Gli Scopi della Legge

Il relativismo e il pragmatismo hanno avuto l’effetto di erodere il concetto di legge talché l’idea di legge, spesso molto esplicita per l’uomo tribale, è una cosa vaga e priva di significato per l’uomo secolare. Ma l’ordine sociale è impossibile senza legge e il declino dell’ordine è una conseguenza del declino della legge.

Qual è, dunque, la corrente valutazione della legge? Max Radin, in Law as Logic and Experience, vede la legge come aver avuto una connotazione logica. Per logica intendendo qui la manifestazione di un ordine di giustizia eterno e razionale. Ma, sui passi di Oliver Wendell Holmes, che cominciò The Common Law (1881) con l’affermazione: “La vita della legge non è stata la logica. È stata l’esperienza”, Radin la vede anche come esperienza. Per Radin, comunque, per quando dedicato alla legge come esperienza, la logica è ancora indispensabile. “Noi non possiamo esprimere l’esperienza umana se non nei termini di qualche generalità che coinvolge la logica” [1]. La logica che Radin sceglie di utilizzare è in essenza umanità*. “Il miglior tipo di giustizia fu determinato da un irrazionale senso di fratellanza umana, per una concessione all’umanità che in questo caso è lo stesso che un sentimento d’umanità … la giustizia che uomini giusti che sono anche uomini umani applicheranno quando sono giudici. Gli uomini giusti sono uomini talmente Kantiani da non pensare ad altri uomini come a mezzi per i loro fini, nemmeno quando gli altri sono ammissibilmente e incommensurabilmente inferiori a loro stessi …. L’umanità è, dopo tutto, il campo d’attività della legge” [2].  Possiamo sicuramente concordare con la necessità di sentimento umano, ma quando si riduce la legge a sentimento umano e  si equipara ad esso la giustizia, a quel punto abbiamo rimpiazzato la giustizia con la compassione e sostituito il sentimentalismo per la legge. La logica del sistema di Radin è quella dell’uomo autonomo, la cui sola legge è sé stesso.

Thurman W. Arnold mantiene una posizione correlata a quella di Radin. “Vero” e “Falso” sono superati come categorie di pensiero e rimpiazzati dal “pensiero scientifico”. Di fatto, Arnold è così ingenuo da credere di partire senza assiomi preconcetti e, in quanto scienziato, produce meramente “Piuttosto che un sistema, comunque, una serie di osservazioni, per la maggiore intorno a dettagli” [3].  Però, ogni osservazione è da un punto di vista e nei termini di una filosofia altamente sviluppata anche se non riconosciuta. Arnold attacca senza tregua l’idea che la legge rappresenti un ordine di verità eterno, anzi, è meramente folklore.

Se è vero che la teoria economica, legale, e politica è solo il folklore della società moderna, l’altro lato del paradosso deve essere tenuto in mente. Folklore che sia riconosciuto francamente da un popolo essere folklore da quel momento non è più folklore. La sua magia se n’è andata, e un nuovo folklore, che non è ancora riconosciuto come tale, deve sorgere [4].

Ciò che questo gergo cela è il fatto che, quando una società dubita il vero delle proprie fondamenta, cerca il vero di nuovo, rinunciando l’errore, perché rifiuta di vivere nei termini di una riconosciuta menzogna. Arnold stesso nota che “la legge è un barometro dell’appagamento spirituale di un popolo” e i tribunali e la legge sono una misura della sua stabilità [5]. Al presente, Arnold vede emergere una nuova filosofia il cui assioma fondamentale potrebbe essere “Che l’uomo lavora solo per il suo consimile” in altre parole una fede collettivista [6]. Il vero, comunque, rimane irrilevante come banco di prova. “Il mondo non vedrà mai una permanente valida filosofia finché la scienza non scoprirà un metodo per fermare il Tempo” [7]. Malgrado tutto questo, Arnold guarda speranzoso al levarsi della psichiatria, il sorgere di una “classe di governo competente, opportunistica” libera da “principi preconcetti”, in modo che  “ l’alleviamento pratico del bisogno umano e la distribuzione di beni disponibili” possano essere ottenuti piuttosto che frustrati. In questo modo, certamente,  nelle stesse parole di Arnold, egli “ha fede” nel trionfo di certe cose “e a quella speranza è dedicato questo libro” [8].  Sentimento umano e umanità sono ancora una volta il nuovo principio della legge in questa “scienza” che si pretende libera da principi.

Contrariamente a quel che dicono i moderni pensatori, la legge è un prodotto della metafisica, l’espressione culturale di una fede basilarmente religiosa. L’odierno eludere la metafisica non significa affatto che sia eliminata. Gli uomini non sono esonerati dalla metafisica meramente perché rifiutano di discuterne, più di quanto una raffinata astensione dal menzionare la defecazione elimini quel fatto.  La metafisica sta alla base di discorsi, pensieri e azioni di ogni giorno. Le presupposizioni religiose dirigono ogni attività dell’uomo e sono le tacite premesse dietro ad ogni parola. Le asserzioni sono come iceberg che nascondono sotto la superficie il più massiccio mondo di significato che le sostiene. Il nascosto ed il taciuto non è per questo eliminato. La moderna filosofica santimonia nei confronti della metafisica è in questo modo troppo spesso un esempio patetico di forme di pensiero magiche, un credere che i fatti possano essere dissipati e fatti scomparire con un incantesimo mentale o verbale. Il pragmatismo non ha bandito la metafisica dalla sua filosofia; è diventato più primitivo in quell’ambito. L’analisi logica, rinunciando alla metafisica mentre la presuppone in ogni asserzione, sta solo dimostrando la sua ingenua mancanza di auto-analisi e la sua mancata comprensione del significato delle presupposizioni pre-riflettive.

Come hanno osservato Bronislaw Malinowsky ed altri, tutte le organizzazioni sociali senza eccezioni implicano una serie di norme cosicché l’interezza della vita e dell’attività sociale sono regolate da quelle norme. La legge è un aspetto di questo vivere normativo e, come la religione di cui è la manifestazione culturale, ha il suo credo, i suoi riti, le sue cerimonie e le sue forme. Difatti, Aristotele registrò che gli Agatirsi della Transilvania esprimevano le loro leggi col canto, un modo assai comune per gli uomini per manifestare la propria fede. Poiché la legge è importante, la sua procedura è importante e le leggi sono perciò sia di diritto sostanziale che di diritto processuale.

