5. L’etica e lo scopo primario dell’uomo

 

Il mezzo più raffinato e popolare che l’uomo ha per peccare è la moralità. Crea criteri di moralità centrati sull’uomo con i quali adempie gli svariati requisiti umani per l’ordine sociale, e a Dio è richiesto che sia grato all’uomo per la sua più elementare decenza. Inoltre, l’uomo insiste nello stabilire la propria via di salvezza per mezzo di opere di moralità e richiede che Dio ratifichi i valori dell’uomo facendoli propri.

Qui sta il nocciolo della faccenda. È l’uomo la scaturigine di valori e criteri o la scaturigine è Dio? Può l’uomo, come Carnell sembra talvolta disputare, stabilire leggi di contraddizione logica o morale e obbligare qualchessia dio che esista ad adeguarsi ad esse, o dev’essere l’uomo a conformarsi agli standard di Dio? Per certo tutte le cose sono possibili per Dio, ma se si potesse parlare di una possibilità impossibile, sarebbe questa: che Dio si adegui agli standard dell’uomo e si conformi ai suoi valori. L’idea stessa è una mostruosità. E tuttavia, non dichiarata così schiettamente, la svolta più importante della teoria etica va precisamente nella direzione di richiedere che Dio approvi e si conformi al senso morale dell’uomo. L’uomo rifiuta di riconoscere la tara della sua natura peccaminosa e insiste che Dio debba comportarsi secondo i lumi dell’uomo, e la natura fondamentale dell’universo deve essere come l’uomo vorrebbe che fosse.

È per questa ragione che la moralità rappresenta il peccato più grave e più prepotente dell’uomo. È per questa ragione che anche molta della teoria etica e della pratica cristiana rappresentano il più scandaloso affronto a Dio e sono ben più mortali dei peccati dei dissoluti e degli erranti. Non è sufficiente dire: “Non commetterai adulterio” e astenersi dal commetterlo. Si può essere casti in modo da evitare una vita personale disordinata, nel timore di malattie, per evitare spese extra, per evitare la tensione psicologica che l’adulterio produce nel nostro contesto sociale, per favorire la propria farisaica pretesa di essere virtuosi, per rivendicare la salvezza da Dio, o si può essere casti alla gloria e al godimento di Dio. Molti dei Dieci Comandamenti hanno duplicati o paralleli in qualche forma in quasi tutte le società umane. Ma anche nella loro formulazione biblica sono senza significato cristiano se non sono presi nel contesto di una vita e una fede centrate su Dio. Pertanto il solo approccio valido è precisamente quello fatto da Van Til in Christian Theistic Ethics. Se la moralità non è cristiana-teistica è immorale.

Un esempio di questa teoria etica non-teista è ciò che segue, tratto da un manuale per l’insegnante, riguardo alla Regola d’Oro: “Spiega che questa regola rappresenta una grande conquista razziale nella vita di gruppo e che non è basata sulle richieste arbitrarie né di Dio né della società” [1]. Per il cristiano, ogni tale moralità non-teista è immorale perché fa dell’uomo, della razza o del gruppo anziché di Dio la fonte del valore. Se Dio è la fonte del valore, il cuore di tutta la teoria etica teista è dichiarata chiaramente nella risposta del Catechismo: “Lo scopo primario dell’uomo è glorificare Dio e gioire in lui per sempre”[2]. Il summum bonum dell’uomo, il suo totale e più alto bene è il regno di Dio. Come lo dichiarò Gesù: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose (i valori che il mondo stima) vi saranno sopraggiunte” (Mt. 6:33).

Per il cristiano coerente dunque, l’etica deve essere centrata su Dio. Valori e verità non costituiscono uno standard cui Dio e l’uomo devono similmente raggiungere ma sono piuttosto un’espressione della natura di Dio, e perciò della natura di Gesù Cristo. Di conseguenza, diventa impossibile sottoscrivere la scuola di pensiero “Etica di Gesù”. La fallacia di questo pensiero è che separa l’insegnamento etico di Gesù dalla persona di Gesù e dà per scontata la posizione pagana che il Vero è Vero in sé e che Gesù può solo adeguarsene. Così hanno preso per scontato anche che la bontà è bontà in se stessa e non procede dalla persona di Cristo come uno standard” [3]. In tutti questi modi di pensare, Dio cessa di essere Dio, e il concetto di bene dell’uomo assume la precedenza su Dio. La vera etica teista-cristiana poggia pertanto su una specifica concezione di Dio e una specifica concezione della natura di Cristo.

In questo modo, nella teoria etica cristiana, compare una differenza epistemologica. Per tutte le altre linee di pensiero, la coscienza morale dell’uomo è la fonte d’informazione ultima, mentre il cristiano la considera solamente l’immediata e più vicina fonte d’informazione su problemi etici. Il Dio sovrano e autonomo, la Trinità ontologica è il punto ultimo di riferimento. Purtroppo troppi pensatori apparentemente cristiani considerano determinativa la coscienza morale dell’uomo. Come ha osservato Simone Weil:

In un documento promulgato dal papa si può leggere: “Non solo dal punto di vista cristiano, ma più generalmente dal punto di vista umano …” come se il punto di vista cristiano — che o non ha nessun significato, o altrimenti asserisce di includere tutto in questo mondo e nel prossimo — possedesse un grado minore di generalità del punto di vista umano. È impossibile concepire un’ammissione più terribile di bancarotta religiosa [4].

