CAPITOLO QUATTRO

                                            L’Antropologia  dello  Stato

In ogni dottrina dello stato è di centrale importanza la sua antropologia, il suo concetto dell’uomo. Nell’analizzare le varie dottrine che sono state sostenute durante i secoli, piuttosto che discutere ogni variazione di teoria, è meglio invece occuparsi coi maggiori tipi di teoria. In questi termini, consideriamo per prima una tradizione molto importante con profonde radici nell’antichità, la visione classica dell’uomo. Questa visione classica fu marcata, nel pensiero Greco ed altrove da tensioni dialettiche radicate profondamente. In questo modo l’uomo era visto come l’unione di due elementi alieni, di forma, idea, ragione o spirito, con materia, volontà, particolarità o carne. Le une rappresentavano l’elemento superiore, le altre uno inferiore. Così la vita dell’uomo era il centro focale per una tensione dialettica profondamente impressa in tutta la realtà. Come si considerava l’uomo dipendeva in parte da se si sosteneva che avessero l’ascendenza nell’uomo la ragione o la volontà.  Platone ci dà la visione di Socrate. Nel riassunto di Kathleen Freeman:

Socrate pervenne a due maggiori conclusioni: che la Virtù è Conoscenza, e che NessunUomo Pecca Volontariamente. Egli assume che ogni uomo sta cercando ciò che crede essere a suo vantaggio e benessere; ma che spesso sbaglia nella sua scelta d’azione, ed erra nel credere che sta ottenendo qualcosa per se stesso. Se sapesse la verità si renderebbe conto che nel fare una scelta sbagliata, commettere peccato allo scopo di qualche apparente vantaggio immediato come il piacere o il potere, egli in realtà si sta facendo non del bene ma del male. Se potesse vedere più avanti, rifiuterebbe il desiderio immediato a motivo delle conseguenze dannose per sé. Così ogni virtù consiste nel riconoscere ciò che è veramente per il nostro bene, ogni peccato nel confondere qualcosa di dannoso per qualcosa di buono. Se abbiamo la conoscenza necessaria saremo obbligati a scegliere correttamente perché nessuno che non sia pazzo sceglierebbe volontariamente ciò che è per il proprio male. La scelta sbagliata, o peccato, è sempre a nostro danno; la scelta giusta, o virtù, è sempre a nostro vantaggio.

Socrate in questo modo eliminò la volontà, rendendola automaticamente dipendente dalla facoltà della ragione. Per lui l’uomo è una creatura con una intelligenza che può essere sviluppata dall’indagine e dalla ricerca fino a che riconosca il bene. Il suo scopo è la felicità e questa viene raggiunta quando la sua intelligenza, riconoscendo il bene, lo abilita a sceglierlo. Perciò egli farà bene a non permettere che alcunché interferisca col suo studio del bene. I desideri del corpo devono essere controllati, il perseguimento della saggezza deve essere posto davanti ad ogni vantaggio mondano, ed egli deve devolvere la propria vita, in compagnia dei propri amici, all’eliminazione dell’ignoranza circa la natura delle virtù e della virtù come un insieme” [1].

Questa può apparire come una visione dell’uomo molto ottimista ma, in realtà significò un completo pessimismo sia circa la Virtù o Conoscenza essendo equiparate, sia per quanto concerne l’uomo. Socrate dichiarò: “Ci è stato provato dall’esperienza che se volessimo avere la conoscenza pura di ogni cosa dovremmo abbandonare il corpo” [2]). La conoscenza pura e la virtù sono dunque impossibili senza la fine della tensione dialettica fra la mente ed il corpo, vale a dire senza la morte. La conoscenza pura o la virtù possono venire avvicinate in questa vita solo dagli uomini che vivono la vita della ragione: i filosofi. L’intera questione de La Repubblica di Platone è che il mondo, o lo stato, per la sua salvezza, ha bisogno del governo di filosofi-re. La visione classica dell’uomo è stata descritta come una sfiducia nei confronti dell’uomo, ma in realtà è una sfiducia nell’uomo non filosofico e una affermazione di una radicale fiducia nell’uomo il filosofo. A motivo di questo monopolio virtuale sulla conoscenza o virtù da parte del filosofo ne consegue che il governo o dignità regale appartengono a lui. La posizione classica fu sostenuta anche dai filosofi dell’Illuminismo fino a Rousseau, ed è di nuovo la posizione di Marxisti, Socialisti, Comportamentisti (come B.F. Skinner), e molti altri.

