Come abbiamo visto, Marsilio da Padova (1290?-1343) avanzò una triplice giustificazione dello stato come ordine fondamentale e totale della società. In primo luogo, fondò lo stato sulla ragione, non sulla rivelazione; trasferì lo stato dal governo della teologia alla filosofia e alle scienze politiche. Ciò significava che i re-filosofi dovevano governare l’umanità. In secondo luogo, Marsilio presentò lo stato come supremo perché è il potere coercitivo supremo, il cui compito è regolare e controllare conflitti e dissensi mediante il suo potere. In terzo luogo, lo Stato per Marsilio era la voce e la volontà del popolo talché rappresentava la vera voce dell’uomo.
Come ha sottolineato F. W. Bussell, questa teoria era democratica di nome ma imperialista di fatto. Affermare che lo stato è la voce del popolo, la voce dell’uomo, significa negare legittimità a qualsiasi opposizione, soprattutto quando il popolo è visto come naturalmente buono e lo stato come espressione della ragione e dell’ordine razionale. A quel punto l’opposizione allo stato diventa espressione di irragionevolezza e malvagità. La Chiesa può al massimo essere un suddito e un satellite dello stato civile, se non un nemico a causa dei suoi presupposti estranei. Non sorprende che, al servizio di Ludovico IV di Baviera, Marsilio divenne un persecutore della Chiesa e fu ricompensato con un arcivescovado, e il suo collega Giovanni di Jandun fu ricompensato in modo simile. Le radici di Marsilio erano pagane: come Aristotele, considerava lo stato come la comunità etica e la fonte del giudizio etico. Pertanto, era necessario eliminare la possibilità di interferenze da parte della Chiesa. La Chiesa fu quindi relegata a un regno spirituale antinomico. Senza la legge di Dio, la Chiesa non aveva alcuna base per condannare lo stato, poiché lo stato era ora la fonte del diritto. La Chiesa fu limitata a riti, esperienze mistiche ed espressioni emotive. Bussell disse di Marsilio:
Marsilio, che con Aegidius segue Aristotele nel tracciare la politica a partire dalla famiglia o dalla casa, desidera riabilitare lo Stato, come sede della vita etica, nello spirito antico dell’epoca classica. Sembra anche seguirlo nella suddivisione delle sei funzioni (tre produttive, tre protettive): agricoltura, artigianato e settore bancario per la vita fisica; i doveri di giudice, soldato e sacerdote per la vita sia naturale che spirituale. Il sacerdozio è solo un altro dipartimento dello stato, istituito e controllato dal popolo. Il suo scopo di demolire le basi dell’interferenza clericale nella politica, era qualcosa che non poteva venire in mente ad Aristotele, ai cui tempi non esisteva un simile contrappeso all’assolutismo secolare – o meglio, il re divino Alessandro unì nella sua persona i fattori ora contrastanti e in lotta [1].
Non dovrebbe quindi sorprenderci che, con lo sviluppo della centralizzazione del potere nello Stato, si sia sviluppata anche l’Inquisizione. Nei suoi primi anni, l’Inquisizione si adoperò per indebolire il potere dei vescovi, che spesso proteggevano i gruppi eretici dalla violenza, al fine di rafforzare l’unità nello stato o nell’impero. Lo stato trovò nell’Inquisizione uno strumento preziosissimo, ancora oggi utilizzato con altri nomi e sotto altre forme per imporre la conformità allo stato. Ciò avrebbe dovuto indurre gli storici a soffermarsi su quei secoli e a riflettere sul fatto che molti dei sovrani più vigorosi nell’uso dell’Inquisizione erano tutt’altro che credenti. Un primo e importantissimo esempio di ciò fu l’imperatore degli Hohenstaufen, Federico II, che, pur essendo egli stesso un palese e flagrante libero pensatore, decretò la morte, l’esilio e la confisca degli eretici all’interno dell’Impero (1220-1230). Fu Federico a influenzare il papato nella stessa direzione. È degno di nota anche il ricorso all’ordine domenicano. Ciò servì a un duplice obiettivo. In primo luogo, L’impiego dei monaci minò l’indipendenza semi-feudale dei vescovi. In questo modo, la centralizzazione del potere in Vaticano fu ulteriormente rafforzata. In precedenza, tale spinta alla centralizzazione aveva portato il papato a benedire l’invasione dell’Inghilterra da parte di Guglielmo il Conquistatore nel 1066; una forte Chiesa inglese fu introdotta in un rapporto amministrativo più stretto e sotto il controllo sia del papato che della corona [2]. La precedente ostilità del Vaticano alla persecuzione degli eretici fu così superata, favorendo la centralizzazione del potere a Roma e l’indebolimento del potere episcopale.
