Etica sociale cristiana:
amore, giustizia e coercizione

 

Una tradizione e una fede profondamente radicate nella civiltà occidentale hanno da lungo tempo insistito che amore e giustizia sono incompatibili. Il vero ordine sociale, secondo questa tradizione, deve basarsi sull’amore; tutti gli uomini sono fratelli, l’umanità è una famiglia, e il genere umano dev’essere riunito. Nel nome di questa dottrina dell’amore, e per l’unità del genere umano, la coercizione deve essere applicata per unire ed integrare gli uomini. Questa coercizione è giustificata come indispensabile al welfare degli uomini ed una necessità allo scopo di porre fine alla coercitività di una giustizia che insiste sui diritti di proprietà, sul diritto alla privacy, e sulla libertà personale che è vista come  pericolosissima.

È necessario esaminare le radici di questo concetto per poter comprendere la natura e lo scopo di quest’etica dell’amore. Questa dottrina dell’amore ha due origini filosofiche principali. Prima di tutto è radicata nel monismo, un concetto metafisico che sostiene che ci sia solo una fondamentale realtà o Essere, di cui tutti gli aspetti particolari della realtà non sono altro che modalità o espressioni. In tempi antichi, Parmenide di Elea è stato l’esempio classico di monismo; il monismo di Parmenide era così radicale da fargli sostenere che la particolarità delle cose individuali fosse solo mera parvenza o illusione. La sola realtà per Parmenide è quell’unico Essere immutabile e omogeneo. Benedetto Spinoza, nell’era moderna, anch’egli un monista, ha sostenuto la dottrina di una realtà sostanziale, tutta inclusa nella natura, della quale gli esseri finiti sono semplicemente modalità. Più recentemente, Christian Science ha sostenuto il monismo, riducendo tutta la realtà alla mente onni-inclusiva. Un monismo modificato compare in molti filosofi come Josiah Royce.

Per il monismo, la destinazione finale dell’Essere è l’unità, l’assorbimento dei molti nell’uno, il tutto, il Grande Essere. Poiché noi siamo tutti un essere, tutti gli uomini sono fratelli metafisicamente e nel loro comune destino. Gli uomini sono considerati membri l’uno dell’altro e perciò obbligati a unirsi nell’amore. La giustizia è considerata divisiva, perché la sua enfasi è sull’individuo e sul particolare piuttosto che sul collettivo e sull’unità dell’Essere. La giustizia, nel richiedere un’enfasi sui diritti e sulle libertà individuali in contrapposizione alla grande unità dell’Essere è, in questa prospettiva, una limitazione sull’uomo e sul suo destino, una frustrazione dello scopo dell’Essere.

La seconda scaturigine di questa dottrina dell’amore è il dualismo, una dottrina metafisica che sostiene che ci siano nell’universo due sostanze indipendenti, ostili, e mutuamente irriducibili. Varie forme prominenti di dualismo nella storia includono il il Zoroastranismo, il Manicheismo, i Messaliani, i Bogomili, gli Albigesi, ed altri, incluse molte sette gnostiche e i loro discendenti. In questo modo di vedere, ci sono due divinità o esseri, due creatori, due scaturigini o fonti della realtà. Al presente l’universo è un confuso miscuglio di questi due esseri, e il compito dell’uomo è sgarbugliare l’universo. Da un essere provengono amore, spirito e unità. Dall’altro essere provengono odio, materia, e giustizia. Tra i due non ci può essere conciliazione: amore e giustizia sono concetti reciprocamente esclusivi. Le sette gnostiche sostenevano che il Vecchio Testamento e la maggior parte del Nuovo rappresentava la religione di Jehovah, il Dio dell’odio e della giustizia mentre essi rappresentavano il Dio d’amore, che appariva qui e là nel Nuovo Testamento e che era il Dio buono, mentre Jehovah era equiparato al diavolo, eccetto che Egli era visto come Essere malvagio di valore ultimo. L’amore perciò era la sola vera via di salvezza, e la giustizia apparteneva all’Essere malvagio la cui religione era una d’ira, odio, divisione, e disunità.

