune. Inoltre, l’uomo rivela se stesso a se stesso, e rivela Dio a se stesso. Infatti, come ha dichiarato Calvino nelle righe d’apertura della Istituzione: “Il nostro stesso essere non è nient’altro che sussistenza in Dio solo” [7], è impossibile per la natura dell’uomo mancare di rivelare il suo fattore e sostenitore. Se i cieli dichiarano la gloria di Dio e il firmamento rivela l’opera delle sua mani, quanto più l’uomo, fatto di poco inferiore a Dio (Sl. 8) Come ha osservato Van Til commentando Romani 1:19:

L’uomo è e rimane creatura auto-consapevole di Dio. Fu nell’attività della mente dell’uomo che la rivelazione dell’universo creato trovò originariamente il suo picco più alto. È ancora così. La personalità creata è ancora la manifestazione più alta della personalità di Dio. Di qui, proprio nell’attività della propria personalità, l’uomo è posto davanti alla più chiara manifestazione della verità rispetto a se stesso, separatamente dalla rivelazione redentiva [8].

Se tutti i fatti sono fatti creati, allora non ci sono fatti neutrali nella loro testimonianza al Creatore, men che meno l’uomo, non solo una creatura ma fatto ad immagine di Dio. Presupporre una neutralità dei dati, e presupporre una neutralità di testimonianza da parte dell’uomo, è negare che Dio abbia Crato tutte le cose e negare che l’uomo sia creato a sua immagine. La domanda fondamentale è questa: È l’uomo senza volto [9] È niente di più che un foglio bianco? Se è anonimo e vuoto, allora la neutralità è possibile. Ma se l’uomo è realmente creato ad immagine di Dio, allora la neutralità è un’impossibilità: fingerne l’esistenza non è niente di più che ostilità mascherata. Sostenere che la neutralità sia possibile è eliminare Dio come Creatore e al massimo relegarlo alla posizione di un altro fatto tra molti altri miscellanei e insignificanti fatti, un fatto, inoltre, che, come alcune strane specie di vita, rimangono sconosciute finché scoperte. Questo, di fatto, è ciò che Clark fa con Dio.

Per fare un’illustrazione, supponiamo che lo scopritore di un’isola disabitata in qualche remoto oceano ricerchi se una particolare forma di vita animale sia mai esistita in quel logo. È assai possibile che cerchi diligentemente e non scoprendo alcuna prova, rimanga tuttavia nell’ignoranza. Non sarebbe comunque sicuro che quel particolare animale non sia mai vissuto su quell’isola perché, benché abbia cercato diligentemente, pur tuttavia domani i resti potrebbero essere scoperti. Similmente, a parte la questione se siano necessarie molte o poche evidenze per portare uno a credere in Dio, è chiaro che nessun ammontare finito (limitato) di ricerche potrebbe razionalmente portare uno a negare l’esistenza di Dio. Durante il tempo dell’investigazione di questa terra da parte dell’ateo, potrebbe semplicemente essere che Dio si stesse nascondendo sull’altra faccia della luna, e se qualche razzo dovesse portare l’ateo sulla luna, non c’è ragione per non sostenere che Dio possa traslocare su Giove con lo scopo esplicito di infastidire l’ateo [10].

Se Dio è un fatto così elusivo, allora sicuramente è un Dio seriamente limitato e irrilevante. Se esiste tale neutralità d’investigazione e neutralità di dati, allora la dottrina della creazione e la dottrina dell’immagine di Dio sono puro non-senso, senza dubbio amabili favole, ma praticamente insignificanti. Van Til ha adeguatamente osservato dell’affermazione di Clark:

Ma un Dio che sfugga così sulla luna o su Giove non infastidisce per niente l’ateo. Al contrario, gli dimostra di essere così limitato (finito) così insignificante che l’ateo può percorrere tutta la terra senza mai essere confrontato da lui. Questo è esattamente il rovescio dell’insegnamento di Calvino, basato su Paolo, che Dio è divinità e potenza, essendo sempre e dovunque così ovviamente presente, che chi dica che non c’è Dio è uno stolto. La stoltezza del diniego del Creatore risiede precisamente nel fatto che questo creatore confronta l’uomo in ogni fatto cosicché nessun fatto ha alcun significato per l’uomo se non viene visto come creazione di Dio [11].

