RISORSE:

Questo è il testo di una conferenza tenutasi il 20 ottobre  2012 a Mosca, per il quarto forum annuale  “Adam Smith”.  La conferenza era parte di una tavola rotonda sui “Sentimenti Morali del Capitalismo” con Deirdre McCloskey dell’Università di Chicago e Tom Palmer del Cato Institute.  

«Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio, che noi ci aspettiamo la nostra cena, ma dal loro rispetto nei confronti del loro stesso interesse. Noi ci rivolgiamo, non alla loro umanità ma al loro amor proprio, e non parliamo loro delle nostre necessità ma della loro convenienza».

Siamo ormai molto lontani da Adam Smith e la sua epoca, solo  250 anni fa queste parole dal suo Ricchezza delle Nazioni sarebbero considerate la scoperta dell’acqua calda. Nonostante la nostra mitologia riguardo i presunti  auto-inganni dell’Età d’Oro della Cristianità, nessuno al tempo di Adam Smith si sarebbe mai aspettato che il fornaio o il macellaio fossero spinti a produrre dall’altruismo. L’idea della depravazione umana, e quindi del naturale egoismo  – o se preferite, autointeresse – dell’uomo, era una dottrina religiosa ben stabilita, e come conseguenza, era una ben stabilita dottrina sociale. Non era una conclusione a cui Smith giunse dopo molto aver meditato, ragionato o filosofeggiato. Essa era un presupposto per la sua teoria economica e sociale, e questo lo scrisse proprio all’inizio, nel primo capitolo della sua vasta opera. I molti approfondimenti presenti nel libro sono un suo grande pregio, ma questa dottrina non era considerata affatto un approfondimento, ma un ovvio prerequisito per le scoperte molto più importanti che egli vi farà in seguito. È solo nei nostri giorni che, così bombardati da ogni genere di dottrine innaturali e di ideologie che tendono a pervertire la realtà sia riguardo agli esseri umani sia alla loro società, noi riteniamo queste parole di Smith di una saggezza talmente profonda da poter da cambiare paradigmi e Weltanschauung[1]. Questa, tra le citazioni di Smith, è sicuramente la più famosa, sia tra quelli che hanno letto la sua Ricchezza delle Nazioni sia tra quelli che invece non l’hanno fatto. In un modo o nell’altro essa viene citata da molte parti, ed è usata per difendere la libertà, il capitalismo, il laissez-faire, e il libero mercato. Siamo stati talmente intossicati dai concetti così fuorvianti e innaturali del socialismo e del collettivismo come “equità”, “solidarietà”, “giustizia sociale”, “welfare”, che ormai ci appare  completamente estraneo il concetto di un universo progettato così meravigliosamente e costruito per servire l’uomo, e per fargli servire il suo prossimo persino quando è motivato dall’egoismo e dall’avarizia. E il concetto di un auto-interesse individuale al servizio della società non è, come lo era per Adam Smith, dato per scontato, ma è quasi una rivelazione dall’alto. Siamo ormai molto distanti  da Adam Smith e la sua epoca. Noi non possiamo più dare per scontato  quello che lo era per lui e i suoi contemporanei. Il contesto storico è cambiato, e con esso è cambiata anche la nostra capacità di interpretare la realtà. Adam Smith rimane tuttavia il nostro eroe, come è giusto che sia. Noi, come libertari, non adoriamo i salvatori politici, ma piuttosto stimiamo quelle menti che sanno dirci la verità riguardo noi stessi e la nostra società, per poter essere così liberi – “La verità vi farà liberi”. Noi siamo qui per la libertà e  Adam Smith è stato uno dei più grandi campioni della libertà, e anche se non usò il termine “capitalismo” per il suo sistema, lo chiamò tuttavia un “sistema di perfetta libertà” o di “libertà naturale”. Il problema è: possiamo noi oggi comprendere ed interpretare Adam Smith come i suoi contemporanei, nel suo contesto, avrebbero fatto? O come avrebbe fatto lui stesso? L’esempio della breve citazione fatta prima ci dimostra che non possiamo. Siamo così lontani da lui che il suo contesto storico ci sfugge, vuoi perché spesso non  ne siamo a conoscenza, oppure molto semplicemente  perché non ci è mai stato insegnato. Ma altrettanto spesso è perché preferiamo ignorarlo, perché abbiamo già le nostre predilette presupposizioni, e il contesto storico dei tempi passati non si accorda con i nostri pregiudizi. Questo nostro handicap è un contesto importante per la nostra comprensione del capitalismo e delle idee di libertà, specialmente quando leggiamo, e seguiamo i “pionieri” del capitalismo e della libertà. Per esempio, raramente ci fermiamo a pensare che, mentre Adam Smith aveva ragione, che il nostro pane, la carne, le automobili, gli iPad e i programmi per computer tutti ci giungono a causa dell’egoismo – d’accordo chiamatelo auto-interesse – dei fornai, dei macellai, dei concessionari, dei Steve Jobs e Bill Gates, ragionare al contrario non è sempre saggio. Cose buone provengono sempre dall’auto-interesse, ma l’auto-interesse non è sempre una sorgente affidabile di cose buone. Vero, nella Scozia al tempo di Adam Smith, si poteva far affidamento sull’auto-interesse come stimolo per la maggior parte delle persone a produrre beni e servizi per gli altri, e così accumulare ricchezza per sé stessi. Ma si può dire lo stesso dei nostri giorni, per esempio, in Russia, o in Bulgaria o nella Repubblica Centro-Africana? Siamo sicuri che l’auto-interesse spingerà necessariamente gli uomini a produrre e non, ad esempio, a rubare e a stabilire un regime dittatoriale? Dopo tutto, non possiamo certo dire che Hitler o Stalin fossero altruisti, giusto? Non erano anche loro spinti dal loro auto-interesse ? Smith avrebbe potuto dire ai suoi tempi:

Questo  è quanto si propone di fare chiunque offre a un’altro un affare di qualunque tipo. “Dammi quello che io voglio e tu avrai quello che tu desideri”, questo  è il significato di ognuna di tali offerte, ed è in tal modo che noi otteniamo l’uno dall’altro la maggior parte di quei buoni servizio di cui abbiamo bisogno.

