L’eresia del Donatismo è antica e importante, proprio perché rappresenta, in una forma o nell’altra, un filone continuo nella storia della cristianità. Il movimento donatista ebbe inizio nel 311 d.C. in Nord Africa, che a quel tempo era un grande centro di fede, teatro di intense persecuzioni e arena di martiri e testimonianze straordinarie. Le chiese di quell’area erano caratterizzate da zelo e da una spinta alla perfezione. Fu proprio questa brama di perfezione a causare problemi. Alle chiese e agli individui che per timore avevano compromesso la loro fede e accettato il controllo e la licenza dello stato, veniva rifiutato, nonostante il pentimento, qualsiasi rientro nella chiesa. I loro sacramenti furono considerati invalidi, così come i battesimi celebrati da pastori disertori.
Fu a questo punto che si sollevò una questione molto critica. Se il battesimo di un uomo fosse diventato invalido alcuni anni dopo la sua conversione perché il suo pastore aveva compromesso la fede sotto pressione o era diventato immorale, nessuno avrebbe potuto essere sicuro della validità del suo battesimo fino alla morte del suo pastore. E ancora, se la defezione di una chiesa qualche anno dopo rendeva nulli i battesimi, le comunioni e i matrimoni celebrati prima di allora, i fedeli si ritrovavano nuovamente in una situazione difficile.
La posizione ortodossa, in risposta ai donatisti, sosteneva che non era la vita del pastore né quella della chiesa a salvarli, ma il Dio Uno e Trino e la grazia di Dio rivelata in Cristo. Pertanto, tutti i battesimi celebrati nel nome della Trinità erano validi, qualunque compromesso, apostasia o immoralità il pastore potesse manifestare in seguito. La validità risiede nell’atto di Dio, non nell’atto dell’uomo. Il donatismo, d’altra parte, sosteneva che non potesse esserci validità in alcun atto compiuto da una chiesa che non si separasse dal mondo in termini donatisti. Dopo il V secolo, il donatismo come chiesa cessò di essere un problema rilevante.
Il fatto è, tuttavia, che il donatismo aveva sollevato questioni che non trovarono mai una risposta completa. I donatisti istituzionalizzarono le loro idee e tra chiese cattoliche e donatiste divenne battaglia. Tra le domande senza risposta, ne incombeva una di grande rilievo. Una chiesa che si sia allontanata dalla fede ortodossa e abbia di fatto soppiantato la grazia con altre dottrine quando cessa di essere una chiesa valida? Questo fu un problema che preoccupò i fedeli cattolici nel corso dei secoli, poiché cose come la pornocrazia, avevano, per un certo periodo, controllato il papato. Preoccupò anche Calvino che vide la Riforma essere sfruttata da perfezionisti. Troppi erano pronti ad abbandonare le loro chiese “per un lieve dissenso”, invece di fare ciò che “ogni membro” è tenuto a fare, “adoperarsi per l’edificazione generale, secondo la misura della sua grazia che ha in lui, purché questo sia fatto con ordine e decoro”[1]. Calvino proseguì osservando:
Nel caso di manchevolezze di natura etica si richiede una sopportazione ancora maggiore. Perché è facile cadere in questo campo ed il diavolo ricorre a macchinazioni straordinariamente abili per sedurci.
Sono sempre esistiti quelli che dando ad intendere di possedere una santità perfetta, quasi fossero angeli di paradiso, hanno disprezzato ogni comunità umana in cui si riscontrasse qualche debolezza. Tali furono anticamente i Catari, i sedicenti puri, i Donatisti che si avvicinarono alla follia di costoro. Qualche cosa di simile si verifica al giorno d’oggi fra gli Anabattisti, fra quelli che si considerano più abili e più dotti degli altri [2].
La validità dei sacramenti, sosteneva Calvino, dipende da Dio, non da un sacerdote o da un pastore: “Non siamo stati battezzati nel nome di un qualche uomo, ma nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, e il battesimo risulta pertanto da Dio e non da uomini, chiunque sia stato ad amministrarlo” [3].