La differenza nei due approcci all’etica si vede chiaramente nel concetto del bene. Come dice Van Til, per il cristiano “il bene è bene perché Dio dice che è bene. In quanto tale è contrapposto al pensiero non-cristiano che dice il bene esiste autonomamente e che Dio tende a questo bene che esiste autonomamente” [5]. Poiché la bontà è un’espressione della natura e volontà di Dio, e questa natura e volontà di Dio sono personali, il bene non è qualcosa che esiste autonomamente ma è bene perché Dio dice che è bene. Questo fatto ha grande importanza per la dottrina dell’uomo. L’uomo fu creato ad immagine di Dio come una replica perfetta benché limitata della Divinità. In quanto tale, pertanto, l’uomo fu creato buono. La dottrina dell’immagine di Dio nell’uomo implica e richiede l’originale giustizia dell’uomo, a meno che non si parta da un Dio limitato, che lotta col male dentro di sé, e che crea un uomo nella sua immagine dualistica. Ma per il cristiano non ci può essere alcun male in Dio. L’assolutezza di Dio rende impossibile questa prospettiva. Secondo le Scritture l’uomo fu creato ad immagine di Dio, buono, e con una retta coscienza morale. Questa perfezione morale dell’uomo non era metafisica ma etica, non infinita ma limitata, e poiché limitata richiedeva rivelazione per vivere. L’uomo doveva essere “ricettivamente ricostruttivo” in tutto il suo essere perché, essendo derivata, la sua bontà poteva continuare solo fintantoché continuasse ad essere ricettivo dalla fonte della sua immagine: la sua giustizia e la sua precisa vita. Il non-cristiano pensa dell’attività morale dell’uomo come “creativamente costruttiva” e l’uomo non è pertanto responsabile ad una personalità morale assoluta, mentre per il cristiano la responsabilità è centrale per la sua bontà derivativa. Poiché l’uomo s’è ribellato contro Dio col proprio peccato ha accecato il proprio intelletto e la propria volontà. Avendo stabilito la propria volontà come determinativa di giusto e sbagliato come conseguenza di aver ceduto alla tentazione di essere Dio, l’uomo non può più fare la volontà di Dio. Cerca invece di stabilire la propria volontà e il proprio concetto di bene nei termini della propria volontà e della propria autonoma coscienza: la sua pretesa di essere Dio. Come risultato, l’uomo non può sapere cosa sia bene perché adora la creatura al posto del Creatore e capovolge tutti gli standard morali. È totalmente depravato, ovvero, ogni aspetto del suo essere è infetto, contaminato e corrotto dal suo peccato e marcato da una radicale perversità nei confronti di Dio. La coscienza morale dell’uomo, così come l’uomo è oggi, non può perciò essere la fonte d’informazione valida circa il bene o di qualsiasi cosa che riguardi il bene per il fatto che l’uomo rifiuta d’affrontare la questione morale basilare, la sovranità assoluta di Dio. Questo fa della rivelazione delle Scritture una necessità, e solamente le Scritture danno una risposta autorevole a tutte le questioni morali o la luce nei termini della quale tutte le questioni morali devono avere risposta. Il peccato rese necessaria la rivelazione sterna delle Scritture perché la coscienza morale dell’uomo è ora sia limitata che peccaminosa. Le Scritture sono ancora adesso una necessità per l’uomo rigenerato perché l’uomo rigenerato deve ancora vivere per rivelazione e perché la sua coscienza rigenerata è cambiata solo in principio, non è perfetta e spesso sbaglia, e quindi richiede la luce delle Scritture. Con la luce delle Scritture l’uomo è capace di rendere l’obbedienza etica che gli è richiesta, il riconoscimento della proprie creaturalità e la necessità di pensare i pensieri di Dio nella sua cornice di pensiero e l’agire nei termini della volontà di Dio rivelata. La redenzione significa il ripristino del riconoscimento di creaturalità e un vivere fedelmente nei termini di essa. Come dichiara Van Til con esterma chiarezza, questa obbedienza non può essere messa in contrasto con un concetto dell’amore come la via etica più alta perché “il concetto dell’amore nel Nuovo Testamento significa, per quanto concerne la sua interpretazione etica, nient’altro che la completa disponibilità e il desiderio interiore di essere perfettamente obbedienti a Dio” [6].

Riassumendo l’intera questione rispetto ai presupposti epistemologici dell’etica cristiana possiamo dire che il concetto teistico di un Dio assoluto, un Cristo assoluto, e una Scrittura assoluta vanno a braccetto. Non possiamo accettarne uno senza accettare gli altri. È con la Scrittura in quanto autorità assoluta e assolutamente comprensiva che noi entriamo in discussione delle questioni etiche quando ci compaiono davanti. Siamo totalmente persuasi che la sola alternativa logica a questa posizione sia quella di un totale pragmatismo. Tutte le posizioni mediane alla fine conducono ad una delle due posizioni di cui abbiamo parlato: un’assoluta sottomissione alla Scrittura e a Dio o un assoluto rigetto di entrambi [7].