Fin dall’inizio l’uomo, nel cercare di comprendere ciò che la legge debba essere, è stato sedotto dal concetto di legge naturale contrapponendola all’insistenza biblica sulla legge soprannaturale. Tra le due, a dispetto di tutti i tentativi di sintesi medievali e post-medievali, c’è un conflitto irreconciliabile. La Bibbia parla sì dell’universo materiale come ostile ai malvagi (Giudici 5:20), ma solo perché quel mondo è controllato e usato in modo assoluto dal Signore degli eserciti.

Molto tempo prima che il concetto di legge naturale venisse mai formulato nelle sue forme più primitive, era un articolo di fede in forme legali quali la prova col fuoco, prova col combattimento, prova per mezzo del mare e altre forme di processo per ordalia. Alla base del concetto di ordalia c’è la credenza che la natura, il mondo così com’è, è normativo e rigetterà il malvagio. L’universo è legge incarnata, e il risultato deve inevitabilmente rivelare quella legge. L’ostilità della Bibbia a questo concetto è immediatamente evidente; la fede biblica vede il mondo come caduto e pervertito e certamente non normativo. Come osservò il Salmista: “Ho visto l’uomo potente e violento prosperare come un albero verdeggiante sul suo suolo natio”. La scaturigine della legge perciò non può in alcun modo essere una creazione caduta e ribelle, sia perché è derivativa e creata, sia perché è pervertita. Può essere solamente il Dio sovrano e onnipotente. La legge Mosaica, data in un’epoca dominata dal concetto dell’unione del cielo e della terra come un’unità, e del carattere normativo della natura, in una sorprendente legge parodiò il processo per ordalia e forzò un paragone tra la legge di Dio e tutte le leggi allora correnti. Questo è il processo per gelosia di Numeri 5: 11-31, data in meticoloso dettaglio [9]. Di fatto, la Scrittura da’ maggior attenzione a questa legge di principio che ad altre di evidente maggiore importanza per i lettori moderni. Spiegato in breve, il processo di gelosia avveniva come segue: una donna sospettata di adulterio da suo marito veniva dal sacerdote fatta bere dell’acqua davanti a Dio; l’acqua era consacrata per benedire o maledire. Se la donna era colpevole l’acqua sarebbe diventata amara, facendo gonfiare la sua pancia e consumare i suoi fianchi e sarebbe diventata “un oggetto di maledizione e d’imprecazione fra il tuo popolo” e se incolpevole “sarà riconosciuta innocente”. Per contrasto, nel processo per ordalia sotto la legge naturale, alla donna sarebbe stato fatto bere del veleno e sarebbe stata colpevole se ne fossero seguite le conseguenze naturali. La differenza è alquanto singolare. Nell’ordinanza Mosaica, la natura è incapace di dichiarare la colpevolezza; solo un atto soprannaturale poteva portare giudizio. Nell’altro, la natura è normativa e determina il caso. Nel primo caso, il giudizio è soprannaturale, nell’altro, naturale, ciascuno operante  su premesse radicalmente diverse. Per la legge naturale, la giustizia è la natura della natura. Per la legge biblica, la giustizia è una divina interposizione, usualmente per mezzo di stabilite agenzie umane, dentro al mondo dell’uomo e della natura, ed è la restaurazione dell’ordine ad un mondo disordinato e caduto e l’aggiunta di crescita di direzione ad una società decadente e senza direzione. Nella lunga storia dell’ordalia nella cultura occidentale, c’è una stretta relazione tra l’ordalia e la prevalenza della teologia della legge naturale, una fede largamente sostenuta sia nella chiesa Romana che in quelle Protestanti. L’ordalia lasciò infine il passo solo ad altre espressioni della stessa fede nel carattere normativo della natura, che è il dogma basilare di tale processo, quale che sia la sua forma, Cinese, Teutonica, Iraniana o pseudo-cristiana. Questa credenza della reiezione del malvagio da parte della natura è ostile ad una fede che sostiene che la natura stessa è in schiavitù (Romani 8: 15-23), e che, mentre sicuramente la natura riflette la gloria di Dio (Sa. 19:1), solo “la legge dell’Eterno è perfetta” (Sa. 19:7) e Dio solo è l’autore della legge. Il punto di partenza e la premessa della legge è “Io sono il Signore (Jehovah)” (Es. 20:2). Il concetto di legge naturale che sia nella sua forma del processo per ordalia o nella formulazione filosofica, ha inevitabilmente aperto la strada al relativismo e al pragmatismo, che di fatto sono forme di legge naturale e sviluppi della stessa.

Il concetto di legge naturale ha tratto profitto per alcuni secoli per la sua associazione col pensiero cristiano e la sua relazione ad un assoluto e sovrano legislatore: Dio. Mano a mano che il soprannaturale perse la sua rilevanza per l’uomo occidentale, la legge naturale divenne “naturalizzata” e sempre più identificata con alcuni aspetti dell’ordine umano quali la maggioranza, la volontà generale, lo stato, o la legge positiva, finche perse ogni significato, al punto che infine i realisti come Holmes se ne allontanarono disgustati in favore di un concetto di legge come esperienza [10].

Per la fede biblica, la natura non è la fonte della legge, ma lo è Dio solamente, il quale è il legislatore ma Egli stesso libero dalla legge, non perché ne è fuori ma perché ne è al di sopra. In altre parole, la legge non governa Dio ma è da Lui governata. La legge è in questo modo il confine tra Dio e la creazione, nel fatto che la creatura non può trascendere la propria creaturalità. Il peccato dell’uomo fu “essere come Dio” (Ge. 3:5), essere la propria fonte della legge ed essere da un lato il proprio legislatore e dall’altro anche libero e al di fuori della legge. Per il pensiero biblico, come ha indicato Dooyeweerd: “La lex è riconosciuta come avente origine dalla creativa sovranità di Dio, e come il confine assoluto tra l’Essere dell’arche e il significato di tutte le cose create come ‘soggetti’ soggetti a una legge” [11].