L’uomo incontra la rivelazione di Dio ogni volta e in ogni fibra del suo essere; è per lui impossibile trovare un singolo fatto, un singolo evento, un singolo filo d’erba, che non renda testimonianza della creazione e non richieda un’interpretazione fornita da Dio. E l’uomo non può incontrare un singolo fatto, né vivere un singolo momento, senza stare a confronto con Dio. Ma ogniqualvolta l’uomo è confrontato dalla rivelazione di Dio in tutta la creazione e suo mediante, egli reagisce a questa rivelazione; la neutralità è impossibile. Egli reagisce, inevitabilmente, nei termini di un tentativo di essere il proprio dio e interprete, o altrimenti di una pia accettazione del suo ruolo come immagine di Dio, e della sua vocazione di essere profeta, sacerdote e re sotto Dio. Ma, poiché le questioni della storia non sono ancora consolidate, e poiché l’auto-consapevolezza epistemologica non è ancora pienamente maturata alla zizzania e al grano, la reazione non è così nitida ma è piuttosto una reazione mista e un’interpretazione mista. Nel pio, gli effetti della caduta spesso ostacolano la sua accettazione del suo ruolo e del suo pieno asservimento all’interpretazione data-da-Dio. Negli empi, anch’essi creati ad immagine di Dio, la grazia comune, la grazia della creazione nel fatto che è un segno della loro creazione a sua immagine da parte di Dio, col suo favore originale, e in originale giustizia, i pieni effetti della caduta non sono ancora manifesti. La loro auto-consapevolezza epistemologica non è ancora completa, e la vita e l’interpretazione anche per loro è un prodotto misto. Non si può trattare seriamente o correttamente con la grazia comune separatamente dalle dottrine della creazione e dell’immagine di Dio.

La caduta dunque ha viziato la natura dell’uomo. Quest’infezione è totale, perché colpisce tutta la natura dell’uomo, ma non è assoluta, né diventerà assoluta fino alla fine della storia. È totale, nel fatto che l’intera personalità dell’uomo è caduta. Come indica Van Til: non abbiamo ragioni per assumere che la volontà sia decaduta e la ragione ancora buona, o, d’altro lato, che la ragione sia decaduta e le intuizioni rimangano buone. L’intera personalità dell’uomo è colpita, e i suoi corpo, anima e mente sono indeboliti e pervertiti. Inoltre, siccome l’immagine di Dio richiede la gloria di Dio, l’uomo, nel suo tentativo decaduto di stabilire la propria gloria, trova tutta la sua personalità e ogni aspetto del suo essere braccati dall’auto- frustrazione. Egli è creazione di Dio e strumento di Dio, e quando si mette a malo uso, si scopre spuntato, storto e torturato dalla propria perversità. Poiché l’empio non è ancora un prodotto finito, la sua frustrazione come la sua perversità, non sono ancora assolute. Quando la storia termina nel giudizio e la nuova creazione, la pienezza della frustrazione sarà manifesta nella pienezza dell’inferno. Nel frattempo, l’uomo cerca ogni opportunità e stratagemma per negare la testimonianza della creazione e del proprio essere e di trovare rifugio in qualsiasi cosa e ogni cosa inclusi, e specialmente, qualche tipo di Dio e religione. Come ha osservato Van Til: “Gli uomini non possono essere portati in darsena finché hanno ancora qualche luogo in cui possano andare”[12].

