6. Il Calvinismo e il Futuro
SESTA CONFERENZA
IL CALVINISMO E IL FUTURO
Lo scopo principale delle mie conferenze in questo Paese era quello di eliminare alla radice la falsa convinzione che il Calvinismo rappresentasse un movimento esclusivamente dogmatico ed ecclesiale.
Il Calvinismo non si fermò ad un ordinamento ecclesiale, ma si sviluppò in un sistema di vita. Non esaurì le sue energie in una costruzione dogmatica, ma forgiò una concezione del mondo e della vita tale da potersi adattare alle svariate necessità dello sviluppo umano in ogni aspetto della sua vita.
Elevò la nostra religione cristiana al suo più alto splendore spirituale; creò un ordinamento ecclesiale che divenne la pre-formazione della confederazione di stati; dimostrò di essere l’angelo custode della scienza; emancipò l’arte; diffuse un sistema politico che diede luce ai governi costituzionali sia in Europa che in America; fece progredire l’agricoltura e l’industria, il commercio e la navigazione; attribuì un carattere completamente cristiano alla vita familiare e ai legami nella famiglia; con i suoi alti principi morali promosse la purezza nei nostri ambienti sociali. A questi molteplici effetti associò una specifica concezione filosofica fondamentale, strettamente derivata dal suo principio dominante, su cui fondare la chiesa e lo stato, la società e la famiglia.
Ciò esclude ogni idea di ripristino per imitazione. Quello che i discendenti dei vecchi Calvinisti Olandesi così come dei Padri Pellegrini devono fare, non è copiare il passato, come se il Calvinismo fosse una pietrificazione, ma ritornare alla radice vivente della pianta calvinista, per ripulirla ed annaffiarla, col proposito di farla germogliare e fiorire ancora una volta, in completo accordo con la nostra vita attuale e con le richieste dei tempi a venire.
Questo spiega l’oggetto della mia ultima conferenza. La necessità di un nuovo sviluppo calvinista per i bisogni del futuro.
Come ogni studioso di sociologia riconoscerà, il futuro non si presenta a noi in maniera ben definita. Non affermerei che siamo alla vigilia di un fallimento sociale universale, ma non posso neppure negare che attualmente i segnali siano infausti. Sicuramente, nel controllo della natura e delle sue forze, anno dopo anno si registrano immensi progressi, e neanche la più fervida immaginazione è capace di prevedere quali risultati verranno raggiunti dall’umanità nel prossimo mezzo secolo. Come risultato di ciò, le comodità della vita stanno aumentando. I rapporti mondiali e le comunicazioni stanno diventando sempre più veloci e più ampiamente diffusi. Asia ed Africa, fino a poco tempo fa quasi dormienti, si sentono sempre più attratte nella più ampia realtà della vita movimentata. Aiutati dallo sport, i principi igienici esercitano una crescente influenza. Noi siamo quindi fisicamente più forti della generazione precedente e viviamo più a lungo. Nella lotta alle malattie e alle infermità che minacciano ed affliggono il nostro corpo, la scienza chirurgica ci stupisce con le sue conquiste. In breve, il lato materiale e concreto della vita offre le migliori prospettive per il futuro.
Tuttavia, l’insoddisfazione si fa comunque sentire, e chi si ferma a riflettere non può ignorare la propria sfiducia, poiché per quanto si possa attribuire molto valore alle cose materiali, esse non danno un senso pieno alla nostra esistenza come uomini. La nostra vita personale come uomini e cittadini non consiste nelle comodità che ci attorniano, né nel corpo che ci serve come anello di congiunzione con il mondo che ci circonda, ma nello spirito che internamente ci attualizza; è in questa coscienza interiore che diventiamo sempre più dolorosamente consapevoli di come all’ipertrofia della nostra vita esteriore corrisponda una preoccupante atrofia di quella spirituale. Non come se le facoltà del pensiero e della riflessione, le arti della poesia e delle lettere fossero fuori uso, ma, al contrario, la scienza empirica brilla più di sempre nelle proprie conquiste; la conoscenza universale si diffonde in ambienti sempre più estesi, e la civilizzazione, per esempio in Giappone, è quasi abbagliata dalle sue fin troppo rapide conquiste. Ma neppure l’intelletto costituisce l’animo. La personalità è situata nei recessi nascosti del nostro essere interiore, dove viene formato il carattere, dove viene accesa la fiamma dell’entusiasmo, dove vengono poste le fondamenta morali, dove spuntano le gemme dell’amore, dove scaturiscono consacrazione ed eroismo, e dovein una concezione dell’infinito, la nostra esistenza temporale si allunga fino alle frontiere dell’Eternità. E’ in riferimento a tale luogo della personalità che noi sentiamo da ogni parte lamentele per l’impoverimento, la degenerazione e la paralisi. Il prevalere di questo stato di malessere fornisce la spiegazione del sorgere di uno spirito come quello di Arthur Schopenhauer, e la calda accoglienza delle sue dottrine pessimiste rivela fino a quale avvilente livello questo nefasto scirocco abbia inaridito i campi della vita. E’ vero, le opere di Tolstoj mostrano forza di carattere, ma perfino la sua teoria religiosa e sociale è una protesta radicale contro la degenerazione spirituale della razza. Friedrich W. Nietzsche può schernirci con la sua sacrilega derisione, eppure cos’altro è la sua rivendicazione per il Superuomo, se non il grido di disperazione strappato al cuore dell’umanità per l’amara consapevolezza che sta deperendo spiritualmente? Anche la social democrazia, cos’è se non un’ingente protesta contro l’insufficienza dell’ordine esistente delle cose? Anche l’anarchia e il nichilismo dimostrano fin troppo chiaramente che ci sono migliaia e decine di migliaia di uomini che preferirebbero demolire e distruggere ogni cosa piuttosto che continuare a sopportare il peso della presente condizione. L’autore tedesco della “Dekadenz der Volker” non prevede per il futuro che decadenza e rovina sociale. Anche il sobrio Lord Salisbury ha parlato recentemente di popoli e stati per i quali si stanno già facendo i preparativi per una sepoltura senza cerimonie. Quanto spesso non è stato fatto il confronto tra i nostri tempi e l’epoca d’oro dell’Impero Romano, quando lo splendore esteriore della vita accecava allo stesso modo la vista, nonostante la diagnosi sociale non potesse offrire altro verdetto che “società marcia fino al midollo”. E benché nel continente Americano, in una realtà più giovane, prevalga uno stile di vita relativamente più sano che nella senescente Europa, eppure questo non svierà un solo istante il pensiero nell’animo. È impossibile per voi chiudervi ermeticamente al vecchio mondo, poiché non formate una separata umanità, bensì siete membri del grande corpo della razza umana. Il veleno, una volta penetrato nel sistema da un punto, deve necessariamente diffondersi nell’intero organismo.
Ora, la seria questione con la quale siamo messi a confronto è se possiamo aspettarci che per evoluzione naturale si sviluppi una più alta fase di vita sociale dal declino spirituale attuale. La risposta che la storia offre a questa domanda è lungi dall’essere incoraggiante. In India, in Babilonia, in Egitto, in Persia, in Cina ed altrove, simili periodi di crescita sostenuta sono stati seguiti da tempi di decadenza spirituale; eppure, neanche in una di queste terre la tendenza al declino si è mai risolta in un movimento verso realtà più elevate. Fino ad oggi tutte queste nazioni hanno perseverato nel loro ristagno spirituale. Solo nell’Impero Romano la notte oscura della depravazione senza limiti è stata interrotta dall’alba di un’esistenza più nobile. Ma questa luce non si levò grazie all’evoluzione; risplendette dalla croce del Calvario. Il Cristo di Dio apparve, e solamente per mezzo del suo vangelo la società di quel tempo fu salvata da distruzione certa. Quando, nuovamente, verso la fine del Medioevo, l’Europa fu minacciata dalla bancarotta sociale, si verificarono una seconda resurrezione dai morti ed una manifestazione di una nuova potenza vitale, questa volta fra i popoli della Riforma, ma anche in questa circostanza, non per mezzo dell’evoluzione, bensì di nuovo attraverso quello stesso vangelo del quale i cuori erano assetati e la cui verità fu proclamata con una libertà mai avuta prima. Quali precedenti, dunque, ci fornisce la storia per indurci al presente ad aspettarci un’evoluzione della vita dalla morte, mentre i sintomi della decomposizione suggeriscono già l’amarezza della tomba? È vero che Maometto nel settimo secolo riuscì a creare un certo movimento fra gli scheletri della morte per tutto il Levante presentandosi alle nazioni come un secondo Messia più grande anche del Cristo. Se fosse stata possibile la venuta di un altro Cristo superiore in gloria al Cristo di Betlemme, allora sicuramente si sarebbe individuata la cura per la corruzione morale. Perciò, alcuni stanno infatti aspettando ansiosamente la venuta di qualche glorioso “Spirito Universale” che possa nuovamente instillare la sua potenza fortificante nel cuore e nel sangue delle nazioni. Ma perché indugiare ancora in tali oziose fantasie? Niente può assolutamente superare il Cristo dato da Dio, e ciò che noi dobbiamo attendere, anziché un secondo Messia, è la seconda venuta dello stesso Cristo del Calvario, questa volta col Suo vaglio nella Sua mano per il giudizio, non per promuovere una nuova evoluzione per la nostra vita corrotta dal peccato, ma per riceverla al suo traguardo e per concludere solennemente la storia del mondo. Perciò, o questa seconda venuta è vicina, a portata di mano, e ciò che stiamo testimoniando sono le sofferenze di morte dell’umanità; o un ringiovanimento ci sta aspettando; ma se così fosse, quel ringiovanimento può venire solamente attraverso il vecchio eppure sempre giovane vangelo che, all’inizio della nostra era, e di nuovo al tempo della Riforma, ha salvato la vita della nostra razza che era in pericolo.