Il dialetticismo che sta alla base dell’antropologia classica condusse a valutazioni conflittuali della sociologia e della psicologia. La natura dell’uomo, nell’antropologia classica, è di tensione dialettica tra forma e materia, tra mente e corpo, tra ciò che partecipa agli universali e ciò che è del mondo dei particolari. Lo stato per Socrate era il mondo dell’unità, e “più grande è l’unità dello stato meglio è.” Aristotele, comunque, riconobbe che un enfasi totale sull’unità significava l’obliterazione dell’uomo da parte dello stato, al punto che egli insisté su qualche enfasi sull’individuo:

Sto parlando della premessa da cui procede l’argomento di Socrate: “più grande è l’unità dello stato, meglio è”. Non è ovvio che uno stato può nel lungo termine ottenere un tale grado di unità tale da non essere più uno stato? poiché la natura dello stato è quella di essere una pluralità, e nel tendere ad una più grande unità, dall’essere uno stato diventa una famiglia, e dall’essere una famiglia diventa un individuo; perché si potrebbe dire della famiglia che è più dello stato, dell’individuo che è più della famiglia. Perciò noi non dobbiamo ottenere questa più grande unità anche se potessimo, perché sarebbe la distruzione dello stato  [3].

Ad ogni modo Aristotele, benché conscio del pericolo di uno stato totalitario, non aveva una vera protezione filosofica contro di esso, poiché per lui anche l’enfasi sulla unità era molto importante. In più egli sostenne che “lo stato è una creazione della natura, e che l’uomo è per natura un animale politico” [4]  se l’uomo è creato da Dio, allora l’uomo è definito da Dio ed è una creatura religiosa. Però, se l’uomo è un animale politico, allora l’uomo è la creatura dello stato. Di conseguenza, per il pensiero Ellenista, e per tutti quelli che sono nella tradizione classica, l’uomo è una creatura dello stato.

Dall’altro verso, Aristotele, nella sua psicologia dell’uomo fu, come Platone, essenzialmente un anarchico. L’uomo, nella sua infelice unione di mente e corpo, era preso in un mondo di particolarità e, come individuo o particolare, era governato da una psicologia della particolarità. Per Aristotele “il bene è ciò a cui tutte le cose puntano” [5]. Il fine del bene sia dell’uomo che dello stato è ciò che è bene per l’uomo. Però:

Poiché, anche se il bene della comunità coincide con quello dell’individuo, il bene della comunità è chiaramente un bene più grande e più perfetto sia da ottenere che da mantenere. Questo non per negare che il bene dell’individuo abbia il suo valore m ciò che è bene per  una nazione o una città ha una qualità più alta, una qualità divina  [6].

Ciò è chiaramente totalitario ed enfatizza di nuovo la centralità dello stato nella vita dell’uomo. L’uomo è la creatura dello stato, e lo stato lo abilita a raggiungere il bene supremo. Comunque Aristotele definisce  la felicità il bene finale o supremo, e la felicità è l’autosufficienza:

E’ opinione generalmente accettata che il bene finale è l’autosufficienza. Per “autosufficienza” viene significato non ciò che è sufficiente per una stessa persona che viva una vita solitaria, ma include genitori, moglie, figli, amici e concittadini in generale. Poiché l’uomo è un animale sociale. Una cosa autosufficiente dunque la intendiamo tale quando dalla sua stessa base tenda a rendere la vita desiderabile e mancante di nulla. E consideriamo la felicità essere tale cosa. Aggiungiamo a questo che la consideriamo la più desiderabile di tutte le cose senza sommarla  con altre cose desiderabili. Perché se tale addizione fosse possibile, chiaramente la considereremmo più desiderabile quando anche il più piccolo vantaggio le sia stato aggiunto. Poiché il risultato sarebbe un aumento nel numero dei vantaggi, e la somma maggiore dei vantaggi è preferibile a quella minore.

