Un orientamento accademico può produrre un grave disorientamento; ecco perché il passaggio della teologia dal pulpito al seminario è stato disastroso per la fede. È facile per un professore parlare di Dio, un’altra cosa per l’oppresso Giobbe gridare:
25 Ma io so che il mio Redentore vive e che alla fine si alzerà sulla polvere.
26 E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto questo corpo, senza la mia carne, vedrò Dio.
27 Io lo vedrò a me favorevole; lo contempleranno i miei occhi, non quelli di un altro; il cuore, dal desiderio, mi si consuma! (Giobbe 19:25-27)
Ascoltare una donna violentata, in lacrime, dire che non riesce a capire perché questo orrore sia accaduto, ma che la sua fede e la sua consolazione sono nel Signore, significa confrontarsi con teologia vivente; ricordare tali confessioni di fede umilia e scuote. Questo approccio scolastico ha danneggiato gravemente la nostra comprensione di Romani 13. Come abbiamo visto, Paolo non ci fornisce una premessa teologica astratta per lo Stato. Stava rispondendo a un problema molto urgente per i cristiani: due signori rivendicavano il dominio su di loro, Cristo e Cesare. Con Cristo come loro Signore, qual era il loro rapporto con Cesare? Paolo riduce lo Stato e Cesare da signoria a servitù a Dio: a diaconato. La vocazione e il dovere dello Stato è quello di essere un terrore per i malfattori e di essere ministro di Dio. La vocazione del cristiano non è quella della rivoluzione, ma di elaborare le implicazioni della rigenerazione e di rinnovare ogni cosa in Cristo.
Tuttavia, la Chiesa ha visto troppo spesso Romani 13 come un assegno in bianco per lo Stato. È stato particolarmente così per i protestanti fin dall’ascesa del Pietismo, e a volte anche per i cattolici. Troppo spesso, la mentalità moderna vede la privazione della libertà e del potere della Chiesa come una sorta di riforma. All’epoca della Riforma e della Controriforma, i principi d’Europa rivendicavano tutti la sovranità e provavano risentimento per la libertà e il potere della Chiesa. I mali interni alla Chiesa fornivano loro scuse per la ribellione, sebbene nessuno di questi governanti fosse un esempio di virtù. Diversi stati, risentiti del potere del papato e della sua riscossione delle tasse, entrambi ambìti da loro, riuscirono a spingere Roma alla concessione di Concordati. Questi Concordati riconoscevano il potere imperiale e la giurisdizione di questi stati all’interno del loro proprio regno; la Chiesa in quegli stati passò ampiamente sotto il controllo della corona: patronato, presentazione di nomine e supplica furono trasferiti alla corona. La Chiesa doveva essere una congregazione di fedeli, ma non una potenza indipendente. Francia e Spagna furono tra i più grandi ad acquisire tali poteri e di fatto a governare la Chiesa all’interno del loro dominio. Ovunque non furono ottenuti concordati i principi furono favorevoli alla Riforma e accolsero il luteranesimo e, in Inghilterra, una chiesa nazionale distinta da quelle del Continente [1].
Gli anabattisti si astennero da qualsiasi speranza in un governo civile. Cercarono una radicale separazione dal mondo che, pur sottolineando una chiesa volontaria e una riforma “spirituale”, fu caratterizzata da una resa dell’ordine civile inteso come malvagio e irrecuperabile. Gli estremisti dell’anabattismo cercarono di stabilire un proprio ordine civile dei santi mediante la rivoluzione, ma la maggior parte si ritirò e considerò sia lo stato che la chiesa che operava nell’ambito dell’ordine civile come falsi e persino malvagi. Per la maggior parte dei prîncipi e degli ecclesiastici, a essere malvagia era la soluzione anabattista. Era quindi imperativo per Calvino evitare qualsiasi associazione del suo movimento con l’anabattismo, con il quale era categoricamente in disaccordo [2].
