19. La Lotta Medievale
I nostri libri di storia sono in gran parte scritti da umanisti, e, come risultato, i libri di testo ci danno della chiesa medievale un’immagine triste. La chiesa sì deviò nella dottrina e nelle morali e aveva bisogno di riforma, ma questo fatto non giustifica il travisamento della sua storia. Ci viene comunemente raccontato di papi rapaci che cercarono arrogantemente di dominare chiesa e stato. Non ci viene detto che non tutti i papi condividevano quest’opinione, ne che alcuni passi di uomini come Innocenzo III avevano qualche giustificazione. La realtà dei fatti è che lo stato controllò la chiesa più spesso di quanto la chiesa non avesse controllato lo stato. Quest’aspetto della storia viene sottolineato troppo raramente.
Fin da molto presto, il Sacro Romano Impero considerò se stesso la vera Gerusalemme. Otto I° considerava se stesso e lo stato come il rappresentante di Cristo e del Suo Regno. Un calice ad uso liturgico di quell’epoca, il decimo secolo, porta l’iscrizione Jerusalem visio pacis. L’imperatore, in una moneta, teneva nella sua mano destra lo Spirito Santo nella forma di una colomba, in modo che, egli, e non la chiesa, era l’autorità di Cristo sulla terra.[1] Ne risultò che le chiese locali come pure il papato erano spesso controllate dagli imperatori, o in alcuni casi, da re.
Egualmente fin da molto presto i monarchi furono visti come corporazioni. La chiesa è la grande e vera corporazione come corpo di Cristo (Rm.12.41; I Cor. 10.17, 12.12; Ef. 1.22s.; 4.12; 5.23; Col. 1.18; 2.19; 3.15). Commentando il pensiero politico di Coke nella sua applicazione alla legge, Cantorowitcz osservò: “E’ evidente che la dottrina della teologia e del diritto canonico che insegnano che la chiesa, e la società cristiana in generale, erano un ‘corpus misticum il cui capo è Cristo’ è stata trasferita dai giuristi dalla sfera teologica a quella dello stato il capo del quale è il re”.[2] Come la chiesa è la sposa di Cristo, il reame del re diviene la sua sposa. La metafora del matrimonio divenne popolare nel Medio Evo, ed il re riceveva, alla sua incoronazione, un anello.[3] La chiesa, in un’epoca ancor precedente, fu resa così arrendevole che l’imperatore Carolingio Carlo II fu onorato dal Papa Giovanni VIII (872-882) in un’assemblea di vescovi come il salvator mundi, il salvatore del mondo, che Dio aveva stabilito come principe ad imitazione di Re Cristo, “cosicché ciò che (Cristo) possedeva per natura, il re potesse ottenere per grazia”.[4] Ai giorni della Regina Elisabetta d’Inghilterra, Nicolas Sanders ha richiamato l’attenzione sul fatto che le immagini di Cristo venissero distrutte, ma, “ rompete… se oserete, l’immagine di Sua Maestà la Regina o degli stemmi araldici del reame”.[5]
Federico II, che Innocenzo III combatté, paragonò la propria nascita con quella di Cristo. L’imperatore era l’immagine di Dio e la fonte della giustizia e della legge. Era infallibile, in un certo senso, divino, e così via.[6] Lo stato moderno non usa più questo linguaggio, ma usa una terminologia più moderna, Hegeliana per asserire rivendicazioni ancor più radicali. Da ciò che è stato suddetto, dovrebbe essere chiaro che gli errori di Roma furono modesti quando paragonati agli errori dello stato. Questi governanti Medievali vedevano ancora la realtà sopra di loro di un Dio che li giudicava. Lo stato moderno non riconosce tale Dio ed è perciò più in anomia. Basilare ad ogni paganesimo è la limitazione di essenziale realtà a questo mondo, e ne consegue la sua predisposizione a divinizzare potenze nella forma dello stato. Dobbiamo ricordare che, in questo secolo, e negli ultimi giorni del XIX° nella Nuova Guinea alcune tribù che non vedevano alcuna differenza tra monarchia e divinità adoravano la Regina Vittoria come loro sacra Madre.[7]
Per comprendere alcuni aspetti del conflitto Medievale, ricordiamoci che Costantino aveva reso sostegno personale alla chiesa e con ciò era stata stabilita una forma. Il nostro interesse riguarda le cause di un importante conflitto tra la chiesa medievale e lo stato. Abbiamo visto che le rivendicazioni di monarchi di controllo della chiesa come rappresentanti di Cristo furono origine di molti conflitti. Bisognerebbe notare che, dato questo problema, le chiese erano ancora considerate per nature esenti dalla tassazione.
Pipino e Carlo Magno, ed anche molti signori feudali, cedettero terreni a vescovadi e abbazie in molte aree. Questi erano spesso terreni forestali sottosviluppati che la chiesa ripulì e sistemò a vantaggio del reame e del popolo. Per liberare il clericato da problemi amministrativi, fu spesso richiesto che un funzionario laico fosse incaricato di amministrare le concessioni territoriali. Queste concessioni e provvedimenti erano animati da buone intenzioni ma ebbero conseguenze inaspettate. I funzionari laici svilupparono indipendenza e considerarono le proprietà, proprie.
Un problema ancor più critico furono gli obblighi legati alla terra. Alla chiesa la terra era stata data affinché provvedesse un reddito esentasse per sostenere il costo del mantenimento delle parrocchie rurali. Però, i signori che avevano donato i terreni cominciarono a controllare, e lo fecero per mille anni, l’elezione di vescovi e di abati. La terra rappresentava ricchezza e potere, specialmente quando sviluppata spesso da monaci con dedicazione cristiana. La terra rappresentava pure potenziale servizio militare, poiché dai vassalli ci si aspettava che sostenessero i loro signori con un certo numero di uomini da combattimento.