La felicità dunque, lo scopo verso il quale tutte le nostre azioni consce sono dirette, stimiamo essere qualcosa di finale ed autosufficiente”  [7].

L’autosufficienza come bene supremo è un fine anarchico, ed Aristotele cercò di limitarlo alla società dell’uomo piuttosto che all’individuo. La città stato Greca mirava all’autosufficienza, come anche lo stato mercantilista dell’Europa del diciottesimo secolo e pure il mondo neo-mercantilista del ventesimo secolo.

La limitazione di Aristotele fu comunque arbitraria. Perché non autosufficienza come ruolo individuale? Questa è infatti la direzione della psicologia  greca della vita, un’enfatizzazione dell’autosufficienza dell’uomo. I Neoplatonici, gli Stoici, i Cinici ed altri tutti enfatizzarono in varie maniere l’Autosufficienza dell’uomo.

L’antropologia classica ha così una posizione ambivalente, passa dal totalitarismo all’anarchismo con grande facilità. La dialettica natura-libertà della filosofia moderna le dà la stessa tendenza, un enfasi su uno stato-salvatore totalitario, uno stato mondiale, ed uno stato onnipotente da un lato, dall’altro lo stato nazione autonomo e protezionista e l’individuo anarchico. L’uomo e lo stato entrambi dichiarano di essere universali e particolari assoluti. L’uomo e lo stato entrambi vedono se stessi come l’arbitro e giudice finale di tutte le cose, ed entrambi decidono questioni in relazione a se stessi.

Un altro aspetto dell’antropologia di questo concetto classico dell’uomo, comune a tutte le dottrine non-Bibliche, è il suo concetto dell’uomo come prodotto del caos cieco e del caso, un prodotto evolutivo ed accidentale. In questo modo l’uomo non ha una natura costante o “data da Dio”. La realtà dialettica può imporre certi limiti sull’uomo, o, come in Freud, una lunga storia primordiale può lasciare il suo segno, ma l’uomo è essenzialmente un prodotto del suo ambiente e non possiede una natura necessaria o costante. L’uomo è in questo modo un essere plastico, prontamente formato in qualsiasi forma il formatore desideri. L’uomo è un foglio pulito di carta bianca, una mente aperta e plastica, e chiunque controlli l’infanzia e l’educazione dell’uomo, ne controlla con ciò il futuro. Platone, Aristotele, Locke, Pavlov, Freud, Dewley e tutti gli altri statalisti hanno perciò insistito nel controllo del bambino e della sua educazione. Questa dottrina dell’uomo plastico genera il totalitarismo, sia della chiesa (perché Tommaso D’Aquino condivideva questo concetto), o principalmente dello stato, perché sostiene che il potere totale può produrre un cambiamento totale. Sostenendo questa visione, il filosofo-re può sognare di creare un ordine mondiale totalmente nuovo semplicemente ottenendo il controllo totale sull’uomo e sulla sua educazione. Non sorprende che l’accettazione della teoria dell’evoluzione abbia prontamente prodotto movimenti totalitari in tutto il mondo. Marx ed Engels furono deliziati dalla pubblicazione della teoria di Darwin nel 1859, ed entrambi riconobbero immediatamente che rendeva la loro filosofia socialista inevitabile. Un uomo che si evolve, cambia, è un uomo malleabile, e la strada all’utopia, ad un nuovo paradiso sulla terra, è la totale abilità di cambiare l’uomo. Quando l’uomo crede ad una   natura “data da Dio”, da lui fissata nell’uomo, allora non può credere che i poteri totalitari nello stato possano disfare il lavoro di Dio.