Comunque, il più allarmante segnale della situazione presente è la deplorevole assenza di quella ricettività nel nostro organismo malato, che è indispensabile all’efficacia di una cura. Nel mondo Greco-Romano tale ricettività esisteva; i cuori si aprirono spontaneamente per ricevere la verità. A livelli ancor maggiori questa ricettività si riscontrava nell’epoca della Riforma, quando grandi masse di individui invocavano il Vangelo. Allora, come ora, il corpo soffriva di anemia, e si era pure diffusa una setticemia, ma non c’era ostilità al solo antidoto efficace. Attualmente, è proprio questo che distingue la nostra moderna decadenza dalle due che la precedettero, cioè, che nelle masse la ricettività del Vangelo è in diminuzione, mentre coi cultori della scienza l’accesa avversione ad esso è in aumento. L’invito a inginocchiarsi a Cristo, come Dio, viene accolto così spesso con un’alzata di spalle, se non con la replica sarcastica: “può andar bene per bambini e vecchiette, non per noi uomini!”. La moderna filosofia, oggi vincente, ritiene sempre di più di aver superato il Cristianesimo.
____________________
Perciò, prima di tutto, la domanda a cui si deve rispondere è cosa ci ha portato allo stato dei fatti attuale, una domanda che deriva la sua primaria importanza dal fatto che solo una corretta diagnosi può condurre ad un efficace trattamento. Ora, storicamente, la causa del male si trova nient’altro che nella degenerazione spirituale che segnò la fine del secolo precedente. La responsabilità per questa degenerazione senza dubbio è in parte delle stesse Chiese Cristiane, senza eccezione per quelle della Riforma. Consumate dalla loro lotta contro Roma, queste Chiese si sono addormentate, hanno permesso a foglie e fiori di appassire sui loro rami e sembrano essersi scordate dei loro doveri verso l’umanità in generale, e l’intera sfera della vita umana. Non è necessario addentrarsi più a fondo in questo. Si può riconoscere a pieno che verso la fine di quel secolo il tono di vita generale era divenuto insipido e banale, ignobile e povero di sentimenti. La letteratura che veniva sfogliata con avida voracità in quel periodo ne fornisce la prova. In risposta a questo, sorse allora la proposta da parte dei filosofi Deisti ed Ateisti, prima in Inghilterra, ma successivamente soprattutto in Francia da parte degli Enciclopedisti, di dare alla vita nella sua interezza un nuovo fondamento, di metter sotto sopra l’ordine delle cose esistenti e di organizzare un nuovo mondo nella supposizione che la natura umana continui nel suo stato incorrotto.[1] Questa concezione fu eroica e suscitò una reazione; pizzicò alcune delle più nobili corde del cuore umano. Ma nella grande Rivoluzione del 1789 fu messa in atto nella sua forma più pericolosa; poiché in questa potente rivoluzione, in questo sconvolgimento non solo di condizioni politiche, ma ancor più di convinzioni, idee e costumi di vita, due elementi dovrebbero esser chiaramente evidenziati. Da un lato, fu un’imitazione del Calvinismo, mentre dall’altro, fu in diretta opposizione ai suoi principi. La grande Rivoluzione, non si dovrebbe dimenticare, scoppiò in un Paese Cattolico-Romano, dove, prima nella notte di San Bartolomeo, e successivamente per la revoca dell’editto di Nantes, gli Ugonotti furono massacrati e banditi. Dopo questa violenta soppressione del Protestantesimo in Francia, ed in altri paesi cattolico-romani, l’antico dispotismo aveva riguadagnato la sua influenza, e per queste nazioni tutti i frutti della Riforma furono perduti. Questo, come una caricatura del Calvinismo, invitò e spinse a tentare di battersi per la libertà con la violenza esteriore, e di stabilire uno stato di cose pseudo-democratico, che doveva precludere per sempre un ritorno al dispotismo. Così, la Rivoluzione Francese, facendo fronte alla violenza con la violenza, al crimine con il crimine, lottò per la stessa libertà sociale che il Calvinismo aveva proclamato fra le nazioni, ma che il Calvinismo aveva ricercato nel corso di un movimento puramente spirituale. Con ciò, la Rivoluzione Francese in un certo senso mise in atto una volontà di Dio il cui risultato offre perfino ai Calvinisti motivo di letizia. Le ombre di De Coligny furono vendicate negli omicidi di Settembre di Mazas.
Ma questa è solo una faccia della medaglia. Il suo rovescio svela un obiettivo totalmente opposto alla profonda idea calvinista di libertà. Il Calvinismo, in virtù della sua particolarmente austera concezione della vita, aveva rafforzato e consacrato i legami sociali ed etici; la rivoluzione francese li allentò e li sciolse completamente, separando la vita non semplicemente dalla Chiesa, ma anche dagli ordinamenti di Dio, perfino da Dio stesso. Gli uomini come tali, ciascun individuo, da quel momento in poi doveva essere il proprio signore e padrone, guidato dal proprio libero arbitrio e a proprio buon piacere. Il treno della vita doveva accelerare ancor più rapidamente che mai prima di allora, ma non più costretto a seguire i binari dei comandamenti divini. Cos’altro poteva risultare se non relitti e rovina? Chiedete alla Francia di oggi quale frutto abbia portato alla nazione l’idea fondamentale della sua Grande Rivoluzione dopo il suo primo secolo di libero governo così pieno di orrori, e la risposta diventa un pietosissimo racconto di decadenza nazionale e di depravazione sociale.
Umiliata dal nemico oltre il Reno, lacerata internamente dalla furia partigiana, disonorata dalla cabala di Panama e ancor più dal caso Dreyfus, svergognata dalla sua pornografia, vittima di regressione economica, stazionaria anzi perfino in calo nel numero di abitanti, la Francia, come è stato giustamente sottolineato dal dottor Garnier, un’autorità medica in questo campo, è stata spinta dall’egoismo a guastare il matrimonio, dalla lussuria a distruggere la vita familiare, e oggi presenta, in larga misura, lo spettacolo disgustoso di uomini e donne persi in peccati sessuali contro natura. Sono consapevole che ci sono ancora migliaia e migliaia di famiglie in Francia che vivono in maniera decorosa, che sono profondamente addolorati per la rovina morale del loro paese, ma dopo tutto, questi sono proprio quei casi che hanno resistito alle false pretese della rivoluzione; e, dall’altro lato, quelle situazioni in cui ci si è ridotti quasi ad animali sono quelle che soccombettero al primo assalto del pensiero di Voltaire.
Questo spirito di dissoluzione, questo desiderio di sfrenata emancipazione, dalla Francia si è poi diffuso fra le altre nazioni, specialmente per mezzo di una letteratura scandalosamente oscena, ed infettò le loro vite. Le menti più nobili, soprattutto in Germania, comprendendo quale livello di perversione era stato raggiunto in Francia, fecero l’audace tentativo di realizzare questa lusingante e umiliante idea di “emancipazione da Dio” in una forma più alta, pur conservando ancora la sua essenza. Filosofi di primo rango, in una solenne processione, ciascuno per se, costruì una cosmologia che tentava di ristabilire un fermo fondamento alle relazioni sociali ed etiche, o ponendovi alla base la legge naturale, o fornendo loro un substrato ideale creato dalla loro propria speculazione. Per un momento questo tentativo sembrò aver una buona possibilità di successo; poiché, invece di bandire Dio in modo ateistico dal loro sistema, questi filosofi cercarono rifugio nel panteismo e resero così possibile fondare la struttura sociale, non come i francesi, su uno stato della natura o sulla volontà atomistica dell’individuo, ma sullo sviluppo della storia e sulla volontà collettiva della razza, tendendo inconsciamente verso il fine più alto. Certamente per più di mezzo secolo questa filosofia ha impartito una certa stabilità alla vita, non perché alcuna reale stabilità fosse inerente ai sistemi stessi, ma perché l’ordine stabilito dalla legge e le forti istituzioni politiche in Germania offrirono il sostegno indiretto della tradizione ai muri di un edificio che sarebbe altrimenti immediatamente crollato. Anche così, tuttavia, non poté essere impedito che anche in Germania i valori morali diventassero sempre più problematici, le fondamenta morali sempre più insicure, e nessun altro diritto che quello della legge presente ricevesse riconoscimento; per quanto gli sviluppi della Germania e della Francia possano differire tra loro, entrambe furono concordi nella loro avversione e nel loro rifiuto del Cristianesimo tradizionale. L’”Ecrasez l’infâme” di Voltaire è ormai superato di molto dalle espressioni blasfeme di Nietzsche sul Cristo, e Nietzsche è l’autore le cui opere sono divorate con vivo desiderio dalla giovane moderna Germania dei nostri giorni.
