Con quale criterio
Un’analisi della filosofia di Cornelius Van Til
Alla base di questo studio c’è la convinzione che i presupposti del pensiero umano in ogni materia devono essere fondamentalmente uno per poter arrivare a qualsiasi concetto che convalidi contemporaneamente sia la fede biblica che la conoscenza umana. La sovranità del Dio autonomo è la chiave per ogni materia, perché solo il Dio della Scrittura rende tutte le cose possibili e spiegabili e costituisce pertanto la premessa basilare non solo della teologia ma anche di filosofia, scienza e in effetti di tutta la conoscenza. Poiché Dio è il Creatore di tutte le cose, è anche il loro solo valido principio d’interpretazione per il fatto che derivano la loro esistenza e significato dal suo atto creativo. Questa convinzione è qui presentata nei termini di vari aspetti del pensiero umano.
Ancora, alla base di questo studio c’è la convinzione che tale filosofia trovi la sua spiegazione coerente e capace negli scritti di Van Til. Quest’opera, perciò, è sia una spiegazione di quella filosofia sia il suo sviluppo da parte di Van Til, una scuola di pensiero che l’autore sottoscrive.
Dal Primo capitolo
1. “Ecco che era Lea”
Una notte un certo sposo andò gioiosamente a letto fiducioso che i suoi sette anni di lavoro venivano coronati con la vittoria e che quella che stava abbracciando nel buio della camera nuziale era la sua amata Rachele, ma “l’indomani mattina, ecco, era Lea” (Ge. 29:25). Il desolato sposo fu costretto a servire altri sette anni, ma il suo addizionale servizio non cancellò l’indesiderato legame con Lea. Era stato il peccato a porre Giacobbe in una posizione sfavorevole e alla mercé del suo astuto suocero Labano. Il matrimonio, contratto in buona fede, diede effettivamente a Giacobbe tre mogli indesiderate oltre a Rachele, una famiglia litigiosa, e un’eredità di guai. I figli delle mogli non amate rivelarono una cattiva disposizione e tra essi e il loro padre si sviluppò un profondo contrasto che nessuna delle suppliche del padre riuscì a risolvere. Essi erano suoi figli e allo stesso tempo non lo erano, perché disprezzavano la sua parola (Ge. 34:30, 31), odiavano il figlio della sua amata Rachele (Ge. 37:4-8), contaminarono il suo talamo coniugale (Ge. 35:22), e gli diedero più guai dei suoi stessi nemici. Furono così figli migliori a Labano che al credente Giacobbe, l’uomo che, essendo stato vinto e sottomesso da Dio, aveva con ciò prevalso su di Lui (Ge. 32:24-32) ed era divenuto un principe in Dio. Questo frammento di storia ha particolare rilevanza per la filosofia e la teologia cristiane. Il pensatore cristiano, operando, come spesso deve fare, su terreno alieno, ha troppo spesso abbracciato come proprio un principio non-cristiano che ha creduto sarebbe stato fruttuoso nei termini del pensiero cristiano. Ha fatto ossa delle sue ossa e carne della sua carne un principio che ha creduto avrebbe portato frutto in una visione del mondo cristiana. Ha creduto che l’ibrida visione del mondo che ne risultava sarebbe diventata erede dei beni di questo mondo e avrebbe mostrato padronanza e dominio sulla mente dell’uomo. Con questa aspettativa, i primi pensatori cristiani abbracciarono il Platonismo; la Scolastica, l’Aristotelismo; gli uomini dell’epoca Illuminista il Cartesianismo e il Razionalismo, e gli uomini del XIX e del XX secolo, il Kantianismo, l’esistenzialismo, e altre spose straniere, sperando con ciò che nel buio abbracciavano Rachele. Ma, 5 “l’indomani mattina, ecco era Lea”! La prole di tale unione è conseguentemente stata una progenie semi-aliena che è in ribellione contro la propria parentela e la contamina più completamente di quanto possano fare i suoi nemici stessi.