La Salvezza e lo Stato
Charles Morris Cochrane ha fatto notare che l’Impero Romano di Augusto cominciò affermando di rappresentare un ordine eterno, di essere infatti Roma Eterna. L’imperatore dichiarò: “Possa essere il mio privilegio stabilire la repubblica, sicura e solida nei suoi fondamenti, raccogliendo il frutto del mio desiderio di essere conosciuto come l’autore della costituzione ideale, e portando con me nella tomba la speranza che i fondamenti che ho posto saranno permanenti” [1]. Il conio di quell’epoca proclamò Augusto l’imperiale salvatore del mondo. Virgilio dichiarò che le epoche erano giunte alla svolta decisiva. Il collegio dei sacerdoti Romani, capeggiato da Augusto, distribuirono incenso sacro al popolo per la purificazione dal peccato. Stauffer, nell’analizzare la moneta di Augusto, scrisse:
Il significato simbolico è chiaro: un nuovo giorno sta albeggiando sul mondo. Il divino salvatore-re, nato nell’ora storica ordinata dalle stelle, è pervenuto al potere sulla terra e sul mare, ed inaugura l’era cosmica della salvezza. La salvezza non si trova in nessun altro al di fuori di Augusto, e non c’è altro nome dato agli uomini nel quale possano essere salvati. Questo è il punto culminante della proclamazione dell’Avvento dell’impero Romano [2].
La speranza dell’antichità era così tutta concentrata in Roma, il sogno della salvezza politica. Ecco come Cocrane ha riassunto la questione fra Roma e i Cristiani:
La storia della Cristianità Greco-Romana si riduce in massima parte in un criticismo di quell’impresa e delle idee sulle quali poggiava; cioè che era possibile conseguire il traguardo di sicurezza, pace, e libertà permanenti mediante l’azione politica, specialmente attraverso la sottomissione a “virtù e fortuna” di un capo politico. I Cristiani denunciarono questa nozione con vigore e fermezza uniformi. Per essi lo stato, così lontano dall’essere lo strumento supremo dell’emancipazione e perfettibilità umana, era piuttosto una camicia di forza, tuttalpiù da essere giustificato come “rimedio al peccato”. Pensare lo stato in un altro modo lo considerarono la più grossolana delle superstizioni [3]
È facile per noi dimenticare che, quando la cultura Romana e le altre culture dell’antichità parlavano di dèi, nella maggior parte dei casi era allo stato che guardavano per la salvezza. Inoltre, la connessione logica tra gli dèi e gli uomini faceva spesso dello stato il punto focale della manifestazione della divinità, o nell’ufficio del sovrano, o nella sua persona o nello stato come tale. In un modo o nell’altro, la cultura pagana offriva un piano di salvezza umanistico. Nella cultura Greco-Romana, l’idea di salvezza politica apparve in forma sviluppata ed in netto contrasto col Cristianesimo.
Tertulliano, nella sua Apologia fece appello al sovrano dell’impero romano in difesa della comunità Cristiana. “Perchè,” chiese Tertulliano, “i Cristiani che osservavano la legge venivano trattati come criminali? E perchè erano trattati come fossero peggiori dei criminali?” La ragione per tutto questo, dichiarò Tertulliano, era il loro rifiuto di rendere all’imperatore gli onori richiesti [4]. I Cristiani non mancavano di rispetto all’imperatore; nei termini della parola di Dio essi pregavano “per i re, per tutti quelli che sono in autorità, affinché possano condurre una vita tranquilla e cheta” (I Tim. 2, 2) Tertulliano continuò:
C’è anche un’altra e una più grande necessità per il nostro offrire preghiere a favore dell’imperatore, anzi, per la completa stabilità dell’impero, e per gli interessi Romani in generale. Poiché noi sappiamo che una potente catastrofe incombe sopra tutta la terra, in fatti, la stessa fine di tutte le cose con la minaccia di spaventose disgrazie, è solamente ritardata dalla continuata esistenza dell’impero Romano. Quindi, noi non abbiamo il desiderio di essere sopraffatti da questi spaventosi eventi; e nel pregare che la loro venuta possa essere ritardata stiamo prestando il nostro soccorso alla durata di Roma. Più di questo, benchè decliniamo di giurare dinanzi ai numi dei Cesari, noi giuriamo per la loro salvezza, che vale molto di più di tutti i vostri numi. Ignorate voi che questi numi sono chiamati “Daemones” e perciò è applicato loro il diminutivo “Daemonia”? Noi rispettiamo negli imperatori i decreti di Dio che li ha posti sopra le nazioni. Sappiamo che in essi c’è ciò che Dio ha voluto; e per tutto ciò che Dio ha voluto noi desideriamo ogni sicurezza e consideriamo un giuramento per essa un gran giuramento. Ma per quanto riguarda i demoni, vale a dire i vostri numi, noi abbiamo l’abitudine di esorcizzarli, non di giurare su loro e con ciò conferire loro onori divini.