Di conseguenza, Calvino sottolineò con forza l’obbedienza civile, pur consentendo un cambiamento ordinato mediante i magistrati civili. Il Rinascimento fu un’epoca di statalismo, tirannia e corruzione. La rivolta aveva senso per molti ed era fortemente nell’aria. Per il Calvinismo, alimentare il fuoco della rivolta civile sarebbe stato fatale. Si può fare un’analogia con il presente. Ovunque io parli, mi accorgo che gli ecclesiastici, quando sentono parlare della persecuzione dei cristiani e delle violazioni della libertà religiosa negli Stati Uniti, si chiedono subito se non sia giunto il momento di ricorrere alle armi! Trovo imperativo enfatizzare l’obbedienza civile. Sottolineo il fatto che un numero molto, molto elevato di membri della Chiesa non vota; pochissimi contribuiscono a una campagna politica e ancora meno sono attivi in politica. Quando i mezzi per soluzioni pacifiche possono darci facilmente la vittoria, parlare di violenza suicida è moralmente sbagliato. Abbiamo una battaglia da combattere pacificamente nei tribunali e negli organi legislativi. Calvino si preoccupava di evitare un disastro empio; anche noi dobbiamo fare altrettanto.
Inoltre, non c’è alcun merito né in una rivolta armata né in una conquista pacifica delle corti e delle legislature se non esiste una valida dottrina dell’autorità e del governo civile. Il Medioevo sollevò la questione dell’autorità legittima. Troppo spesso, nell’era moderna, gli ecclesiastici hanno accettato lo stato in sé e per sé come autorità valida.
Gran parte della nostra comprensione dei concetti delle epoche precedenti è distorta dalla nostra incomprensione della loro terminologia. Così, il monaco e studioso del XII secolo, Graziano, scrisse:
L’umanità è governata in due modi: vale a dire, dalla legge naturale e dalle consuetudini. La legge della natura è quella contenuta nella Legge e nei Vangeli, in base alla quale a ciascuno è ordinato di fare agli altri ciò che desidera che sia fatto a sé, ed è proibito infliggere agli altri ciò che non desidera sia fatto a sé. Per questo Cristo disse nel Vangelo: “Tutto ciò che volete che gli uomini facciano a voi, fatelo anche voi a loro”. Poiché questa è la legge e i profeti [3].
Per gli studiosi cattolici e protestanti contemporanei, la legge naturale ha un significato diverso, e la differenza è ancora più marcata in uomini come Strauss. Per Rufino (1170), “la legge naturale, che [fu] quasi perduta nel primo uomo, è stata restaurata nella legge mosaica, perfezionata nel Vangelo e adornata nei costumi” [4]. In altre parole, la Bibbia e la sua legge sono legge naturale perché provengono da Dio, la cui legge è in ogni essere. Henry de Bracton (m. 1268) affermò: “Ora l’autore della giustizia è Dio, e quindi la giustizia è nel creatore. E di conseguenza, ius e lex significano la stessa cosa” ad esempio perché giustizia e legge sono identiche in Dio [5]. Di qui, Tommaso d’Aquino poté sostenere che una legge tirannica è una perversione della legge [6].
Egidio Romano (1302) subordinava la signoria o governo alla grazia. Nelle parole di Lewis: “Per Egidio Romano, qualsiasi disposizione di signoria fatta dalla legge terrena era valida solo se la persona che ne godeva era debitamente subordinata a Dio, suo Signore, e riceveva la sua grazia”[7]. Stabilendo l’autorità e il governo nella grazia e nella fedeltà alla giustizia di Dio, ne conseguivano certe cose. Infedeli e scomunicati potevano detenere proprietà, ma non avevano valido titolo su di esse. Lo stesso valeva per i governanti empi all’interno della cristianità. Siccome re e popolani pagavano le decime alla Chiesa, con ciò riconoscevano la signoria generale della Chiesa su tutti i beni terreni.
Dapprincipio la dottrina di Egidio Romano rafforzò notevolmente il potere papale. Mi fece riflettere sulla differenza tra proprietà e signoria o dominio. Il vero dominio appartiene al regno della grazia, supremamente a Dio. Tuttavia, nelle mani dell’arcivescovo Richard Fitzralph, questa dottrina subì ulteriori sviluppi. Fitzralph la usò per attaccare i Fraticelli o Francescani Spirituali. I Fraticelli attaccarono la proprietà e separarono proprietà e dominio dalla grazia; quindi, una chiesa proprietaria era fuori dalla grazia. Wyclif sostenne che “Nessuno è signore (lord) civile, nessuno è prelato, nessuno è vescovo, mentre è in peccato mortale” [8]. La chiesa quindi non aveva dominio se priva di grazia, e lo stesso valeva per lo Stato; entrambi potevano avere proprietà, ma non autorità legittima, poiché ogni autorità e dominio provengono da Dio e sono soggetti alla sua parola-legge e alla fedeltà ad essa.