Questo antico, classico concetto dell’uomo, ancora molto presente con noi, e fortemente sviluppato dall’Illuminismo e dalle filosofie evolutive, è terreno fertile per uno statalismo radicale e per un radicale anarchismo. Nella sua forma totalitaria, ci offre uno stato salvatore come speranza per l’uomo. Lo stato moderno, e tutti i suoi partiti politici in gradi varianti, ci offre piani rivali di salvezza per mezzo atti di leggi stataliste. Sicurezza dalla culla alla tomba, la conquista della povertà, della malattia, della morte e della guerra, tutto questo ed anche di più viene promesso da candidati il cui programma è apertamente messianico e radicalmente salvazionista (soteriologico).

Dall’altro lato, l’anarchismo esistenziale deve negare lo stato e gli altri uomini. Per Sartre, gli altri uomini, il prossimo, o allo stesso modo gli sconosciuti, sono il diavolo, poiché lui è il suo stesso dio. Per gli esistenzialisti la libertà dell’uomo è espressa, 1) dalle azioni immotivate per dimostrare una radicale indipendenza da Dio e dall’uomo, e 2) la miglior azione immotivata è un’azione di arbitraria crudeltà perché enfatizza la nostra indipendenza da Dio e dall’uomo  [8]. Lo stato moderno dichiara similmente la sua indipendenza da Dio per mezzo di un brutale disprezzo per Dio e la sua legge. Promuove una teoria dell’elitismo che riduce alla condizione di  cavie animali tutti gli uomini altri dal filosofo-re o dal pianificatore scientifico socialista.

Un secondo tipo di approccio, più moderno e più dilagante nella nostra cultura è il concetto democratico dell’uomo. Oggi, questa concezione prevale largamente nelle civiltà occidentali, e gli elitisti o aderenti alla concezione classica usano la facciata della democrazia per agire. Al di là della cortina di ferro del Comunismo, la facciata del voto, la democrazia e la dignità di tutti gli uomini maschera un radicale scientifico elitismo. Nell’antropologia democratica, in forti elementi derivati da Rousseau, l’uomo è naturalmente buono e solo le istituzioni ed un cattivo ambiente lo portarono al male o al peccato. Apparentemente questa dottrina dell’uomo gli dà grande dignità; in realtà riduce l’uomo in modo radicale. Se l’uomo è buono naturalmente, e però egli è storicamente perverso e maligno, allora l’uomo è nella sua essenza un essere molto debole la cui bontà naturale è nel migliore dei casi fragile, e nel migliore dei casi l’uomo è passivo nella sua relazione con la natura. L’antropologia democratica ha sostituito Dio con la Natura e ha fatto dell’uomo la creatura della Natura e il mondo la creatura dell’uomo. Ancor più che il concetto classico o elitista, l’antropologia democratica concepisce l’uomo come plastico e malleabile ed ha portato ad una pesante enfatizzazione della propaganda, dell’educazione, e del controllo statale verso il rifacimento dell’uomo. Poiché il male non è nell’uomo ma nelle istituzioni che lo circondano, la strada per la salvezza significa rivoluzione, il rovesciamento di quelle istituzioni, per liberare l’uomo alla beatitudine di un paradiso anarchico, un mondo senza stato nel quale l’uomo e la società funzionano perfettamente senza il beneficio del clero e dello stato. Naturalmente, nella forma bastarda di questa teoria, dove sia mescolata con l’etilismo, una élite di pianificatori o una dittatura del  proletariato, guiderà lo stato del popolo attraverso la Grande Società o fase statalista alla grande Comunità o fase anarchista. Il socialismo cederà il passo al comunismo a-statale.

Pitagora disse: “L’uomo è la misura di tutte le cose,” e sia l’antropologia elitista che quella democratica si sono attenute a questa posizione. In entrambe, comunque, la conseguenza pratica o teoretica comunque ineludibile è stata che pochi uomini sono la misura di tutte le cose  e si comportano da dio sopra tutti gli altri uomini.