Ma lo stesso non si può dire oggi, almeno non con altrettanta fiducia. Perché in nazioni come Bulgaria o Russia, l’affare procede praticamente sempre così: “Dammi quello che io desidero, e io non ti farò del male. Dammi quello che io voglio, e tu non verrai colpito, non verrai ucciso, non verrai mandato in galera, trascinato davanti a un tribunale, mandato in un campo di concentramento, torturato etc. etc.” . E questa proposta è scaturita dallo stesso auto-interesse del negoziante di cui Adam Smith stava parlando. E quando i nostri amici socialisti e statalisti ci criticano perché facciamo troppo affidamento sull’autointeresse, hanno ragione, almeno in parte.  Ovviamente, essi errano ad affidarsi allo stato per ciò che è giusto o sbagliato. Spostare la soluzione sullo stato non elimina l’autointeresse, ma lo corrompe dandogli il potere di distruggere e rubare. C’è ancora molto lavoro da fare prima che noi, come libertari, possiamo dire di avere la risposta. Lo stesso autointeresse ha prodotto un risultato nella Scozia di Adam Smith e un’altro nella Russia del XXI secolo. Perché questo? Adam Smith si era forse sbagliato a basarsi sull’autointeresse come una forza socialmente benefica? Oppure… non è che il problema sta nel fatto che noi non comprendiamo, o tendiamo a ignorare, lo specifico contesto storico nel quale Smith scriveva? È possibile che nella Scozia del diciottesimo secolo ci fosse qualcosa, tipo una eredità culturale o religiosa per esempio, che l’ha resa profondamente differente dalla Russia, o dalla Bulgaria o anche dagli Stati Uniti di oggi?  Ma sto già anticipandovi il seguito. Nel luglio di quest’anno, ho avuto la fantastica opportunità di leggere uno dei libri più perspicaci nelle ultime due decadi che l’occidente abbia mai visto. Lo considero l’opera di storia economica e sociologia più importante dal tempo in cui Max Weber scrisse la sua Etica Protestante. Il libro presenta in una forma chiara, divertente e comunque accademica una accurata refutazione di tutti gli argomenti materialistici per l’avvento e lo sviluppo del capitalismo. La domanda iniziale è molto intrigante: “Che cosa ha creato il mondo moderno, con la sua crescita cento volte superiore a quella di 200 anni fa? Può essere spiegata in termini economici?”. La risposta è “No, l’economia non ci aiuta. La ragione non è economica, tantomeno materiale”. Un argomento dopo l’altro, come”accumulazione di capitale”, “commercio”, “frugalità”, ”esproprio” etc., viene smontato nei capitoli del libro, con grazia, arguzia, e fredda logica. È un libro di cui il vostro tipico professore Marxista, o burocrate Russo o Europeo, o presidente della FED o BCE non vorrebbe saper nulla. Il libro dichiara che c’è stata una sola ragione per cui il mondo moderno è emerso. E quella ragione non era una politica economica o governativa, o una qualche combinazione di risorse o condizioni naturali o economiche: è stata l’ingegnosità umana, e l’innovazione. Benissimo, ma queste non esistevano già da molto prima del sedicesimo secolo, data che indichiamo come l’avvento del capitalismo? Sì, ma nel sedicesimo secolo, apparve, in una piccola nazione nell’Europa Nord-Occidentale, una nuova retorica. Una retorica che inflisse uno smacco poderoso ai vecchi pregiudizi contro l’amministrazione, il denaro, l’innovazione, gli affari etc. Una retorica che arrivava diritto nell’anima della nazione e nell’anima dei suoi cittadini, sollevò un’ondata di creatività e innovazione, e instillò un desiderio di trovare nuovi e migliori modi di servire gli altri e servendo gli altri arricchirsi, e stabilì così un nuovo modello di vita eroica e piena di significato. È quella retorica che ha dato vita al capitalismo con le idee che lo accompagnano – libertà, governo limitato, innovazione, etc. L’ingegno umano non poteva essere affrancato per fare quel che ha fatto senza che quella retorica bruciasse come un fuoco nelle menti degli uomini, per produrre come ha fatto una nuova mitologia sociale, con un nuovo tipo di eroe: l’imprenditore innovativo che scopre nuovi modi per aumentare il benessere di tutti, e così facendo accumulare una fortuna per sé. Leggere il libro è stato davvero stimolante. È stato durante la lettura, meditando tanto sul quel che vi trovavo quanto su quello che non vi trovavo e avrebbe dovuto esserci, che Daniil Gorbatenk mi ha mandato l’invito a venire qui per incontrarmi  e parlare con voi. Gli ho risposto che sarei venuto ma che avrei parlato su un argomento specifico, “La Retorica alle Fondamenta del Capitalismo, e l’Etica alle fondamenta di quella Retorica”. Volevo cogliere l’occasione per parlare di quelle cose che, secondo la mio modesto parere, non trovavo nel libro  ma che ci sarebbero dovute essere. Daniil è un tipo davvero in gamba, poteva quasi leggere i miei pensieri. Mi ha così risposto:

Il tuo argomento va bene, ma per favore tieni presente che la prima parte del Forum (“Sentimenti Morali”) si terrà come una tavola rotonda che ospiterà te, Deirdre McCloskey e altri esperti.

