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Quando cessarono il profeta o la visione in Israele, se non ora che è venuto Cristo, il Santo dei santi? Segno e grande prova della venuta del Verbo è che Gerusalemme non esiste più, che non è più sorto un profeta e che non si rivela più loro una visione. Ed è molto giusto che sia così. Infatti, quando venne colui che era stato significato, che bisogno c’era ancora di qualcuno che lo significasse? Essendo ormai presente la verità, che bisogno c’era ancora dell’ombra? Per questo profetarono finché giunse la Giustizia-in-sé, e colui che riscattava i peccati di tutti. Per questo Gerusalemme esisteva così a lungo, affinché lì meditassero in anticipo le figure della verità. Quindi, una volta venuto il Santo dei santi, giustamente fu messo il sigillo alla visione e alla  profezia ed è cessato il regno di Gerusalemme. Presso di loro furono unti i re fino al momento in cui fu unto il Santo dei santi. E Mosè profetizza che il regno dei Giudei esisterà fino a lui dicendo:Lo scettro non sarà rimosso da Giuda, né il bastone del comando di fra i suoi piedi, finché venga Sciloh’; e a lui ubbidiranno i popoli” [Ge. 49:10]. Perciò il Salvatore stesso proclamava: “La legge e i profeti hanno profetizzato fino a Giovanni”  [Mt. 11:13]. Dunque, se ora c’è  tra i Giudei un re o un profeta o una visione, essi hanno ragione a negare che Cristo è venuto, se invece non c’è più né re né visione, ma è stato messo il sigillo ad ogni profezia e la città e il tempio sono stati distrutti, perché sono così empi e trasgressori da non vedere ciò che è accaduto e negare che Cristo ha fatto tutto questo?

Atanasio: L’Incarnazione del Verbo [40]

 

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IL TEMPO È  VICINO

La questione della datazione del libro di Rivelazione è significativa per la sua corretta interpretazione. Gli studiosi hanno spesso accettato l’affermazione di Ireneo (120-202) che la profezia comparve “verso la fine del regno di Domiziano” (cioè intorno al 96). Ci sono, comunque, parecchi dubbi riguardo a cosa Ireneo volesse significare con questo (potrebbe aver significato che l’Apostolo Giovanni stesso era “stato visto” da altri). Il linguaggio di Ireneo è ambiguo e, a prescindere da ciò che stesse dicendo, potrebbe essere stato in errore. (Ireneo, incidentalmente, è la sola fonte per questa tarda datazione di Apocalisse; tutte le altre “fonti” si basano su Ireneo). Di sicuro ci sono altri scrittori vicini all’epoca le cui dichiarazioni indicano che Giovanni abbia scritto Apocalisse molto prima, sotto la persecuzione di Nerone. Perciò, il modo di procedere più sicuro per noi è di studiare la stessa Apocalisse per vedere che evidenza interna presenti riguardo alla propria data – evidenza che indica che il libro fu scritto in un tempo precedente o attorno al 68 d.C.. Brevemente questa prova è imperniata su due punti: (1) si parla di Gerusalemme come ancora in piedi, e buona parte del libro profetizza la distruzione di Gerusalemme nel 70 D.C.; (2) l’imperatore Nerone è menzionato come ancora in vita – e Nerone morì nel giugno del 68. (Questi punti ed altri saranno dimostrati nei capitoli a seguire).

Comunque, più ancora di questo, abbiamo un insegnamento a priori nella Scrittura stessa che tutta la rivelazione speciale terminò entro il 70 d.C.. L’angelo Gabriele disse a Daniele che le “settanta settimane” sarebbero terminate con la distruzione di Gerusalemme (Da. 9: 24-27); e che quel periodo sarebbe servito anche a  “sigillare visione e profezia” (Da. 9:24). In altre parole la rivelazione speciale si sarebbe arrestata – sarebbe stata sigillata – per il tempo in cui Gerusalemme sarebbe stata distrutta. Il Canone della sacra Scrittura era interamente completato prima della caduta di Gerusalemme.