Nel concetto democratico: vox populi, vox dei, la voce del popolo è la voce di dio. Pertanto non c’è stato appello al di là di quella voce infallibile, sia che sia incarnata nella maggioranza democratica o nel consenso democratico.

La concezione democratica ha portato alla proliferazione di istituzioni e al controllo istituzionale e organizzativo dell’uomo. Se cattive istituzioni come la chiesa hanno reso cattivo l’uomo, allora buone istituzioni renderanno l’uomo buono. John Dewey attaccò la chiesa, cioè la chiesa ortodossa credente nella Bibbia, come istituzione irreparabilmente aristocratica, perché crede nel paradiso e nell’inferno, salvati e perduti, buoni e cattivi, tutti concetti inguaribilmente aristocratici  [9]. Oltre due decenni più tardi Conant fece la stessa dichiarazione riguardo alla famiglia; ogni famiglia persegue il meglio per i propri figli, assicurando con ciò la disparità di opportunità  [10]. Perciò chiesa e stato, essendo antidemocratici, devono andarsene. Alcuni educatori hanno detto le stesse cose riguardo a scuole e college cristiani. La società deve essere ripulita dalle istituzioni antidemocratiche per rendere l’uomo completamente soggetto ad istituzioni democratiche. Ogni congresso, parlamento, assemblea o legislatura crea regolarmente nuove agenzie o istituzioni al fine di produrre questo benefico rifacimento dell’uomo.

Precisamente perché la Chiesa Cristiana rappresenta il concetto opposto dell’uomo, lo stato democratico è implicitamente o esplicitamente ostile al Cristianesimo. L’avanzata della democrazia ha visto da una parte, il progressivo abbandono del Cristianesimo da parte di molti stati in favore dell’umanesimo, e dall’altra una radicale persecuzione del Cristianesimo. Il Cristianesimo non è compatibile col totalitarismo, ne con le forme in via di sviluppo di politiche umanistiche dalla monarchia alla democrazia. Come risultato, nello stato moderno, la scelta usuale di un votante Cristiano è fra il minore di due mali statalisti. L’antropologia della sinistra e della destra è in entrambe anti-Cristiana. I Conservatori (centrodestra) essendo usualmente meno avanzati e meno sistematici, rappresentano il male statalista in forma leggera: la loro posizione non è ancora fondata teologicamente fatta eccezione per una minoranza di casi.

Il terzo tipo di dottrina che ha influenzato il nostro mondo è l’antropologia Biblica. Nei termini di questa fede, l’uomo fu creato interamente buono da Dio (Genesi 1, 31), ma caduto e reprobo al di fuori di Cristo, non può essere considerato ancora normale nel suo stato di decaduto o peccatore. Il peccato è una a-normalità e una deformazione dell’uomo, distruttivo dell’uomo e della sua società. Nella sua essenza è suicida. “Chi pecca contro di me, fa male a se stesso; tutti quelli che mi odiano amano la morte” (Proverbi 8, 36). L’uomo deve essere considerato nei termini della sua giustizia originale, ma il fatto della sua totale depravazione al di fuori di Cristo non può essere ignorato. L’uomo non è plastico. Non può essere fatto diventare una creatura dello stato né del suo ambiente. L’uomo è cambiato, non dallo stato, né dalla chiesa o dalla scuola, ma primariamente dall’eterno consiglio di Dio, dalla chiamata efficace, e dalla grazia rigeneratrice (Romani 8, 28-32), e secondariamente dalla sua stessa volontà. Dio opera, e l’uomo risponde a quell’opera che in se stessa crea il responso dell’uomo.