Ambedue queste dottrine, perciò, vedono la giustizia come divisiva e l’amore come unitivo. La salvezza si ottiene con e per mezzo dell’amore. La giustizia è anatema, nel suo senso cristiano, perché l’amore rappresenta una via più alta, una vera giustizia, per così dire. Queste dottrine dell’amore richiedono coercizione perché unità e fratellanza devono essere resi operativi se la società debba evitare le potenze demoniche della divisiva giustizia, un ordine sociale nel quale gli uomini vivono nei termini di libertà individuali piuttosto che in amore e unità collettivi. Ambedue, monismo e dualismo hanno lasciato profonde impronte sulla chiesa, e i moderni religiosi devoti alla salvezza per amore echeggiano antiche  dottrine di redenzione moniste e gnostiche nelle loro richieste di diritti civili, di fratellanza e governo mondiali, e del trionfo universale dell’amore.

Il cristianesimo è teista, non monista o dualista; ed è necessariamente ostile a queste due fedi in quanto distruttive della teologia. Inoltre, monismo e dualismo sono dottrine metafisiche che sostengono che il problema dell’uomo non sia etico ma metafisico, non il peccato ma la finitudine. Il cristianesimo afferma che il problema basilare dell’uomo è morale, cioè l’apostasia o ribellione dell’uomo contro Dio e il suo desiderio di essere come Dio (Ge. 3:5). Gli uomini non sono tutti fratelli se non nel peccato, in Adamo, e il peccato li lascia nella divisione e nell’inimicizia. Lo scopo della venuta di Cristo è divisivo, una divisione o separazione etica o morale nei termini di Cristo. Come Gesù dichiarò, molto presto nel suo ministero: “Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a mettervi la pace, ma la spada. Perché io sono venuto a mettere disaccordo tra figlio e padre, tra figlia e madre, tra nuora e suocera” (Mt. 10: 34-35). Questa divisione è una separazione etica e religiosa nei termini di Gesù Cristo.

In questa prospettiva biblica, non c’è tensione tra amore e giustizia. Non sono né ostili né irreconciliabili, come nel dualismo, né sono ridotti ad uno, a distruzione o dell’amore o della giustizia, come in alcune forme di monismo. Amore e giustizia, legge e libertà, hanno una comune origine in Dio, e non sono quindi in conflitto. L’esempio supremo del loro scopo comune è la croce di Cristo, nella quale l’assoluta giustizia di Dio è dimostrata nella pena di morte sul peccato; ed allo stesso tempo, la croce rivela anche l’amore di Dio, la cui giustizia richiede l’espiazione e il cui amore la provvede nella persona del suo unigenito Figlio. Abbiamo così nella croce la perfetta coincidenza di amore e giustizia.

L’amore non è neppure antinomiano, né è meramente sentimentale ed emotivo; agendo con giustizia nei termini di una volontà comune cioè della volontà di Dio, amore e giustizia, legge e libertà, non possono essere separati artificialmente. L’amore è in ogni istante strutturato dalla giustizia, e la libertà dalla legge, e viceversa. Il comando di amare include i nostri nemici, ed è definito come il compimento della seconda tavola della legge (Le. 19:18, 33-37; Mt. 19: 16-19; Ro. 13. 8-10). Se noi rispettiamo il diritto alla vita del nostro prossimo e del nostro nemico, e la santità della sua casa, della sua proprietà, della sua reputazione in pensieri come in parole ed opere, noi agiamo giustamente e con amore, a prescindere dalle nostre personali emozioni, e compiamo la legge; noi ci siamo comportati in obbedienza alla legge: Non assassinare, commettere adulterio, rubare, fare falsa testimonianza, o concupire [1].  La non resistenza descritta in Matteo 5: 38-48 è presentata in questo contesto insieme alla realtà di una situazione in cui uno Stato alieno che ha il controllo della legge, può “obbligare” servizio forzato per un miglio, può “colpire” con impunità, e può confiscare mantello e denaro a propria volontà. In tale situazione il realismo è la strada del pio e deve essere unita con restituzione di bene per male, e d’amore e giustizia per l’ingiustizia. La normale situazione di giustizia, ovvero la restituzione (“occhio per occhio”) non prevale nella legge ma deve prevalere nella forma di un responso di giusta sopportazione e d’amore.