Dall’altro lato, il pio cerca di crescere nella sua salvezza, nell’operare il significato dell’immagine di Dio in ogni contesto. Cerca di interpretare il mondo e di sottometterlo, in ogni percorso di vita, in scienza, agricoltura, industria ed educazione. Cerca di governare sotto Dio e, come sacerdote, di dedicare tutta la creazione e tutte le sue attività a Dio. Cerca di crescere in rettitudine, ovvero: di diventare una persona integra, di mantenere nel proprio essere la giusta coordinazione e subordinazione di ciascun aspetto della sua natura, di subordinarsi a Dio e di coordinarsi con i suoi simili. Riconosce sempre più che la creazione è rivelazionale in quanto esibisce in ogni momento la volontà creativa e sostenitrice di Dio e offre fatti che interpretano la sua volontà, talché egli è in ogni momento in contatto con l’espressa volontà di Dio.

Ma la piena auto-consapevolezza epistemologica non giungerà fino alla fine. Di qui, come abbiamo visto, la grazia della creazione ancora si manifesta chiaramente nel non-rigenerato. La dottrina della grazia comune, come la dottrina della grazia salvifica, dipende da una corretta concezione del Dio autonomo, della creazione, e dell’immagine di Dio. Come sottolinea Van Til:

Collocare la dottrina della grazia comune nella giusta prospettiva richiede pertanto che si separi la teologia riformata nel suo insieme dal pensiero romanista e anche da quello evangelico. Su basi romaniste perfino la grazia speciale è ampiamente intesa lungo le linee di innalzamento dell’uomo sulla scala dell’essere. Nelle sue basi la grazia comune sarebbe perciò differente solo in grado dalla grazia speciale o salvifica. Nessuna differenza altra dalla differenza di grado è possibile se si sostiene che la volontà umana sia in qualche modo autonoma e una volta che si sostenga l’idea dell’uomo come partecipare nello stesso essere di Dio. L’idea di grazia salvifica è a quel punto l’offerta a tutti gli uomini o quantomeno a gruppi di uomini la reale o ultima possibilità di salvezza insieme con l’egualmente ultima possibilità di distruzione. In nessuno dei casi Dio può superare completamente la tendenza degli esseri finiti di scivolare dentro alla non-esistenza [13].

Senza un concetto di Dio come autonomo e auto-sufficiente, senza le dottrine della creazione e della discontinuità tra Dio e l’essere creato, il concetto dell’uomo di entrambe, la grazia salvifica e quella comune diventano una questione di comune partecipazione in essere o una dottrina di corrispondenza. Diventa necessario, nel nome della grazia comune, asserire, contro la predestinazione, una dottrina di libertà per Adamo che non è libertà creaturale ma la libertà ultima di Dio. La dottrina della creazione e la dottrina dell’immagine di Dio nell’uomo rende impossibile questa pagana nozione della grazia comune che in realtà è una dottrina di comune essenza (esistenza). A quel punto la grazia comune diventa metafisica in carattere per il fatto che preserva l’uomo finito dal ritornare nella non-esistenza. Ma, come osserva Van Til: “solo mantenendo il proprio esclusivo carattere etico la grazia comune può essere propriamente messa in relazione con la grazia salvifica” [14]. Il problema della grazia comune è un tentativo di trattare con la giustizia civile del non-rigenerato, in altre parole con la questione dell’etica. Dare una risposta rivedendo la propria metafisica non può essere considerata una risposta cristiana! La dottrina della creazione, della grazia della creazione, del decreto divino e della natura non terminata della storia, fornisce la risposta, una risposta etica all’interno della cornice della metafisica cristiana. In Common Grace, Van Til indica enfaticamente che tutti gli uomini hanno tutte le cose in comune, psicologicamente e metafisicamente. Ma epistemologicamente, l’uomo naturale non ha niente in comune col cristiano. Egli asserisce la propria ultimità (valore ultimo) e cerca di ripensare tutte le cose nei termini di questo concetto. Ma Dio non lascia l’uomo naturale completamente a se stesso. Lotta con l’uomo, trattiene l’ira dell’uomo, agisce con pazienza, e manda la sua pioggia e il suo sole egualmente sul giusto e sull’ingiusto. Questa differenza epistemologica tra il cristiano e l’uomo naturale non pertiene alle leggi del pensiero ma ai presupposti etici che sottendono quel pensiero.