In questo modo dunque, perlomeno noi in Europa, siamo arrivati alla cosiddetta vita moderna, attraverso una radicale rottura con le tradizioni cristiane dell’Europa del passato. Lo spirito di questa vita moderna è molto chiaramente caratterizzato dal fatto che cerca le origini dell’uomo non nella creazione ad immagine di Dio ma nell’evoluzione dall’animale. Due idee fondamentali sono evidentemente implicate in questo: (1) che il punto di partenza non è più l’ideale o il divino ma il materiale e il meschino: (2) che la sovranità di Dio, che dev’essere suprema, è negata, e l’uomo cede ad una corrente mistica di un processo senza fine, un regressus e processus in infinitum.
Dalle radici di queste due fertili idee si sta ora evolvendo un doppio genere di vita. Da una parte la vita piena di interessi, ricca, altamente organizzata dei circoli Universitari, raggiungibile solo dalle menti più raffinate; e, accanto a questa, o piuttosto, molto al di sotto, una vita materialistica delle masse, bramose di piacere, ma, a modo loro, anche loro trovando il loro punto di partenza nella materia, e allo stesso modo, ma alla loro cinica maniera, emancipando se stesse da tutte le regole stabilite. Specialmente nelle nostre grandi città sempre più in crescita, questo secondo stile di vita sta avanzando, coprendo la voce dei quartieri di campagna, e sta dando forma ad un’opinione pubblica che manifesta il suo carattere empio sempre più apertamente ad ogni successiva generazione. Denaro, piacere e potere sociale, solo questi sono oggetto di ricerca; e la gente sta disdegnando sempre meno il fatto di ricorrere a qualsiasi mezzo per assicurarseli. In questo modo si fa sempre più debole la voce della coscienza, e sempre più offuscata la visione dell’occhio, che alla vigilia della Rivoluzione Francese rifletteva ancora qualche barlume dell’ideale. La fiamma di ogni più alto entusiasmo è stata spenta, rimangono solo le braci. In mezzo al tedio della vita, cosa può trattenere la persona delusa dal trovare rifugio nel suicidio? Privato dei benefici del riposo, il cervello è sovraccaricato e troppo sforzato, fino a che i manicomi non sono più sufficienti a dar posto ai pazzi. Se la proprietà non sia sinonimo di furto è una questione che viene sempre più seriamente presa in considerazione. Che la vita debba essere più libera ed il matrimonio meno vincolante viene accettato sempre più come un dato di fatto. Per la causa della monogamia non vale più la pena combattere da quando la poligamia e la poliandria vengono sistematicamente glorificate in tutte le opere della scuola realistica d’arte e di letteratura. In linea con ciò, la religione viene naturalmente dichiarata superflua, perché rende triste la vita. Ma l’arte, soprattutto l’arte, è molto richiesta, non per il suo valore ideale, ma perché procura piacere e ammalia i sensi. Così, la gente vive alla giornata e per le cose temporali, e si fa sorda ai rintocchi dell’eternità. La tendenza irrefrenabile è di rendere l’intera visione della vita concreta, concentrata e pragmatica. E da questa personale esistenza modernizzata emerge uno stile di vita sociale e politica caratterizzato da una decadenza del parlamentarismo, da un desiderio sempre più forte di un dittatore, da un forte conflitto fra la povertà ed il capitalismo, mentre pesanti armamenti in terra e per mare, persino al prezzo della rovina finanziaria, diventano l’ideale di questi potenti stati, il cui desiderio di espansione territoriale minaccia l’esistenza delle nazioni più deboli. Il conflitto fra il forte e il debole è progressivamente cresciuto fino a diventare la caratteristica principale della vita, prendendo forma dal Darwinismo, la cui idea centrale di una lotta per la vita ha come suo movente principale proprio questa contrapposizione. Da quando Bismarck la introdusse nell’alta politica, la regola del diritto del più forte ha trovato accettazione quasi universale. Gli studiosi e gli esperti dei nostri giorni esigono in maniera sempre più sfacciata che l’uomo si inchini alla loro autorità. Il risultato non può che essere ancora una volta che i sani principi della democrazia verranno banditi per far posto questa volta non ad una nuova aristocrazia di più nobile nascita e di più alti ideali, ma alla volgare ed altezzosa Kratistocrazia[2] della brutale potenza del denaro. Nietzsche non è per niente eccezionale, ma proclama come araldo di questa Kratistocrazia il futuro della nostra vita moderna. Mentre il Cristo, con divina misericordia, dimostrò una profonda compassione per i deboli, la vita moderna, anche a questo riguardo, prende la strada totalmente opposta, ritenendo che il debole debba essere rimpiazzato dal forte. Tale, ci dicono, fu il processo di selezione al quale noi dobbiamo la nostra origine, e tale è il processo che, in noi e dopo di noi, deve svilupparsi fino alle sue conseguenze finali.
____________________
Nel frattempo, come osservato sopra, non si dovrebbe dimenticare che nella vita moderna fluisce una corrente secondaria, di origine più nobile. Un esercito di uomini intellettualmente molto dotati si è levato, questi, prendendo le distanza dall’inquietante gelo dell’atmosfera morale, ed allontanandosi dalla brutalità del diffuso egoismo, si sono sforzati di infondere nuovo calore alla vita, in parte per mezzo di un culto mistico dei sentimenti e in parte perfino in nome della Cristianità. Benché in accordo con i precetti della Rivoluzione Francese nella loro rottura con la tradizione cristiana e nel loro rifiuto nell’accettare alcun punto di partenza che non sia quello dell’empirismo e del razionalismo, questi uomini tuttavia, accettando, come fa Kant, un grossolano dualismo, cercarono di sfuggire alle fatali conseguenze del loro principio. È proprio da questo dualismo che essi trassero l’ispirazione per le molte nobili idee elaborate nelle loro teorie, riportate nelle loro poesie e presentate alla nostra immaginazione in commoventi novelle, raccomandate alla nostra coscienza in trattati etici e, non dimentichiamocene mai, spesso portate a realizzazione in una seria condotta di vita. Con essi la coscienza, fianco a fianco con l’intelletto, aveva mantenuto la sua autorità, e quella coscienza umana è così riccamente piena di doti per mano di Dio. All’energica iniziativa di questi uomini noi dobbiamo le numerose investigazioni sociologiche e misure pratiche che hanno alleggerito ed alleviato così tanta sofferenza, e con un ideale altruismo hanno umiliato l’egoismo in molti cuori. Avendo una personale predisposizione al misticismo, alcuni di loro reclamarono il diritto di emancipare la vita interiore dell’anima da ogni costrizione del criticismo. Perdersi nell’infinito e sentir pulsare la sua corrente nei recessi più profondi della vita interiore significò per loro una desiderabile religiosità. Altri ancora, specialmente teologi, in minor misura allontanatisi dal cristianesimo a motivo dei loro precedenti, uffizio o dotta occupazione, allineandosi con questo altruismo e misticismo, si posero l’obiettivo di far sì che Cristo fosse sottoposto ad una metamorfosi tale che Egli potesse continuare a splendere dal trono dell’umanità come il più alto ideale del cuore umano modernizzato.Ciascuno di questi tentativi, ispirati dalla sincerità e derivanti dal loro ideale intento, può esser riscontrato da Schleiermacher arrivando fino a Ritschl[3]. Colui che dunque guardasse con disprezzo a tali uomini disonorerebbe solo se stesso. Piuttosto, dovremmo di gran lunga ringraziarli per ciò che si sforzarono di salvare, anche quelle donne di nobili aspirazioni, che con le loro novelle scritte in un simile spirito cristiano, si sono contrapposte a tutto ciò che era infimo, ed hanno coltivato così tanti semi preziosi. Perfino lo Spiritismo, benché fosse carico di errori, è spesso stato lusingato dalla speranza che il contatto col mondo esterno distrutto dal criticismo potesse così essere ristabilito, attraverso il ponte delle visioni del medium. Sfortunatamente, per quanto arditamente possa essere concepito questo dualismo etico e per quanto audaci siano le metamorfosi che questo misticismo ha assecondato, è sempre rimasto insito in esso il sistema di pensiero naturalistico e razionalistico che l’intelletto aveva sviluppato. Essi esaltarono il carattere normale della loro cosmologia di fronte all’ a-normalismo del nostro credo; la religione cristiana, essendo eccezionale nel principio e nel modo di manifestarsi, perse inevitabilmente terreno a tal punto che alcuni dei nostri uomini migliori non furono riluttanti nell’ammettere che essi preferivano non solo lo spiritismo ma anche Maometto e Schopenhauer o perfino il buddismo, alla vecchia fede evangelica. È vero che l’intera schiera di teologi da Schleiermacher a Pfleiderer continuò a rendere alto onore al nome di Cristo, ma è egualmente innegabile che questo rimase possibile solo sottoponendo la figura di Cristo e la confessione cristiana a cambiamenti sempre più arditi. Un fatto penoso ma che diventa del tutto evidente se si paragona il credo ora corrente in queste cerchie con la confessione per la quale morirono i nostri martiri.