Ma perchè soffermarsi ulteriormente sulla reverenza e sul sacro rispetto dei cristiani verso l’imperatore, il quale non possiamo far altro che ammirare come chiamato da Dio al suo uffizio? cosicchè ho buoni motivi per poter dire che Cesare è più nostro che vostro, perchè il nostro Dio lo ha designato. Perciò, avendo egli queste proprietà in sè, io faccio più di voi per il suo benessere, non semplicemente perchè lo chiedo a Colui che può darlo, o perchè io chieda come uno che meriti di riceverlo, ma anche perchè, nel tenere la maestà di Cesare entro i limiti dovuti, e ponendolo sotto l’Altissimo, e facendolo meno che divino, lo affido ancor di più al favore della Divinità alla quale solo io lo faccio inferiore. Ma io lo pongo in soggezione ad uno che io considero più glorioso di lui stesso. Mai chiamerò l’imperatore Dio, e questo sia perchè non voglio essere colpevole di falsità; sia che non mi permetterei di coprirlo di ridicolo; sia perchè lui stesso potrebbe non desiderare di avere quel nome così alto riferito a se. Se egli non è che un uomo, è suo interesse come uomo dare a Dio il Suo posto più alto. Che consideri sufficiente portare il nome di imperatore. Anche quello è un grande nome fra quelli che Dio dà. Ma chiamarlo Dio è derubarlo del suo titolo. Se non è un uomo nemmeno può essere imperatore [5]
Tertulliano poteva giustamente sostenere che i cristiani erano i migliori cittadini di Roma, i suoi cittadini più onesti, i migliori sottoposti e ufficiali, i suoi migliori soldati, il popolo più osservante la legge, e i suoi migliori contribuenti di tasse. Tutto questo significava meno di niente. Negando l’idea che la salvezza fosse un affare politico i cristiani minavano i fondamenti di Roma. Perfino quando Roma adottò il Cristianesimo, non cessò i suoi sforzi per diventare lo strumento della salvezza: semplicemente cercò una tradizione religiosa più forte come mezzo per stabilire la sua autorità ed il suo potere salvifico.
Dichiarando che Cristo è il salvatore dell’uomo, il Cristiano minava Roma nelle sue fondamenta. I concili della Chiesa sottolinearono l’unicità di Cristo come Signore e Salvatore. Per l’unicità della sua incarnazione Gesù Cristo è l’unico salvatore dell’uomo. E dell’uomo Egli è anche signore e re. Roma fu qui più astuta degli uomini di chiesa moderni. Salvezza e signoria sono fatti inseparabili. Il signore dell’uomo è anche il suo salvatore e vice versa. Separando la signoria da Cristo molti uomini di chiesa hanno in effetti negato il suo potere di salvare.
La chiesa primitiva proclamò Cristo come signore e salvatore. La teologia dello stato Romano sosteneva che l’imperatore fosse signore e salvatore. Il buon carattere dei Cristiani non li raccomandò alla lode di Roma: li rese una minaccia più impressionante. I vizi dei nostri nemici ci turbano ma le loro virtù ci minacciano anche di più. Così fu con i primi cristiani.
La cosa non è cambiata molto da allora. Nel XX secolo pastori e amministratori di scuole Cristiane sono sorpresi dall’ostilità e dal veleno dello stato e dei funzionari federali. Dopo tutto sono proprio le scuole Cristiane a produrre i migliori studenti e i cittadini più eccellenti. In un era di crescente delinquenza, di anarchia e crimine nelle scuole statali, e di disintegrazione sociale, perché gli uomini non accolgono la stabilità che la scuola Cristiana dà alla società? La risposta è che, al peggio i delinquenti della scuola statale e i criminali nella società vengono preferiti ai Cristiani da codesti umanisti, perché questi elementi senza legge non costituiscono una sfida intellettuale, teologica e morale al loro piano di salvezza statalista. I Cristiani invece lo sono. Oggi l’umanesimo ha un piano militante di salvezza attraverso l’azione dello stato. Istituire tale piano significa zittire i Cristiani e obliterare le loro istituzioni.