Quali sono gli scopi della legge? In virtualmente ogni cultura, qualsiasi altro scopo la legge possa avere, la sua funzione centrale è rendere buoni gli uomini, portarli in conformità col giusto ordine delle cose. Di fatto, in alcune lingue le parole per “diritto” (retto) e “legge” sono identiche. I tentativi dell’uomo di pervenire al millennio o epoca d’oro per mezzo della legge e di riforme per mezzo della legge sono innumerevoli, e i loro fallimenti sono cospicui. Come Siegle ha osservato: “ È stato detto che quelli che vivono di spada periranno di spada. È egualmente vero che quelli che vivono di legge periranno di legge!”[12]. Sicuramente, qual che sia il concetto sostenuto dai filosofi, il concetto popolare di legge è definito in modo molto semplice: il suo scopo è rendere buoni uomini e società. La legislazione è stata diretta a questo fine da tempo immemore, e le crociate morali sono di solito andate a terminare nei libri statutari. Il Patto di Parigi dell’agosto 1928, chiamato anche il Patto Briand Kellog, mise fuorilegge la guerra e, per l’agosto del 1932 sessantadue delle sessantaquattro nazioni del mondo l’avevano firmato. Dietro a quel patto  risiede una lunga storia di sforzi e legislazioni antichi, medievali e moderni, e le Nazioni Unite sono un monumento a quella continuata speranza.

Il legalismo morale o fariseismo cerca di spingere l’uomo a diventare buono con le leggi e di ordinare la società in modo tale che l’uomo divenga inevitabilmente e necessariamente buono quanto felice. L’epoca moderna certamente dà una diffusa evidenza di questa speranza. La Chiesa Romana, con ambedue il suo sistema penitenziale e il suo concetto di salvezza moralistico, cerca di legiferare l’uomo dentro al paradiso e, per mezzo del suo concetto di stato cristiano, si sforza di creare un ordine dove gli uomini devono essere pii. La cristianità protestante, cercando di fare leggi contro i vizi personali come strumento verso un ordine sociale da un lato, e col suo vangelo sociale dall’altro, cerca di rendere gli uomini buoni per mezzo dello stato piuttosto che per mezzo di Cristo. Il Marxismo, una moderna forma di fariseismo, afferma la stessa fede nella capacità della legge di ricreare l’uomo, e lo scopo dello stato è di usare il legiferare per rimodellare l’uomo e la società. Lo stato sociale in occidente ha una funzione simile. In ciascuna e in tutte queste forme, la legge è moralismo col massimo utilizzo della coercizione. Nessuna moralità può precedere la coercizione, ma ogni moralità diventa meschino moralismo quando la frusta prende il posto della fede religiosa quale impulso basilare all’azione. Nella moralità, la priorità in azione è una motivazione centrata in Dio; nel moralismo l’impulso teocentrico o non c’è più o è secondario.

Wilhelm Ropke ha richiamato l’attenzione sul moralismo inerente in tutti i moderni socialisti, collettivisti o centristi.

Vediamo anche che il centrista è quello che abbiamo chiamato un moralista, un moralista di tipo retorico, dozzinale, che abusa grandi parole come libertà, giustizia, diritti dell’uomo e altre, fino a farle  diventare vuota fraseologia che atteggia a paragone di virtù e finge umiltà per usare il suo moralismo come arma politica e per rappresentare il suo meno appariscente avversario come moralmente inferiore. E ancora, poich’egli guarda le cose dall’alto, da ben al di sopra della realtà della gente individuale, il suo moralismo è di un tipo astratto, intellettuale. Lo autorizza a sentirsi moralmente superiore agli altri per la semplice ragione che egli colloca le sue asserzioni morali talmente in alto e fa richieste alla natura umana senza considerare ne le condizioni concrete ne le possibili conseguenze dell’adempimento di queste richieste. Non sembra capace di immaginare che altri possano non essere uomini minori perché non vedono queste cose così facili da compiere e  fanno invece i conti con le complicazioni e le difficoltà di un codice etico pratico e concreto all’interno del quale non è raro volere il bene e fare il male.
Il moralista “di sinistra” fin troppo spesso raggiunge il punto in cui le sue  grandi parole di amore e libertà e giustizia servono da copertura per l’esatto opposto. Il moralista, con le sue eccelse ammonizioni, diventa una persona intollerante piena d’odio e d’invidia, il teorico pacifista messo alla prova pratica diventa un imperialista e l’avvocato di astratta giustizia sociale diventa un ambizioso scalatore di poltrone in politica [13].

Lo scopo dei moralisti di ogni varietà è di usare governo e legge entrambi come strumenti per render buoni l’uomo e la sua società.

Il moralismo rivela in questo modo il suo concetto della buona vita per mezzo delle sue leggi, ma rivela anche molto di più, perché la legge è un indicatore non solo dell’etica di un popolo ma anche della sua religione. La legge quindi non è solo rappresentazione o simbolo della buona vita ma della vita stessa, o così com’è, nelle società formalmente religiose, o come sarà, nelle religioni secolari dell’evoluzione scientifica. La vita, nel pensiero evoluzionista  Darwiniano e post-Darwiniano è in progresso, e perciò la realtà è in progresso, ma quel progresso ha un obbiettivo, il perfezionamento dell’uomo e della sua società. Darwin, nei due paragrafi conclusivi di Le Origini delle Specie, affermò la sua fede basilare in quell’obbiettivo. Da un “semplice” e squallido inizio: “dalla guerra della natura, da carestia e morte, consegue direttamente l’oggetto più eccelso che siamo capaci di concepire, la produzione di un animale più alto”. L’uomo può perciò “guardare con qualche fiducia ad un sicuro futuro di grande lunghezza. E mentre la selezione naturale opera solamente con e per il bene di ciascun essere, tutti gli attributi corporali e mentali tenderanno a progredire verso la perfezione”. Parecchie presupposizioni pre-scientifiche si possono discernere immediatamente in queste poche righe:

  1. Il procedimento è di fatto orribile, ma l’obbiettivo é glorioso e giustifica il procedimento.
  2. Il progresso è perciò un aspetto basilare della realtà.
  3. Il progresso non è senza fine ma è verso la perfezione ed è dunque nei termini di un obbiettivo raggiungibile e vicino.
  4. Il processo non è solo verso l’obbiettivo della perfezione del tutto, ma “opera solamente con e per il bene di ciascun essere” talché la perfezione è per il tutto e per ogni parte. In questo modo la promessa biblica di Romani 8:28 è sorpassata: tutte le cose cooperano per il bene, non solo degli eletti, ma per ogni singolo individuo come per la totalità.
  5. L’oggetto più eccelso che siamo capaci di concepire non è Dio ma “i più alti animali” per implicazione in particolare l’uomo. Così, l’obbiettivo del procedimento universale è per deduzione l’apoteosi dell’uomo.