La centralizzazione del potere in Vaticano rese più facile per lo Stato o l’Impero controllare la Chiesa. Invece di avere a che fare con molti abati e vescovi indipendenti, ora da controllare c’era solo il papa.
In secondo luogo, allo stesso tempo, lo stato trasse grandi vantaggi dall’Inquisizione, poiché contribuì a spezzare il potere delle forze dissidenti nell’ordine civile, ovvero i vescovi e gli eretici. L’Inquisizione ebbe meno successo negli stati germanici, dove sia i principi che i vescovi erano meno propensi a vedere i poteri imperiale e papale ottenere un vantaggio [3]. C’era un fattore finanziario; poiché i beni di un eretico condannato erano soggetti a confisca, i principi empi svilupparono uno zelo nel trovare eresie ovunque. La ricchezza che i re traevano dai beni confiscati dagli eretici era un incentivo non da poco allo zelo inquisitorio. Quando, dopo il 1252, anche il papato reclamò una parte del bottino, divenne più facile per l’Inquisizione dichiarare colpevoli i cittadini. I governanti secolari, tuttavia, furono sempre i più zelanti nell’ottenere i beni confiscati. È degno di nota che, nell’Inquisizione spagnola, la più rigorosa di tutte, gli appelli a Roma contro la corte erano proibiti; non era permessa alcuna clemenza da parte del papa.
Lo stato di Marsilio divenne quindi molto presto pura coercizione. Laddove ragione e coercizione vengono identificate come attributi e natura dello stato, è la coercizione a prevalere. In Macchiavelli, la ragione divenne apertamente ciò che era stata in precedenza nella maggior parte degli stati, la ragion di stato, una giustificazione di tutto ciò che lo stato faceva come intrinsecamente giusto, poiché l’acquisizione, il controllo e il mantenimento del potere e della supremazia per lo stato sono priorità.
Poiché lo Stato, in tale pensiero, è l’ordine primario e ultimo, l’uomo diventa una creatura dello stato. Nella fede biblica, l’uomo è creazione di Dio, e l’uomo, insieme alla Chiesa, allo stato e a tutte le altre cose, è sottomesso a Dio, e il suo essere è determinato da Dio, da qui la predestinazione. Per il pensiero moderno, l’uomo è creatura dello stato. Ciò è chiaro in un’affermazione di un sociologo austriaco-polacco, Ludwig Gumplowicz (1838-1909):
Non è l’uomo stesso a pensare, ma la sua comunità sociale; La fonte dei suoi pensieri risiede nell’ambiente sociale in cui vive, nell’atmosfera sociale che respira, e non può pensare altro che ciò che le influenze del suo ambiente sociale, che si concentrano sul suo cervello, richiedono…[4].
Questo significa, ovviamente, la predestinazione da parte dello Stato. Anche Gumplowicz, amico intimo di Lester Ward e positivista, sosteneva: “La mia dottrina è che la giustizia è l’interesse del più forte” [5].
Gli idealisti filosofici dell’era moderna hanno sostenuto, con Marsilio, che lo stato è moralità. Questo era vero per Thomas Hill Green (1836-1882), che affermò:
Un diritto nei confronti della società in quanto tale, un diritto ad agire senza riferimento ai bisogni o al bene della società, è impossibile, poiché ogni diritto dipende da qualche relazione sociale, e un diritto nei confronti di un qualsiasi gruppo di uomini associati dipende dall’uguaglianza con loro o con altri uomini… Se consideriamo lo stato come il sostenitore e l’armonizzatore delle relazioni sociali… l’individuo non può avere alcun diritto nei confronti dello stato… la sua legge deve essere per lui di autorità assoluta … nessun esercizio di potere, per quanto possa essere astrattamente auspicabile per la promozione del bene umano, può essere rivendicato come diritto a meno che non vi sia una comune consapevolezza di utilità condivisa dalla persona che avanza la rivendicazione e da coloro nei confronti dei quali viene avanzata. Non si tratta di stabilire se debba o meno essere rivendicato come diritto; semplicemente non può essere rivendicato se non a questa condizione [6].