Il principio biblico d’amore e di giustizia non è centrato sull’uomo ma su Dio. Il suo interesse primario non è l’amore per l’uomo e i diritti umani, ma la giustizia di Dio, la sua santa giustizia e il suo santo amore come rivelati nella croce di Cristo. Il requisito della giustizia di Dio è la restituzione, e la legge penale della bibbia ha come proprio obbiettivo, non la punizione del criminale ma la restituzione alla parte lesa e soprattutto la restaurazione dell’ordine voluto da Dio. La criminologia umanistica ha generalmente avuto in mente, non la restaurazione dell’ordine e la restituzione, ma la salvezza del criminale. Aulo Gellio, in linea col pensiero greco e romano, vide “tre ragioni per punire il crimine”. Prima: “Allo scopo di correggere e riformare”, seconda: “Per preservare l’onore”, cioè salvare la faccia dell’offeso, e terza: “ Allo scopo di dare un esempio, in modo che altri per timore di una pena riconosciuta potessero essere trattenuti da simili peccati” [2].  Il criminale deve essere salvato con la coercizione, con l’imprigionamento, con la punizione. Il principio biblico non ricerca la salvezza per mezzo della coercizione ma per mezzo della grazia di Dio; la funzione della coercizione giuridica non è salvare ma effettuare una restituzione di proprietà e, nel caso di assassinio, restituzione per mezzo della perdita del diritto alla vita. Ma, basilare alle religioni dell’amore è il concetto di salvezza per mezzo della coercizione giuridica. L’uomo deve essere fatto diventare buono, non da Dio ma dall’uomo, e questo significa coercizione per legge, l’obbligo coatto di dividere coi propri consimili.

La coercizione in qualche forma è inevitabile a qualsiasi filosofia, per quanto alcuni tentino di negarlo. La coercizione di un certo tipo è basilare anche alla posizione biblica, perché è centrata su Dio, e l’uomo deve conformarsi alla legge di Dio. La coercizione è inevitabile. La domanda fondamentale riguardo alla coercizione è duplice: Qual’è la sua scaturigine ultima? E a quale scopo?

Esaminiamo la natura della coercizione per mezzo di una semplice illustrazione. C’è coercizione coinvolta nello stabilire un’abitudine di mangiare al mattino, mezzogiorno, sera. La routine della vita di scuola e di lavoro ci costringe a conformarci a queste ore, quali che siano i nostri desideri personali. Normalmente noi possiamo mangiare solo agli orari destinati dalle routine della vita istituzionale o industriale. Questo è coercitivo. Non possiamo richiedere ciascuno la libertà a questo riguardo e continuare a lavorare. Ma lo scopo di questa coercizione è l’ordine sociale, non il nostro individuale governo o controllo ma la necessità di stabilire un terreno comune di operatività per tutti. Questo è un giusto ordine. Questo è un ordine coercitivo designato per estendere la massima libertà sotto legge. In parte questa è la natura della legge biblica, creare una società ordinata nei termini dell’ordinamento di Dio e per il continuato benessere dei suoi membri. Se, però, un gruppo di manager decide che la nostra salvezza richiede che mangiamo certi cibi in certe definite quantità solamente, e nel nome della nostra salute e dell’amore ci obbligano in tal senso, possiamo chiamare il loro scopo: non giustizia ma salvezza. La radice del significato di “salvezza” è salute, e salvezza nel suo senso più pieno significa la salute fisica e spirituale dell’uomo. Il suo scopo cristiano non è solo la salvezza dell’anima ma la resurrezione del corpo e la glorificazione dell’uomo redento. Nel rimpiazzare la giustizia come scopo sociale con la salvezza per mezzo di leggi fatte dall’uomo, l’uomo è colpevole del grande e centrale peccato: di avere assunto il ruolo di Dio. La salvezza è pertinenza e opera di Dio, non dell’uomo, e la società salvifica è la Grande Società dell’Anticristo.

Quando la legge diventa ‘salvazionista’, diventa ostile alla giustizia e alla libertà. Nella prospettiva cristiana, libertà e legge sono aspetti diversi della stessa cosa. La predestinazione, o legge totale, non è fatalismo ma anzi totale libertà. La persona prevedibile è la persona libera; la disciplina è libertà e predestinazione e libertà sono uno perché il concetto biblico di libertà non è antinomiano. La libertà esiste sotto la legge e nella legge. La persona imprevedibile è pazza; manca di legge nel suo essere, è senza disciplina e ordine nelle sue azioni e nei suoi pensieri. E, senza legge, il risultato è l’anarchia. L’uomo non è la fonte ultima dell’ordine: Dio lo è, perciò Dio predestina l’uomo. Quando l’uomo erge se stesso a valore ultimo, egli fa di se stesso, nella forma dello stato, anche l’ultima fonte dell’ordine: lo stato ha valore ultimo perciò lo stato predestina l’uomo. La fonte di legge e di ordine, di controllo personale e sociale, vale a dire della predestinazione, o è Dio o lo sono i pianificatori sociali.