La morte, resurrezione ed ascensione di Cristo segnarono la fine del Vecchio Patto e l’inizio del Nuovo; gli apostoli ricevettero la commissione di enunciare il messaggio di Cristo nella forma del Nuovo Testamento, e quando ebbero finito, Dio mandò gli Edomiti e l’esercito Romano a distruggere completamente gli ultimi simboli del Vecchio Patto rimasti: il Tempio e la Santa Città. Questo fatto da solo è sufficiente a stabilire che la stesura di Apocalisse è avvenuta prima del 70 D.C. Il libro stesso, come vedremo, dà abbondante testimonianza riguardo alla propria data; ma, ancor di più, la natura del Nuovo Testamento quale parola finale di Dio ce lo dice. La morte di Cristo per mano dell’Israele apostata suggellò il loro destino: il Regno sarebbe loro stato tolto (Mt. 21: 33-43). Mentre l’ira si accumulava fino a giungere “al culmine” (1Te. 2:16), Dio trattenne la propria mano dal giudizio finché la scrittura del documento del Nuovo Patto fu completata. Appena ciò fu fatto, egli terminò drammaticamente il regno d’Israele, spazzando via la generazione dei persecutori (Mt. 23:34-36; 24:34; Lu. 11:49-51). La distruzione di Gerusalemme (Ap. 11) fu l’ultimo squillo di tromba, che segnalava che “il mistero di Dio” era compiuto (Ap. 10:7). Non ci sarebbe più stata nessuna ulteriore rivelazione speciale una volta che Israele non c’era più. Per tornare sul punto: il libro di Rivelazione di sicuro fu scritto prima del 70 e probabilmente prima del 68 D.C.

Destinatari

Giovanni indirizzò la Rivelazione alle sette chiese importanti dell’Asia Minore, e da queste essa ricevette una larga distribuzione. L’Asia Minore era significativa perché il culto dell’adorazione di Cesare è trattato a lungo in questa profezia, e l’Asia Minore era un importante centro dell’adorazione di Cesare: “Iscrizione dopo iscrizione testimoniano la lealtà di queste città verso l’Impero. Ad Efeso, a Smirne, a Pergamo, e di fatto in tutta la provincia la chiesa dovette confrontarsi con un imperialismo che era popolare e patriottico, e che possedeva il carattere di una religione. Da nessun altra parte il culto di Cesare era più popolare che in Asia” (H.B. Swete: Commentary on Revelation; Kregel, 1977, p. LXXXIX.

Dopo che Giulio Cesare morì (29 a. C.), fu eretto ad Efeso un tempio che lo onorava come divo (dio). I Cesari che lo seguirono non attesero la morte per procurarsi questi onori e, cominciando con Ottaviano, essi affermarono la loro divinità, esponendo i loro titoli divini in templi e su monete, in modo particolare in Asia. Ottaviano cambiò il proprio nome in Augusto, un titolo di suprema maestà, dignità e riverenza. Fu chiamato il Figlio di Dio, e in veste di divino-umano mediatore tra il cielo e la terra offriva sacrifici agli dèi. Egli fu proclamato in lungo e in largo il Salvatore del mondo, e le iscrizioni sulle sue monete furono esplicitamente messianiche. Il loro messaggio dichiarava, come ha scritto Ethelbert Stauffer, che “la salvezza non si può trovare in nessun altro che Augusto, e che non c’è altro nome dato agli uomini nel quale possano essere salvati” (Christ and the Caesars; Westminster, 1955, p. 88).

Quest’atteggiamento era comune a tutti i Cesari. Cesare era Dio, Cesare era il Salvatore; Cesare era l’unico Signore. Ed essi reclamarono non solo i titoli ma anche il diritto alla divinità. Tassarono e confiscarono proprietà a volontà, presero mogli dei cittadini (e mariti) per il proprio piacere personale, provocarono carenze di cibo, esercitarono potere di vita e di morte sui loro sottoposti, e generalmente cercarono di regolare ogni aspetto della realtà in tutto l’Impero. La filosofia dei Cesari può essere riassunta in una frase che fu utilizzata sempre più durante il progredire della loro epoca: Cesare è Signore! 

Questa fu la questione principale tra Roma e i cristiani: Chi è il Signore? Francis Schaeffer ha indicato:

Non dobbiamo dimenticare perché i Cristiani furono uccisi: Non furono uccisi perché adoravano Gesù … a nessuno importava chi adorasse chi, fintanto che l’adoratore non disgregasse l’unità dello stato che aveva il suo centro nella formale adorazione di Cesare. La ragione per cui i cristiani furono uccisi fu che erano ribelli … essi adoravano Gesù come Dio e adoravano il Dio infinito-personale solamente. I Cesari non potevano tollerare quest’adorazione di quell’unico Dio solamente. Fu valutata come tradimento (How Shall We Then Live?; Revell, 1976, p. 24).