Questo ci porta a un fatto che l’uomo moderno non è disposto ad affrontare. Se il dominio, l’autorità e il governo provengono da Dio, per sua ordinazione, e possono essere esercitati veramente solo nei termini della sua parola-legge e nella sua grazia, allora qualsiasi allontanamento dalla Parola di Dio e dalle sue dottrine è pericoloso per l’uomo e la società. Di conseguenza, per secoli i cristiani hanno considerato, per usare il termine di Kieckhefer, “l’eresia come disordine civile”[9]. A volte questo disordine civile fu affrontato con metodi pacifici, missionari ed evangelizzatori, altre volte con una brutale repressione. Questa questione non ci interessa qui. Il fatto che non può essere evitato è questo: chiunque usi Romani 13 in qualsiasi senso sta fondando il governo civile su Dio e sulla sua autorità. La conseguenza necessaria di ciò è richiedere al governo civile di essere fedele al fondamento della propria autorità. Separare l’autorità delegata dal Delegante, cioè Dio, è impossibile. Ogni autorità delegata è soggetta a condizioni, e le condizioni governano il mantenimento del possesso dell’autorità. Secondo Deuteronomio 17:18-20, parlando del re:
18 E quando si insedierà sul suo trono reale, scriverà per suo uso, in un libro, una copia di questa legge secondo l’esemplare dei sacerdoti levitici.
19 Terrà il libro presso di sé e lo leggerà tutti i giorni della sua vita, per imparare a temere il SIGNORE, il suo Dio, a mettere diligentemente in pratica tutte le parole di questa legge e tutte queste prescrizioni,
20 affinché il suo cuore non si elevi al di sopra dei suoi fratelli ed egli non devii da questi comandamenti né a destra né a sinistra. Così prolungherà i suoi giorni nel suo regno, egli con i suoi figli, in mezzo a Israele.
I profeti affermano chiaramente che tutti i re e le nazioni sono vincolati da Dio, il Signore. Isaia ci presenta l’appello del giudizio sulle nazioni, ed Ebrei 12:25-29 ci annuncia il grande scossone nell’era del Vangelo. Anche l’Apocalisse ci presenta il giudizio del Signore sulle nazioni e il grande banchetto degli avvoltoi è la controparte della cena delle nozze dell’Agnello. Paolo in Romani 13 non ci offre una dottrina diversa. Non separa lo Stato da Dio, conferendogli poteri neutrali, assoluti e non delegati. In ogni epoca, Dio, il Signore, parla con disprezzo dell’arroganza delle nazioni, promettendo e pronunciando il giudizio. Isaia ci dice:
15 Ecco, le nazioni sono come una goccia che cade da un secchio, come la polvere minuta delle bilance; ecco, le isole sono come pulviscolo che vola.
16 Il Libano non basterebbe a procurare il fuoco e i suoi animali non basterebbero per l’olocausto.
17 Tutte le nazioni sono come nulla davanti a lui; egli le valuta meno che nulla, una vanità. (Isaiah 40:15-17)
Questo Dio resterà a guardare, o permetterà al suo popolo di restare inerte, quando le nazioni si arrogano la sovranità o la signoria? Se era un abominio per Dio che i re o i Moloch di un tempo facessero di se stessi dei Baal o signori, lo è forse meno quando lo fa lo stato moderno?
L’autorità di governare viene solo da Dio. Nostro Signore dichiara: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio” (Matteo 4:4). Ciò che è vero per l’uomo in questo caso, è vero anche per le sue istituzioni, per la famiglia, la chiesa e lo stato. Quando lo stato si separa da Dio e dalla sua parola-legge, si separa anche dalla sua autorità. Ripristinare tale autorità significa porre noi stessi, le nostre famiglie, le nostre scuole, le nostre vocazioni e i nostri governi civili sotto ogni parola di Dio.
Note:
1 Quentin Skinner: The Foundation of Modern Political Thought, Vol. II, pp. 58-64. Cambridge, England: Cambridge University Press, 1978.
2 William Balke: Calvin and the Anabaptists Radicals. Grand rapids, MI: Eerdmans, 1981.
3 Gratian’s Decretum (c. 1148), in Ewart Lewis: Medieval Political Ideas, vol. I, p. 32. New York, NY: Cooper Squalre Publisher, 1974.
4 Ibid., I, p. 39.
5 Ibid., I, p. 41.
6 Ibid., I, p.51.
7 Ibid., I,p. 103s.
8 Ibid., I, p. 106.
9 Richard Kieckhefer: Repression of Heresy in Medieval Germany, pp. 75-82. Philadelphia, PA: University of Pennsylvania Press, 1979.