Anche limitandoci al credo apostolico, che per quasi due millenni è stato sostanzialmente lo standard comune di tutti i cristiani, notiamo che la credenza in Dio come il “Creatore del cielo e della terra” è stata abolita, poiché la creazione è stata sostituita dall’evoluzione. È stata inoltre abolita la credenza in Dio il Figlio come nato dalla Vergine Maria, attraverso il concepimento per opera dello Spirito Santo. Furono altresì abolite per molti, la credenza nella Sua resurrezione dai morti, nella Sua ascensione e nel Suo ritorno alla facoltà di giudizio. Fu abolita, infine, persino la fede della chiesa nella risurrezione dei morti, o perlomeno nella resurrezione del corpo. L’appellativo di religione cristiana è ancora conservato, ma in pratica essa è diventata una religione completamente diversa nel suo principio, perfino di natura totalmente opposta. Quando continuamente veniamo accusati che a ragion dei fatti il tradizionale Cristo della Chiesa prevede una totale metamorfosi del Gesù autentico, mentre la moderna interpretazione ha svelato la reale natura del Gesù di Nazareth storico, noi non possiamo che rispondere che, dopo tutto, storicamente, non questa moderna concezione di Gesù di Nazareth, ma la confessione della Chiesa del Cristo è quella che ha conquistato il mondo; secolo dopo secolo i migliori e più devoti della nostra stirpe hanno reso omaggio al Cristo della tradizione ed hanno gioito in Lui come il loro salvatore all’ombra della morte.
Benché non ami essere secondo a nessuno, di conseguenza, in sincero apprezzamento di ciò che è nobile in tali tentativi, io sono fortemente radicato alla mia convinzione che non ci si debba aspettare alcun aiuto da quella parte. Una teologia che virtualmente distrugge l’autorità delle Sacre Scritture come libro sacro, che vede nel peccato null’altro che mancanza di sviluppo, riconosce in Cristo niente di più che un genio religioso di primaria importanza, concepisce la redenzione come una pura inversione del nostro modo di pensare soggettivo, e si lascia andare ad un misticismo dualisticamente opposto al mondo dell’intelletto, tale teologia è come una diga che cede al primo assalto dell’impetuosa corrente. È una teologia senza presa sulle masse, una quasi religione completamente priva della capacità di rinvigorire la nostra vita morale tristemente traballante, o di esserle anche solo di appoggio temporaneo.
____________________
Si può forse chiedere di più alle straordinarie energie mostrate nella seconda metà di questo secolo da Roma? Non scartiamo troppo frettolosamente questa domanda. Benché la storia della Riforma abbia messo in fondamentale contrapposizione Roma e noi, sarebbe tuttavia limitativo e privo di accortezza sottovalutare la vera potenza che ancora oggi si manifesta nella lotta di Roma all’ateismo e al Panteismo. Solo l’ignoranza riguardo agli approfonditi studi della filosofia romana e agli sforzi di successo di Roma nella vita sociale potrebbe prendere in considerazione un tale superficiale giudizio. Calvino riconobbe ciò già ai suoi tempi, quando contro lo spirito della Grande Oscurità egli considerò il credente Romano suo alleato. Ad un cosiddetto protestante ortodosso è sufficiente ricercare nella propria confessione e nel catechismo quelle dottrine di religione e di morale che non sono soggette a controversie fra Roma e noi per accorgersi immediatamente che ciò che abbiamo in comune con Roma concerne proprio quelle realtà fondamentali del nostro credo cristiano che sono ora più ferocemente assalite dallo spirito moderno. Indubbiamente riguardo ai temi della gerarchia ecclesiastica, della natura dell’uomo prima e dopo la caduta, della giustificazione, della messa, dell’invocazione di santi ed angeli, dell’adorazione di immagini, del purgatorio e molti altri noi siamo altrettanto risolutamente opposti a Roma quanto i nostri padri. Ma la letteratura attuale non dimostra forse che queste non sono le tematiche sulle quali la lotta di quest’epoca si concentra? Non sono forse le linee di battaglia tracciate in questo modo: teismo contro panteismo; peccato contro imperfezione; il divino Cristo di Dio contro Gesù semplice uomo; la croce come sacrificio di riconciliazione contro la croce come simbolo di martirio; la Bibbia come ottenuta per ispirazione da Dio contro un prodotto puramente umano; i dieci comandamenti ordinati da Dio contro un semplice documento archeologico; gli ordinamenti di Dio stabiliti in modo assoluto contro leggi e moralità in continuo cambiamento composte dalla conoscenza soggettiva dell’uomo? Ora, in questo conflitto Roma non è antagonista, ma sta al nostro fianco in quanto anch’essa riconosce e preserva la Trinità, la natura divina di Cristo, la croce come sacrificio espiatorio, le Scritture come parola di Dio e i dieci comandamenti come regola di vita imposta da Dio. Perciò, permettetemi la domanda: se i teologi romani estraggono la spada per lottare valorosamente e abilmente contro la stessa tendenza che noi intendiamo combattere a morte, non sarebbe saggio accettare il prezioso aiuto della loro delucidazione? Calvino almeno era abituato ad appellarsi a Tommaso d’Aquino. Io non mi vergogno nel confessare che in molti punti le mie opinioni sono state chiarite attraverso il mio studio dei teologi romani.
Questo comunque non implica minimamente che la nostra speranza per il futuro possa essere posta negli sforzi di Roma e che noi possiamo attendere passivamente la vittoria di Roma. Un rapido esame della situazione sarà sufficiente a convincerci del contrario. Può il Sud America, per cominciare dal vostro continente, essere paragonato anche per un solo istante al Nord? Ora nel Sud e Centro America la chiesa cattolica-romana ha la supremazia. Essa ha il controllo esclusivo in quest’area. Il protestantesimo non conta nulla. Qui, dunque, c’è un’immensa area in cui il potere politico e sociale, che Roma potrebbe esercitare per la rigenerazione della nostra razza, può liberamente esprimersi, un’area altresì in cui Roma non è arrivata di recente, ma che occupa già da quasi tre secoli. Il giovane sviluppo della realtà sociale di questi paesi è rimasto sotto la sua influenza; essa ha mantenuto il controllo anche della loro vita intellettuale e spirituale a partire dalla loro liberazione dalla Spagna e Portogallo. Inoltre, la popolazione di questi stati è derivata da quei paesi europei che sono sempre stati sotto l’indiscusso dominio di Roma. L’esame quindi è il più completo e giusto possibile. Ma invano cerchiamo in questi stati latino-americani una vita che elevi, sviluppi energia ed eserciti una salutare influenza all’esterno. Finanziariamente sono deboli, relativamente privi di progresso nella loro condizione economica; nella loro vita politica presentano il triste spettacolo di un conflitto interno senza fine; e, se uno fosse desideroso di raffigurare un’immagine ideale del futuro del mondo, può farlo quasi immaginando proprio l’opposto di ciò che è l’attuale situazione in sud America. Né può essere addotto a pretesto per Roma che questo sia dovuto a circostanze eccezionali, poiché in primo luogo questa arretratezza politica non si trova solo in Cile, ma egualmente in Perù, Brasile e nella Repubblica Venezuelana; mentre, passando dal Nuovo al Vecchio Mondo, raggiungiamo, a dispetto di noi stessi, la stessa conclusione. Anche in Europala reputazione di tutti gli stati protestanti è alta, mentre quella dei paesi più a Sud, che sono cattolico-romani, è in penoso calo. Gli affari economici ed amministrativi in Spagna, Portogallo, e non meno in Italia, sono causa di continue lamentele. Il potere internazionale e l’influenza estera di questi paesi è visibilmente in declino. Ciò che è ancor più scoraggiante, l’infedeltà ed uno spirito rivoluzionario hanno preso talmente piede in questi paesi che metà della popolazione, benché ancora nominalmente cattolico-romana, ha in realtà troncato con ogni vera religione. Questo si può constatare in Francia, che è quasi interamente cattolico-romana, e che tuttavia ha votato più di una volta in schiacciante maggioranza contro i sostenitori della religione. Infatti, possiamo dire che, per poter osservare la nobiltà e l’energia dei sostenitori di Roma, le si deve cercare non nel loro paese, dove sono in declino, ma nel fulcro della protestante Germania del Nord, in Olanda, in Inghilterra e negli Stati Uniti. In regioni in cui, privati di una soffocante influenza, essi si adattano al sistema politico degli altri e concentrano le loro forze come partito di opposizione, e sotto guide quali Manning e Wiseman, Von Ketteler e Windthorst, essi ci costringono all’ammirazione per la fervida difesa della loro causa.
Ma anche al di là di questo Testimonium paupertatis fornito da Roma attraverso la cattiva amministrazione in Sud Europa ed in Sud America, dove essa ha completo dominio, anche nel contesto delle nazioni il suo potere e la sua influenza stanno calando visibilmente. L’equilibrio politico in Europa sta ora gradualmente passando nelle mani della Russia, della Germania e dell’Inghilterra, tutti stati non romani, e nel vostro continente il Nord protestante conserva la sua supremazia.