per favore tieni presente…” che tradotto significa “so bene con chi te la vuoi prendere…

Io non sapevo chi altri fosse invitato. Trovo che sia una interessante coincidenza, e mi sento insignificante e privilegiato ad essere qui vicino all’autore di questo libro. Il libro è, ovviamente, Dignità Borghese: Perché l’Economia non può Spiegare il Mondo Moderno[2], scritto da Deirdre McCloskey. Io non sono al livello intellettuale della Prof. McCloskey per esprimere un giudizio autorevole su di esso, sia positivo o negativo. Se lo fossi, il mio verdetto sarebbe senza dubbio: “splendido”. Tuttavia, vorrei dirvi cosa mi aspettavo di vedere nel libro e non l’ho invece trovato. Mi aspettavo di vedere una risposta alla domanda “Perché l’Olanda?” Perché la nuova retorica che ha dato l’impulso al capitalismo e ha sguinzagliato il potenziale umano per l’innovazione produttiva e l’accumulazione di ricchezza, ha avuto origine in una piccola, povera nazione ai confini del pianeta, con nessuna risorsa economica e nessun precedente storico di produttività e innovazione? Questa per me è una domanda molto importante, e spero lo sia anche per voi. Alla pagina 7 della mia copia, l’autore dice  riguardo l’avvento del capitalismo:

In particolare, tre secoli fa, in luoghi come Olanda e Inghilterra, cominciarono a cambiare i pensieri e le opinioni riguardo la classe media. I discorsi ordinari riguardo l’innovazione e il mercato diventarono più favorevoli. I teorici più illustri furono incoraggiati a ripensare il loro pregiudizio contro la borghesia, un pregiudizio allora vecchio di millenni.

Sì, la retorica  è cambiata. Ma perché è cambiata in Olanda e in seguito in Inghilterra? Questa è la domanda che ho posto all’inizio. Dopo tutto, la retorica non cambia così, a casaccio, senza che qualcos’altro scateni il cambiamento. Una persona non si sveglia un bel giorno e dice: “Massì, oggi cambio la mia retorica, dal pregiudizio contro la borghesia a quello a favore”. E una cultura non cambia la sua retorica nel giro di una generazione senza una ottima ragione. Quella ragione non può essere materiale, badate bene, perché tutte le ragioni materiali presenti in Olanda in quell’epoca erano presenti in molte altre nazioni, senza per questo aver riprodotto lo stesso cambiamento nella retorica. Ad aumentare la mia curiosità, e rendere la mia domanda se possibile ancor più pertinente, così continua la Prof. McCloskey subito dopo quelle parole: (in parentesi)

“(purtroppo, le opinioni, il pregiudizio e la teoria non cambiarono in questo senso in Cina o in India o in Africa o nelle terre Ottomane. Solo oggi l’hanno fatto, nonostante la resistenza dei progressisti Europei e dei tradizionalisti non-Europei) ”.