Non si potrà negare il fatto che questa è stata di fatto la presupposizione di tutto il pensiero politico orientato dalla teoria darwiniana ed evoluzionista. Ne consegue che la legge ha avuto una funzione utilitarista o pragmatica: affrettare l’uomo in questo escatologico ordine di beatitudine. I recalcitranti devono, per il loro bene, essere dalla legge forzati dentro a questa bontà. Per quanto i moderni pensatori siano riluttanti a rivelare il basilare moralismo delle loro teorie sulla legge, il basilare moralismo rimane. Si noti, ad esempio, la definizione di legge di John Dewey: “La legge è una dichiarazione delle condizioni dell’organizzazione delle energie che, quando non organizzate, configgono e risultano in violenza – vale a dire in distruzione o spreco” [14]. Certe implicazioni sono chiaramente in evidenza:

  1. Visto che, come Dewey ha indicato, la forza non può essere separata dalla legge, Dewey ovviamente presuppone alcuni concetti di forza che la differiscono dalla violenza.
  2. Ancora, c’è una supposizione che certe energie sono distruttive o di spreco mentre altre sono legittime e costruttive, o, quantomeno costruttive e potenzialmente legittime.
  3. La legge, perciò, col sostegno della forza quale necessario carburante per la legge, organizza le energie della società per produrre il massimo della desiderata “costruzione” anziché “distruzione”.
  4. Le “energie” non dovrebbero “configgere” come invece faranno se “non organizzate”, il che ovviamente significa, come Dewey così ovviamente intende, che pianificazione e direzione centrale sono necessarie alla società.
  5. Il risultato è legge senza trascendenza in una società senza trascendenza, società nella quale l’energia organizzata che sopprime il conflitto è in effetti divinizzata e fatta essere la legge a fondamento della legge. Come ha osservato uno dei più acuti critici di Dewey: “Lo Stato non può sbagliare, perché ciò che è giusto è determinato da ciò che lo Stato fa” [15].

Il risultato del pensiero di Dewey non è diverso da quello degli altri sistemi moralistici. Dovunque l’etica abbia il sopravvento sulla metafisica, e la moralità sulla religione, lì abbiamo inevitabilmente la divinizzazione dell’uomo e la riduzione della legge alla volontà dell’uomo. Questo è altrettanto vero dell’apparentemente ortodosso Christian Commitment (1957) di Edward John Carnell quanto delle opere di Auguste Comte.

D’altra parte, quando la Chiesa di Roma si è spostata dall’Agostinianesimo di Anselmo all’Aristotelianesimo di Abelardo e Tommaso D’Aquino, si spostò dentro ad un’epistemologia radicalmente non cristiana che enfatizzò l’autonomia dell’uomo ed ellenizzò il pensiero cristiano. Il contrasto biblico tra il peccato e la grazia fu rimpiazzato da un contrasto tra natura e grazia, il mondo della natura veniva in questo modo separato da Dio e gli veniva data un’esistenza separata. Il mondo della grazia divenne il chiostro ed il ritiro dal mondo, e la connotazione extra-mondana, così aliena alla fede biblica e così sempre più prominente nella cristianità post-apostolica, venne sempre più rinforzata filosoficamente dallo Scolasticismo, fino a che il rasoio di Occam implicitamente sbarbò via il soprannaturale dall’universo. La Ragione divenne la prerogativa di filosofia e scienza in virtù di un mondo diviso, e una fede cieca e irrazionale il rimpicciolito territorio della religione. Peccato e grazia non avevano niente a che vedere con la natura, essendo il peccato meramente una perdita di grazia soprannaturale e non una perversione della natura, cosicché la grazia non aveva nulla a che vedere con la natura o la ragione, meramente restituendo come fece il dono o appendice soprannaturale. Questo lascito dell’Aquinate divorziò Dio dalla natura e fece del moralismo il surrogato per Dio fornito dall’uomo. L’esperienza mistica e la visione intellettuale di Dio furono i mezzi di salvezza per l’esperto, ma per la maggior parte degli uomini, la scala delle opere fu la risposta pratica. Questo concetto di opere, collocato nella cornice di un’epistemologia non-cristiana, fu il trionfo del moralismo nel fatto che l’intera vita dell’uomo fu fatta poggiare, non sulla grazia di Dio, ma sulle opere dell’uomo, le quali governavano il fluire della grazia. Questo governato fluire ha dominato non solo la fede Romana e alcuni concetti Puritani e Anabattisti della venuta del Regno di Dio, ma anche i movimenti rivoluzionari secolari.

Il moralismo ha dunque profonde radici nella storia della chiesa ed è stato  il carattere principale del suo pensiero. Nella sua forma secolare, l’Illuminismo si accinse a ri-creare la terra nei termini del moralismo, e la Rivoluzione Francese unì tre fattori considerati essenziali ad ogni tale modo di pensare a partire da allora: “l’alleanza tra irreligiosità, speranza utopica e coercizione. Il risultato di questo combinato progetto Secolarista è stato fin qui non un paradiso in terra ma qualcosa di molto diverso: lo Stato moderno” [16].  La chiesa è stata impotente nel trattare con questa crisi della cultura perché, che sia stato per mezzo di encicliche papali, di dichiarazioni del Consiglio Mondiale delle Chiese, del vangelo sociale, o di rinnovamento fondamentalista, di suo aveva solamente un battezzato moralismo da offrire ed è perciò stata incapace di sfidare la deriva suicida dell’uomo autonomo.