Dal 1866 l’Austria ha avuto un continuo declino, ed alla morte dell’attuale imperatore sarà seriamente minacciata dalla dissoluzione. L’Italia ha tentato di condurre uno stile di vita al di sopra delle proprie risorse: ha cercato di diventare una grande potenza navale e coloniale, ed il risultato è che ha portato se stessa sull’orlo della rovina economica. La battaglia di Adua diede il colpo di grazia a gran parte delle sue aspirazioni coloniali. La Spagna ed il Portogallo hanno totalmente perso ogni influenza nello sviluppo sociale, intellettuale e politico dell’Europa. La Francia, che solo cinquant’anni fa fece tremare tutta l’Europa sfoderando la sua spada, sta ora ansiosamente analizzando le profezie sibilline sul suo futuro. Anche da un punto di vista statistico il potere di Roma sta diminuendo continuamente. La depressione economica e morale in parecchi paesi latini ha portato ad un considerevole calo della natalità. Mentre in Russia, Germania, Inghilterra e Stati Uniti vi è una crescita della popolazione, in alcuni paesi cattolici la situazione è diventata praticamente stazionaria. Anche ora le statistiche assegnano solo meno della metà del cristianesimo alla Chiesa Cattolico-Romana, e si può con certezza prevedere che entro il prossimo mezzo secolo la sua parte sarà meno del 40 per cento. Di conseguenza, per quanto io sia assai incline a valorizzare il considerevole potere dell’unità e della cultura Cattolico-Romane in difesa di molti valori che anche noi consideriamo sacri, e benché io non veda come potremmo respingere l’attacco del modernismo se non con un’azione combinata, tuttavia non c’è la ben che minima speranza che la supremazia politica possa mai più finire nelle mani di Roma. Ed anche se questo dovesse accadere contrariamente alle aspettative, chi potrebbe realmente gioirne come realizzazione del proprio ideale, se egli vedesse le condizioni ora prevalenti nel sud Europa e sud America riprodotte altrove?
Noi possiamo di fatto urlarlo ancor più a gran voce: sarebbe un passo indietro nel corso della storia. La concezione del mondo e della vita di Roma rappresenta uno stadio più vecchio e quindi più basso di sviluppo nella storia dell’umanità. Il Protestantesimo gli succedette e da allora rappresenta un punto di vista spiritualmente più alto. Chi non va all’indietro ma cerca di arrivare più in alto deve perciò o sostenere la visione del mondo già sviluppata dal Protestantesimo, oppure, poiché anche questo è concepibile, puntare ad una concezione ancora più alta. Ora, questo è ciò che la recente moderna filosofia presume certamente di fare, riconoscendo Lutero come un grande uomo per il suo tempo, ma accogliendo Kant e Darwin come gli apostoli di un vangelo molto più ricco. Ma questo non ci deve frenare. Poiché la nostra epoca, per quanto grande in invenzioni, nel mostrare grandezza di intelletto e di energie, non è avanzata di un singolo passo nell’istituzione di principi, non ci ha dato in nessun modo un più alto concetto di vita e non ci ha offerto né una più grande stabilità né una maggior solidità nella nostra vita etica e religiosa, vale a dire nella vera vita umana. Essa ha scambiato la solida fede della Riforma per ipotesi mutevoli; per quanto si sia avventurata in un concetto di vita strettamente logico e ridotto ad un sistema, non si è spinta in avanti ma indietro, alla saggezza pagana dei tempi pre-cristiani che Paolo testimonia esser stata umiliata da Dio con la follia della croce. Non dica nessuno quindi: dal momento che la storia non va all’indietro, voi che protestate contro un ritorno a Roma, non avete diritto di prender posizione a favore del Protestantesimo; poiché dopo il Protestantesimo venne il Modernismo. La pertinenza di quest’obiezione non può essere negata, fino a che non si dimostri l’erroneità del mio punto di vista: cioè, che l’avanzamento materiale del nostro secolo non ha nulla in comune con l’avanzamento di principi etici, e che ciò che il modernismo ci offre non è moderno, ma piuttosto antico; non posteriore, ma anteriore al protestantesimo, retrocedendo fino ad arrivare alla Stoa e ad Epicuro.
____________________
Solo procedendo sulla strada del Protestantesimo, dunque, si può tentare con successo un avanzamento, e sicuramente, al presente, la salvezza viene ricercata su questa linea per mezzo di due differenti tendenze, le quali non possono che condurre entrambe ad un’amara delusione. Una di queste ha un aspetto pratico, l’altra un aspetto mistico. Senza speranza di difesa contro il criticismo moderno ed ancor meno contro la disapprovazione del dogma, la prima, cioè la tendenza pratica, afferma che i cristiani non possono far nulla di meglio che ripiegare su ogni tipo di opera cristiana. I suoi fedeli non sanno che fare in merito a quale atteggiamento si debba assumere nei confronti delle Scritture; essi si sono allontanati dal dogma; ma cosa può trattenere tali esitanti credenti dal sacrificare la propria persona ed i propri averi alla causa della filantropia, dell’evangelismo e delle missioni! Questo offre perfino un triplice vantaggio: avvicina cristiani di ogni genere di opinione, allevia molto la miseria, ed esercita un’attrazione conciliatrice sul mondo non-cristiano. Naturalmente, questa propaganda attraverso l’azione dev’essere accolta con partecipazione e riconoscenza. Nel secolo passato l’attività cristiana fu certamente troppo limitata; ed un cristianesimo che non dimostri il suo valore concretamente degenera in uno sterile scolasticismo ed un vano parlare. Sarebbe un errore, tuttavia, supporre che il cristianesimo possa essere confinato entro i limiti di tale manifestazione pratica. Il nostro Salvatore guarì i malati e sfamò gli affamati, ma la realtà suprema nel suo ministero fu, dopo tutto, che, in stretta aderenza alle Scritture dell’Antica Alleanza, Egli proclamò apertamente la propria natura divina ed il proprio compito di Mediatore, l’espiazione dei peccati per mezzo del proprio sangue e la sua venuta per il giudizio. Nessun dogma centrale, infatti, è mai stato professato dalla Chiesa di Cristo che non fosse la definizione ragionata di ciò che Cristo ha proclamato circa la Sua missione nel mondo e circa il mondo nel quale fu mandato. Egli guarì il corpo malato ma ancor più, soprattutto, Egli fasciò le nostre ferite spirituali. Egli ci ha salvato dal paganesimo e dal Giudaismo, e ci ha portati in un mondo di convinzioni completamente nuovo, del quale Egli, come Messia mandato da Dio, costituisce il centro. Inoltre, per quanto riguarda la nostra disputa con Roma, non dobbiamo trascurare il fatto che in opere cristiane ed in devozione, Roma ci supera ancora. Anzi, riconosciamo senza riserve che persino la cerchia dei non credenti comincia a rivaleggiare con noi, e che in azioni filantropiche cerca sempre più di superarci. Nelle missioni il mondo non-credente non segue le nostre orme; ma ditemi, come possiamo continuare le missioni se non abbiamo un vangelo ben definito da predicare? È possibile immaginare niente di più mostruoso dei cosiddetti missionari liberali che predicano solo umanità e pietà sbiadita, ed sfidati dai saggi pagani con la risposta che essi nei loro circoli di cultura non hanno mai insegnato o creduto null’altro che proprio questo moderno umanesimo?
Forse che l’altra tendenza, quella mistica, possa essere maggiormente difesa? Quale pensatore o studioso di storia potrebbe affermarlo? Senza dubbio il misticismo irradia un fervore che scalda il cuore; sventure colpiscono il gigante del dogma e l’eroe dell’azione che siano estranei alle sue profondità e alla sua dolcezza. Dio creò la mano, la mente ed il cuore; la mano per lavorare, la mente per il mondo, il cuore per il misticismo. Sovrano nelle opere, profeta nella professione e sacerdote nel cuore, l’uomo starà innanzi a Dio in questa triplice veste, ed un cristianesimo che trascuri l’elemento mistico si sviluppa con freddezza ed arriva a congelare. Dobbiamo dunque ritenerci fortunati ogni qualvolta un’atmosfera mistica ci avvolga facendoci respirare l’aria balsamica della primavera. Per mezzo di essa la vita è resa più vera, più profonda e più piena. Ma sarebbe un triste errore pensare che il misticismo, preso da solo, possa portare ad un’inversione nello spirito dei tempi. Non Bernardo di Chiaravalle ma Tommaso d’Acquino, non Tommaso da Kempis ma Lutero, hanno dominato lo spirito degli uomini. Il misticismo è per sua vera natura appartato, si sforza piuttosto di evitare il contatto con il mondo esterno. La sua vera forza risiede nella vita indifferenziata dell’anima e per questo motivo non può assumere una posizione attiva. Esso scorre in una falda sotterranea, e sopra il suolo non mostra percorsi chiaramente definiti. Ciò che è peggio, è che la storia prova che ogni misticismo unilaterale è sempre diventato morboso per poi degenerare in un misticismo della carne, sconvolgendo il mondo con la sua empietà morale.