Bene, ho pensato, ecco qui una chiara e delineata differenza tra le culture di Olanda e Inghilterra, da un lato, e le restanti dall’altro. La retorica di cui stiamo parlando è apparsa prima in Olanda e in seguito in Inghilterra, cioè, in due nazioni, o culture, che non avevano nessun’altro da imitare e copiare.  Essa è emersa naturalmente, da qualcosa che possedevano solo loro e nessun’altro. Il resto delle nazioni, come il libro spiega in seguito, le hanno imitate. L’India moderna, la Cina, la Russia, la Bulgaria, hanno copiato la stessa retorica dall’Occidente, e non l’hanno prodotta come parte del loro sviluppo storico naturale. Io credo che questa sia una differenza molto significativa. Significativa perché, se riusciamo a trovare il seme ideologico di quel cambiamento di retorica, sapremo così cosa fare per riprodurre nella nostra epoca di risurgente statalismo e socialismo la stessa retorica, o quantomeno rinsaldarla così ché le future generazioni possano essere più libere della nostra.  La nostra preoccupazione per il futuro dell’umanità dovrebbe spronarci a scoprire le cause delle buone cose che sono successe nel passato, e a darci da fare per replicarle, per renderle permanenti e patrimonio di tutti. Altrimenti, a cosa ci serve conoscere la storia se non impariamo nulla, non ci battiamo per ripeterla o per evitarla? Cosa ci serve, se un giorno noi o i nostri eredi perderemo quella salutare retorica? Non sarebbe auspicabile contribuire a farla risorgere, in qualche modo, da qualche parte? E come possiamo preservarla o farla  risorgere, se non sappiamo neppure come e perché è nata la prima volta? Noi vogliamo sapere cosa sia stato a far nascere quella retorica che ha prodotto quei risultati meravigliosi. Siamo allora alla ricerca di quel fattore unico, non-materiale, culturale o intellettuale che era dominante nell’Olanda del Nord nel tardo ‘500 e inizi ‘600, e in seguito in Inghilterra e Scozia e ancora nelle Colonie Nord-Americane. Notate bene: Dominante, affinché possa contare come fattore abbastanza importante da mutare la retorica di una nazione, e unico di una specifica cultura, per poter spiegare perché alcune nazioni l’hanno accettato, e altre l’abbiano solo imitato,  molto più tardi, e con grande resistenza dall’interno. Io sono a conoscenza di un solo tale fattore: il Calvinismo, o meglio, considerato che molti sono tentati di ridurre  il significato di questa parola a poche proposizioni teologiche – un errore comune in questa epoca teologicamente analfabeta – preferisco così estenderla: il Calvinismo e la coerente e omnicomprensiva  Weltanschauung o visione del mondo che esso offre, che differiva nettamente dalle visioni del mondo delle nazioni confinanti, plasmate dal Cattolicesimo Romano, o dal Luteranesimo o dalla teologia Anabattista di alcune comunità dentro e al di fuori dell’Olanda. La mia tesi è che il Calvinismo e il suo sistema etico omnicomprensivo – dico “omnicomprensivo” – perché comprende molto di più di semplici regole di comportamento, come vedremo in seguito, hanno gettato le fondamenta per la retorica che la prof. McCloskey considera responsabile per lo sviluppo del capitalismo e  della libertà, e ha sprigionato la creatività e l’innovazione umana a livelli senza precedenti storici. Se state cercando il fondamento della libertà, eccolo qui, negli insegnamenti e nella teologia di Giovanni Calvino, chiamato da alcuni storici “il vero Padre Fondatore degli Stati Uniti” o quanto meno, se dissentite da questa valutazione, potrete almeno concordare nel dire che egli è stato il vero Padre Fondatore della Repubblica Olandese. L’Olanda del Nord attraversò un cambiamento rivoluzionario tra il 1540 e il 1560, un cambiamento molto più profondo del semplice mutamento politico effetto della Grande Rivolta del 1572. Quel cambiamento rivoluzionario consisteva nell’impegno religioso della maggioranza della popolazione a nord dei fiumi (e anche delle città costiere dell’Olanda del Sud, il moderno Belgio, dove in seguito venne soppresso). Dalla nostra moderna prospettiva, vivendo in un’epoca laicista, e particolarmente per quelli di noi nati e cresciuti sotto un regime ufficialmente ateo, un tale cambiamento nella fede religiosa ci appare piuttosto irrilevante. Ma questa era l’Europa nel XVI secolo, che per mille anni si è definita come Cristianità, una civilizzazione dove il principio fondante di tutta la società, la cultura, la legge, l’etica, le arti e così via, era la fede in Gesù Cristo quale suprema autorità nella chiesa Cristiana. Ogni modifica e cambiamento nel principio fondante di una società è sempre rilevante, checché ci dica il nostro moderno pregiudizio. Tra il 1540 e il 1560, la società Olandese venne invasa da quelli che al tempo venivano chiamati i “predicatori di campagna”. Predicatori calvinisti tedeschi, svizzeri e olandesi, facevano degli argini delle strade il loro pulpito, predicando ed evangelizzando le persone. Avevano un concorrente agguerrito, ovviamente:  il Cattolicesimo Romano non si sarebbe arreso tanto facilmente, e inoltre vi erano anche Luterani e Anabattisti. Ma fu il Calvinismo a prevalere, e divenne così la più potente forza del Protestantesimo Olandese, e di conseguenza nella cultura Olandese, principalmente perché, come il prof. Jonathan Israel disse nel suo vasto e dettagliato studio sulla storia della Repubblica Olandese: “Con