Per Roma, l’obbiettivo di qualsiasi vera moralità e religione era la subordinazione di tutte le cose allo Stato; l’uomo religioso, l’uomo pio, era colui che riconosceva, ad ogni punto nella vita, la centralità di Roma. R. J. Rushdoony osserva che:

La cornice per gli atti di devozione religiosi e familiari era Roma stessa, la comunità centrale e più sacra, Roma controllava rigidamente tutti i diritti di corporazioni, assemblee, incontri religiosi, club, e incontri di piazza, e non tollerava alcuna possibile rivalità alla propria centralità … lo Stato solamente poteva organizzare, al cittadino non era permesso, senza cospirare. Su questo fondamento da solo, la Chiesa Cristiana altamente organizzata era un’offesa e un affronto allo stato, considerata un’organizzazione illegale immediatamente sospettata di cospirazione (The One and the Many; Thoburn Press, 1978, p. 92 s.)

La testimonianza degli Apostoli e della chiesa primitiva fu nientemeno che una dichiarazione di guerra contro le pretese della Stato romano. Giovanni affermò che Gesù è l’unigenito Figlio di Dio (Gv. 3:16); che egli di fatto è “il vero Dio e la vita eterna” (1Gv. 5: 20-21). L’Apostolo Pietro dichiarò, poco dopo la Pentecoste, che: “La salvezza non si trova in nessun altro, poiché non c’è sotto il cielo, alcun altro nome dato agli uomini per mezzo del quale dobbiamo essere salvati” (Atti 4:12).

Il conflitto tra il Cristianesimo e Roma fu perciò politico dalla prospettiva romana, benché religioso dalla prospettiva cristiana. Ai cristiani non fu mai richiesto di adorare gli dèi pagani di Roma; fu loro semplicemente chiesto di riconoscere il primato religioso dello stato … La questione dunque, fu questa: doveva essere la legge dell’Imperatore, la legge statale, a governare la chiesa e lo stato entrambi, o erano entrambi, stato e chiesa, imperatore e vescovo allo stesso modo, sotto la legge di Dio? Chi rappresentava il vero e ultimo ordine, Dio o Roma, l’eternità o il tempo? La risposta romana fu: Roma e il tempo, e quindi il cristianesimo costituiva una fede sediziosa e una minaccia all’ordine politico. (Rushdoony: The One and the Many, p. 93)

L’accusa presentata dal pubblico ministero in un processo a cristiani del primo secolo fu che: “Essi tutti sfidano i decreti di Cesare dicendo che c’è un altro re, uno chiamato Gesù” (Atti 17:7). Questa fu l’accusa fondamentale contro tutti i cristiani dell’Impero. Il prefetto romano supplicò l’anziano vescovo Policarpo affinché rinunciasse alla sua posizione estrema: “Che male c’è nel dire Cesare è il Signore?” Policarpo rifiutò e fu arso al palo. Migliaia patirono il martirio solo su questa questione. Per essi, Gesù non era Dio in qualche senso spirituale irrilevante; egli era il solo Dio, completamente sovrano in ogni area. Nessun aspetto della realtà poteva essere esentato dalle sue richieste. Nulla era neutrale. La chiesa confrontò Roma con l’inflessibile affermazione dell’autorità imperiale di Cristo: Gesù è il solo figlio unigenito di Dio; Gesù è Dio; Gesù è Salvatore; Gesù è Signore. Qui c’erano due Imperi, entrambi stavano cercando di ottenere il dominio assoluto del mondo, ed erano implacabilmente in guerra l’uno contro l’altro.

Era necessario che le chiese dell’Asia lo riconoscessero pienamente, con tutte le sue implicazioni. La fede in Gesù Cristo richiede l’assoluta sottomissione alla sua signoria, in ogni punto, senza compromessi. Confessare Cristo significò guerra allo statalismo, particolarmente nelle province in cui l’ufficiale adorazione di Cesare era richiesta per la transazione degli affari quotidiani. Mancare di riconoscere le richieste dello Stato  avrebbe avuto per risultato la difficoltà economica e la rovina, e spesso l’imprigionamento, la tortura e la morte.