Una risposta diretta al moralismo e al suo concetto antropocentrico di legge è l’essenza del concetto biblico della legge, riassunta da Paolo in Romani 3, Galati 3, ecc. e riaffermata alla Riforma, ma sfortunatamente troppo presto negletta sia da Luterani sia da Calvinisti. Giovanni Calvino, ne Istituzione della Religione Cristiana, (prima stesura, 1534 o 1535, edizione finale 1559), e la Formula della Concordia Luterana (1576), definirono chiaramente gli scopi della legge in termini biblici. La Formula della Concordia dimostrò chiaramente l’influenza del calvinismo e non ricevette dai Luterani quella ampia accettazione che ricevettero invece altre confessioni. Calvino stesso fu presto infetto da razionalismo e divenne moralista quanto qualsiasi dei suoi rivali, e aree di pretesa ortodossia, come la Scozia, furono aree di stridente moralismo razionalista. Thomas Reid (1710-1796) razionalizzò radicalmente la natura del Calvinismo e lasciò il suo segno sul Presbiterianesimo scozzese e americano, lasciando solamente il guscio del calvinismo e sostituendo il suo teocentrismo con una pronunciata antropologia [17].

Calvino scrisse del triplice ufficio ed uso della legge nella Istituzione, Libro II, Capitolo VII: “La Legge Non è Stata Data per Vincolare il Popolo Antico, ma per Nutrirne la Speranza di Salvezza in Gesù Cristo, Fino al Momento Della Sua Venuta”. Per Calvino non solo la legge non può far diventare buono nessun uomo, ma nessun uomo può il alcun modo osservare la legge, cioè “raggiungere la misura della vera perfezione”.

Affermo che, dall’inizio del mondo, nessuno fra tutti i santi, chiuso nel carcere di questo corpo mortale, ha manifestato tale perfezione di sentimenti da amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. Aggiungo che non ce n’è uno solo che non sia stato contaminato da qualche concupiscenza. Chi potrà contraddirmi? Conosco il tipo di santi inventati dalla superstizione popolare: di una tale purezza che a stento gli angeli in cielo possono essere loro paragonati; ma questo è in contrasto con la Scrittura e con l’esperienza [18].

La speranza dell’uomo non è il moralismo ma la grazia sovrana di Dio e l’appoggiarsi su di essa.

Quali dunque sono gli scopi della legge, se il moralismo fosse eliminato? Il primo scopo, ha detto Calvino, della legge di Dio nel suo senso più ampio è la condanna del moralismo. La giustizia di Dio “è la sola giustizia che sia accettabile a Dio”. La legge  quindi serve a rivelare la giustizia di Dio e il moralismo  della propria giustizia dell’ “uomo accecato e ubriacato dall’amore di sé” il quale è condotto dalla legge  “a conoscenza di sé stesso e ad una confessione della propria debolezza (imbecillità) e della propria impurità”. La legge è in questo modo un docente che colpisce l’arroganza del moralismo e dell’orgoglio dell’uomo. “Fin quando si attiene al giudizio che può dare di sé, anziché considerare la vera giustizia, si pone in una situazione ipocrita, di cui si compiace, inorgogliendosi nei confronti della grazia di Dio e giustificandosi con invenzioni costruite di testa propria”. La legge rivela che il moralismo dell’uomo è una facciata che nasconde la ribellione etica contro Dio. Come osservò Paolo “Non avrei conosciuto la concupiscenza se la legge non avesse detto: Non concupire” (Ro. 7:7) [19].

La Legge è dunque come uno specchio in cui contempliamo in primo luogo la nostra debolezza, poi l’iniquità che ne deriva, e infine la maledizione che le colpisce ambedue, così come in uno specchio percepiamo le macchie del nostro viso. Colui infatti che è privo di ogni capacità a vivere rettamente, non può che rimanere nel fango del peccato. Al peccato fa seguito la maledizione. Perciò, quanto più la Legge ci convince della nostra colpa tanto più ci rivela che siamo meritevoli di condanna e di gravi pene.

Questo intende l’apostolo allorché dice che, mediante la Legge, sorge la coscienza del peccato (Ro. 3:20). Ne sottolinea così la prima funzione che concerne i peccatori non rigenerati [20].

Questa “prima funzione della legge non è limitata ai pii ma si estende anche ai reprobi” [21]. Perciò, questa prima funzione della legge condanna radicalmente il moralismo dovunque si trovi, nei cristiani come nei non credenti. Per un cristiano sperare nella legge come mezzo per rendere buono l’uomo, sia negativamente che positivamente, è perciò peccare radicalmente  e mettere sulla legge un peso che gli è proibito mettere. Legiferare per l’ordine sociale è una cosa, ma legiferare per scopi moralistici, per fare buoni uomini e società, è radicalmente vietato come arroganza e malvagità. L’aspetto a due tagli di questo scopo della legge colpisce così non solo il moralismo marxista, socialista e dell’economia del welfare sociale, ma equamente le versioni Romane, Anabattiste, Puritane e moderniste della stessa arroganza e presunzione. La fedele dichiarazione della giustizia e della legge di Dio richiede di necessità che il moralismo sia tenuto a freno, e questa funzione della legge include questo fatto.