Di conseguenza, benché mi rallegri del rifiorire di entrambe le tendenze, quella pratica e quella mistica, entrambe si riveleranno una perdita piuttosto che un guadagno, se ci si aspetta che esse compensino l’allontanamento dalla verità della salvezza. Il misticismo è dolce e le opere cristiane sono preziose, ma il seme della chiesa è sempre stato il sangue dei martiri, sia alla nascita del cristianesimo che all’epoca della Riforma; i martiri canonizzati versarono il loro sangue non per il misticismo o per progetti filantropici, ma per amore di convinzioni tali da implicare l’accettazione della verità ed il rifiuto dell’errore. Vivere secondo coscienza è una prerogativa quasi divina dell’uomo, e solo dalla chiara, limpida intuizione della coscienza deriva la potente parola che può forzare i tempi a mutare la loro direzione e portare alla rivoluzione nello Spirito del mondo. È autoinganno quindi, e solo autoinganno, quando questi cristiani della pratica e della mistica credono di poter agire senza una propria concezione del mondo e della vita. Nessuno può farne a meno. Chiunque pensi di poter abbandonare le verità cristiane e togliere di mezzo il catechismo della Riforma, si piega inconsapevolmente alle ipotesi del concetto moderno del mondo, e senza rendersi conto di quanto sia già andato alla deriva, giura sul Catechismo di Rousseau e di Darwin.
____________________
Non fermiamoci dunque a metà strada. Quanto è vero che ogni pianta ha una radice, è altrettanto vero che c’è un principio nascosto sotto ogni manifestazione di vita. Questi principi sono interconnessi e hanno la loro radice comune in un principio fondamentale; da quest’ultimo si sviluppa in maniera logica e sistematica l’intero complesso delle fondamentali idee e concezioni che servono a dar forma alla nostra concezione della vita e del mondo. Con una tale coerente visione del mondo, saldamente fondata sul suo principio ed armoniosa nella sua splendida struttura, il modernismo affronta ora il cristianesimo; contro questo pericolo mortale voi cristiani non potete difendere il vostro santuario se non ponendo in opposizione a tutto ciò una concezione del mondo e della vita tutta vostra, fondata altrettanto saldamente sulla base del vostro principio, trascritta con la stessa chiarezza e splendore in una logica di eguale consistenza. Ora, questo non si ottiene né con opere cristiane, né con il misticismo, ma solo ritornando, riempiendo i nostri cuori di calore mistico e rendendo manifesta la nostra fede personale in abbondanti opere, a quella svolta decisiva nella storia e nello sviluppo dell’umanità che fu compiuta dalla Riforma. Questo equivale ad un ritorno al Calvinismo. Qui non c’è scelta. Il socinianesimo morì di una morte ingloriosa. L’anabattismo perì in selvagge orge rivoluzionarie. Lutero non trovò mai il fondamento al suo pensiero. Il protestantesimo, considerato in termini generali, senza ulteriori differenziazioni, o è una concezione puramente negativa, senza contenuto, o è una definizione di ambigua e varia interpretazione che i rinnegatori del Dio-uomo amano utilizzare come loro scudo. Solo del Calvinismo si può dire che esso abbia consistentemente e con coerenza logica perseguito le linee della Riforma, abbia fondato non solo Chiese ma anche stati, abbia impresso il suo marchio nella vita sociale e pubblica ed abbia così, nel pieno senso della parola, creato per l’intera vita dell’uomo una realtà di pensiero totalmente propria.
Sono convinto che, dopo ciò che ho detto nella mia prima conferenza, nessuno mi accuserà di sottovalutare il Luteranesimo; eppure, il presente imperatore di Germania ha fornito non meno di tre volte una prova delle pessime conseguenze dell’errore apparentemente insignificante di Lutero. Lutero fu sviato nel riconoscere il sovrano del Paese come il capo della religione di Stato, e come conseguenza di ciò cosa siamo stati chiamati a testimoniare dall’eccentrico imperatore di Germania? Primo, che quello Stöcker, campione della democrazia cristiana, fu cacciato dalla sua corte semplicemente perché quale audace difensore della libertà delle chiese aveva solo espresso il desiderio che l’imperatore abdicasse dal suo supremo episcopato. Poi, che, al salpare dello squadrone germanico per la Cina, al principe Enrico fu ordinato di portare al lontano oriente non il Vangelo “cristiano”, ma il Vangelo “imperiale”. Più recentemente egli invitò i suoi devoti sudditi ad essere fedeli nello svolgimento dei loro compiti, adducendo come motivo che dopo la morte essi dovevano apparire davanti a Dio … ed al Suo Cristo? … No; ma … davanti a Dio … ed al grande Imperatore. Infine, al banchetto di Porta Westfalia, disse che la Germania doveva continuare indisturbata il suo lavoro sotto la benedizione della pace che vi è ingiunta, egli concluse,a braccia spiegate dal grande Imperatore che qui sta sopra di noi. Un’intromissione sempre più sfrontata, si noterà, del cesarismo nell’essenza della religione cristiana. Come vedete, queste sono lungi dall’essere semplici inezie; piuttosto, esse toccano principi di importanza universale, per i quali i nostri antenati nel periodo della Riforma combatterono le loro grandi battaglie. Sono contrario, come ogni uomo, alla Restaurazione; ma per poter porre, a difesa del cristianesimo, principio contro principio, concezione del mondo contro concezione del mondo, c’è a portata di mano per chi sia protestante fino in fondo, solamente il principio calvinista, come fondamento affidabile su cui costruire.
___________________
Che cosa dobbiamo dunque intendere con questo ritorno al Calvinismo? Voglio forse dire che tutti i credenti protestanti dovrebbero aderire, meglio se al più presto, ai simboli riformati, ed in questo modo ogni molteplicità di forme ecclesiastica verrebbe inghiottita nell’unità dell’organizzazione ecclesiastica riformata? Sono ben lontano dal nutrire un desiderio così immaturo, così ignorante, così antistorico. Sicuramente si addice sempre ad ogni convinzione, in ogni confessione, l’obiettivo di una propaganda assoluta ed incondizionata, e le parole di Paolo ad Agrippa: “piacesse a Dio che per poco o per molto, non solamente tu, ma anche tutti quelli che oggi m’ascoltano, diventassero tali, quale sono io”, deve rimanere il sentito desiderio non solo di ogni buon calvinista, ma di ogni persona che si possa gloriare di una convinzione ferma, irremovibile. Ma un desiderio così ideale del cuore umano non può mai essere realizzato in questa nostra dispensazione. Prima di tutto, nessuno standard riformato, nemmeno il più puro, è infallibile come lo era la Parola di Paolo. Di conseguenza, di nuovo, la confessione calvinista è così profondamente religiosa, così profondamente spirituale che, eccetto in periodi di profonda commozione religiosa, non sarà mai realizzata dalle masse in generale, ma caratterizzerà con un senso di inevitabilità solo una cerchia relativamente ristretta di persone. Inoltre, la nostra innata soggettività condurrà necessariamente sempre alla manifestazione della chiesa di Cristo in molte forme. E da ultimo, ma non per importanza, l’incorporamento su larga scala da parte di una chiesa di membri di un’altra chiesa può aver luogo solo in momenti critici della storia. Nel corso ordinario degli eventi, l’ottanta per cento della popolazione cristiana muore nella chiesa in cui è nato ed è stato battezzato. Poi, una tale identificazione del mio programma con l’incorporamento di una chiesa in un’altra sarebbe in disaccordo con l’intero orientamento della mia tesi. Io vi ho raccomandato il Calvinismo della storia non come fenomeno ecclesiasticamente confinato ad una cerchia ristretta, ma come fenomeno di importanza universale.
Di conseguenza, ciò che io vi chiedo può essere ricondotto principalmente ai seguenti quattro punti: 1) il Calvinismo non sia più ignorato dove ancora esiste, ma sia rafforzato dove continua la sua influenza; 2) il Calvinismo diventi di nuovo oggetto di studio in modo che il mondo esterno possa venirne a conoscenza; 3) i suoi principi vengano nuovamente sviluppati in accordo ai bisogni del nostro tempo e coerentemente applicati ai vari ambiti di vita; 4) le chiese che ancora dichiarano di confessarlo cessino di vergognarsi della loro confessione.