L’uomo naturale è in guerra con se stesso. Creato da Dio, e nella sua immagine, il suo essere testifica contro di lui quando cerca di affermare la propria ultimità ed autonomia. È circondato dal potere raffrenante della grazia comune di Dio. La sua cognizione delle piene e aperte implicazioni delle sue rivendicazioni non è ancora completamente matura o auto- consapevole. Come risultato non c’è coerenza nei suoi principi operativi. Ha alcune idee derivate dall’immagine di Dio e alcune derivate dalla sua idea di autonomia.

È quindi in questo modo, nella situazione mista che risulta per i due fattori menzionati, (1) che ogni uomo conosce Dio in modo naturale (2) che ogni peccatore in principio si sforza con ansietà di cancellare quella conoscenza di Dio, e (3) che ogni peccatore è in questo mondo ancora l’oggetto dello sforzo dello Spirito per richiamarlo indietro a Dio, che la cooperazione tra credenti e non-credenti è possibile. Per virtù dei doni di Dio che godono gli uomini di entrambe le parti essi possono contribuire alla scienza. La questione dell’ostilità etica non si inserisce a questo punto. Non meramente il pesare e il misurare, ma l’argomento per l’esistenza di Dio e per la verità del cristianesimo può essere prontamente considerato vero tanto da non-cristiani che da cristiani. Satana sa fin troppo bene che Dio esiste e che Cristo è stato vittorioso su di lui al Calvario. Ma l’attuale situazione nella storia implica gli altri fattori menzionati. Perciò da nessuna parte c’è un’area ove il secondo fattore, quello dell’ostilità etica dell’uomo verso Dio non entri anch’esso nel quadro. Questo fattore non è così chiaramente evidente quando gli uomini trattano con cose esterne, è più chiaramente in evidenza quando trattano con la questione direttamente religiosa della verità del cristianesimo. Ma non è meno presente dappertutto. È presente nel campo del pesare e misurare, nel campo delle cose esteriori quanto in quello delle questioni più direttamente religiose. È presente qui nel fatto che l’uomo cerca di imporre la propria falsa filosofia dei fatti sulle cose che pesa e misura. Non è che non sia teoreticamente così fintantoché usi questi fatti per scopi non scientifici.

Anche in quel caso è praticamente così. Anche in quella situazione egli non cerca di obbedire il comando di Paolo agli uomini della portata che sia che mangino sia che bevano dovrebbero fare tutto alla gloria di Dio. Ma è teoreticamente così quando cercano di lavorare scientificamente. In quel caso i non-credenti utilizzano un principio di individuazione non razionalistico. Assumono che i fatti che pesano e misurano non siano creati e controllati da Dio. Lo assumono nei confronti di ogni fatto. In questo modo assumono che Dio non parli loro attraverso quei fatti. D’altra parte assumono che i poteri della logica dati loro dal loro Creatore non siano loro stati dati lui. Virtualmente assumono che con questi poteri possono determinare cosa sia possibile e cosa sia impossibile [15].

La concezione dei fatti dell’uomo naturale è che la fattualità sia indipendente da Dio, e che egli stesso è anche come minimo indipendente. Per lui può esistere ogni sorta di fatti piuttosto che solo fatti-dati-da-Dio. Inoltre, questi fatti ricevono la loro interpretazione dall’uomo anziché da Dio. “A quel punto, ogni fatto che ha statuto scientifico è tale solo se non rivela Dio ma rivela l’uomo come di valore ultimo” [16]. L’uomo naturale opera dunque su due principi: primo, l’esistenza di cruda fattualità e, secondo, sulla base che egli ne è l’interprete ultimo. Un terzo principio previene il pieno funzionamento dei primi due: la grazia comune lo previene dall’essere completamente coerente. Si scopre che rispetta ciò che è onesto nobile e vero, e spesso, come Calvino e Van Til hanno indicato è un “prossimo” migliore del cristiano. La loro costituzione metafisica rimane immutata; la loro ribellione etica è trattenuta dalla grazia comune.