Ogni qual volta la legge dell’uomo assume il controllo, ne consegue la tirannia. Diritti civili diventano pietre angolari di soprusi civili perché i “diritti” dell’uomo sono fatti diventare più basilari di giustizia e legge. In una lezione alla Sorbonne, il 23 aprile 1910, Theodore Roosevelt contrappose i diritti umani ai diritti di proprietà:

In ogni società civile, i diritti di proprietà devono essere attentamente salvaguardati. Ordinariamente e nella grande maggioranza dei casi, i diritti umani e i diritti di proprietà sono fondamentalmente e nel lungo termine, identici; ma quando appaia chiaramente che c’è un reale conflitto tra di essi, i diritti umani devono avere la precedenza, poiché la proprietà appartiene all’uomo e non l’uomo alla proprietà [3].

Detta in modo più onesto, l’antitesi di Roosevelt dovrebbe suonare così: I desideri e le richieste dell’uomo devono avere la precedenza, se ciò può essere ottenuto con giustizia, bello e buono, ma, se non è possibile, l’uomo deve prevalere sulla giustizia. Theodore Roosevelt, naturalmente, sentiva che questa esaltazione dell’uomo sopra la giustizia rappresentasse la vera moralità, cioè: amore per l’uomo e, nei termini della religione dell’amore era corretto, ma chiaramente non rappresentava alcun rispetto per la giustizia. Assumendo che la situazione fosse d’ingiustizia, come credeva Roosevelt, la risposta all’ingiustizia non è altra ingiustizia. La religione dell’amore, però, crede nella salvezza per mezzo dell’amore dell’uomo, non per mezzo della giustizia di Dio né per mezzo della sua grazia, e quindi si dà alla coercizione per poter predestinare alla salvezza l’uomo e la società.

L’obbiettivo di questo amore coercitivo è fratellanza, solidarietà umana, unità, collegialità. Collegialità e comunità si possono ottenere in due modi: primo, per imposizione dall’alto come requisito obbligatorio messo in atto da uno Stato totale. Si ottiene la collegialità ma si perde la libertà e prevale la tirannia. Secondo, la collegialità cristiana proviene dall’alto nel fatto che è derivata dalla grazia salvifica di Dio, ma la sua manifestazione umana si esprime in libere associazioni. Richiede libertà; corre il rischio di tensioni, scismi e divisioni, ma è vera comunità e collegialità nel suo sviluppo [4].  È personale e associativa anziché statalista. Dovunque si introduca collettività per azione statalista, la collegialità individuale e associativa e la libertà vengono distrutte.

Questa religione dell’amore, essendo, come tutte le altre religioni, interessata alla salvezza, è una religione di salvezza per opere umane, per mezzo dell’amore dell’uomo, e per mezzo delle leggi coercitive di quell’amore umanistico. Provvedimenti statali diventano perciò obbligatori. Le chiese che sostengono questa dottrina sono profondamente interessate all’agire sociale, coi diritti civili, lobbismo, e la promulgazione di ogni tipo di leggi che obblighino l’uomo ad essere amorevole. Così, il Rev. Paul Beeman, un ministro Metodista a Seattle, nella funzione di rappresentante legale del Consiglio delle Chiese, ha dichiarato: “Se la chiesa non prende interesse nella vita collegiale degli uomini, chi lo farà? Se Gesù fosse vivo oggi in America, potrebbe benissimo essersi presentato alle elezioni” [5].  Il Gesù biblico rifiutò di essere re quando gli uomini cercarono di forzarlo ad assumere la corona (Gv. 6:15) perché il suo Regno mentre è su questo mondo, non era di questo mondo (Gv. 18:36). Il mitico Gesù di Paul Beeman si sarebbe presentato alle elezioni perché il suo solo potere sugli uomini è di questo mondo per mezzo dell’amore coercitivo e politico, di fatto un Gesù molto limitato.