Poiché per Green lo stato è l’ordine morale, nessuna azione può essere morale se non in riferimento ai bisogni o al bene della società. A volte, nell’antichità pagana, lo stato ha ritenuto l’aborto un male, altre volte un bene, entrambi i giudizi sono stati espressi nei termini di bisogni della società. Per Green, il riferimento alla legge di Dio rivelata nella Bibbia è insostenibile; il punto di riferimento è l’ordine sociale e lo stato.
Bernard Bosanquet (1848-1923) non riusciva a vedere lo stato limitato dalla moralità perché per lui lo stato era moralità. L’idealismo hegeliano trovò piena espressione nella sua filosofia. Bosanquet sosteneva che:
Lo stato nazionale … è l’organizzazione più ampia che possiede l’esperienza comune necessaria per fondare una vita comune. Per questo motivo è riconosciuto come un assoluto detentore di potere sull’individuo e come suo rappresentante e paladino negli affari del mondo esterno. È ovvio che non può esserci che un solo potere assoluto di questo tipo in relazione a qualsiasi persona… e… la sua liberazione da un’alleanza può essere effettuata solo dalla sua accettazione di un’altra … Lo Stato-Nazione come idea etica è, quindi, una fede o uno scopo – potremmo dire una missione, se il mondo non fosse troppo ristretto e troppo aggressivo… La nazione moderna è una storia e una religione piuttosto che un’idea ben definita [7].
I positivisti scartarono l’idea di moralità come un’assurdità metafisica; gli idealisti filosofici la identificarono con lo stato. Il risultato in entrambi i casi fu lo stesso. Il giudizio morale fu reso nullo e privo di valore in entrambi i casi. Se lo stato è la moralità incarnata, come può essere criticato? E ancora, se non c’è moralità, lo stato come può essere criticato? Non è quindi possibile alcuna critica o opposizione valida allo stato.
Come sostenevano i pensatori positivisti messicani, “Il clero e l’esercito esistono per servire la nazione, cioè il popolo” [8]. In Messico si riteneva che la moralità appartenesse al campo sociale, allo stato, non alla Chiesa. Lo stesso vale per l’istruzione [9]. Lo stato era arrivato a sostituire la Chiesa. Come osservò Zea: “In realtà, sia i liberali sia i positivisti erano settari:
entrambi combattevano per il potere spirituale” [10]. Lo Stato, in quanto vero ordine dell’uomo, ha prevaricato la libertà e i poteri dell’uomo, tanto che Gabino Barreda poteva affermare: “I diritti della società sono più importanti dei diritti dell’uomo” [11].
Nei vari processi tra chiesa e stato negli Stati Uniti negli anni ’70 e ’80, è stato chiaro che i funzionari dello stato credono che solo lo stato abbia diritti e che i poteri coercitivi dello stato siano buoni e al di sopra di ogni critica.
Note
1 F. W. Bussell: Religious Thought and Heresy in the Middle Ages, p. 860. London, England: Robert Scott, 1918.
2 See David Howarth: 1066, The Year of the Conquest. New York, NY: The Viking Press, 1977.
3 Bussel, op. cit., p. 741-743.
4 Citato da Ludwig Gumplowicz: Outlines of Sociology, p. 157 (Philadelphia1899), by John H. Hallel: Main Currents in Modern Political Thought, p. 317. New York, NY: Henry Holt, 1959
5 Gumplowicz. p. 182, in ibid., p. 319.
6 T.H. Green: Lectures on the Principles of Political Obligation, p. 23 della edizione del 1941; citatato da Hallowell, p. 282.
7 Citato in Hallowell, p. 288, da Bernard Bosanquet: Philosophical Theory of the State, Ch. XI, par. 6; New York, NY: Terza edizione, 1920.
8 Leopold Zea: Positivism in Mexico, p. 65. Austin, TX: University of Texas Press, 1974.
9 Ibid., p.96s.
10 Ibid., p.134.
11 Ibid., p.115.