La seconda funzione della legge è l’ordine sociale, la protezione della società  dai saccheggi degli operatori del male “nel ricorrere alle sanzioni per mettere un freno alla malvagità di quanti si curano di fare il bene solo quando siano costretti, in quanto li inquieta con le terribili minacce che contiene”[22] c’è un aspetto espressamente punitivo in questa funzione della legge; e non ne viene asserito l’obbiettivo della perfezione sociale, ma la sua validità non viene  con ciò danneggiata. La legge in questo senso è retribuzione, il cui significato di vasta portata apparirà quando si analizzi la giustizia. Nessun uomo onesto può negare che il timore delle conseguenze non ha agito come deterrente nella sua vita. Il psicopatico ed il masochista che vanno in cerca delle conseguenze e la punizione della corte di giustizia con ciò vieppiù testificano della validità psicologica della punizione.  Ciò che il masochista dice in effetti è che, riconoscendo che la trasgressione della legge deve essere punita, egli ricerca la licenza di peccare pagando, spesso in anticipo. Egli con ciò testifica dell’efficacia della legge. La legge come una barriera è in questo modo uno steccato contro il male. Non può riformare gli uomini o farli diventare in nessun grado uomini migliori moralmente. Può agire solamente come freno limitato, e la Scrittura è consapevole dei limiti di quel freno sull’uomo. In sé e per sé, la legge non può funzionare meramente come strumento dell’ordine sociale, perché collasserebbe velocemente se non avesse altre basi che il desiderio di preservare l’ordine. Senza la proclamazione della giustizia di Dio e il modellamento della vita personale e societaria su quel fondamento, la società perderebbe ogni ordine. Poiché gli uomini sono in virtù della loro natura caduta, peccatori: “Sebbene siano trattenuti dal timore o dalla vergogna, per cui non osano eseguire quello che concepiscono in fondo al cuore e non danno libero corso alla furia della loro intemperanza, tuttavia il loro cuore non è mosso dal timore e dall’obbedienza a Dio, anzi, più lo trattengono, più sono infiammati dalle loro concupiscenze, pronti a commettere ogni azione vile o turpe, se il timore della Legge non li trattenesse [23]. La misura di ordine guadagnato dalla legge è “giustizia imposta ed estorta”, la quale è “indotta non da volontaria sottomissione … ma con riluttanza e resistenza, solo per la violenza della paura”. Ciò è “necessario alla comunità” a alla “pubblica tranquillità” [24]. L’ordine sociale è necessario per creare la misura di disciplina che è indispensabile per la nascita di una cultura pia. Di fatto, la stessa parola “cultura” implica disciplina e restrizione. Ma quell’ordine e cultura possono conseguire solo se la legge poggia sull’ordine eterno di Dio. Dostoyevsky vide il significato di questo fatto con efficace chiarezza, come testimonia, tra le altre opere Delitto e Castigo. Una prostituta che sa di essere una puttana, e che sta peccando contro Dio, è con ciò una fonte di ordine sociale maggiore di un intellettuale, sia che abbia una mente investigativa ancora senza senso del delitto, o da assassino “giustificato”, che non riconosce il fatto del peccato e afferma un’autonomia moralistica. Un Raskolnikov non riconosce alcun principio d’ordine ultimo altro che la propria volontà, dalla quale tutte le cose cadono o si reggono in piedi, mentre la disprezzata prostituta afferma la validità della legge anche mentre le pecca contro.  Questo stesso riconoscimento della legge era presente in Francoise Villon, che poteva giudicarsi più acutamente di quanto farebbero i moralisti di oggi, perché egli aveva in mente il contesto dell’eterna legge di Dio, riconosciuta, benché non obbedita. Come Villon scrisse di sé come magnaccia ne la “Ballade for Fat Margot”

I am a lecher, and she’a lecher with me.
Which one of us is better? We are both alike:
the one as worthy as the other. Bad rat, bad cat.
We both love filth, and filth pursues us;
we flee from honor, honor flee for us,
in this brothel where we play our trade [25].

Se la giustizia di Dio non costituisce la prospettiva, allora l’ordine sociale e l’auto-valutazione scompaiono o collassano dentro all’assenza di significato.

Il terzo uso, o terza funzione della legge, la quale è la dichiarazione della giustizia di Dio è “quella principale”. La Legge è una guida o uno strumento per dare agli uomini pii “di giorno in giorno, una migliore e più certa comprensione della volontà divina a cui aspirano, e per confermarli nella conoscenza della legge stessa” lo studio della legge li “inciterà all’obbedienza, confermerà l’uomo in essa e di conseguenza lo tratterrà dalle trasgressioni”[26]. Da uomo redento, la legge è ora il principio della sua vita, e la sua nuova natura in Cristo. Questo bisogno della legge da parte degli uomini pii è stato sviluppato da susseguenti pensatori Calvinisti a formare un principio di grande importanza, quale fondamento della libertà dell’uomo in Cristo. La legge di Dio, come fondamento di tutta la vita, è perciò una restrizione a ogni male. R. B. Kuiper ha usato l’illustrazione di un pesce che essendo liberato dall’acqua è destinato rapidamente a morire, essendo al di fuori dell’area o sfera di legge per quale è stato creato. H. Evan Runner, commentando questa affermazione ha osservato:

Ed è così anche per l’uomo: può essere libero di vivere come uomo solo quando si trovi nell’ambiente di Legge per cui fu creato. Quell’ “ambiente” è la piena portata della Legge divina per la creazione, è ogni parola-legge che procede dalla bocca di Dio. In questo senso la Legge è la condizione della libertà dell’uomo.
L’ordinamento del mondo è quindi un ordinamento giuridico, un ordine-di-legge; la Legge vale dovunque. Vale anche per l’uomo, di fatto l’uomo è incastonato in essa. La legge è dovunque l’ indispensabile condizione di vita, le nostre vite sono completamente racchiuse nel suo contesto. Si noti che in Romani 7: 12, 14 Paolo definisce la Legge santa, giusta e spirituale. Se la creazione è buona, tale è anche la legge.
È solamente quando noi non siamo nella giusta relazione alla Legge che percepiamo la Legge come una maledizione, come qualcosa che ci lega e ci limita in modo indesiderabile, qualcosa che ci toglie libertà. Ma a quel punto non dobbiamo condannare la Legge, ma convertirci [27].

La legge in questo senso, per usare le parole di Calvino, ci deve preparare per “ogni opera buona”, è “spirituale” e positiva nel suo campo d’azione ultimo.

Io però postulo qualcosa di più di quanto s’intende comunemente con questo riconoscimento. Per virtù contraria al vizio essi intendono l’astenersi dal vizio. Noi andiamo più in là affermando che si tratta di fare il contrario del vizio. Lo si vedrà meglio facendo un esempio. Nel comandamento: non uccidere, gli uomini vedono comunemente la richiesta di astenersi da ogni azione malvagia e da ogni desiderio di malaffare, affermo che bisogna vedere di più, bisogna includervi anche l’aiuto per conservare la vita del nostro prossimo con tutti i mezzi a noi possibili [28].

La legge così considerata, comunque, non è la sorgente della vita ma la condizione della vita e, come tale, c’è un’identità tra libertà e legge. La legge è dunque la condizione ma non la fonte della libertà e della vita stessa.

A questo punto, il moralista assume di avere l’autorità di ambedue, la Scrittura e Calvino, per il suo uso della legge, ma una fondamentale differenza esiste. Il moralista crede che “l’amore” per il suo prossimo o per il suo nemico cambierà quell’uomo nella persona desiderata, l’uomo pio non è sotto una tale illusione per quanto concerne il “potere” della propria attività. Né la legge né le sue attività in conformità alla legge sono fonte di vita in sé stesse ne in altre persone attraverso di lui. Egli “ama” tutti gli uomini, cioè assicura loro i privilegi della seconda tavola della legge, la santità della vita, la famiglia, la proprietà e la reputazione, ed evita di desiderare tali cose, non perché crede che con questo cambierà gli uomini o la società, ma come il proprio dovere verso Dio e verso il prossimo.