I figli più giovani dei signori feudali venivano spesso “eletti” all’incarico di abate o vescovo, per mantenere nelle mani della famiglia il controllo di un importante territorio. Questi sviluppi resero la fede Cristiana secondaria alle considerazioni feudali. Alcuni abati e vescovi mantenevano duplici incarichi, nella chiesa e nello stato. Ci furono casi estremi come quello di un vescovo Francese che sosteneva di osservare rigorosamente il celibato come vescovo mentre era sposato come barone. Ciò portò ad una divisione tecnica della persona, come nel processo di Guglielmo il Conquistatore a Odo di Bayonne come conte, non come vescovo. In realtà, il suggerimento di fare in questo modo venne da Lanfranco.[8] Tale duplice posizione fu definita in termini legali dopo il 1100.
Un vescovo, assumendo l’ufficio, si sottoponeva all’investitura con la temporalità dal proprio ufficio, e alla consacrazione nel suo ufficio ecclesiastico.. Controllando l’elezione e l’investitura, il re effettivamente controllava la chiesa. Ne risultò la decadenza morale nella chiesa. La stessa decadenza si stabilì nella chiesa alcuni secoli dopo, prima della Riforma, quando la chiesa era ricca, ma gli stati erano più ricchi e più potenti.
L’Europa nel X° secolo vide la chiesa come un’agenzia controllata dallo stato. La chiesa a Roma non era così male come sotto la pornocrazia, quando donne che erano peggiori di prostitute controllavano le elezioni papali, ma era lo stesso largamente servile e senza potere.
Una rivoluzione papale fu effettuata da un uomo, Ildebrando, Gregorio VII. Cominciò come la passione di quest’un uomo, intenso, dedicato, a volte molto difficile come persona, i cui giudizi sono in certi punti insostenibili dal nostro punto di vista, ma la sua grandezza è molto reale. Gregorio VII considerò intollerabile il controllo della chiesa da parte dello stato. È stato suggerito, ma non accettato, che egli fosse di discendenza Giudaica. Se Giudeo, poteva aver avuto elementi vetero-testamentari della libertà per la fede nel suo pensiero.[9] Ildebrando considerò segni del Regno di Dio sulla terra, pace, giustizia e obbedienza. La giustizia era la passione di Ildebrando. In opposizione c’erano gli aspetti basilari della manifestazione del regno del diavolo: ammutinamento contro Dio e discordia; orgoglio; e disobbedienza. L’imperatore, Enrico IV, fu considerato colpevole di superbia, orgoglio, così come lo furono tutti i governanti che cercarono di controllare la chiesa di Cristo.[10]
Ildebrando operò nella direzione del celibato sacerdotale del clero per scioglierlo dai legami delle famiglie feudali e renderli invece leali alla chiesa. Egli negò il carattere apostolico dell’imperatore. La chiesa doveva essere separata dal mondo.
Gregorio VII provvide un centro di giustizia al di la della corte feudale. L’Europa feudale aveva come forte aspetto della sua forza il suo regionalismo. L’area regionale era il reame essenziale di governo. Ad ogni modo, nel tentativo di ridurre la chiesa ad un aspetto del potere locale, il feudalesimo contribuì a pavimentare la strada della rivoluzione papale per liberare la chiesa.
Il papato crebbe in potere, perché diede libertà all’Europa nella forma di una chiesa la cui vita era più grande di quella dei signori feudali. La lotta, cominciata da Ildebrando non terminò con la sua morte. Tra alti e bassi quella guerra continua fino ai nostri giorni.
Nel 1075, il papato, con il Dictatus Papal di Gregorio delineò la propria posizione in Europa, sopra la chiesa e sopra lo stato, come un tipo di corte suprema e come il vero imperatore che solo poteva usare le insegne imperiali. Il papa non può essere giudicato da nessuno, “La chiesa Romana non ha mai errato; né errerà per tutta l’eternità, le Scritture le rendono testimonianza”.[11] Alcuni papi successivi fecero rivendicazioni di portata ancor più larga. Gli storici sono pronti a ricordarci queste stravaganze, molto meno a documentare l’inesorabile offensiva verso il potere totale dei vari principi e re. Al tempo del Rinascimento. Gli stati Europei erano divenuti tirannie e il papato un ricco e cinico centro dell’umanesimo. La battaglia non era finita, solo oscurata. Continua ora in forma ancor più drastica. Lo stato ora non fa alcun tentativo di essere né dichiara d’essere Cristiano.
[1] Eugen Rosenstock-Huessy:Out of Revolution: Autobiography of western man, pp. 488, 492. New York, NY: William Morrow, 1938.
[2] Ernst Cantorowicz: The King’s Two Bodies, a Study in Mediaeval Political Theology, p.15s. Princeton, NJ; Princeton University Press, 1957.
[3] Ibid.,p. 212.
[4] Ibid. p. 87.
[5] Ibid. p. 427.
[6] Ernst H. Cantorowicz: Frederik II, 1194-1250, pp.3ss. 230, 521s., 534, 572s., 231, 256ss., 232ss., 250ss., 663s. New York, NY: Frederik Ungar, (1931) 1957
[7] Marina Warner:Queen Victoria’s sketchbook, p. 201. New York, NY: Crown Publishers, 1979.
[8] Kantorowicz,The King’s Two Bodies, p.43s.
[9] J.P. Whitney:Hildebrandine Essays, pp. 10,22. Cambridge, England: University Press, 1932.
[10] Ibid., pp. 66-68.
[11] Boyce D. Lyon, editore: The Middle Ages, 1000-1300, p. 89s. Sources in Western Civilization, Vol. V. New York, NY: The Free Press, A Division of Macmillan, 1964