le sue chiare dottrine e la formidabile struttura ha fatto sì che il Protestantesimo nei Paesi Bassi crescesse fino a diventare un potente movimento come non si era mai visto in precedenza”. E il Calvinismo sarebbe stato la forza preponderante nella Repubblica Olandese per molto tempo, almeno fino all’Illuminismo di inizi ‘800, e sarebbe comunque rimasto una grande forza fino a XX secolo inoltrato. Tra il 1572 e la fine del XVIII secolo, tutti gli sforzi politici, intellettuali, sociali, economici, artistici, legali e coloniali della vita sociale Olandese sarebbero stati dominati dagli insegnamenti di Calvino e i suoi eredi intellettuali e spirituali in Olanda. Le lotte si sarebbero distinte tra pro- e contro il Calvinismo, e poco altro. In seguito, nel 1688, la Gloriosa Rivoluzione in Inghilterra, che fu interamente organizzata e condotta dagli Olandesi (nonostante quello che i moderni testi di storia inglesi insegnano), venne considerata un’impresa “Protestante”, e il vento che trasportò l’Armata di Guglielmo e Maria in Inghilterra venne chiamato il “Vento Protestante” dagli Olandesi. Il predominio del Calvinismo in Olanda è il fattore culturale dominante che può darci la sola ragione plausibile per il sorgere della nuova retorica: esso sopraggiunse giusto una generazione prima del suo avvento, segnò una significativa rottura con il passato, ed era tanto omnicomprensivo e coerente  quanto sufficientemente dominante da spiegare il cambiamento nella retorica di una intera nazione. Escludere il Calvinismo dall’equazione ci rende ciechi al vero contesto storico, e senza di esso non possiamo spiegare nulla di quel che è successo e del perché è successo, e del perché in Olanda. Ma esso ci spiega anche perché solo certe nazioni erano pronte ad adottare la stessa retorica fin da subito e persino sorpassare gli Olandesi. Infatti in Inghilterra, Scozia, Svizzera e nelle colonie Nord-Americane era presente e attiva la stessa forza religiosa e culturale proprio nella stessa epoca in cui l’Olanda  stava diventando una società profondamente Calvinista. La stessa retorica divenne naturale a queste nazioni perché condividevano lo stesso retroterra culturale: il Calvinismo. Non l’hanno imitata, non l’hanno appresa da altre culture come la Cina, l’America Latina, e l’Africa oggi la apprendono dall’Europa. L’hanno sviluppata loro, e la relazione tra di loro è evidente, una volta che prestiamo  attenzione al contesto storico: il Calvinismo. E se volessimo ritornare al nostro eroe, Adam Smith, faremmo bene a ricordare che la Scozia del XVIII secolo era una nazione di una cultura particolare, per molti versi simile  all’Olanda del XVI e XVII secolo. Grondava di Calvinismo da ogni poro e il clima spirituale, intellettuale e morale della nazione era stato forgiato dalle lotte teologiche e religiose dei due precedenti secoli, sia contro il Cattolicesimo Romano all’interno, sia contro gli attentati politici della Corona Inglese di imporvi l’Anglicanesimo. La Scozia venne plasmata dalla predicazione dei Calvinisti nella tradizione di John Knox, proprio come l’Olanda lo fu dai “predicatori di campagna”nel ‘500. Va da sé che Adam Smith non era esente da questa influenza, e lo notiamo dallo spirito dei suoi scritti, così lontano anni luce dal nostro moderno pensiero. Essi esprimono una sorta di Calvinismo laicizzato, che dà per scontato la validità delle dottrine filosofiche e sociali del Calvinismo, avendolo però ripulito da ogni menzione di Dio. Che vi piaccia o no, lo vogliate ammettere o no, filosofeggiare o disputarci sopra per negarlo, resta il fatto che le nostre moderne idee di sviluppo, innovazione, governo limitato, capitalismo hanno tutte una sola matrice: le dottrine teologiche di Calvino e la omnicomprensiva Weltanschauung che esse implicano, che dirigono ogni pensiero ed azione, dalla psicologia e moralità personale all’etica economica e politica di governo. Quello che voglio dire qui è questo: Max Weber aveva ragione, quantomeno nella linea principale del suo ragionamento. Come vedremo in seguito, darò un contributo per migliorare il suo metodo. Naturalmente, voi ed io abbiamo sentito i moderni psicologi, sociologi, storici ed economisti trattare con disprezzo la tesi di Weber, offrendo svariati argomenti sul perché la sua tesi non può essere considerata valida. È stato ripetutamente detto che la tesi di Weber è stata confutata molte volte. Di solito, leggo sorridendo  queste affermazioni, vedendo in esse degli ottimi esempi di come tentare di confutare qualcosa con il nulla. Chiunque voglia cercare di confutare Weber dovrà presentare un caso incontrovertibile che offra un’altra ragione per l’avvento del capitalismo, ovvero un’altra influenza culturale dominante nello stesso periodo, nelle stesse culture, e con la stessa sincronia storica di apparizione e preminenza. Fino ad oggi i critici di Weber non stati in grado di offrire altro che fattori materiali, ma le spiegazioni materialistiche, da come apprendiamo dal  libro della Prof. McCloskey, sono assolutamente inadeguate. A essere onesto, concordo anche io che la tesi di Weber è alquanto inadeguata in sé stessa, non nelle sue conclusioni ma nel suo ragionamento. Weber scelse un argomento molto limitato per difendere la sua tesi. Ma c’è un argomento molto più vasto e pervasivo che riesce a difenderla, un argomento che è stato sviluppato negli