Alcuni cristiani accettarono il compromesso: “Sicuro, Gesù Cristo è Dio. Io lo adoro in chiesa e nelle mie devozioni private. Ma posso lo stesso mantenere il mio lavoro e  la mia posizione sindacale, benché mi richiedano di dare tecnicamente omaggio a divinità pagane. È un mero dettaglio: dopo tutto io credo ancora in Gesù nel mio cuore …”. Ma la Signoria di Cristo è universale, e la bibbia non fa distinzione tra cuore e condotta, Gesù è Signore di tutto. Per riconoscerlo veramente come Signore, dobbiamo servirlo ovunque. Questo è il messaggio principale di Apocalisse, e quel messaggio che i cristiani in Asia avevano disperatamente bisogno di udire. Essi vivevano proprio nel cuore del trono di Satana, la sede del culto dell’Imperatore; Giovanni scrisse per ricordare loro il loro vero Re, rammentare loro della loro posizione con lui come re e sacerdoti, e della necessità di perseverare nei termini della sua Parola sovrana.

Argomento

Lo scopo dell’Apocalisse era di rivelare Cristo come Signore ad una Chiesa sofferente. Poiché erano perseguitati, i primi cristiani potevano essere tentati di temere che il mondo stesse sfuggendo di mano, che Gesù, che aveva reclamato “ogni autorità … in cielo e sulla terra” Mt. 28:18), non fosse realmente per niente in controllo. Gli apostoli avevano spesso messo in guardia contro questo errore antropo-centrico, ricordando alle persone che la sovranità di Dio è sul tutto della storia (incluse le nostre tribolazioni particolari). Questa fu la base per alcuni dei più bei passi di conforto nel Nuovo Testamento ( ad es. Ro. 8: 28-39; 2Co. 1: 3-7; 4: 7-15).

L’interesse principale di Giovanni nello scrivere Apocalisse fu proprio questo: rafforzare la comunità cristiana nella fede nella signoria di Gesù Cristo, per renderli consapevoli che le persecuzioni che stavano soffrendo erano integralmente coinvolte nella grande guerra della storia. Il Signore della gloria era asceso al suo trono, e i governanti malvagi resistevano ora la sua autorità perseguitando la sua fratellanza. Il soffrire dei cristiani non era un segno che Gesù aveva abbandonato questo mondo al diavolo; anzi, rivelava che egli era Re. Se la signoria di Cristo fosse stata storicamente insignificante, gli empi non avrebbero avuto ragione alcuna di infastidire i cristiani. Ma invece perseguitavano i seguaci di Gesù dimostrando di riconoscere contro voglia la sua supremazia sul loro governo. L’Apocalisse presenta Gesù seduto su un cavallo bianco come “Re dei re e Signor dei signori” (19:16), che guerreggia contro le nazioni, che giudica e fa guerra con giustizia. I cristiani perseguitati non erano per nulla dimenticati da Dio; in realtà essi erano sulle prime linee del più grande conflitto della storia, un conflitto in cui Gesù Cristo aveva già vinto  la battaglia decisiva. Fin dalla sua resurrezione, tutta la storia è stata un’operazione di “rastrellamento” con la quale le implicazioni della sua opera sono gradualmente implementate in tutto il mondo. Giovanni è realista: la battaglia non sarà facile, né i cristiani emergeranno illesi. Sarà spesso cruenta e molto del sangue sarà il nostro. Ma Gesù è Re, Gesù è il Signore, e (come dice Lutero) “La vittoria in mano Ei tiene”. Il Figlio di Dio esce a far guerra, conquistando e per conquistare, finché ha posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. 