In primo luogo, dunque, il Calvinismo non dovrebbe più essere ignorato dove ancora esiste, ma sia piuttosto rafforzato dove le sue influenze storiche sono ancora manifeste. Una dimostrazione dettagliata, perfino con qualche grado di completezza, delle tracce che il Calvinismo ha lasciato nella vita sociale e politica, scientifica ed estetica, richiederebbe di per sé un’analisi più vasta di una conferenza. Permettetemi dunque, indirizzandomi ad un pubblico Americano, di mettere in evidenza una sola caratteristica della vostra politica. Io ho già osservato nella mia terza conferenza come nel preambolo di più di una delle vostre Costituzioni, pur assumendo una posizione decisamente democratica, tuttavia è stato posto come fondamento, non il punto di partenza ateistico della Rivoluzione Francese, ma la confessione calvinista della suprema sovranità di Dio, come vi ho già fatto notare, a volte in termini corrispondenti alla lettera alle parole di Calvino. Fra di voi non si trova alcuna traccia di quel cinico anticlericalismo che è divenuto identificabile con la vera essenza della democrazia rivoluzionaria in Francia ed altrove. Quando il vostro Presidente proclama un giorno nazionale di ringraziamento, o quando le assemblee del Congresso riunito a Washington aprono i lavori con la preghiera, si tratta di evidenze sempre nuove che, attraverso la democrazia Americana, scorre tuttora quel sangue che, essendo sgorgato dai padri pellegrini, esercita ancora al giorno d’oggi il suo potere. Perfino il vostro comune sistema scolastico, in quanto benedetto con la lettura delle Scritture e con la preghiera d’apertura, fa riferimento, benché sempre meno distintamente, alle stesse origini calviniste. Similmente, nell’origine della vostra educazione universitaria, che scaturisce per la maggior parte dall’iniziativa individuale, nel carattere decentralizzato ed autonomo dei vostri governi locali, nella vostra stretta ma non legalista osservanza del sabato, nella considerazione nella quale è tenuta fra voi la donna, senza cadere nella parigina deificazione del suo sesso, nel vostro senso per le cose domestiche, nei vostri stretti legami familiari, nella vostra difesa della causa della libertà di parola e nel vostro grandissimo riguardo per la libertà di coscienza, in tutto questo la vostra cristiana democrazia è in diretta opposizione alla democrazia della rivoluzione francese, ed è anche storicamente dimostrabile che voi dovete ciò al Calvinismo e solo ad esso. Ma osservate, mentre voi state in questo modo godendo i frutti del Calvinismo e mentre anche fuori dai vostri confini il sistema costituzionale di governo, come risultato della lotta calvinista, tiene alto l’onore nazionale, all’estero si mormora che tutte queste cose devono essere considerate benedizioni dell’umanesimo, e a malapena qualcuno ancora pensa di celebrare in esse le conseguenze del Calvinismo, dato che si ritiene che quest’ultimo trascini la propria esistenza solo in alcuni ambienti rigidamente dogmatici. Ciò che pretendo, e pretendo con diritto guardando alla storia, è che questo ingrato oblio del Calvinismo abbia fine; che l’influenza che ha esercitato riceva di nuovo attenzione dove ancora rimane impresso nella vita effettiva di oggi; e che, dove uomini di indole totalmente diversa dirottino inavvertitamente la corrente della vita in canali franco-rivoluzionari o germanico-panteistici, voi da questo lato del mare e noi dal nostro, dovremo di opporci con tutte le forze a tale falsificazione dei principi storici della nostra vita.
Affinché noi possiamo essere capaci di farlo, mi batto, in secondo luogo, per uno studio storico dei principi del Calvinismo. Non c’è amore senza conoscenza; ed il Calvinismo ha perso il suo posto nei cuori del popolo. Esso è difeso solo da un punto di vista teologico, ed anche in ciò di gran lunga parzialmente e semplicemente come una questione secondaria. Ho già sottolineato la ragione di questo in una conferenza precedente. Da quando il Calvinismo nacque, non da un sistema astratto, ma dalla vita stessa, non fu mai, nel secolo della sua comparsa, presentato come un insieme sistematico. L’albero fiorì e diede il suo frutto ma senza che nessuno avesse fatto un’analisi a livello botanico sulla sua natura e sulla sua crescita. Il Calvinismo, ai suoi inizi, preferì agire più che discutere. Ma ora quest’analisi non può più essere rimandata. Sia la biografia che la biologia del Calvinismo devono ora essere completamente analizzate ed esplorate, oppure con la nostra mancanza di auto-conoscenza verremo spinti in un mondo di idee che è più in disaccordo che in armonia con la vita della nostra democrazia cristiana, e saremo recisi dalla radice sulla quale un tempo fiorimmo così rigogliosamente.
Solo attraverso tale studio diventerà possibile ciò che io ho indicato al terzo punto: lo sviluppo dei principi calvinisti in accordo con i bisogni della nostra moderna conoscenza e la loro applicazione ad ogni aspetto della vita. Da questo non escludo la teologia; poiché anche la teologia esercita la sua influenza sulla vita in tutte le sue ramificazioni; ed è perciò triste vedere come anche la teologia delle chiese Riformate sia finita in così tanti paesi sotto il dominio di sistemi completamente estranei. Ma in ogni caso, la teologia è solo una delle molte scienze che richiedono una rivisitazione calvinista. Filosofia, psicologia, estetica, giurisprudenza, scienze sociali, letteratura ed anche le scienze mediche e naturali, ciascuna ed ognuna di queste, quando concepite filosoficamente, guardano indietro ai principi, e necessariamente dev’essere posta decisamente molto più seriamente anche la domanda se i principi ontologici ed antropologici che regnano supremi nell’attuale metodo di queste scienze siano in accordo con i principi del Calvinismo o se con la vera essenza di questi principi siano in disaccordo. Infine, aggiungerei a queste tre pretese, come mi sembra giustificato storicamente, ancora una quarta: le chiese che sostengono di professare la fede riformata, dovrebbero smettere di vergognarsi di questa confessione. Voi avete sentito quanto le mie concezioni siano estese e quanto siano larghe le mie vedute anche in materia di vita ecclesiastica. Solo nel libero sviluppo vedo la salvezza di questa vita di chiesa. Esalto la varietà e riconosco in essa un più alto stadio di sviluppo. Perfino per la chiesa che ha la confessione più pura non escluderei l’aiuto di altre chiese, in modo che la sua inevitabile unilateralità possa essere così integrata. Ma ciò che mi ha sempre riempito di indignazione è stato vedere una chiesa o incontrare l’ufficiale di una chiesa con la bandiera ripiegata o nascosta sotto la veste del suo uffizio, anziché sventolata coraggiosamente a mostrare i suoi gloriosi colori al vento. Ciò che uno confessa come la verità deve anche avere il coraggio di metterlo in pratica a parole, nelle opere e nella sua intera vita. Una chiesa in origine calvinista ed ancora riconoscibile dalla sua confessione calvinista, che manca del coraggio, anzi, piuttosto, che non sente più l’impulso di difendere quella confessione audacemente e coraggiosamente contro tutto il mondo, disonora non il Calvinismo, ma se stessa. Quantunque le chiese Riformate fino in fondo possano essere limitate e poche di numero, come chiese esse si dimostreranno sempre indispensabili per il Calvinismo; e qui, anche il seme più piccolo non dispiace, se solo quel seme sia sano ed integro, pieno di capacità generativa ed insopprimibile.
____________________
Così la mia ultima conferenza sta rapidamente volgendo al suo termine. Ma prima che finisca, sento tuttavia che ancora una domanda continua a premere per una risposta, che quindi non mi rifiuterò di affrontare: la domanda, cioè, a cosa io stia puntando alla fine; all’abbandono o all’osservanza della dottrina dell’elezione. Perciò, permettetemi di mettere in contrapposizione la parola elezione con un’altra parola che differisce da essa in una sola lettera. La nostra generazione è sorda all’elezione, ma è sempre più incredibilmente entusiasta per la selezione. Come possiamo dunque formulare l’enorme problema che giace nascosto dietro queste due parole, ed in quale particolare differiscono le soluzioni di questo problema, in quanto rappresentate da queste due formule quasi identiche? Il problema concerne la questione fondamentale: da dove nascono le differenze? Perché non è tutto uguale? Perché una cosa esiste in uno stato ed un’altra in un altro? Non c’è vita senza differenziazione e non c’è differenziazione senza ineguaglianza. La percezione della differenza è la vera sorgente della coscienza umana, la causa principale di tutto ciò che esiste e cresce e si sviluppa, in breve, il movente principale di ogni vita e pensiero. Sono perciò spinto ad affermare che alla fine ogni altro problema può essere ridotto a questo problema: da dove sorgono queste differenze? Da dove la differenza, l’eterogeneità dell’esistenza, della genesi e della coscienza?
In termini pratici, se voi foste una pianta preferireste essere una rosa che un fungo; se insetto, farfalla piuttosto che ragno; se uccello, aquila più che gufo; se un più alto vertebrato, leone piuttosto che iena; ed ancora, come uomo, ricco piuttosto che povero, intelligente invece che ottuso, della razza Ariana piuttosto che Ottentotto o Kaffir. Fra tutti questi c’è varietà, grande varietà. Dovunque quindi vi sono differenze, differenze fra un essere ed un altro; e così anche differenze tali da implicare quasi in ogni caso una preferenza. Quando il falco lacera e squarta la colomba, perché queste due creature sono così opposte e differenti l’una dall’altra? Questa è la sola questione suprema nel regno vegetale ed animale, fra gli uomini, in ogni vita sociale, ed è per mezzo della teoria della selezione che la nostra epoca cerca di risolvere questo problema dei problemi. Perfino nella singola cellula è un dato di fatto che ci siano differenze, elementi più deboli ed elementi più forti. Il più forte vince il più debole ed il vantaggio viene acquisito in un maggiore potenziale d’esistenza. Se il più debole riuscisse ancora a rimanere in vita, la differenza si manifesterà nell’ulteriore corso della lotta stessa.