Psicologie pagane hanno spesso influenzato la chiesa. D’Aquino sostenne, seguendo qui Aristotele, il concetto dell’uomo come tabula rasa [11]. Per lui l’intelletto era un potere passivo  [12]. Di conseguenza  la chiesa prese la strada del potere e del controllo sull’uomo come mezzi per salvarlo. L’Arminianesimo, la versione Protestante della Scolastica, condivide questa stessa fallace antropologia in vari gradi ed è perciò incline a favorire lo statalismo. Le varie Chiese riformate, ora largamente arminiane, sostengono la stessa fiducia nello stato come istituzione salvifica. Da una prospettiva Biblica, per quanto grande e terrificante possa diventare il potere dello stato (o di qualsiasi altra istituzione), la sua capacità è pur sempre strettamente limitata, perché solo Dio può cambiare l’uomo, e la società può essere rifatta solamente se l’uomo è rifatto e poi agisce nei termini del mandato creazionale per esercitare il dominio sotto Dio. Fu questa fede che motivò Lutero quando scrisse :

Se pieno pur di demoni
Il mondo è a noi avverso
Stiam fermi nella Verità
che vincere dobbiamo
Il principe del mal
Si levi avversar,
No, non ci tange:
Che condannato egli è,
Lo abbatte una Parola.

Nei termini di un’antropologia Biblica, l’uomo non è plastico. Non è, né potrà mai essere una creatura dello stato, dei sociologi e degli psicologi, né potrà essere una creatura della chiesa o della scuola, né dei suoi genitori, anche se cercasse di esserlo, cosicché egli non potrà esser fatto da loro, né potrà incolparli. La responsabilità è stata collocata non nei genitori, nella chiesa, nello stato, nella scuola, nell’ambiente, ma nell’uomo stesso. Fu un aspetto del loro peccato che portò Adamo ed Eva ad affibbiarsi l’un l’altro la loro colpa e responsabilità, poi al tentatore ed infine a Dio (Genesi 3).

L’essenza del “primitivismo” sociale è l’assenza di una sana dottrina della responsabilità. L’uomo selvaggio non biasima se stesso per errori di giudizio o per la cattiva salute. Chiede all’uomo della medicina o ad uno stregone di trovare la persona che ha gettato su di lui un cattivo sortilegio. Tra gli Irochesi si tenevano a volte esecuzioni di massa di persone che erano accusate di aver gettato cattivi sortilegi [13]. La psicologia Biblica ha reso possibile il progresso sociale portando in prima linea la responsabilità personale: ha sottolineato la responsabilità dell’uomo e ne ha proibito il trasferimento alla società o alle istituzioni. Ezechiele dichiarò: “L’anima che pecca, quella morrà. Il figlio non porterà l’iniquità del padre e il padre non porterà l’iniquità del figlio; la giustizia del giusto sarà su di lui, l’empietà dell’empio sarà su di lui” (Ezechiele 18, 20).

Le implicazioni della dottrina Biblica dell’uomo e della sua psicologia sono antistataliste e richiedono per l’uomo la libertà per svilupparsi o fallire nei termini della sua responsabilità sotto Dio. Ma le implicazioni sono anche anti-anarchiste, in quanto il governatore ultimo non è l’uomo bensì Dio. L’uomo ha potere, ma solo per il permesso di Dio, e il potere dell’uomo è un potere limitato, in modo che, dove l’uomo e le sue istituzioni vengono fondati, lì dovremo avere un’area di potere limitato. Aspirare a di più è sia un peccato contro Dio che un invito al suo inevitabile giudizio.

Le politiche moderne, poiché procedono da una falsa dottrina dell’uomo, sono per questo inevitabilmente anti-Cristiane nel loro carattere. Opereranno per sovvertire il Cristianesimo esplicitamente o implicitamente, consciamente o inconsciamente. Al momento la scelta basilare che sta di fronte al votante Cristiano non riguarda la filosofia basilare ma il grado di aderenza a quella filosofia. Ogni partito politico si fonda su principi non-Cristiani, e la sola vera domanda è: quale partito è meno sistematico nella sua filosofia anti-Cristiana.