L’argomento della Rivelazione era dunque contemporaneo ad essa, fu scritto cioè a e per i cristiani che stavano vivendo al tempo in cui fu trasmesso la prima volta. Noi erriamo ad interpretarlo futuristicamente, come se il messaggio fosse inteso primariamente per un tempo 2000 anni dopo che Giovanni lo scrisse. (È interessante, ma non sorprende, che quelli che lo interpretano “futuristicamente” sembrano sempre focalizzare la propria epoca come l’argomento delle profezie. Convinti della propria importanza, sono incapaci di pensare di se stessi come in esistenza in qualsiasi altro periodo che non sia quello dell’apice della storia). Ovviamente, gli eventi che Giovanni predisse erano “nel futuro” per Giovanni e per i suoi lettori, ma accaddero presto dopo essere stati scritti. Interpretare il libro in altro modo è contraddire sia la portata del libro nel suo insieme, sia i passi particolari che indicano il suo argomento. Per noi, la grande maggioranza di Apocalisse (cioè tutto, esclusi alcuni versetti che menzionano la fine del mondo) è storia: é già avvenuta. Ciò può costituire una reale delusione per coloro i quali attendevano con ansia di sperimentare qualcuna delle scene mozzafiato del libro, così, per costoro ho una piccola parola di conforto: rallegratevi, la api assassine sono in viaggio verso Nord! Inoltre, la Bestia ha un esercito di moderni imitatori, così avrete ancora una possibilità di essere decapitati. Sfortunatamente, quelli che speravano di sfuggire allo spettacolo pirotecnico col rapimento non sono così fortunati. Dovranno solo arrancare fino alla vittoria col resto di noi.

La chiesa primitiva ebbe due grandi nemici: l’Israele apostata e Roma pagana. Molti cristiani morirono per mano loro (di fatto questi due nemici della Chiesa spesso cooperarono l’uno con l’altro nel mandare a morte cristiani, come avevano fatto con la crocifissione del Signore stesso). E il messaggio di Apocalisse fu che questi due persecutori, ispirati da Satana, sarebbero presto stati giudicati e distrutti. Il suo messaggio era contemporaneo, non futurista.

Alcuni si lamenteranno che questa interpretazione rende Apocalisse “irrilevante” per la nostra epoca. Un’idea più pervicace è inimmaginabile. Sono forse  i libri di Romani ed Efesini  “irrilevanti” semplicemente perché furono scritti a credenti del primo secolo? 1° Corinzi e Galati dovrebbero forse essere accantonati perché trattarono problemi del primo secolo? Non sono tutte le Scritture utili per credenti in ogni epoca (2Ti. 3:16-17)? In realtà, è l’ipotesi futurista ad aver reso Apocalisse irrilevante, poiché nell’ipotesi futurista il libro è stato inapplicabile dal tempo in cui fu scritto fino al ventesimo secolo! Solo se vediamo la Rivelazione nei termini della sua rilevanza contemporanea essa può essere tutto fuorché una lettera morta. Fin dal principio, Giovanni dichiarò che il suo libro era inteso per “le sette chiese che sono in Asia” (1:4), e noi dobbiamo assumere che intendesse ciò che ha detto. Egli chiaramente si aspettava che anche i simboli più difficili nella profezia potessero essere compresi dai suoi lettori del primo secolo (13:18). Giovanni non ha implicato neppure una volta che il suo libro fosse stato scritto con in mente il ventesimo secolo, e che i cristiani avrebbero sprecato il proprio tempo nel tentativo di decifrarlo finché non fossero state inventate le stazioni spaziali. La rilevanza primaria del libro di Apocalisse fu per i suoi lettori del primo secolo. Esso possiede ancora rilevanza per noi oggi quando comprendiamo il suo messaggio e ne applichiamo i principi alle nostre vite e alle nostre culture. Gesù Cristo richiede ancora da noi ciò che richiese alla chiesa primitiva: assoluta fedeltà a Lui.

Diversi elementi d’evidenza per la natura contemporanea di Apocalisse possono qui essere indicati. Primo, c’è il tono generale del libro che è rivolto ai martiri (vedi ad es. 6:9; 7:14; 12:11). L’argomento è chiaramente la presente situazione delle chiese. Apocalisse fu scritta ad una chiesa sofferente per confortare i credenti durante il loro tempo di prova.

Secondo, Giovanni scrive che il libro concerne “le cose che devono accadere in breve” (1:1) e avverte che “il tempo è vicino” (1:3). Nel caso in cui non ce ne fossimo accorti, lo dice di nuovo, alla fine del libro, che “il Signore Dio dei santi profeti, ha mandato il suo angelo, per mostrare ai suoi servi le cose che devono avvenire tra breve” (22:6). Dato il fatto che una prova importante che uno sia un vero profeta consiste proprio nell’avverarsi delle sue predizioni  (De. 18. 21-22), quelli che lessero il libro di Giovanni nel primo secolo avevano ogni ragione di aspettarsi che il suo libro avesse un significato immediato. Le parole tra breve e vicino semplicemente non possono essere fatte significare nient’altro che ciò che dicono. Se io vi dicessi: “sarò lì tra breve” e non mi faccio vedere per 2000 anni non direste che sono leggermente in ritardo? Qualcuno obbietterà a questo sulla base di 2 Pietro 3:8, che “un giorno col Signore è come mille anni, e mille anni come un giorno”. Ma il contesto lì è interamente diverso. Pietro ci sta esortando ad avere pazienza per quanto riguarda le promesse di Dio, assicurandoci che la fedeltà di Dio alla sua santa Parola non si logorerà né diminuirà.