Si è detto abbastanza per indicare che il donatismo è ancora un problema all’interno della Chiesa, poiché il perfezionismo porta a divisioni. Allo stesso tempo, c’è il problema di una Chiesa compromissoria o apostata. Va ricordato che sia i donatisti che i cattolici, durante le persecuzioni, si separarono dalle chiese e dagli uomini compromessi. La questione divisiva era se questi potessero mai essere ripristinati nella comunione dopo il pentimento, e se qualche sacramento o ordinanza delle Chiese disertrici fosse stato reso invalido dalla loro azione. La nostra preoccupazione, tuttavia, riguarda l’applicazione del Donatismo allo stato.
Molto presto, quando lo stato manifestò ostilità alla chiesa, o disprezzò la legge di Dio, o in qualsiasi modo combatté contro la fede, gli ecclesiastici conclusero che l’autorità di quello stato o di quel governante fosse invalida.
Ne fu un esempio un allievo di Innocenzo IV, Enrico di Segusio, meglio conosciuto come Ostiense. Era già comune l’argomentazione secondo cui ogni dominio deriva dal Dio uno e trino ed è soggetto alla sua sovranità e legge. Coloro che negano la legge e la sovranità di Dio possono possedere potere, ma non vera autorità. Ostiense affermò, a questo proposito:
Mi sembra che con la venuta di Cristo ogni ufficio e ogni autorità governativa, ogni signoria e giurisdizione siano stati tolti a ogni infedele legittimamente e per giusta causa e concessi ai fedeli per mezzo di Colui che ha il potere supremo e che non può sbagliare [4].
Muldoon definisce questa un’estensione del Donatismo alle cariche politiche [5]. Innocenzo IV, a suo avviso, non era pronto ad arrivare a tanto. I diritti degli infedeli erano stati attentamente definiti dal papato [6].
Ciò nonostante, il donatismo, in qualche forma, era stato comune sia alla chiesa che allo stato. Per citare solo un esempio, Enrico IV, il 24 gennaio 1076, durante un sinodo dei vescovi tedeschi a Worms (con presenti ventisei su quaranta), dichiarò deposto Papa Gregorio VII. Non si trattava di un atto insolito; molti imperatori prima di Enrico IV avevano deposto papi, e lo stesso padre di Enrico ne aveva deposti quattro. (Qualche generazione dopo, il Concilio di Costanza ne depose tre). Un mese dopo, il 22 febbraio 1076, Gregorio VII depose Enrico IV per ribellione alla chiesa e disobbedienza spirituale. Nel 1208 fu scomunicato re Giovanni.
Bisogna riconoscere che esiste una differenza tra queste azioni e opinioni e il donatismo, sebbene vi siano anche delle somiglianze molto concrete. Primo, il donatismo autentico sosteneva che una chiesa perdeva la sua autorità quando comprometteva o negava la fede; nessuno dei suoi atti precedenti aveva allora alcuna validità. Né i papi né gli imperatori, deponendosi a vicenda, minavano la validità dell’autorità precedente. Un atto particolare o una serie di atti portarono alla deposizione e, in seguito al pentimento, ad esempio, Enrico IV fu reintegrato. Nessuna delle sue azioni precedenti agli incidenti che portarono all’atto di Gregorio VII fu resa nulla e priva di valore. Questa è una differenza importante. La negazione di un’autorità valida era limitata a un’azione particolare e specifica da parte dei pensatori medievali, oppure, se un sovrano o un papa venivano deposti definitivamente, non veniva fatto alcun tentativo di contestare la valida autorità di quello stato particolare, né della chiesa.