In ballo c’è anche un presupposto metafisico. Il mito dell’evoluzione ha dato all’uomo moderno una prospettiva radicalmente diversa della realtà. Nei termini delle Scritture, l’intero universo con ciò che contiene, e tutte le cose nei cieli sono l’opera di un Dio Trino e sovrano. Ogni cosa si muove nei termini del proposito sovrano di Dio, nei termini di un’armonia gloriosa e immutabile, cosicché Asaph poté dichiarare “Anche l’ira degli uomini ritornerà a tua lode” (Sami 76, 10), e Paolo conclude: “Or noi sappiamo che tutte le cose cooperano al bene per coloro che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo proponimento” (Romani 8, 28) Questa fede volle dichiarare che tutte le cose nella creazione hanno bisogno l’una dell’altra, sono interdipendenti, e servono un proposito al di là di se stesse, cosicché la loro stessa volontà non può mai diventare la volontà finale. Nelle epoche influenzate da presupposti Cristiani, anche i non Cristiani adottarono idee e filosofie che erano adattamenti secolari di una filosofia teocentrica. In questo modo, mentre la filosofia del “laissez-faire” ascriveva l’armonia finale alla natura, vide e decretò un’armonia di interessi in tutta la creazione; era un adattamento secolare della dottrina Cristiana della provvidenza. Lo stesso si può dire dei pensatori del libero mercato, essi supposero un’armonia finale di interessi che sarebbe stata insostenibile senza la presupposizione del Dio delle scritture, sovrano e predestinante. William Cullen Bryant, benché Cristiano non ortodosso, riconobbe questo fatto chiaramente. Un uomo forte, egli notò, può alzare il proprio peso e molto di più, ma, egli disse, un uomo che possa alzare 100 chili, benché egli stesso ne pesi solo 80, lo stesso non può sollevarsi da solo: “Un altro deve compiere l’incombenza. La forza deve provenire dall’esterno”. così anche l’armonia di interessi si basa non nelle intenzioni dell’uomo ma nella natura della realtà.

C’è una grande legge impostaci dalle necessità della nostra condizione di membri della società umana, la legge del mutuo soccorso, l’interscambio di benefici e di vantaggi, la legge di Dio e della natura, che ci comanda di esserci utili l’un l’altro.  È la legge del consorzio familiare, è la legge del quartiere, è la legge delle diverse province incluse sotto lo stesso governo, e bene sarebbe per l’umanità se fosse in egual modo riconosciuta come legge da essere sacramente considerata dalla grande comunità delle nazioni nei loro rapporti. Se quella legge fosse repulsa, lo stato sociale perderebbe la sua coesione e cadrebbe in pezzi. Non c’è un sentiero nel campo, né un’autostrada, né un’insegna stradale ad un bivio, né una ferrovia fra città e città, né una nave sull’oceano che non siano una dimostrazione di questa legge.  È proclamata dal fischio della locomotiva. È mormorata dal suono delle acque divise dalla prua del bastimento. La nazione dalla quale è disprezzata, o che tenta di impedirla con barriere artificiali contro il libero scambio dei suoi cittadini con quelli di altre nazioni, è in rivolta contro l’ordine della natura e colpisce  la propria prosperità”  [14].