Nella sua concezione Tomista della coscienza e volontà autonome dell’uomo, il cattolicesimo romano prende una posizione mediana. Enfatizzando la capacità intellettuale dell’uomo di conoscere il vero correttamente separatamente da Dio, e approcciando il problema etico dal punto di partenza dell’obbedienza morale finita [limitata dalla creaturalità] piuttosto che morale, Tommaso d’Aquino minò l’assolutezza della fede cristiana. Se il problema dell’uomo è primariamente metafisico piuttosto che morale, il peccato dell’uomo è la sua creaturalità, non la sua ribellione contro Dio. Un errore simile caratterizza molto del pensiero protestante.

Van Til sottolinea efficacemente i presupposti metafisici dell’etica cristiana e le loro implicazioni. Prima che ci possa essere etica deve esserci responsabilità. Qui si focalizza un problema. È un uomo responsabile se dipende dal proprio ambiente? D’altro lato, può essere considerato responsabile se è completamente indipendente? Se la volontà dell’uomo è completamente dipendente l’etica può esistere? Non è dunque l’uomo al di la della responsabilità e rendicontabilità? Per l’approccio cristiano è fondamentale la convinzione che “un carattere può tanto essere creato quanto acquisito”, come nel caso di Adamo. Basilare ancora è la fede che possa essere fatta sostituzione etica, e che l’espiazione sostitutiva di Cristo abbia alterato sia la relazione a Dio dei credenti sia il loro carattere.

Queste cose sono comprensibili solo nei termini della concezione di Dio dell’etica cristiana. Come evidenzia Van Til, la concezione cristiana di Dio è che egli è ambedue assoluta razionalità e assoluta volontà, talché Dio non deve diventare buono ma è buono fin da tutta l’eternità. Pertanto, in Dio c’è eterno compimento e ultima auto-determinazione, libertà assoluta. Non c’è quindi ambiente per la volontà di Dio, mentre il pensiero non-cristiano assume un ambiente per ambedue Dio e l’uomo, un attivismo ultimo in cui anche Dio deve diventare buono o lavorare per raggiungere il compimento di carattere. Come risultato, come con Platone e il moderno idealismo, anziché essere Dio il concetto di valore ultimo lo è il Bene che determina ambedue: Dio e l’uomo. Questa bontà assoluta richiede un Dio e un uomo che s’impegnano lottando per ottenere la bontà; la creazione è in definitiva impersonale perché il bene è impersonale e l’uomo brancola dalla casualità ultima in alcune filosofie, al necessitarismo o determinismo ultimo in altre. Dall’altro lato, per il cristiano il Dio ultimo e auto-determinante è personale e rende possibile la responsabilità umana e il personalismo ultimo.

L’uomo è stato creato un carattere perché l’uomo è creato come un analogo di Dio. Poiché l’uomo è creato ad immagine di Dio non è un foglio vuoto moralmente o intellettualmente. Negare che l’uomo fu creato un carattere è perciò in ultima analisi negare che Dio sia l’eterno carattere e auto-determinativo perché l’immagine di Dio non può essere mantenuta come concetto valido senza questa correlazione. Tutta l’attività dell’uomo avviene entro l’ambiente di un mondo creato e personale e di un Dio assoluto e auto-determinativo, e quindi tutta la sua attività avviene sullo sfondo del piano di Dio, incluso il suo peccato. Questo però non fa di Dio il responsabile del peccato. L’uomo non esiste nel vuoto ma nella cornice della creazione di Dio, in virtù di questo fatto solamente l’uomo può essere considerato responsabile. L’esistenza di ambiente non nega la responsabilità; la natura creata del carattere dell’uomo non distrugge la responsabilità dell’uomo ma ne è il fondamento. Alcuni fanno il falso tentativo di sfuggire a questo paradosso parlando dell’auto-limitazione di Dio. Van Til analizza succintamente la fallacia di questo modo di pensare.

Per Dio sarebbe auto-contraddittorio limitare se stesso. Fa parte della sua stessa essenza essere auto-determinativo. E poiché egli è eterno non può essere auto-determinativo in un tempo e non più auto- determinativo in un altro. L’auto-limitazione di Dio sacrifica l’autonomia di Dio. È in questa autonomia di Dio che risiede l’intera nostra speranza per qualsiasi soluzione a qualsiasi problema. Più la si smonta e più ci si colloca nelle mani del nemico. E questa è la ragione per cui, si è lungi dallo stabilire libertà per l’uomo riducendo questa relazione col piano di Dio, e nel farlo si distrugge la libertà dell’uomo e con ciò la sua responsabilità. La vera libertà per l’uomo consiste nell’attività analogica auto-consapevole. Se l’uomo riconosce il fatto che dietro al suo carattere creato sta l’eterno carattere e il piano di Dio, se l’uomo riconosce liberamente che il suo stesso agire morale presuppone che dietro ci sia quello stesso Dio illimitato, allora sarà veramente libero. Dall’altro lato, se l’uomo cerca di liberarsi dallo sfondo dell’assoluto piano di Dio, deve cominciare la sua attività morale in un vuoto * perfetto, deve continuare ad agire come un vuoto morale e deve agire in direzione di un vuoto morale [8].

L’attività morale non solo presuppone il Dio sovrano auto-sufficiente ma anche Dio come sommo bene dell’uomo. Dio e la gloria di Dio devono essere l’oggetto di ogni attività dell’uomo e lo scopo del suo stesso agire.