Secondo, Ostiense non sta affermando il donatismo quando dichiara, nei termini del Salmo 2, che Dio Padre ha dato a Cristo, alla sua venuta, tutti i poteri e le autorità governative. Coloro che governano senza Cristo hanno potere, ma non autorità divina. Questo non dà agli individui la libertà di negare il dominio su di loro di governanti empi, e Paolo in Romani 13:1-8 è enfatico su questo punto. La negazione di un’autorità valida non convalida la rivoluzione o l’illegalità. I pensatori medievali e della Riforma a volte tolleravano l’opposizione ai tiranni, ma normalmente ciò avveniva in circostanze di legalità e sotto la guida di magistrati civili. C’è differenza tra negare la validità teologica di un governo empio e affermare il “diritto” della rivoluzione. È necessario riconoscere che la validità di ogni autorità e dominio deriva solo da Dio e dalla fedeltà a Lui; questa è una premessa teologica. Allo stesso tempo, la premessa morale che ci viene richiesta implica che riconosciamo che la base del cambiamento non è la rivoluzione dell’uomo, ma la rigenerazione del Signore e quindi la fedeltà alla sua Parola-legge. Il donatismo immanentizzava il giudizio di Dio e lo poneva nelle mani degli uomini. La Chiesa poteva quindi anatematizzare qualsiasi congregazione e la validità dei suoi sacramenti. Il futuro delle chiese, tuttavia, non è determinato dagli uomini, ma da Dio; quindi, il rifiuto del donatismo di vedere la possibilità di un valido pentimento pose di fatto fine alla storia per coloro che esso anatemizzava. La limitazione medievale della condanna ad atti specifici per i quali era possibile il pentimento e la restituzione era biblica; il donatismo non lo era. Possiamo infatti affermare che l’epoca medievale mostrò una vitalità cristiana nel fatto che chiesa, stato e concilio ritenevano opportuno citare e condannare atti specifici e, a volte, uomini. Questo fu importante per il progresso morale.
Terzo, oggi abbiamo il donatismo in riferimento allo stato in movimenti come la rivolta fiscale. Pur ammettendo la malvagità di queste tasse, resta il fatto che lo stato non può essere sostanzialmente cambiato dalla rivoluzione, ma solo dal rinnovamento cristiano. Inoltre, la validità del potere statale può essere messa in discussione solo se vengono messe in discussione altre autorità. Se lo Stato trasgredisce e si fa Dio, dov’è stata la chiesa mentre avveniva? E che dire degli individui? Troppi di coloro che sono coinvolti nella rivolta fiscale hanno un’autorità personale tanto discutibile quanto quella della chiesa o dello stato. Lo stato non raggiunge la condizione di apostata nel vuoto. “Uomo morale e società immorale” di Reinhold Niebuhr incarna nel suo titolo un grande mito moderno. L’uomo vede se stesso come innocente e la società e lo stato come malvagi. Il donatismo sfociò nel fariseismo, e così fa anche la visione moderna.
Muldoon sbagliava quindi nel considerare donatismo le opinioni di uomini come Ostiense. Poiché il Dio trino è la fonte di ogni autorità e dominio in ogni ambito, il mandato, il potere e la carica di tutti gli uomini sono condizionati. Essere al di fuori di Cristo significa essere separati dalla legge; è fondamentale che tutti riconoscano questo fatto, mentre al tempo del peccato si insiste sul fatto che gli uomini operano solo attraverso mezzi divini per realizzare cambiamenti divini.
Note:
1 Giovanni Calvino: Istituzione della religione cristiana, IV, I, 12; Vol. II, UTET, 1971 (1883), p. 1214.
2 Ibid., IV, I, 13, Vol. II, p.1214. La traduzione usata dall’Autore recita: “Ma sopportando le imperfezioni della vita, dovremmo spingerci molto più in là nella nostra indulgenza. Perché questo è un punto in cui siamo inclini a sbagliare, ed è qui che Satana è in agguato per ingannarci con stratagemmi comuni. Ci sono sempre stati infatti uomini che, per una falsa nozione di perfetta santità, come se fossero già diventati spiriti disincarnati, disprezzavano la compagnia di tutti gli uomini in cui potevano scoprire qualche traccia di umana infermità. Tali, nell’antichità, erano i Catari, e anche i Donatisti, che si avvicinarono alla stessa follia. Tali sono, al giorno d’oggi, alcuni anabattisti, che si ritiene abbiano compiuto progressi nella pietà superiori a tutti gli altri”.
3 Ibid., IV, XV, 16 Vol. II, p. 1532
4 James Mouldon: Popes, Lawyers and infidels, p. 16; The University of Pennsylvania Press, 1979.
5 Idem.
6 Ibid., pp. 47, 105s., 130, 138s., ecc.