ultimi 40 anni ed è stato largamente  ignorato dal moderno mondo laicizzato dell’accademia, che preferisce attenersi al debole argomento originale di Weber, perché appare molto più semplice refutarlo. Ignorare valide argomentazioni ha ovviamente un prezzo, e il prezzo è la crescente irrilevanza nell’arena intellettuale. Ma permettetemi di presentare questo argomento così ché non dobbiate rimanere con l’impressione che la coincidenza storica dell’avvento del Calvinismo e dell’avvento del Capitalismo sia l’unico argomento a mia disposizione. Quel che io affermo qui è questo: il Capitalismo – o la libertà, o l’innovazione, la cultura d’impresa –  come fenomeno culturale fu fondato su qualcosa di più che una retorica. Fu – ed è – fondato su una omnicomprensiva  Weltanschauung che incoraggia globalmente e in tutte le specifiche parti ogni cosa buona che voi ed io ritroviamo nel capitalismo e nella libertà. Non è stato motivato da un singolo impulso, o un singolo innesco, che sia la retorica, la dottrina o la motivazione psicologica. Ad avergli dato slancio fu piuttosto un sistema coerente di credi, un sistema così consistente, ordinato, logico e interconnesso, da poter rispondere sia alle questioni metafisiche dell’esistenza dell’universo, della conoscenza, dell’etica, della società, del tempo e dell’eternità, sia giustificare le motivazioni personali per l’autointeresse dell’uomo come individuo. Senza quel sistema, il capitalismo non sarebbe mai apparso sulla scena, e senza la preservazione storica di quel sistema il capitalismo scomparirà, a meno che non troviamo un modo per ripristinarlo – e questo mediante il recupero del solo fattore storico che lo ha generato. Siamo tutti d’accordo che il capitalismo nacque nell’ambito di una nuova retorica. Ma suggerisco anche  che una nuova retorica non nasce a meno che non sia presente una nuova etica. E io intendo “etica” non nel senso di semplici “regole di comportamento”, ma etica nel suo senso più ampio: una cosmologia omnicomprensiva. Sì, so benissimo che alcuni di voi sono discepoli di Von Mises, e non gradite sentir parlare di questioni metafisiche. Ma vi prego, cercate di seguirmi lo stesso. Affinché il capitalismo – o l’innovazione – possano emergere, c’è bisogno di cinque specifici credi, che ora esaminerò. E spiegherò perché esso non possa esistere senza di loro. Primo.  Esso richiedere un credo in una realtà unificata, e con essa, una epistemologia coerente, ovvero una teoria della conoscenza che assicuri un individuo o una cultura che la conoscenza è possibile e adeguata. Senza il credo in una realtà unificata non c’è metodo scientifico, non c’è sviluppo tecnologico, non c’è innovazione e non c’è nessuna garanzia che un sistema di prezzi decentralizzato possa dare informazioni utili per gli imprenditori. Non c’è neanche la sicurezza che quel che un innovatore cerca di produrre possa necessariamente servire persone in differenti situazioni  culturali o geografiche. È molto importante notare, specialmente quando leggete Adam Smith, come egli faccia numerosi riferimenti all’“universo”, o alle “leggi universali”, o ai “principi” e altre cose simili. Una tribù nella giungla che crede in una realtà frammentata controllata da demoni locali non può e non produrrà mai nulla che assomigli al capitalismo e all’innovazione. E pure lo stesso ateismo, con la sua epistemologia dell’agnosticismo (ironicamente, la teoria della conoscenza dell’ateismo è “Io non posso sapere”) non può produrre l’epistemologia necessaria per dare vita all’innovazione o  al capitalismo. Secondo. Esso richiedere un credo in uno scopo per la propria vita sulla terra. E io intendo vita individuale. Nella loro stessa essenza, il capitalismo e l’innovazione richiedono il rilascio dei “poteri” dell’uomo come individuo. Un uomo non  dedica sé stesso a una vita di investimenti e ricerca – entrambe le quali richiedono sacrificio in denaro, tempo e sforzi – a meno che non consideri sé stesso individualmente come un’entità che ha uno scopo. Un uomo senza uno scopo per la sua vita diventa un burocrate oppure,  se è più morale e coscienzioso, un mendicante. Non è una semplice coincidenza che tutti i libri scritti da milionari consigliano i loro lettori di avere uno scopo per la loro vita. Anche il comunismo, distruggendo la legittimità dell’individuo come partecipante sociale, ha distrutto lo scopo per la vita dell’individuo, e di conseguenza ha distrutto il sacrificio, l’imprenditorialità e l’innovazione. Terzo. Il capitalismo richiede un credo in un sistema etico trascendentale, valido, praticabile, verificato e verificabile. Deve essere trascendentale perché non sia emanazione dell’autointeresse di un uomo o gruppi di persone ma piuttosto al di sopra degli interessi umani e quindi sanzionato da una autorità più elevata degli uomini. Un capitalista o un innovatore che vuol trarre profitto dai suoi investimenti, dalle sue invenzioni, dai suoi sacrifici di tempo e lavoro, deve essere sicuro che gli altri abbiano i suoi stessi valori etici, affinché non venga derubato dei frutti del suo lavoro, o ne sia  impedito dall’invidia dei suoi concorrenti. Una società nella quale ogni uomo è legge a sé stesso o dove le leggi vengono fatte a beneficio del potente di turno non sviluppa il capitalismo. Le città interne degli Stati Uniti e molte nazioni del Terzo Mondo ne sono un buon esempio.