Non solo la moralità dell’uomo è fondata sulla religione ma deve essa stessa essere attività religiosa. In questo modo la moralità dell’uomo ha come proprio scopo la gloria di Dio. Egli serve questo scopo, primo, cercando di stabilire il regno di Dio, non facendo affidamento sulla propria volontà in questo compito, ma sulla volontà del Dio delle Scritture rivelata assunta a proprio criterio e, terzo, riconoscendo che da se stesso non ha potere di lavorare a favore del Regno di Dio ma deve fare affidamento sullo Spirito santo, che è l’autore della rigenerazione e della fede che provvede la sua motivazione.

Tanto in religione che in moralità l’uomo rigenerato ricerca la gloria di Dio, ma nella religione lo fa direttamente, nell’etica indirettamente. Van Til analizza questo scopo comune e il suo svariato approccio nel modo più convincente. Egli evidenzia che, primo, tanto nell’etica che in religione trattiamo con l’intera personalità dell’uomo che non può essere compartimentata. Secondo, entrambe trattano con l’intera personalità dell’uomo perché cercano di renderlo integro di nuovo. E, come dichiara Van Til: “Uno non può essere un vero uomo a meno che non sia un cristiano. Uno non può agire da uomo a meno che non agisca da cristiano”. Terzo: “Tanto etica che religione trattano con l’intera personalità dell’uomo nella configurazione dell’intera razza umana”, per il fatto che nessuna delle due esiste o ha significato senza l’altra. Quarto, ambedue trattano con l’umanità sotto l’aspetto della storia o della temporalità. “L’uomo è ridicolo se cerca di diventare eterno. L’attività religiosa e l’attività etica sono sempre attività temporali. Virtualmente il romanesimo lo nega e l’evangelicalismo troppo spesso lo dimentica”. Quinto, in ambedue “trattiamo con l’umanità storica come genuinamente rivelatoria di Dio e come genuinamente cospicua per lo sviluppo del proposito di Dio con l’universo. Il fine e lo scopo dell’universo è la gloria di Dio … la distinzione tra religione ed etica non può essere trovata dicendo che in ultima analisi in religione cerchiamo Dio mentre in etica cerchiamo qualcos’altro. Cerchiamo Dio in tutte se guardiamo la questione dal punto di vista più ultimo”. Sesto, ambedue trattano con l’aspetto dell’intera personalità conosciuto come la volontà, ma con una differenza. Nella terminologia di Van Til, la religione vede l’uomo non solo come re, ma anche come sacerdote e profeta, non solo nel suo aspetto volitivo ma anche in quello intellettuale ed emotivo, mentre l’etica tratta più con l’uomo come re, l’uomo in quanto persona che agisce piuttosto che come uno che pensa o ha sentimenti. Settimo, compare un’altra differenza per il fatto che l’attività volitiva dell’uomo con cui l’etica tratta è vista nella prospettiva dei suoi risultati immediati nella storia mentre la religione è più interessata con Dio al di sopra della storia. In religione l’uomo tratta con Dio, in etica con i propri simili [9].

Per tornare al summum bonum dell’uomo — il regno di Dio, Van Til lo definisce come “il compiuto programma di Dio per l’uomo” che l’uomo deve adottare come proprio ideale e poi imbarcarsi in un corso d’azione per ottenerlo. L’uomo è stato creato un re e gli è stato commissionato di realizzare la propria regalità esercitando il dominio e le piene implicazioni dell’immagine di Dio in ogni campo d’attività e di vita. L’uomo in quanto re è pertanto “il vice-reggente di Dio nella storia”. Questo fatto ha tremende implicazioni per l’uomo come individuo e per la società.

L’ideale etico per l’individuo è l’auto-realizzazione, Van Til lo esprime magnificamente:

Che l’ideale etico dell’uomo sia l’auto-realizzazione consegue dal posto centrale che gli è stato dato in questo universo. Dio ha fatto tutte le cose in questo universo per se stesso, ovvero per la propria gloria. Ma non tutte le cose possono riflettere la sua gloria auto- consapevolmente. Eppure il tipo più elevato di glorificazione è la glorificazione auto-consapevole. Di conseguenza, Dio ha posto tutte le cose in questo universo in vicendevole relazione pattizia. Ha fatto l’uomo capo della creazione. Di conseguenza, i fiori del campo glorificavano Dio direttamente e inconsapevolmente, ma anche indirettamente e consapevolmente attraverso l’uomo. L’uomo doveva raccogliere insieme nel prisma della sua attività auto-consapevole tutte le molteplici manifestazioni della gloria di Dio in modo da fare un centrale, auto-consapevole sacrificio di tutto a Dio [10].

