RISORSE:

Già molto tempo prima che i teologi neo-ortodossi pensassero di dire che la fede è un incontro con una persona divina invece che assenso a una proposizione, i predicatori che avrebbero dovuto saperlo bene, insegnavano che la fede è fiducia in una persona, non credere in un crèdo. A chi scrive, al tempo della sua adolescenza, gli venne detto che alcune persone mancheranno il Cielo per una trentina di centimetri – la distanza tra la testa e il cuore – perché credevano al Vangelo con la loro testa ma non con il loro cuore. Oggi è più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago che trovare un ministro – un ministro conservatore – che non creda e insegni che bisogna avere una “relazione personale” con Cristo per poter essere salvati. Ma in cosa consista questa “relazione personale” o non è mai reso esplicito o, quando lo è, contraddice quello che la Bibbia insegna riguardo la fede salvifica.

Affermazioni come queste, sulla testa, il cuore e confidare in una persona e non credere in un crèdo, non solo sono false, ma hanno creato le condizioni per l’avvento di ogni genere di soggettivismo religioso, dal modernismo al movimento carismatico e oltre. Nessuno mancherà il Cielo per una trentina di centimetri per il semplice fatto che non c’è alcuna distanza tra la testa e il cuore: “Come un uomo pensa nel suo cuore, così egli è” (Proverbi 23:7). Il contrasto cuore/testa è il parto della fervida immaginazione della moderna psicologia, non una dottrina della Divina Rivelazione.

È San Sigmund e non San Giovanni a controllare i pulpiti di tante chiese, oggi.

“Confidare in una persona” è una frase senza senso, a meno che non significhi assentire a certe proposizioni riguardo una persona, del tipo “Io credo in Dio Padre Onnipotente… e in Gesù Cristo suo Figlio unigenito, nostro Signore, che fu concepito dallo Spirito Santo, nato dalla vergine Maria, che soffrì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso e seppellito e il terzo giorno risorse dai morti; egli Ascese al Cielo e siede alla destra di Dio Padre Onnipotente; Egli verrà di nuovo per giudicare i vivi e i morti”. Confidare in Cristo, a meno che non si intenda il credere queste proposizioni, è completamente svuotato di ogni significato. “Cristo” significa queste proposizioni – e molte altre ancora senz’altro – ma certamente almeno queste. Nessuno che confidi nei cristi di Barth, Brunner, Renan o Tillich sarà salvato.

Tornando all’avere una “relazione personale” con Cristo, se questa frase significa qualcosa di più che assentire a vere proposizioni su Gesù, che cos’è quel “qualcosa in più”? Sentirsi riscaldati interiormente? Il caffè ha lo stesso effetto. Di certo con “relazione personale” non si significa quello che intendiamo quando diciamo di conoscere qualcuno personalmente. Forse abbiamo stretto la sua mano, abbiamo visitato casa sua e lui la nostra, o abbiamo mangiato con lui. Giovanni aveva una “relazione personale” con Cristo in questo senso, come ce l’hanno avuta tutti i discepoli, compreso Giuda Iscariota. Ma milioni di Cristiani non l’hanno avuta, e Gesù li ha chiamati beati: non hanno visto eppure hanno creduto. La differenza tra Giuda Iscariota e gli altri discepoli non sta nel fatto che questi avessero una “relazione personale” con Cristo mentre Giuda non l’aveva, ma che essi credevano – ovvero assentivano a certe proposizioni riguardo a Gesù – mentre Giuda non credeva a queste proposizioni. Credere la verità, non di più e non di meno, è quello che separa il salvato dal dannato.

La fede salvifica non è né un incontro con una persona divina, né la conoscenza del cuore in opposizione alla conoscenza della testa. Secondo l’autore dell’epistola agli Ebrei, quelli che vengono a Dio devono credere almeno in due proposizioni: che Egli è, e che Egli è un remuneratore di coloro che lo cercando diligentemente. Incontri onirici e “relazioni personali” destituite di ogni significato non sono la fede che salva. La verità è proposizionale: si è salvati e santificati solo credendo affermazioni vere. La fede viene dall’ascolto, e dall’ascolto del Verbo di Dio.

Questa vena anti-intellettuale che pervade virtualmente tutto il pensiero moderno, dalle università agli sgabelli dei bar, è la stessa che influenza i pulpiti: è questo pio anti-intellettualismo che enfatizza l’incontro invece dell’informazione, l’emozione invece della comprensione, la “relazione personale” invece della conoscenza. Ma i Cristiani, scrive Paolo, hanno la mente di Cristo, la nostra relazione con lui è intellettuale. E siccome Cristo è la sua mente e noi siamo la nostra, nessuna relazione può essere più intima di questa. E proprio questa è la ragione perché le Scritture usano l’analogia del matrimonio per illustrare la relazione intellettuale tra i Cristiani e Cristo.

Questo riconoscimento del primato dell’intelletto è completamente assente dalla teologia contemporanea. Ottanta anni fa [nel 1925 NdT], uno dei più grandi teologi e scrittori del XX secolo, John Gresham Machen, scrisse un libro dal titolo Che cos’è la fede? Le sue parole sono appropriate oggi come lo erano allora:

Questa tendenza anti-intellettuale nel mondo moderno non è cosa da ritenere di poco conto. Essa ha profonde radici nell’intero sviluppo filosofico dei tempi moderni. La filosofia moderna… ha avuto come sua nota dominante, certamente da quanto risulta al giorno d’oggi, il disprezzo della ragione e la risposta scettica alla domanda di Pilato: “Che cos’è verità?” Questo attacco all’intelletto è stato condotto da uomini di riconosciuta potenza intellettuale, e infine gli esiti teologici di questo attacco, anche nella sfera della pratica, hanno cominciato ad emergere. Una notevole caratteristica dei nostri giorni è un deplorevole declino intellettuale, che è apparso in tutti i campi dell’impresa umana, tranne quelli che trattano con aspetti puramente materiali. L’intelletto è stato così oppresso nella teoria che non ci si stupisce se esso abbia smesso di funzionare nella pratica. In contrasto a questa tendenza anti-intellettuale del mondo moderno, sarà uno degli obiettivi principali di questo piccolo libro quello di difendere il primato dell’intelletto, e in particolare di tentare di demolire la falsa e disastrosa opposizione che è stata elevata tra fede e conoscenza.

È razionale credere a quello che Dio dice. È irrazionale non credere in Dio. Nessuna questione è più necessaria di questa.

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