  1. Il capitalismo richiede di credere in un universo predicibile, ovvero di credere in sanzioni[3] storiche in risposta a specifici comportamenti morali. Ovviamente la predicibilità non potrà mai essere perfetta e completa in un modo come il nostro, ma la probabilità di successo di specifiche azioni può essere misurata e considerata affidabile. Ma ancor più importante deve essere creduta prima di essere misurata. I primi imprenditori Olandesi investirono e rischiarono tantissimo. In India e nel mondo mussulmano, al contrario, dove non esiste il credo in un universo predicibile che ricompensa gli industriosi e punisce i pigri, non ci sono slanci imprenditoriali tranne in coloro che hanno una visione del mondo europea.

E quinto il capitalismo richiede speranza per il futuro. La predicibilità non è sufficiente se tutto quello che comunica a una persona è pessimismo per il futuro. Le aspettative positive di una crescita inevitabile nel futuro, nonostante gli errori temporanei che una persona o un gruppo commettono qui ed ora, sono vitali per  una buona intenzione di investire e innovare. Un soldato non va di buon grado verso la battaglia se è convinto che è una battaglia persa. Una famiglia non sarà ansiosa di volere dei figli se si aspettano un futuro grigio. E un imprenditore non vorrà certamente investire il suo denaro, il suo tempo e i suoi sforzi se si aspetta che il futuro sia peggio del presente. Tutti questi cinque punti – realtà unificata ed epistemologia, scopo individuale, sistema etico, predicibilità e speranza – devono essere presenti in una  Weltanschauung perché essa possa generare il capitalismo e l’innovazione. Dovesse mancarne anche solo una non avremmo più il capitalismo e non avremmo l’innovazione. Il nostro mondo moderno è nato sulle basi di una  Weltanschauung che provvedeva tutti e cinque. La mia tesi è che il Calvinismo era unico tra tutte le religioni, le ideologie e sistemi dottrinali nel mondo, che possedeva  tutti e cinque punti. Nessun’altro sistema lo ha fatto, infatti nessun’altro sistema poteva farlo, sia che fosse il Cattolicesimo Romano o l’Ortodossia Orientale nell’ambito della Cristianità, sia che fosse l’ateismo o l’Illuminismo che apparirono molto più tardi sulla scena, ed ebbero bisogno di tempo per diventare la forza culturale dominante, sia che fosse il socialismo o l’umanesimo secolare. Primo, con la sua dottrina della Sovranità di Dio, il Calvinismo dispone sia del credo in una realtà unificata sia una coerente e sistematica epistemologia. Io trovo ironico che i moderni critici del Calvinismo si concentrino solo sulla sua dottrina della predestinazione, spendendo un enorme quantità di tempo e inchiostro per refutarla, o studiarla. I moderni critici di Max Weber seguono a ruota,  rivolgendo una spropositata attenzione al ruolo della predestinazione nella formazione dell’etica Protestante. Ma la verità è che la predestinazione nel Calvinismo è una dottrina corollario, essa consegue semplicemente da una più grande e più centrale dottrina: la Sovranità di Dio. Un Calvinista non si dedica al lavoro perché si preoccupa se sia predestinato o no, anche se questa preoccupazione gioca il suo ruolo. Egli si dedica al lavoro perché crede che il mondo – e quindi anche egli stesso, con le sue capacità, i suoi doni e talenti – appartengano a Dio, e Dio è il giusto Padrone che richiede che gli uomini lavorino. Noi lavoriamo perché imitiamo Dio nella Sua etica, e Dio lavora fino ad ora, come dice il Nuovo Testamento[4] Lavoro e produttività conseguono da un incentivo molto più fondamentale che semplicemente la predestinazione, essi scaturiscono dal credo in Dio come Creatore, e perciò Padrone del mondo. La dottrina di Dio come Creatore ci provvede pure la sistematica e coerente teoria della conoscenza di cui necessitiamo. Essa risolve quel problema sul quale molte altre filosofie si arrovellano, sia che ne siano consapevoli o no, sia che lo ammettano o no. Cosa dire della capacità della mente umana di interpretare la realtà al di fuori della mente stessa? Possiamo fidarci della sua rappresentazione della realtà? Calvino inizia le sue Istituzioni della Religione Cristiana con l’epistemologia, e spende la maggior parte del primo libro sulla conoscenza di Dio e dell’uomo. Questo sistema di conoscenza ordinato e coerente non ha trovato ancora eguali in qualunque altra filosofia, e la nostra moderna accademia laicista  ha ormai rinunciato alla speranza di produrre qualcosa che lo approssimi. Secondo. Il Calvinismo enfatizza la dottrina del mandato di dominio dato da Dio all’uomo nel primo capitolo della Bibbia “E… che domini … sulla terra”[5]. L’uomo ha uno scopo datogli da Dio di accumulare conoscenza, fare scienza, aumentare le risorse sotto la sua amministrazione, di elevare sé stesso e la sua famiglia, e con loro anche il prossimo. Ogni individuo ha doni specifici, individuali che gli sono dati per essere impiegati al servizio di Dio, degli altri, di sé stesso e della sua famiglia. Questo è lo scopo dell’uomo individuo, e questo impulso era specialmente sentito tanto tra i primi colonizzatori delle colonie Nord Americane, quanto tra i Puritani Inglesi e i Presbiteriani Scozzesi. Se qualcuno mancava di dedicazione allo scopo datogli da Dio per la propria vita, questo era visto come evidenza   che costui non fosse rigenerato, e che pertanto egli non fosse salvato. Questa era per gli uomini una potente motivazione  per il sacrificio, per l’esplorazione, l’innovazione, il lavoro e la conquista del mondo. Tutto questo era conseguenza degli insegnamenti di Calvino. Nessun’altra religione o filosofia dispone di una tale poderosa finalità, e pertanto di un vigoroso motivo per lavorare. Terzo Il Calvinismo enfatizza la continua validità della Legge di Dio data nella Bibbia, e la sua superiorità sopra tutti gli apparati giuridici sviluppati dagli uomini. Una legge rivelata, in altre parole una legge trascendentale, che non è stata redatta per servire i fini di un sovrano o di un gruppo politico, era alle fondamenta dell’edificio culturale e della struttura giuridica di tutte quelle società che oggi noi consideriamo i luoghi di nascita del capitalismo, e in particolare, dell’Olanda. A cominciare da Calvino a Ginevra, i predicatori Riformati e gli uomini di chiesa raramente si limitavano a parlare dal solo pulpito: in ogni luogo  essi erano attivi partecipanti nel processo legislativo, e la Bibbia vi aveva sempre l’ultima parola. È di moda oggi tra gli intellettuali dell’accademia, di evidenziare solo le leggi restrittive varate contro altre religioni e persuasioni, ma la verità è che le restrizioni erano una minuscola parte della loro legislazione. Il corpo principale delle leggi redatte in Olanda, Inghilterra, Scozia e nelle Colonie Nord-Americane riguardava le dispute economiche tra creditori e debitori, tra i padroni e i dipendenti, la limitazione del potere del Governo, e la protezione della famiglia dall’interferenza governativa. Cromwell fu il primo governatore ad aver mai stabilito una commissione governativa per la protezione delle piccole imprese, e uno dei più famosi sermoni del predicatore Puritano