Nell’istruzione, Horace Mann operò per ottenere il controllo statale dell’educazione perché credeva nella genitura dello stato e nella salvezza per mezzo dello lo stato [6]. Nel XX secolo, un erede spirituale di Horace Mann, Harold O. Rugg, sosteneva che gli Stati Uniti, “Zio Sam” avrebbe dovuto “occuparsi a convertirsi in Zio Salvatore” [7]. La salvezza era vista come basilare alla vita e all’opera dello stato e delle sue agenzie.
Poiché la salvezza è un concetto totale, un salvatore ha dominio ed autorità sopra ogni reame di vita. Se la sua signoria non è totale, la sua salvezza non è effettuale. Perciò, chiunque dichiari di essere un salvatore deve necessariamente rivendicare una totale signoria sopra ogni reame di vita e di pensiero. L’impero Romano fu perciò logico nelle sue rivendicazioni come lo furono gli stati pagani dell’antichità. Essi dichiararono di essere il potere e l’ombrello sotto cui ogni uomo ed ogni istituzione esiste e le cui leggi coprono e governano ogni reame. Nei termini di questa fede, lo stato è il dio in cui viviamo, ci muoviamo e siamo. Lo stato moderno, come lo stato pagano, rivendica quella signoria salvifica. Rivendica il diritto di controllare ogni area. Se esenta un’area lo fa per la sua grazia sovrana, cosicché quell’area esentata è solamente tollerata, non libera.
Gli uomini di chiesa, restringendo l’idea di salvezza all’anima, cosicché Gesù Cristo è il salvatore dell’anima degli uomini e non il signore del cielo e della terra e il solo salvatore di tutte le cose, hanno in questo modo in effetti negato che Gesù sia il salvatore. Nessuno può essere salvatore se non è anche signore.
Le implicazioni di questa dottrina eretica della salvezza che ha catturato le chiese furono viste acutamente, in tutto il loro stato di bancarotta, nella famosa intervista di Playboy con l’allora candidato alla presidenza “Jimmy” Carter. Un grido nazionale di indignazione popolare fu sollevato dalla dichiarazione di Carter in cui disse che talvolta la sua fantasia lussureggiava dietro a donne altre da sua moglie. Nulla fu detto del suo diniego della legge Biblica e del suo insistere sul fatto che la sua fede non avrebbe governato la sua politica. Carter disse, in parte: “A casa, a Plains, abbiamo avuto omosessuali nella nostra comunità, la nostra chiesa. Non c’è mai stato nessun tipo di discriminazione, qualche imbarazzo ma niente animosità, niente molestie” [8]. Nelle interviste Carter dichiarò continuamente la radicale irrilevanza del Cristianesimo sulla vita e ben poca critica fu diretta a questo aspetto del resoconto. La fede fu arresa e pochi lo notarono perché la condividevano. Chiaramente, come Carter, quelli che non videro il male nel suo diniego della natura della fede Biblica che è determinante per il tutto della vita, politica inclusa, erano solo nominali nella loro professione di fede in Gesù Cristo come Salvatore. Avevano un altro signore e andarono alle urne a votare il loro salvatore preferito: lo stato e i suoi politici.
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1. Charles Morris Cochrane: Christianity and Classical Culture, p.1. London: Oxford University Press, (1939) 1944.
2. Ethelbert Stauffer: Christ and the Caesars, p.88. Philadelphia, Pennsylvania: Tje Westminster Press, (1952) 1955.
3. Cochrane, op. cit., p. v. f.
4. Tertullian, “Apologeticus,” 35, in the Ante-Nicene Christian Library, vol. IX, The Vritings of Tertullian, vol. I, p.113. Edinburgh: T. & T. Clark, 1877.
5. Ibid., 32, 33; I, p. 111f.
6. See R. J. Rushdoony: The Messianic Character of American Education, pp.8-32. Nutley, New Jersey: The Craig Press, (1963) 1977.
7. Harold Rugg and William Withers: Social foundation of Education, p.234. New York, N.Y.: Prentice-Hall. 1955
8. Robert Scheer: “Playboy interview: Jimmy Carter,” in Playboy, vol. 23, no. 11, November, 1976, p.69. (N.d.T. Carter divenne presidente con i voti dei cristiani Americani)