L’uomo si prepara per questo grande e glorioso compito sviluppando il suo intelletto, la sua capacità estetica, e ogni sua altra capacità, come un atto di volontà mediante l’impegno a compiere la sua vocazione e la sua regalità. “Egli deve volere volere la volontà di Dio per il mondo intero”. L’auto- realizzazione è il compimento della regalità dell’uomo. “Quando l’uomo diventa veramente il re dell’universo il regno di Dio è compiuto e quando il regno di Dio è compiuto Dio è glorificato”. Van Til sviluppa nello specifico cosa sia implicato in questo obbiettivo di auto-realizzazione. Prima di tutto, l’uomo deve imparare a volere la volontà di Dio”. Ciò significa che l’uomo deve operare la propria volontà nei termini dello scopo per cui è stata creata. Lo scopo creazionale dell’uomo è servire Dio come vice-reggente, e più l’uomo compie il proprio proposito più diventa libero e spontaneo. Come risultato, la moralità cristiana, in netto contrasto con qualsiasi legalismo, è una crescita in spontaneità. Un moralismo forzato e frustrato non è cristianesimo. Secondo, “la volontà dell’uomo avrà bisogno di diventare sempre più stabile nella sua auto-determinazione”. Questo è uno sviluppo della sua spontaneità. “Il Dio dell’uomo è assolutamente auto-determinato: l’uomo somiglierà a Dio nella proporzione in cui diventerà auto-determinante e auto-determinato sotto Dio. Nella proporzione in cui l’uomo sviluppa la propria auto-determinazione sviluppa anche la determinazione o piano di Dio per il suo regno sulla terra. Dio compie i suoi piani mediante caratteri auto- determinati. Un uomo instabile sarebbe inutile nel regno di Dio”. Terzo, a mano a mano che l’uomo cresce nella sua spontaneità e auto- determinazione, la sua volontà deve aumentare di slancio per stare al passo con la sua responsabilità in costante aumento. La sua crescita implica un crescente allargamento dell’area della sua attività che rende necessaria una parallela crescita in slancio [11].

L’auto-realizzazione può anche essere descritta come crescita in rettitudine, definita da Van Til in linea con Geerhardus Vos.

La giustizia o rettitudine, quando presa come un attributo di Dio descrive quell’aspetto dell’intera personalità di Dio mediante cui Egli mantiene all’interno di sé e all’interno dell’universo creato quella relazione di coordinamento e subordinazione che è appropriata per la misura di ciascuna personalità. Di conseguenza, la rettitudine dell’uomo, che deve essere una riproduzione della rettitudine di Dio, sarebbe, per cominciare, un appropriato senso di subordinazione di se stesso a Dio, e di co-ordinamento di se stesso con i suoi consimili. E la ricerca di rettitudine di un uomo significa (a) che sta diventando sempre più sensibile al significato di queste correlazioni di subordinazione e co-ordinazione e perciò sempre più spontaneo nel suo desiderio di mantenere queste correlazioni, (b) che sta diventando sempre più forte nella sua determinazione di vedere mantenute e sviluppate queste correlazioni e che ha di conseguenza effettivamente fatto crescere il proprio potere di mantenere queste correlazioni …

Ora se contempliamo la rettitudine come una questione di giuste relazioni tra tutte le creature, e della giusta relazione di tutte le creature al loro Creatore, diventa chiaro che la volontà dell’uomo ha da compiere una mansione di vasta portata. Ricercando la rettitudine, la volontà dell’uomo starebbe cercando il regno di Dio. La rettitudine è il nerbo del regno di Dio [12].

La crescita dell’uomo in auto-realizzazione è, come abbiamo visto, anche la sua crescita in spontaneità e libertà. Van Til rende molto chiara la piena portata di questa spontaneità. In Dio non c’è differenza tra potenzialità e azione; vale a dire che Dio è pienamente e perfettamente auto-consapevole, privo di istinti inconsci e pulsioni. L’uomo, in quanto essere temporale, non può essere interamente auto-consapevole come Dio è auto-consapevole, né pura azione come Dio è pura azione. Prima della caduta, tuttavia, la volontà dell’uomo controllava la sua vita inconscia mentre dopo la Caduta la vita sub-conscia dell’uomo controllava la sua vita. Questo non è un cambiamento metafisico ma un cambiamento morale. L’uomo decaduto è uno schiavo del suo subconscio anziché esserne il padrone. Ma, a mano a mano che il rigenerato cresce in auto-realizzazione cresce, primo, nel suo controllo sul suo subconscio, nella spontaneità delle sue relazioni e in auto- coscienza; secondo, non c’è solo aumento della velocità della sua spontaneità ma anche un aumento di stabilità; terzo, parallelamente c’è una crescita di slancio nel fare la volontà di Dio.

Non solo è compito dell’uomo cercare il regno di Dio ma anche il compito della società nel suo insieme, un ideale e un compito posto davanti all’uomo in paradiso. La responsabilità pattizia rende chiaro che l’auto- realizzazione dell’individuo è il vantaggio di tutti e dipende ed è fatto avanzare dalla realizzazione di altri. Il concetto pagano di auto-realizzazione implica il sacrificio di altri ed è a loro spese. Il concetto cristiano di auto- realizzazione è nei termini del regno di Dio e di una comune umanità: un organismo. La concezione della chiesa come un corpo evidenzia il fatto che l’individualità non è una monotona ripetizione; non siamo tutti organi identici: occhi od orecchie, ma ciascuno un separato individuo e tuttavia parte di un tutto. Noi serviamo quel tutto sviluppando la nostra propria individualità, che di conseguenza sviluppa il tutto e rende altri capaci di sviluppare le loro individualità.

Salute e prosperità sono parti legittime di questo ideale. L’etica cristiana non è ascetica, né, come enfatizza Van Til, il corpo deve essere considerato inferiore all’anima. “Una mente sana in un corpo sano è un reale obbiettivo del regno” [13]. È il paganesimo a sostenere che il male sia intrinseco alla materia.

L’auto-realizzazione produce felicità per il fatto che “un io realizzato è un io felice” e, allo stesso tempo, “solo un io felice è un io completamente realizzato”. Proprio come l’esercizio corporale porta alla salute, così, la crescita in rettitudine crea crescita in felicità. Nel regno di Dio non c’è disarmonia tra ciò che è giusto, ciò ch’è utile, e ciò che produce felicità.