Il libro di Apocalisse non concerne la seconda venuta. Riguarda la distruzione di Israele e la vittoria di Cristo su Roma. Di fatto, la parola venire com’è usata in Apocalisse non si riferisce mai alla seconda venuta. Apocalisse profetizza il giudizio di Dio su due degli antichi nemici della Chiesa; e mentre procede a descrivere brevemente certi eventi della fine dei tempi, quella descrizione è meramente un “riepilogo” per dimostrare che i malvagi non prevarranno mai contro il Regno di Cristo. Ma l’attenzione principale di Apocalisse è sugli eventi che avrebbero presto avuto luogo.

Terzo, Giovanni identifica certe situazioni come contemporanee: in 13:18, Giovanni chiaramente incoraggia i suoi lettori contemporanei a calcolare il “numero della bestia” e a decifrare il suo significato; in 17:10, uno dei sette re è correntemente sul trono; e Giovanni ci dice che la grande meretrice “è [tempo presente] la grande città, che regna [tempo presente] sui re della terra” (17:18). Ancora, la Rivelazione fu intesa per essere compresa nei termini del suo significato contemporaneo. Un’interpretazione futurista è completamente opposta al modo in cui Giovanni stesso interpreta la sua propria profezia.

Quarto, noi dovremmo notare con cura le parole dell’angelo in 22:10: “Non sigillare le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino”. Di nuovo, sicuramente, ci è detto esplicitamente che la profezia è contemporanea nella sua natura; ma c’è di più. La dichiarazione dell’angelo è in contrasto col comando che Daniele ricevette alla fine del suo libro: “tieni nascoste queste parole e sigilla il libro fino al tempo della fine” (Da. 12:4). Daniele ricevette specificamente l’ordine di sigillare la sua profezia, perché faceva riferimento alla “fine” nel lontano futuro. Ma a Giovanni viene detto di non sigillare la sua profezia, poiché il tempo di cui essa parla è vicino!

Così, l’attenzione del libro di Apocalisse è sulla situazione contemporanea a Giovanni ed ai suoi lettori del primo secolo. Fu scritta per mostrare a questi primi cristiani che Gesù è il Signore, “principe dei re della terra” (Ap. 1:5). Dimostra che Gesù è la chiave alla storia del mondo, che nulla può avvenire senza la sua sovrana volontà, che egli sarà glorificato in tutte le cose, e che i suoi nemici leccheranno la polvere. I cristiani di quel tempo erano tentati di compromettere con lo statalismo e con le false religioni dei loro giorni, ed essi avevano bisogno di questo messaggio concernente l’assoluto dominio di Cristo su tutto, in modo che potessero essere rafforzati nel combattimento al quale erano chiamati.

E anche noi abbiamo bisogno di questo messaggio. Anche noi siamo quotidianamente sottoposti alle minacce e alle seduzioni dei nemici di Cristo. Anche a noi viene chiesto, perfino da confratelli cristiani, di compromettere con la moderna Bestia e la moderna meretrice per salvare noi stessi (o i nostri impieghi, o le nostre proprietà o esenzioni tributarie o ricevere il 5‰). Noi pure siamo confrontati con una scelta: arrenderci a Gesù Cristo o arrenderci a Satana. Apocalisse parla potentemente alle questioni che affrontiamo oggi, e il suo messaggio per noi è lo stesso di quello che fu alla prima Chiesa: che non c’è un centimetro quadrato di terreno neutrale tra Cristo e Satana, che nostro Signore richiede la sottomissione universale al suo governo, e che egli ha predestinato il suo popolo alla vittoriosa conquista e al dominio su tutte le cose nel suo Nome. Non ci deve essere compromesso né posto di combattimento arreso nella grande battaglia della storia. Ci è stato comandato di vincere.


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