Sui suoi propri principi, l’uomo naturale non potrebbe avere alcuna scienza; non avrebbe nient’altro che la massa di dati miscellanei e scollegati raccolti dalla cruda fattualità. La dottrina della creazione dà significato e interpretazione a tutte le cose e rende possibile l’unità della scienza. Ma fin dalla creazione e dalla caduta c’è stato uno sviluppo in due direzioni, verso il compimento della ribellione dell’uomo nel male pieno e auto-consapevole, e verso il compimento della vocazione di Dio nel bene. Le due tendenze sono destinate a crescere sempre più auto-consapevoli e più coerenti in ogni aspetto. È in questo senso che la grazia comune è la grazia che viene prima [17], viene prima nei termini del risultato ultimo (definitivo). Alla fine , gli uomini saranno o pienamente restaurati nell’immagine di Dio, o pienamente confermati come trasgressori del patto, in quanto uomini che dichiarano di essere essi stessi ultimi e non Dio. La caduta e la restaurazione saranno completate ciascuna nella sua rispettiva implicazione.

La questione è dunque nitida. Nonostante la moderna prospettiva, l’uomo non è senza volto; non è un “blank” [18] che esce dal non-essere dentro all’essere. È una creatura, e più ancora di questo, è una creatura creata ad immagine di Dio. Quest’immagine è la sua faccia, la sua intera personalità. L’uomo empio, sforzandosi di indossare la maschera della divinità nega Dio nel procedimento e finisce nella frustrazione più totale a mano a mano che la grazia che viene prima lascia il posto alla piena auto- consapevolezza epistemologica. Al presente abbiamo ancora più o meno un “indifferenziato stadio di sviluppo”, ma quando tutti i reprobi sono epistemologicamente auto-consapevoli il punto di non ritorno è arrivato” [19]. La caduta sarà diventata assoluta e la restaurazione completa.

 

Note:

1 C. Van Til: A Christian Theory of Knowledge, p. 177.
2 Lewis Sperry Chafer: Systematic Theology, Dallas Seminary Press, Vol. I, p. 181 s.
3 John Calvin: Commentary upon the Book of Genesis, Eerdman’s, ed. 1948; Vol. I, pp. 94s., Ge. 1:26.
4 C. Van Til: Metaphysiscs of Apologetics, p. 63.
5 C. Van Til: The Defense of the Faith, p. 30; vedi anche, Apologetics, p. 4s.
6 C. Van Til: The Defense of the Faith, p. 31.
7 La versione di Tourn (Classici UTET) p. 137 rende: “la nostra forza e e la nostra fermezza consistono nel dimorare in Dio”.
8 C. Van Til: An Introduction to Systematic Theology, 1952, p. 92.
9 La traduzione migliore di “Faceless” in contesto sarebbe forse volto anonimo, ovvero “inespressivo del carattere di Dio”.
10 Gordon H. Clarck: A Christian Phylosophy of Education, Eerdman’sp. 44. D’altro lato, Clarck osserva saggiamente: “Anziché cominciare dai fatti e più tardi scprire Dio, se un pensatore non comincia con Dio non può mai terminare con Dio, o nemmeno arrivare ai fatti” (p.38).
11 C. Van Til: An Introduction to Systematic Theology, 1952, p. 102.
12 C. Van Til: The Defense of the Faith; p. 36.
13 C.Van Til: A Christian Theory of Knowledge; p. 182
14 Ibid., p. 187.
15 Ibid., p. 191. 16 Ibid., p. 182.
17 Il traduttore non condivide questa visione. Gary North nei suoi Millennialism and Social Theory e Dominion and Common Grace argomenta in modo convincente che la grazia comune sia un’emanazione della grazia particolare e che quindi sia questa a venire prima.
18 “Blank”, pagina bianca, inespressivo dell’immagine di Dio. Vedi nota 9.
19 C. Van Til: Common Grace; p. 85. Van Til usa “crack of doom” , è stato scelto “punto di non ritorno” non solo per mancanza di meglio ma anche perché il traduttore non condivide questa parte della visione vantilliana che è probabilmente almeno in parte dovuta al suo amillennialismo.


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