L’estesa accettazione della mitologia evoluzionista tagliò presto alla base il credo nell’armonia di interessi e lo rimpiazzò col credo nel conflitto di interessi. Evoluzione significa lotta per la sopravvivenza, specie contro specie, una creatura contro tutte le altre, cosicché tutto l’universo è il prodotto sia della cieca sorte sia di una guerra mortale fra tutte le creature. Significa un universo “cane mangia cane”, ogni uomo per se stesso, un mondo in cui si uccide o si è uccisi. Confrontato con l’evoluzione Tennyson cercò fortemente di mantenere qualche tipo di armonia superiore, ma dovette vedere la natura combattere con le unghie e con i denti, un mondo di distruzione e di spietatezza. Evoluzione significa conflitto di interessi totale, che, in termini politico-economici, come riconobbero immediatamente Marx ed Engels, significa lotta di classi. Ora che l’educazione statalista è totalmente influenzata dal Darwinismo non sorprende che tutte le classi e tutti i gruppi credano nel conflitto di interessi. I capitalisti sono dedicati ad una economia contraria al libero mercato proprio come i lavoratori. Gli industriali  difendono tariffe, presumono che il conflitto sia ineludibile, agiscono come se i lavoratori fossero un nemico. I lavoratori trattano il capitale come nemico e l’agricoltura considera  tutti nemici allo stesso modo la città, il capitale e le forze lavorative. La lotta di classe è divenuta la premessa fondamentale della politica e, nel 1960 i negri avevano ormai raccolto questa mitologia, e da allora  anche altri gruppi cosiddetti minoranze: messicani, indiani e donne. La fede nel conflitto di interessi crea una società in guerra, uno stato di guerra permanente come naturale ed inevitabile. In una società conflittuale il potere dello stato cresce rapidamente, poiché da un lato lo stato incita il conflitto attraverso legislazioni che presumono un conflitto di interessi e dall’altro si presenta come arbitro.

Un buon esempio di queste legislazioni sul conflitto di classi è la legge sul salario minimo. Apparentemente doveva aiutare gli operai non specializzati assicurando un salario minimo ragionevole. In realtà portò disoccupazione e alla rivoluzione dei negri degli anni 60, insieme a problemi giovanili. Mentre prima i giovani non specializzati potevano essere assunti e ricevere l’addestramento necessario sul posto di lavoro, ora il costo per tale apprendistato era troppo grande. La percentuale di giovani disoccupati, sia  neri che bianchi, è cresciuto stabilmente insieme a conflitti, delinquenza ed altri problemi. L’interferenza statalista, basata su una filosofia del conflitto di interessi ne è stata  responsabile.

La filosofia del conflitto è ineludibile su una premessa evoluzionista. Può essere tagliata alla radice solo dalla dottrina biblica della creazione.

La filosofia dello statalismo è anti-cristiana  fino al midollo. La necessità della nostra epoca non è l’azione politica ma un ritorno alla fede Biblica.

Su qualsiasi altra dottrina dell’uomo che non sia quella Biblica, lo stato aumenta il suo potere e recita la parte di dio e salvatore sulla vita dell’uomo.

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1. Kathleen Freeman: God, Man and the State: Greek Concepts, p.94f. Boston: Beacon Press, 1952

2. Irwin Edman, editor: The Works of Plato, “Phaedo,” p.121. New York: Modern Library, 1930

3. Max Lerner, editor: Aristotle’s Politics, LibroII, cap 2, p.81. New York: Modern Library, 1943

4. Ibid., Libro I  Cap. 2, p.54.

5. J.A.L. Thomson, traduttore The Ethics of Aristotles, Libro I Cap. 1, p.25. Harmondsworth, Middlesex, england: Penguin Books, 1958

6. Ibid. I, 3, p.27

7. Ibid I, 7, p.37

8. Joseph Wood Krutch, “Must Writers  Hate the Universe?”  in Ned E Hoopes, editor: Who am I? Essays on the Alienated, p.200. New york: Dell, 1971

9.  John Dewey: A Common Faith, p.84. New Haven: Yale University Press, 1934

10. James Bryant Conant: Education in a Divided World, The Function of the Public School in Our Unique Society, p.8. Cambridge: Harvard University Press, 1948

11. Summa Theologica, I, Q 84, A3 (Con quest’espressione, già a partire da Aristotele, si è espressa l’idea che l’essere umano nasce senza nulla di innato dal punto di vista conoscitivo n.d.t.)

12. Ibid., I, Q79 A2

13. Anthony F.C. Wallace: The Death and Rebirth of Seneca, pp. 201, 236, 291f, 331. New York: Knopf, 1970

14. William Cullen Bryant, “ Freedom of Exchange,” nel suo Orations and Addresses, pp. 320-322. New York: G.P. Putnam’s Sons, 1873


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