Quando andiamo al pensiero non-cristiano, troviamo che tutti i vari sistemi hanno in comune una concezione dell’esistenza così com’è oggi come fosse normale. C’è una negazione del concetto biblico di giustizia originale, di carattere creato, e della caduta. C’è anche un diniego di qualsiasi ideale etico dato da un Dio autonomo mediante il quale debbano essere giudicati tutti i sistemi etici. Dietro a questo diniego risiede una radicale ostilità verso Dio. Secondo Van Til:

Il reale significato di questa opposizione al perfetto ideale etico originale non è nientedimeno che un odio per il Dio vivente. Se Dio esiste veramente come creatore dell’uomo, abbiamo visto che è impossibile che il male sia intrinseco all’universo temporale. Se Dio esiste, dev’essere l’uomo stesso ad aver introdotto il peccato con un atto di volontaria trasgressione. Ecco che, l’esistenza, com’è oggi, non è normale ma anormale. Di conseguenza, mantenere che l’esistenza com’è ora è normale, equivale a un diniego della responsabilità dell’uomo per il peccato, e questo a sua volta fa di Dio il responsabile del peccato, e questo semplicemente significa che non c’è Dio assoluto [14].

Per il cristiano, però, l’uomo è oggi una “personalità frantumata” per il fatto che i vari aspetti del suo essere non sono più reciprocamente correlati perché egli non è nella giusta relazione a Dio. Può per esempio essere dedito ad un unilaterale intellettualismo o ad un unilaterale volontarismo; in qualsiasi di tali casi, l’unilateralità è una conseguenza del peccato.

“L’uomo fu creato in perfetta armonia con se stesso perché fu creato in perfetta armonia con Dio. Di conseguenza l’etica cristiana non può mai essere unilateralmente intellettualistica o unilateralmente volontaristica. Noi non diciamo che in quanto cristiani non siamo spesso unilaterali. Difatti nessuno sfugge all’essere unilaterale in qualche misura. Ma noi confessiamo che questa unilateralità è peccato davanti a Dio. E sosteniamo che l’armonia tra i vari aspetti della personalità umana possano esser ottenuti solamente su basi cristiane” [15]. Per la fede cristiana sono fondamentali, primo, l’assunto che l’uomo è stato creato una personalità integrale e che l’uomo può diventare di nuovo una personalità integrale solo mediante la fede e la maturità cristiana. Secondo, un altro presupposto fondamentale è la dottrina della creazione per la quale l’umanità è un insieme comune e legata da un comune ideale etico, quello fornito dal Creatore. Tutto il pensiero non- cristiano, negando la dottrina della creazione, nega con ciò un universalità di significato e una unità d’interpretazione. Terzo, ne consegue perciò che tutti gli uomini in tutti i luoghi e in tutte le epoche devono essere intesi come una famiglia, e l’etica non può essere individualistica, come lo è l’etica non- cristiana. Sacrifica, come con Platone, la maggior parte degli individui ad un numero esiguo di individui ritenuti degni del sacrificio, senza nessun concetto organico della nazione o della razza. Lo statalismo, come Van Til vede chiaramente, è individualismo della peggior specie; la massa dell’umanità è considerata concime per il benessere della classe di governo. L’etica moderna individualistica spesso va all’altro estremo e considera la società un’aggregato di individui e dissipa ogni autorità. Quando viene enfatizzato il diritto dell’individuo contrapposto al diritto della società, l’autorità scompare. Nelle parole di Van Til:

Conseguentemente non c’è un corretto senso della necessità dell’autorità. L’autorità è ampiamente scomparsa dalla famiglia. L’autocrazia del padre, com’è spesso esistita nel perverso individualismo d’un tempo è stato rimpiazzata dall’autocrazia del fanciullo nel perverso individualismo di oggi. L’autocrazia del re che non riconosceva i diritti dei suoi soggetti è stata rimpiazzata con una falsa democrazia che ricerca la scaturigine ultima dell’autorità nella moltitudine degli uomini senza ricognizione di Dio [16].

Il pensiero non-cristiano, mancando del concetto biblico della creazione e della giustizia originale, assume un naturale conflitto tra la società e l’individuo. Assume che l’individuo non possa svilupparsi se non a spese degli altri individui e della società e, viceversa, che la società non possa svilupparsi se non a spese dell’individuo. In questo modo la vita diventa una guerra e l’etica diventa o individualista o di compromesso. La risposta di Aristotele fu la dottrina della via di mezzo, del moderato (centrista) come virtuoso. Questo è virtualmente una negazione dell’ideale di perfezione morale e assume che la virtù sia meramente mantenere un bilanciamento tra due mali. Il cristiano, d’altro lato, in virtù della sua giustificazione e rigenerazione è perfetto in principio benché non perfetto in grado in questa vita. Il principio della sua vita è la perfezione di Gesù Cristo, non lo sforzo negativo di mantenere un bilanciamento tra mali.