Ora, il filo d’erba non è cosciente di ciò, ed il ragno continua ad intrappolare la mosca, la tigre ad uccidere la preda, ed in questi casi l’essere più debole non si rende conto della sua miseria. Ma noi uomini siamo chiaramente consci di queste differenze, e perciò fra noi la domanda non può essere ignorata, se la teoria della selezione sia una soluzione atta a convincere il più debole, la creatura meno dotata, a rassegnarsi alla propria esistenza. Si riconoscerà che in se stessa questa teoria non può che incitare ad una lotta ancora più furiosa, con un lasciate ogni speranza, voi ch’entrate per l’essere più debole. Contro l’ordinamento della fede che il più debole soccomberà al più forte, in accordo col sistema dell’elezione, nessuna lotta può servire. La riconciliazione, non trovando riscontro dai fatti, dovrebbe perciò prender forma dall’idea. Ma qual è qui l’idea? Non è forse questa che dove queste differenze siano state una volta stabilite, e compaiano esseri altamente differenziati, questo è o il risultato del caso oppure la necessaria conseguenza delle cieche forze naturali? Ora, dovremmo noi credere che l’umanità sofferente sarà mai liberata dalla sua sofferenza con tale soluzione? Tuttavia, ben venga il progresso di questa teoria della selezione; ed io ammiro la profondità e la capacità di pensiero degli uomini che l’hanno a noi proposta. Certamente, non per quello che ci impone come una verità; ma perché ha avuto il coraggio di attaccare ancora una volta il più fondamentale di tutti i problemi, ed eguagliare così la stessa profondità di pensiero alla quale giunse audacemente Calvino.
Poiché questo è precisamente il profondo significato della dottrina dell’Elezione, che, in questo dogma, già tre secoli fa, il Calvinismo osò affrontare questo stesso problema comune, risolvendolo però, non nel senso di una cieca selezione animata da cellule inconsce, ma rispettando la scelta sovrana di Colui che creò tutte le cose visibili ed invisibili. La facoltà di stabilire l’esistenza di tutte le cose prima di crearle, ciò che dev’essere camelia o ranuncolo, usignolo o cornacchia, cervo o suino e, ugualmente fra gli uomini, il decidere della nostra stessa persona, se uno debba nascere maschio o femmina, ricco o povero, stolto o intelligente, bianco o di colore, o perfino come Abele e Caino, è la più straordinaria predestinazione concepibile in cielo o in terra; eppure noi la vediamo verificarsi davanti ai nostri occhi ogni giorno, e noi stessi vi siamo soggetti nella nostra intera personalità; la nostra intera esistenza, la nostra vera natura, la nostra posizione nella vita dipendono totalmente da essa. Il Calvinismo pone questa omnicomprensiva predestinazione non nelle mani dell’uomo ed ancor meno nelle mani di una cieca forza naturale, ma nelle mani di Dio Onnipotente, Sovrano Creatore e possessore del cielo e della terra; ed è nella raffigurazione del vasaio e della creta che le Scritture dal tempo dei profeti ci hanno spiegato questa elezione universalmente sovrana. Elezione nella creazione, elezione della provvidenza e così anche elezione a vita eterna; elezione nel regno della grazia quanto nel regno della natura. Ora, quando noi paragoniamo questi due sistemi della Selezione e dell’Elezione, non ci mostra la storia che la dottrina dell’Elezione ha secolo dopo secolo riportato pace e riconciliazione nel cuore del credente sofferente, e che tutti i Cristiani tengono in considerazione l’Elezione come facciamo noi, sia nella creazione che nella provvidenza, e che il Calvinismo si distingue dalle altre confessioni Cristiane solo in questo aspetto, cioè che, cercando l’unità e ponendo la gloria di Dio al di sopra tutte le cose, esso tenta di estendere il mistero dell’Elezione alla vita spirituale ed alla speranza per la vita a venire?
A questo dunque ammonta la ristrettezza dogmatica del Calvinismo. O piuttosto, poiché i tempi sono ancora troppo seri per l’ironia e la spiritosaggine, ogni Cristiano che non possa ancora abbandonare le sue obiezioni, almeno si ponga questa domanda di assoluta importanza: conosco io un’altra soluzione a questo fondamentale problema generale, che mi consenta di difendere meglio la mia fede cristiana, in questo momento di violentissimo conflitto, contro il rinnovato paganesimo, che guadagna forza e avanza giorno dopo giorno? Non dimenticate che lo scontro finale è sempre stato, è ancora, e sarà fino alla fine, Cristianesimo contro Paganesimo, gli idoli contro l’Iddio Vivente. Finora c’è una verità profondamente sentita nella drastica prospettiva avanzata dall’imperatore tedesco, che ha rappresentato il Buddismo come futuro nemico. Una spessa coltre nasconde il futuro; ma Cristo ci ha profetizzato a Patmos l’arrivo di un ultimo e sanguinoso conflitto, e anche ora l’enorme sviluppo del Giappone in meno di quarant’anni ha riempito l’Europa di timore per quale calamità possa serbarci questa ingegnosa “razza gialla”, che costituisce una così larga percentuale della popolazione mondiale. E Gordon non ci ha forse testimoniato che i suoi soldati cinesi, con i quali egli sconfisse i Taiping, se solo ben esercitati e con buoni ufficiali, divengono i migliori soldati che egli abbia mai comandato? La questione Asiatica è infatti di serissima importanza. Il problema del mondo ebbe la sua origine in Asia e in Asia troverà la sua soluzione finale; e nello sviluppo sia tecnico che materiale, il risultato ha mostrato che le nazioni pagane, non appena si svegliano e escono dal loro letargo, diventano subito nostre rivali.
Naturalmente, questo pericolo sarebbe molto meno minaccioso nel caso in cui il Cristianesimo, nel nuovo come nel vecchio mondo, rimanesse unito attorno alla Croce innalzando canti di lode al proprio Re, e pronto come ai giorni delle Crociate ad avanzare verso il conflitto finale. Ma come può, quando il pensiero Pagano, l’aspirazione Pagana e gli ideali pagani stanno guadagnando terreno perfino fra noi, e stanno arrivando proprio al cuore della generazione in ascesa? Gli Armeni non sono stati così miseramente e codardamente abbandonati al fato del massacro solo perché il concetto di solidarietà Cristiana è diventato così penosamente debole? Non sono stati i Greci schiacciati dai Turchi, mentre Gladstone, lo statista cristiano e dal punto di vista politico un calvinista convinto, e che ebbe il coraggio di chiamare il Sultano “grande assassino”, moriva? Di conseguenza, bisogna insistere per una radicale risolutezza. Le mezze misure non possono garantire il risultato desiderato: la superficialità non ci rinvigorirà in vista del conflitto. Di nuovo, principio deve portare testimonianza contro principio, visione del mondo contro visione del mondo, spirito contro spirito. E qui, chi ne sa di più parli, ma per quanto mi riguarda non conosco una fortezza più solida e più incrollabile del Calvinismo, purché venga concepito nella sua sana e rigorosa forma. Se ribattete ironicamente: sono veramente così ingenuo da ritenere che riflessioni calviniane possano portare ad un’inversione nella concezione cristiana del mondo? Allora questa è la mia risposta: l’animarsi della vita non viene dagli uomini: è prerogativa di Dio; e se come la marea, il livello di vita religiosa un secolo sale e in quello successivo scende, questo è dovuto solo alla Sua sovrana volontà. Anche nel mondo morale abbiamo da un lato la primavera, in cui tutto germoglia e pullula di vita, e dall’altro il freddo inverno, durante il quale ogni spirito vitale congela, ed ogni energia religiosa è pietrificata. Ora, il periodo presente nel quale noi viviamo è sicuramente dal punto di vista religioso un periodo di bassa marea.
A meno che Dio non mandi il Suo Spirito, non ci sarà svolta, e il ritirarsi delle acque sarà paurosamente rapido. Ma voi ricordate l’arpa Eolia che gli uomini erano soliti porre fuori dalle loro finestre perché la brezza risvegliasse la sua musica. Finché il vento non soffiava, l’arpa rimaneva silente, mentre, di nuovo, anche se il vento si fosse alzato, se l’arpa non fosse stata trovata pronta, si sarebbe potuto sentire il fruscio della brezza, ma non una singola nota dell’eterea musica avrebbe deliziato l’orecchio. Ora, lasciamo che il Calvinismo non sia altro che tale arpa Eolia assolutamente impotente così come è, senza il vitalizzante Spirito di Dio; non di meno, noi percepiamo come nostro dovere, assegnatoci da Dio, il tenere in mano la nostra arpa e mantenere le sue corde perfettamente intonate, pronta sulla finestra della Santa Sion di Dio, in attesa del soffio dello Spirito.
[1] Cioè che non ci sia mai stata la Caduta in Eden. L’uomo cos’ com’è sarebbe quindi sempre stato nel suo stato ‘normale’. (N.d.T)
[2] Il ‘governo dei potenti’ . (N.d.T.)
[3] Albert Ritschl, 1822-1889. Teologo tedesco.