L'”ateismo” della prima Chiesa

Poiché tendiamo a proiettare il presente sul passato, troppo spesso vediamo il conflitto di Roma con il Cristianesimo come una persecuzione religiosa. Come abbiamo visto, la preoccupazione di Roma era che tutte le religioni fossero lecite, autorizzate e controllate. Finché la religione non sovvertiva l’autorità e il potere di Cesare, Roma si preoccupava solo incidentalmente del contenuto della nuova religione.

Il Cristianesimo era accusato di essere una setta atea e Roma odiava l’ateismo in quanto forza sovversiva. La prontezza di Roma a credere che i cristiani fossero colpevoli di incesto e cannibalismo era dovuta alla sua convinzione che gli atei fossero capaci di qualsiasi cosa. Eusebio, nella sua Storia Ecclesiastica (Libro V), fornisce un resoconto della persecuzione dei cristiani a Lione. In precedenza, gli ebrei erano stati accusati di ateismo. Ora i cristiani erano i bersagli principali. Giustino Martire affermò che i cristiani erano chiamati atei perché si schieravano in opposizione alle forze demoniache del loro tempo e contro la sua corruzione morale. I cristiani consideravano gli dei dèi pagani “demoni malvagi ed empi”. Giustino aggiunse: “E confessiamo di essere atei, per quanto riguarda dèi di questo genere, ma non rispetto al Dio verissimo, Padre della giustizia, della temperanza e delle altre virtù, che è libero da ogni impurità” [1]. Giustino si scagliò duramente contro il cinico Crescente, che aveva accusato i cristiani di ateismo:

Anch’io, quindi, mi aspetto di subire un complotto e di essere messo al rogo, da alcuni di quelli che ho nominato, o forse da Crescente, quell’amante della spavalderia e della vanagloria: perché non è degno del nome filosofo chi pubblicamente testimonia contro di noi in questioni che non comprende, dicendo che i cristiani sono atei ed empi, e lo fa per ingraziarsi la plebe illusa e compiacerla. Infatti, se ci attacca senza aver letto gli insegnamenti di Cristo, è completamente depravato e molto peggiore degli illetterati, che spesso si astengono dal discutere o dal rendere falsa testimonianza su questioni che non capiscono. Oppure, se li ha letti e non ne comprende la maestà, o pur comprendendola, agisce in modo da non essere sospettato di esserlo (un cristiano), è molto più vile e profondamente depravato, essendo sopraffatto da opinioni e paure illiberali e irragionevoli [2].

Abbiamo qui un punto troppo importante per sorvolarlo frettolosamente. Un filosofo cinico è l’ultimo che la maggior parte delle persone oggi si aspetterebbe che accusasse i cristiani di empietà e ateismo. Cosa significavano questi termini per Crescente e per gli uomini del suo tempo? Pietà significava soprattutto una rispettabile sottomissione all’autorità statale; un pio romano era un uomo devoto e sempre obbediente allo stato romano. I cristiani sentivano che la loro fosse una pietà più vera e superiore, ma, per i Romani, erano effettivamente empi, e lo erano anche per i Greci.

Clemente di Alessandria cercò di dimostrare che l’unico vero gnostico è il cristiano, che è “il solo ad essere veramente pio” [3]. A proposito dell’accusa di ateismo, dichiarò:

Chi, dunque, è convinto che Dio sia onnipotente e ha appreso i misteri divini dal suo unigenito Figlio, come può essere ateo (atheos)? Perché è ateo chi pensa che Dio non esista. Ed è superstizioso chi teme i demoni; chi deifica tutte le cose, tanto il legno che la pietra; e riduce in schiavitù lo spirito e l’uomo che possiede la vita della ragione [4].

Clemente ridefinisce l’ateismo per dargli un contenuto cristiano che prima non aveva. Cos’era dunque l’ateismo per i Greci e i Romani?

Ne troviamo la chiave in Eusebio, che ci fornisce il resoconto di un interrogatorio di Aemilianus (Marco Emilio Emiliano), il vice prefetto, a un gruppo di cristiani. Uno dei cristiani, Dionigi, riferì la questione in una lettera a Ermammone:

Mentre Dionigi, Fausto, Massimo, Marcello e Cheremone, erano in giudizio, il prefetto Emiliano disse: “Ho discusso a voce con voi della clemenza che i nostri governanti vi hanno dimostrato; vi hanno infatti dato l’opportunità di salvarvi, se vi volgerete a ciò che è secondo natura e adoriate gli dei che preservano il loro impero, dimenticando quelli che sono contro natura. Che cosa rispondete dunque a questo? Non credo che sarete ingrati per la loro benevolenza, poiché vi indurranno a una condotta migliore”. Dionigi rispose: “Non tutti adorano tutti gli dei; ma ognuno quelli che approva. Noi perciò veneriamo e adoriamo l’unico Dio, il Creatore di tutte le cose; che ha dato l’impero a Valeriano e Gallieno, divinamente favoriti e augusti; e lo preghiamo continuamente per il loro impero, affinché rimanga incrollabile”. Emiliano, il prefetto, disse loro: “Ma chi vi proibisce di adorarlo, se è un dio, insieme a coloro che sono dèi per natura? Poiché vi è stato comandato di venerare gli dèi, e gli dèi che tutti conoscono”. Dionigi rispose: “Non adoriamo nessun altro”. Emiliano, il prefetto, disse loro: “Vedo che siete allo stesso tempo ingrati e insensibili alla gentilezza dei nostri sovrani. Pertanto, non rimarrete in questa città. Ma sarete mandati in un luogo chiamato Cefro. Perché ho scelto questo luogo per ordine dei nostri sovrani, e non sarà in alcun modo permesso a voi o ad altri, né di tenere assemblee, né di entrare nei cosiddetti cimiteri. Ma se qualcuno sarà visto fuori dal luogo che ho ordinato, o sarà trovato in qualche assemblea, si attirerà un pericolo. Perché una punizione adeguata non mancherà. Andate dunque dove vi è stato ordinato” [5].

Qui vediamo chiaramente la mentalità totalitaria. Emiliano si sente clemente nel permettere ai cristiani di sottomettersi alle sue richieste, e li definisce “ingrati” per aver perseverato nella loro fede.

Ancora più importante, Emiliano ci dice cosa significasse l’ateismo per Roma: era il rifiuto di adorare gli dei della natura, cioè le forze naturali. L’idea cristiana di Dio era “contraria alla natura”. Arriviamo ora al punto focale. Per il paganesimo, la divinità era un potere insito nella natura che si manifestava nei grandi uomini, negli eroi, ma supremamente nello Stato. Gli uomini e gli dei si realizzavano nello stato. Un uomo senza stato non era affatto un uomo, e un dio senza stato era una contraddizione di termini. Il potere si concentrò nello stato, e l’idea di un dio separato e trascendentale dall’ordine umano era un anatema. Tutti i culti pagani che si infiltrarono a Roma, come il Mitraismo, erano culti in cerca di uno stato. Il cristianesimo, dichiarando il Dio uno e trino totalmente separato dallo stato e totalmente sovrano su di esso in autorità, era ateo; negava lo stato e i suoi dèi. Il cristianesimo faceva del Dio uno e trino la fonte di ogni potere, autorità e legittimità, mentre Roma sosteneva che solo essa rendeva legittimi gli dèi, perché potere e autorità appartenevano a Roma.

Roma riconobbe così il Dio soprannaturale del cristianesimo come nemico dei suoi fondamenti e del suo potere.

Oggi viviamo un conflitto simile. Il moderno stato umanistico, pur non usando lo stesso termine, considera i cristiani di fatto atei perché credono in un Dio soprannaturale che gli “scienziati” considerano inesistente e una superstizione. John Dewey, in A Common Faith, riecheggia l’ostilità di Emiliano al cristianesimo come nemico di un vero ordine sociale naturalistico.

L’autorità dello stato come ordine naturale supremo è minata dalla fede cristiana. Crescente e altri nell’Impero romano non ignoravano il contenuto della Bibbia. Per loro, l’unica forza morale sostenibile per l’uomo era il timore dello stato. Se l’uomo fosse invece posto sotto il dominio di un Dio remoto e invisibile, cosa gli avrebbe allora impedito incesto e cannibalismo? Così ragionavano i Romani e i Greci. Per loro, quindi, la chiesa era nemica dell’uomo, dell’ordine sociale, dello stato, della moralità e degli dèi. Lo chiamavano “ateismo”.

Note:

1 “La prima apologia di Giustino”, capitoli V, VI, in Ante-Nicene Christian Library, Writings of Justin Marthyr and Athenagorus, vol. II, pp. 10-11. Edimburgh, Scotland: T. & T. Clark, 1874.

2 “La seconda apologia di Giustino” in ibid., p. 74; Capitolo III.

3  “The Stromata, or Miscellanies” of Clement of Alexandria, Book VII, ch. I; in Ante-Nicene Christian Library, Clement of Alexandria, libro VII, cap. I. In Ante-Nicene Christian Library, Clement of Alexandria, vol. II, p. 406.

4 Ibid, II, p. 408.

5  “The Church History of Eusebius.” Bk VII, chapt. XI; Nicene and Post-Nicene Fathers, Series II, vol. I, p. 300. Grand Rapids, MI: Eerdmans, 1961.


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