L’ideale assoluto è mantenuto attraverso le Scritture benché l’assoluto summum bonum non verrà mai raggiunto sulla terra. La giustizia originale dell’uomo e la sua creazione ad immagine di Dio rendono ragionevole aspettarsi che l’ideale assoluto venga raggiunto e che sia l’obbiettivo appropriato dell’attività storica. La promessa biblica è la completa felicità, verrà ai perfetti mentre la punizione per la disobbedienza è la morte. L’obbiettivo della storia è dunque la perfezione, e la sua realizzazione: il regno di Dio, è descritta in Apocalisse come paradiso riconquistato, una vita in cui il male naturale e quello morale sono distrutti. I mali, naturale e morale sono strettamente alleati nelle Scritture, non in termini pagani come risultanti l’uno dall’altro, il male naturale come risultato del male morale, ma piuttosto ambedue similmente un risultato della Caduta e dell’alienazione dell’uomo da Dio.

Coi rigenerati, il regno di Dio non è solo un obbiettivo e una speranza ma un possesso attuale come dono di Dio. La perfezione che cercano di ottenere è loro in principio adesso in virtù del ruolo di sostituto di Gesù Cristo. Pertanto, come dice Giovanni, il cristiano in principio non può peccare benché sia fino ad un certo punto un peccatore e non possa negare il suo peccato senza essere bugiardo. In questo modo, mentre l’uomo deve deve sforzarsi di ottenere il regno, deve anche riconoscere che è un dono di Dio e il suo sforzo stesso è un atto e una manifestazione della grazia.

Il compito dell’uomo non è solo positivamente quello di asserire ed estendere i diritti di dominio del regno, ma anche negativamente quello di distruggere le opere del diavolo. Come lo esprime Van Til: il rigenerato vede il male come un insulto a Dio. Non solo il male deve essere distrutto ovunque ma anche le sue conseguenze, mentre, dall’altra parte, c’è il requisito positivo di fare il bene a tutti gli uomini, specialmente a quelli della casa della fede. Il male deve essere distrutto nel mondo in senso ampio, e in noi stessi, e da quanto seriamente considera il male nel suo popolo Dio è pronto ad usare i pagani come un flagello contro i suoi per purificarli. Il cristiano non deve arrendersi al pessimismo del “realismo” di chi non crede o al superficiale ottimismo del perfezionismo di chi è incapace di comprendere.

Un punto particolare è quello dell’attitudine cristiana verso l’abolizione della guerra. Alcuni vorrebbero sostenere che siccome la bibbia ci dice che ci saranno guerre fino alla fine dei tempi, se cercassimo di bandire la guerra sarebbe uno sfidare la provvidenza. Ma c’è una differenza tra un comandamento di Dio e un’affermazione su ciò che avverrà. Dio ci comanda di essere perfetti ma ci dice che nessuno di noi sarà mai perfetto in questa vita. Pertanto è nostro chiaro compito fare ciò che possiamo, in modi legittimi, per diminuire il numero di guerre e di fare in modo che siano meno orrende.

Una grande porzione del nostro tempo dovrà essere impiegato nella distruzione del male. Potrà perfino sembrarci di non vedere molto progresso in noi stessi e intorno a noi durante l’arco della nostra vita. Saremo costretti a costruire con la cazzuola in una mano e la spada nell’altra. Ci potrà sembrare il compito impossibile di prosciugare l’oceano. Tuttavia sappiamo che questo è esattamente quello che sarebbe il nostri ideale etico se non fossimo cristiani. Sappiamo che per i non-cristiani il loro ideale etico non può mai essere realizzato né per se stessi né per la società. Non sanno nemmeno di un vero ideale etico. E per quanto riguarda i nostri sforzi, sappiamo che benché molto del nostro tempo possa essere impiegato a pompare fuori l’acqua del peccato, stiamo tuttavia gettando le fondamenta del nostro ponte su solida roccia e stiamo facendo progressi verso il nostro obbiettivo. La nostra vittoria è certa. Il diavolo e tutti i suoi servi saranno buttati fuori dall’universo abitabile di Dio. Ci saranno un nuovo cielo e una nuova terra nella quale dimorerà la giustizia [17].