Questa dottrina di salvezza mediante l’amore, o per mezzo di provvedimenti politici coercitivi per far applicare questo amore richiesto, è semplicemente una manifestazione di ciò che i Riformatori chiamarono la religione di salvezza per opere. La salvezza per opere è salvezza attraverso l’uomo, e la sua coercizione è la coercizione delle leggi dello stato. La coercizione di una dottrina di salvezza per opere procede inevitabilmente verso lo statalismo totale, ad una pianificazione totale o predestinazione fatta dall’uomo.

La religione biblica sostiene la dottrina della salvezza per mezzo della grazia sovrana di Dio come è stata manifestata in Gesù Cristo e nella sua morte espiatoria, nella sua resurrezione, e nell’accettazione di ciò da parte dell’uomo per fede. È giustificazione o salvezza per mezzo della fede, non per opere. Anche la salvezza per fede ha la propria dottrina della coercizione, ma è coercizione da parte di Dio, per mezzo dell’azione dello Spirito santo nel cuore dell’uomo da cui nasce la fede rigeneratrice. Questa è coercizione soprannaturale, ma è una coercizione che opera dentro la cornice e nel totale contesto dell’individuo e della sua personalità. Questo è controllo totale, ma è un controllo totale orientato alla totale libertà morale dell’uomo. La legge civile e la legge religiosa sono erogate dalle pretese totalitarie dell’uomo salvatore. La funzione della legge civile è confinata a frenare il malfattore, l’imposizione della restituzione al trasgressore, e a fornire quella libertà che un giusto ordine sociale rende possibile. lo scopo della coercizione, essendo separato dalla salvezza, diventa strettamente legato alla certezza di libertà.

Una religione dell’amore quale mezzo alla salvezza significa che le opere dell’uomo conducono alla salvezza e questa fede fa della coercizione flagrante ed ingiusta la propria legge e la propria pratica perché, essendo incapace di lavorare internamente sul cuore dell’uomo, come Dio è capace di fare, deve perciò lavorare sul suo corpo. Cercherà, attraverso l’educazione e programmi di salute mentale, di entrare nell’anima dell’uomo, ma questi metodi, per quanto usati pesantemente, sono secondari all’impostazione basilare: salvezza per mezzo di legge totale coercitiva.

L’etica sociale biblica provvede uno strumento per l’ordine sociale più lento ma più sicuro. Assicura l’ordine, stabilisce collettività di natura vitale piuttosto che giuridica. È creativa di ordine sociale e di libertà individuale. Rigetta il monismo e il dualismo e vede amore e giustizia come armonici, e considera legge e libertà come concetti strettamente correlati. Limita la coercizione umana perché limita i poteri umani, e nella misura in cui qualsiasi dottrina religiosa s’allontana dalla dottrina biblica della sovranità di Dio per affermare il potere sovrano e auto-salvante dell’uomo, in quella misura introdurrà coercizione nell’ordine sociale. Una misura di coercizione è inevitabile in ogni ordine sociale, la domanda è: sarà quella coercizione usata per assicurare la giustizia e rendere possibile la libertà umana e l’esercizio dell’amore, o quella coercizione nel nome dell’amore e del salvare l’uomo distruggerà amore, giustizia e ordine sociale? La risposta cristiana è nitida: dobbiamo riservare solo a Dio il potere di salvare.

 

Note:

1 Si veda Frederick Nymeyer: Progressive Calvinism, Vil. I, 1955; “Essays Against Sanctimony and Legalized Coercion”.South holland, Illinois: Libertarian Press.

2 John C. Rolfe, traduttore: Attic Nights of Aulus Gellius, vol. II, p. 127 ss. Londra: William Heinemann, 1928

3 Racine, Wisconsin, Daily Journal, Saturday, April 23, 1919, vol LVI, n° 97, p. 1 “Roosevelt Address on Citizenship”.

4 Si veda R. J. Rushdoony: This Independent Republic, pp. 84-89. Nutley, N.J.: Craig Press, 1964.

5 Oakland Tribune, Friday, January 29, 1965, dal titolo: “Lobbista inusuale presenta un programma di chiesa in 22 punti”.

 


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