Questa fondamentale differenza  è di ampia portata. Se io posso “cambiare” gli uomini amandoli, o col mio osservare la legge, allora posseggo su di loro un vero e proprio controllo sociale che, per il loro bene e per un più rapido risultato sociale, posso applicare attraverso mezzi legali e coercitivi. Il potere nel primo senso come custode di mio fratello mi dovrebbe obbligare ad usare il potere nel secondo senso per far avanzare lo scopo desiderato. Dall’altro lato, se non ho potere di “cambiare” gli uomini nel primo e personale senso, ma ho solo un dovere sotto Dio nei loro confronti, non posso legittimamente reclamare su di loro un potere che abroga il mio dovere religioso.

Le implicazioni di questa posizione non furono comprese immediatamente. Di fatto, si può dire che Calvino non sempre vide le vaste implicazioni  di molti aspetti del suo magnifico Istituzione della Religione Cristiana. Però, questo concetto possedeva in Germania peso sufficiente per essere inserito dentro la  Formula della Concordia luterana, la quale riflette forti influenze Calviniste:

È stabilito che la Legge di Dio fu data agli uomini per tre cause: primo, che possa essere preservata una certa disciplina esterna, e che uomini furiosi e intrattabili possano essere arginati, per così dire, da certe barriere, in secondo luogo, che per la Legge gli uomini possano essere portati a riconoscere i loro peccati; terzo, che i rigenerati, ai quali tutti, non di meno, molta della carne è ancora attaccata, per quella vera ragione possano avere certe regole secondo le quali possano e debbano modellare la loro vita [29].

Questo concetto della legge, però, recedette stabilmente quando lo scolasticismo sopraffece il Protestantesimo dall’interno e lo moralizzò. Il “risveglio” che seguì fu così un risveglio di moralismo nelle forme del Pietismo, Metodismo e Revivalismo. Il successore di questo temperamento fu il modernismo col suo vangelo sociale. Le affinità del modernismo col pietismo, ambedue della natura di un comune moralismo, l’uno sociale e l’altro personale nella manifestazione, si notano nella loro comune inimicizia col calvinismo, visto come “immorale”, e uno studio come quello di Leonard J. Trinterud The Forming of an American Tradition, A re-examination of Colonial Presbyterianism (1949) ne da ampia testimonianza. La legge,  che sia nelle mani di un pietista, di un modernista, un Cattolico Romano, un Marxista, o un pragmatista, è vista come mezzo per ri-creare l’uomo secondo l’immagine nuova del preteso-creatore. Riapplicando l’appropriata frase di Seagle, quelli che vivono per tale legge, periranno per tale legge. Quando l’uomo riduce la legge alla propria moralistica dimensione, distrugge la legge. Oliver Wendell Holmes, avendo ridotto la legge ad opinione dell’uomo, “diede il proprio sostegno al diritto assoluto della maggioranza”[30]. Non può esistere nessun altra legge. In qualsiasi momento e qualsiasi luogo l’uomo afferma il potere di ri-creare l’uomo, diventa inevitabilmente legislatore della sua creatura umana e riduce la legge alla volontà dell’uomo. Ma lo scopo della legge di Dio rimane, e una società in ribellione contro questi scopi è come un pesce fuor d’acqua, violentemente attivo ma velocemente destinato a morire [31].

In breve, lo scopo di qualsiasi legge non è di fare buoni gli uomini; questo la legge non potrà mai farlo, ne per l’uomo ne per la società, poiché la bontà è restrizione interna piuttosto che esterna, altrimenti le prigioni sarebbero le migliori produttrici di moralità. La legge dichiara la norma, e la pena per le trasgressioni, protegge la società, mina alla base il moralismo dell’uomo, ed è una guida per i pii. Carattere e rettitudine devono provenire da una fonte altra dalla legge. Così, biasimare la legge perché non può rendere buono nemmeno un uomo è mancare lo scopo della legge. In qualsiasi e in tutte le culture, secondo Paolo, la legge conduce l’uomo alle stesse conclusioni, che non c’è nessun giusto, e che tutti gli uomini peccano e sono privi della gloria di Dio, e a questo tutti gli uomini devono dare assenso (Ro. 3: 10-18). Alla base della maggior parte del pensiero contemporaneo c’è o una falsa speranza nella legge, o un falso pessimismo a motivo di una falsa aspettativa da parte della legge. L’ombra di Aristotele, di Socrate e di Platone ha da lungo tempo annebbiato la cultura occidentale, con la sua brutale speranza che leggi escogitate da filosofi-re potessero produrre la buona società quando, nella realtà pratica, hanno prodotto i tiranni che hanno distrutto la cultura di quel tempo. I Cinici o cani, orrendi beatnik di quell’epoca, insistettero con l’abbandono di ogni legge visto che la legge aveva fallito nel dare loro quella buona società un tempo sognata e di conseguenza in alcune circostanze copularono pubblicamente come cani per affermare il loro disprezzo di tutta la legge e la futilità della legge. Il Cinismo sta nuovamente diventando l’ordine del giorno perché gli uomini, avendo eretto una moderna Torre di Babele, essendosi sforzati di raggiungere il cielo dicendo: orsù, facciamoci una legge, anziché unire gli uomini in un solo mondo, l’hanno solo confuso e disperso ulteriormente, si rivoltano ora in amaro disprezzo nei confronti di tutta la legge aumentando così la loro miseria. Con tutto questo, però, la legge è confermata. Poiché i moralisti finiscono sempre col diventare “inutili” (Ro. 3:12; la parola significa inservibile o inutilizzabile, facendo riferimento a latte malamente inacidito e inutilizzabile), così ogni cultura e legge  moralistica diventa inacidita ed è rigettata. Nella presente epoca di acidità, è imperativo che entrambi, gli scopi e i limiti della legge siano resi noti e chiaramente definiti. Quel che sappiamo per certo è che l’inacidito non può comandare il futuro, ma neppure lo può l’ignorante.