A motivo di questo fondamento, la vera fede cristiana ha un’etica di speranza e implica non solo l’impegno ma anche il possesso. L’ideale assoluto è presentato in severità, come testimonia lo stesso Vecchio Testamento, e quelle concessioni che quell’epoca ha visto non hanno compromesso l’assolutezza dell’ideale o la sua severità. Quelle concessioni che il Vecchio Testamento evidenzia sono state fatte, non nei termini dell’obbiettivo ultimo ma nei termini di obbiettivi più immediati che sono essi stessi tappe verso l’ideale. L’assolutezza dell’obbiettivo è presentata più apertamente nel Nuovo Testamento per mezzo dell’esempio di Gesù Cristo. Per poter comprendere il pieno significato del suo esempio è necessario credere che l’origine si ripercuote effettivamente sulla validità, che un Cristo che proviene dal retroterra del Dio autonomo e trinità ontologica è diverso da uno nato da un procedimento evolutivo e da un retroterra in cui il male è altrettanto basilare del bene. Primo, perciò, la creazione deve essere presupposta in tutte le sue implicazioni. “Se l’uomo perfetto Gesù abbia da esserci di qualche aiuto, la costituzione dell’universo deve esser tale che la perfezione è un concetto che ha significato cosmico” [18]. Secondo, per essere valido, l’esempio di Gesù presuppone la Caduta. Ciò significa che, poiché fummo creati giusti, abbiamo un obbligo di essere perfetti e siamo responsabili del nostro attuale stato malvagio. Noi dobbiamo o essere come Gesù o essere da lui condannati. Egli viene come salvatore o lo s’affronta come giudice. Terzo, l’esempio di Gesù, nel vero senso cristiano, presuppone la sua espiazione sostitutiva, la perfezione richiesta è fatta diventare un dono da Dio e appartiene all’uomo in principio al momento della rigenerazione. La nostra imitazione di Cristo deve essere correttamente concepita come un’imitazione di Dio, una unione con lui. Ma questa unione non può mai essere concepita in termini mistici o metafisici; è un’unione di vita, non di sostanza; etica, non di essenza. Nelle Scritture è tipizzata nel matrimonio, il vero matrimonio è vera unione, non di sostanza ma di vita; l’uomo non cessa di essere uomo né la donna di essere donna, ma ciascuno compie se stesso in termini di sesso e vita e diventa più se stesso o se stessa mentre diventano più veramente uno. In questo modo l’uomo diventa più pienamente uomo quando diventa più realmente uno con Cristo. Cristo come nostro esempio è dunque primariamente Cristo come nostro mediatore e redentore. E Cristo come nostro re significa che la regalità di Cristo deve essere messa in atto in ogni sfera di vita. Per la chiesa limitare se stessa a salvare anime è negare la sua regalità su tutta la creazione e limitare i diritti della corona di Re Gesù. Come sottolinea Van Til, fin troppo comunemente le chiese evangeliche sono cadute in un individualismo anti- biblico nel loro esclusivo interesse per la salvezza delle anime, mentre il modernismo, abbandonando l’espiazione sostitutiva, è ritornato alla giustizia dei farisei e cerca di stabilire il regno con gli sforzi e la giustizia dell’uomo ed è di conseguenza centrato sull’uomo nel suo concetto del regno. “L’intero fine e scopo della storia risiede, secondo il teismo cristiano, non nella storia stessa, ma al di la della storia, nel Dio della storia. Questo Dio della storia ha collocato il regno di Dio come culmine della storia”[19].

La volontà rivelata di Dio deve dunque essere lo standard etico dell’uomo. La coscienza morale dell’uomo com’è oggi corrobora ulteriormente l’idea dalla caduta dell’uomo. Assume la propria autorità e autonomia e nega che Dio sia Creatore. Nega perciò la rivelazione esterna visto che non può ritenere vera l’autorità esterna. “Il teismo cristiano, a motivo del suo Dio trascendente, può concedere tanto la rivelazione esterna che quella interna mentre il pensiero non-teista, a causa della sua negazione della trascendenza di Dio non può, per la natura del caso, concedere nessun standard esterno. In ragione dei suoi presupposti il pensiero non-cristiano deve mantenere che tutte le rivelazioni esterne sono fondate sull’illusione … Il razionale delle azioni morali dell’uomo dev’essere trovato in qualcosa al di la di se stesso … Nella natura del caso l’esterno deve sempre precedere l’interno [20]. Se non viene mantenuto questo standard etico esterno e divino c’è anarchia morale. Senza il Dio delle Scritture c’è solo consiglio etico, nessuna autorità. “Non ci sono altre alternative, solo teonomia o autonomia. È vano tentare di fuggire da Dio e andare ad un universo per cercare lì leggi eterne” [21].

Lo standard esterno assoluto del Dio autonomo è perciò il solo valido. Mentre l’etica naturalistica crede alle enunciazioni immediate della coscienza morale dell’uomo. Il cristianesimo si attiene al principio della mediazione per il fatto che non si aspetta che la coscienza morale dell’uomo funzioni autonomamente ma è correlativa alla rivelazione positiva soprannaturale e, per lo Spirito santo è portato ad affidarsi sempre più a quello standard e attività nei termini di quella fede.

Questa, in breve, è la concezione di Van Til dell’etica teista cristiana. Il suo studio, che contiene alcuni dei suoi scritti più geniali, è un’eloquente risposta a quelli che si lamentano che Van Til sia troppo difficile da comprendere. La difficoltà che la maggior parte delle persone sperimenta non è con gli scritti di Van Til ma col suo Dio; è essenzialmente quel Dio che trovano inaccettabile e offensivo. Il loro contendere non riguarda ciò che non riescono a capire di Van Til ma con ciò che tutti loro comprendono fin troppo chiaramente.

 

Note:

1 Jo Hindman, “The Fight for your Child’s Mind”, The American Mercury, Vol.LXXXV, N° 406, Nov., 1957, p. 9.
2 Catechismo Minore di Westminster, Risposta a Domanda n° 1.
3 Van Til: Christian Theistic Ethics, 1951, p. 9.
4 Simone Weil: The Need for Roots, Boston: The Beacon Press, 1952, p. 127.
5 Van Til, op. cit., p. 19.
6 Ibid., p.26.
7 Ibid., p.27
8 Ibid., p. 35.
* La parola tradotta qui con “vuoto” è “blank”. Di solito quando Van Til intende “vuoto” in senso filosofico utilizza “void”. Il significato qui è più quello della presunta assenza di presupposti e di senso.
9 Ibid., p. 39s.
10 Ibid., p. 41.
11 Ibid., pp. 41, 42.
12 Ibid., p. 43 s.
13 Ibid., p. 50.
14 Ibid., p. 56.
15 Ibid., p. 60s.
16 Ibid., p. 62.
17 Ibid., p. 80.
18 Ibid., p. 97.
19 Ibid., p. 112.
20 Ibid., pp. 116, 118.
21 Ibid., p. 121.


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