E il combattimento è di capitale importanza. Tutto l’impatto della cultura ellenica è pesantemente moralistico. Aristotele definì l’obbiettivo delle scienze politiche come fare in modo che i cittadini “siano di un certo carattere, cioè buoni e capaci di nobili azioni” [32], e asserì che lo scopo della legge è la formazione dei cittadini “all’abitudine di agire in modo giusto – questo è l’obbiettivo di tutti i legislatori, e se falliscono nel fare questo, sono dei falliti”[33]. Attraverso l’Aquinate ed altri quest’infezione moralistica è profondamente incastonata nella cultura occidentale. Questo concetto ora circola con la pretesa di essere cristiano, cosicché l’uomo pio è costretto a combattere contro una pretesa cristianità le cui radici sono da tempo penetrate in profondità. L’urgenza è dunque ancor più grande.

 

Note:

[1] Max Radin: Law as Logic and Experience, p. 98. New Haven: Yale University Press, 1940.

* Non ho trovato parola che traduca “humaneness”. Purtroppo in italiano “umanità” ha per primo significato “genere umano” e solo in via secondaria “complesso di elementi spirituali quali la benevolenza, la comprensione, la generosità verso gli altri…” Il senso qui usato è quest’ultimo.

[2] Ibid., pp. 162-164.

[3] Thurman W. Arnold: The Symbols of Government, p. 30. New Haven: Yale University Press, 1936.

[4] Ibid. p. 237.

[5] Ibid. p. 248.

[6] Ibid. p. 263.

[7] Ibid. p. 267.

[8] Ibid. p. 267.

[9] Questo passo è stato trattato, incomprensibilmente, da Hans Kelsen: What is Justice? Justice, Law, and Politics in the Mirror of Science, p. 28s.. Berkeley: University of California Press, 1957. Kelsen la congeda come magia e come “altamente repulsiva per i sentimenti religiosi quanto per l’idea di giusto processo di legge prevalente tra i cristiani moderni”. Non viene fatto alcun tentativo di comprendere questo passo, che, come gli altri, è congedato dall’altera prospettiva della cosiddetta “scienza”.

[10] Per uno studio della disintegrazione della legge naturale, si veda John H. Hollowell: The Decline of Liberalism a san Ideology, with particolar reference to German Politico-Legal Thought. Berkeley: University of California Press, 1943.

[11] Herman Dooyeweerd: a New Critique of Theoretical Thought, Vol. I, p. 108. Philadelphia: Presbyterian and Reformed Publishing Co. 1953.

[12] William Seagle: Law: The Science of Inefficiency, p. 167. New York: Macmillan, 1952.

[13] Wilhelm Ropke: A Humane Economy, the Social Framework of the Free Market, p. 229s. Chicago: Henry Regnery, 1960.

[14] John Dewey: Intelligence in the Modern World, p. 489. New York: Modern Library, 1939.

[15] Gordon H. Clark: Dewey, p. 33. Philadelphia: Presbyterian and Reformed Publishing Co., 1960.

[16] Eric Meissner: Confusion of Faces, The Struggle between Religion and Secularism in Europe, p. 63. London: Faber and Faber, 1946.

[17] Lee Sydney E. Ahlstrom: “The Scottish Philosophy and American Theology” in Church History, XXIV, 3 Settembre 1955, pp. 257-272, e H. Evan Runner in Christian Perspectives, 1960, pp. 109-158, Pella. Iowa: Pella Publishing Co., 1960.

[18] Istituzioni, II, vii, vi.

[19] Istituzioni, II, vii, vi.

[20] Ibid. II, vii, vii.

[21] Ibid. II, vii, vii.

[22] Istituzione, II, vii, x.

[23] Istituzione, II, vii, x.

[24] Istituzione, II, vii, x.

[25] The Complete Works of Francis Villon, Abnthony Bonner, editore e traduttore, p. 107. New York: Bantam Books, 1960. senza fare un tentativo di traduzione ‘poetica’ ecco il contenuto: “Sono un fornicatore e lei fornica con me. Chi di noi è meglio dell’altro? Siamo uguali entrambi, l’uno vale l’altra. Malo topo, malo gatto. Entrambi amiamo porcherie e le porcherie ci cercano, scappiamo dall’onore e l’onore scappa da noi, in questo bordello ove pratichiamo la nostra professione”.

[26] Istituzione, II, vii, xii. (N.d.T.) Poiché la traduzione di Tourn differisce in qualche giustapposizione e questo passo è di importanza vitale nella diatriba con anomisti di tutti i tipi, trascrivo anche per intero la porzione di questo capitolo nella traduzione del Tourn. “La terza funzione della legge, la principale, pertinente al fine per cui essa è stata data, si esplica fra i credenti nel cui cuore già regna ed agisce lo spirito di Dio. Sebbene abbiano la Legge scritta nei loro cuori dal dito di Dio; sebbene ricevano dallo Spirito santo il desiderio di obbedire a Dio; tuttavia traggono ancora doppio frutto dalla Legge. Essa è un ottimo strumento per far loro sempre meglio e più sicuramente comprendere quale sia la volontà di Dio, alla quale aspirano, e confermare in loro la conoscenza. Come un servo, pur desideroso di servir bene e di compiacere in tutto al suo padrone, ha bisogno di conoscere con grande famigliarità le sue abitudini e le sue condizioni per potervisi adattare. E nessuno tra noi può esentarsi da questa necessità. Nessuno ancora, infatti, ha raggiunto una sapienza tale da non poter progredire ulteriormente, giorno per giorno, mediante il quotidiano approfondimento della Legge, assimilando la volontà di Dio con sempre più chiara comprensione. Vol I, p. 479.

[27] H. Evan Runner: Christian Perspectives,1960, p. 104.

[28] Istituzione, II, viii, ix.

[29]  Formula della Concordia, art. vi, traduzione personale da Philip Schaff: The Creeds of Christendom, Vol. III, p. 130s.

[30] Rene A. Wormser: The Law,p. 445. New York: Simon and Schuster, 1949.

[31] Per un’applicazione dei concetti di Calvino e della Formula della Concordia alla legge penale contemporanea da parte di un professore di legge, si veda Wilber G. kats dell’Università di Chicago: “Christian morality and the Criminal Law” pp. 54-171, in A.L. Harding, editore Studies in Jurisprudence: III, Religion, Morality and Law. Dallas: Southern Methodist University Press. 1956.

[32] Etica Nicomacea, I, 9. http://www.filosofico.net/eticaanicomaco2.htm

[33] Ibid., II, 1.

 


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