Cotton Mather nelle colonie americane fu “Eque trattative tra il Debitore e il Creditore”. John Witherspoon, l’uomo che è stato insegnante di quasi tutti i Padri Fondatori della Repubblica Americana, espresse una chiara relazione tra la libertà religiosa e la libertà economica quando li incoraggiò a combattere per la loro indipendenza. Quarto Il Calvinismo dispone della fede in un universo predicibile grazie alla sua concezione delle divine sanzioni pattizie nella storia . In altre parole, questa concezione stabilisce che, generalmente, una nazione che obbedisce alla legge di Dio e si dedica a compiere il mandato di dominio sarà benedetta da una crescente prosperità. Cosa che si applica anche agli individui, anche se alcuni di loro posso essere stati scelti per un differente genere di testimonianza. L’uomo può aver fiducia nel fatto che i suoi sforzi non saranno stati vani, che il suo sacrificio sarà ricompensato non solo nel futuro, dopo la morte (come nel Cattolicesimo Romano o nell’Ortodossia Orientale), ma anche in questo mondo, con una crescente prosperità, potere e influenza, per sé stesso, i suoi figli dopo di lui e per la sua nazione. Rimango spesso sconcertato davanti all’entusiasmo dei moderni atei quando leggono Adam Smith, perché i suoi libri sono il primo esempio di quel credo in un universo predicibile dove le azioni morali sono ricompensate e le azioni immorali sono punite – quantunque egli cerchi disperatamente di evitare di menzionare Dio. Ma l’ateismo nella sua essenza nega una tale relazione tra azioni morali e conseguenze materiali. Che cosa si entusiasmano a fare? Voltaire, l’acerrimo nemico della Cristianità, è stato tuttavia abbastanza avveduto da difendere, verso la fine della sua vita, il credere in Dio, se non altro perché senza di esso, nessuna etica e nessuna predicibilità sono possibili nell’Universo (e per la maggior parte della sua vita, egli visse nella Ginevra calvinista).  Le aspettative di ricompensa, sulla  terra, in questa vita sono un potente incentivo, da come ben sappiamo dall’analisi degli economisti Austriaci sulla funzione sociale del profitto. Ma il profitto è sempre esistito: ci è voluta una sua particolare, unica concezione per renderlo una potente motivazione per l’avvento del capitalismo. E quinto, il Calvinismo dispone dell’ottimismo per il futuro grazie al suo recupero della dottrina del Regno di Dio sulla terra. Il suo termine teologico è Postmillenialismo, che non illustrerò tuttavia qui. Tutti i teologi olandesi tra il 1540 e il 1750 erano postmillenialisti, e per questo predicavano una visione positiva e ottimistica per il futuro. Anche tutti i teologi Puritani e Presbiteriani erano postmillenialisti, e l’ottimismo teologico rimase dominante nelle chiese Americane fino alla Prima Guerra Mondiale. La storia era vista come lo sviluppo positivo e la progressiva applicazione delle verità della Bibbia nella vita della società e per questo non importava quali battute d’arresto un uomo o una società potessero soffrire, queste dovevano essere considerate solo temporanee. Questo inattaccabile ottimismo cambiò l’attitudine verso il sacrificio e la scoperta, e si può ben dire che fu il fattore principale nell’avvento della nuova retorica e lo sbrigliamento delle facoltà creative dell’uomo. Lo stesso Marx fu così impressionato dal potere dell’ottimismo storico al punto di consigliare i suoi ascoltatori nel Congresso di Hague nel 1872 di non essere come i Cristiani di un tempo che credevano nel Regno di Dio sulla terra, ma che poi persero quella fede. Infatti, in altra sede, ho sostenuto che il più grande contributo di Marx alla teoria del Comunismo non fu la sua economia ma la sua predicazione dell’ottimismo. Senza quell’ottimismo, la Repubblica Olandese non sarebbe stata in grado di prosperare o anche solo sopravvivere di fronte ai problemi e le minacce straniere che affrontò nel XVI e  nel XVII secolo. E lo stesso vale per l’Inghilterra, la Scozia, le colonie Americane e la Svizzera. Per ritornare ad Adam Smith, tutti questi cinque elementi, anche se in forma laicizzata,  possono essere ritrovati nei suoi scritti. La Sovranità di Dio, il mandato del dominio per l’uomo, la Legge di Dio, le sanzioni pattizie, la speranza ottimistica per il futuro. E questi possono essere ritrovati al fondamento di ogni cultura che ha sviluppato il capitalismo spontaneamente, senza imitare semplicemente altre culture. E anche nelle loro imitazioni, gli individui devono abbandonare la Weltanschauung, la visione del mondo delle loro religioni o filosofie, e prendere a prestito la  Weltanschauung del Calvinismo, per poter innovare e crescere. È un incentivo potentissimo, infatti è il solo incentivo che c’è sia che quelli sotto la sua influenza lo ammettano o no, sia che se ne siano consapevoli o meno. La conclusione della mia tesi è questa: Il mondo moderno, così come lo conosciamo, il mondo del capitalismo dell’innovazione tecnologica e sociale, e le idee di individualismo e libertà, sono emersi da una retorica che operava nelle menti degli uomini per sguinzagliare il potenziale nascosto delle loro facoltà creative. Ma quella retorica non è venuta fuori dal nulla. Essa stessa era il prodotto di un cambiamento molto più pervasivo e rivoluzionario nella  Weltanschauung dei popoli d’Olanda, Inghilterra, Scozia e Svizzera. Questo cambiamento nella visione del mondo fu causato dalla Riforma, nello specifico dagli insegnamenti di Calvino con le sue ramificazioni teologiche e filosofiche. Tutto quello che oggi  troviamo di buono, auspichevole e lodevole nel capitalismo, la moralità del capitalismo, la libertà e l’innovazione, è stato fondato su quella visione del mondo. L’avvento del Capitalismo può essere rintracciato all’avvento del Calvinismo, e sia il contesto storico, sia una obiettiva analisi della natura del capitalismo paragonata alla  Weltanschauung del Calvinismo, ne sono una robusta dimostrazione. La relazione è talmente manifesta che, per parafrasare Walter Williams, ci vuole solo un intellettuale accademico americano per non vederla. Quella retorica che creò il Capitalismo è oggi in pericolo. Ed è in pericolo perché l’etica al suo fondamento è andata perduta. Noi come libertari ci sforziamo in ogni modo di recuperare la retorica del capitalismo della libertà, ma lo facciamo spesso e volentieri nel modo sbagliato, cerchiamo di produrre il frutto senza disporre della radice. Noi leggiamo Adam Smith e ammiriamo quei pionieri del capitalismo e della libertà però poi ci compiacciamo nell’ignorare il loro contesto storico solo perché non si concilia con le nostre presupposizioni religiose. Ma la retorica non potrà essere ripristinata finché non apriremo gli occhi davanti all’ovvio e comprenderemo il suo fondamento. E una volta che lo avremo compreso, dovremo darci da fare per la restaurazione della Weltanschauung che l’ha creata, per poter così lasciare un mondo migliore ai nostri figli, un mondo di libertà. E quella Weltanschauung è quella della Riforma, e più precisamente la Weltanschauung del Calvinismo.

[1]          Weltanschauung, concezione, visione del mondo e della vita

[2]          Burgeois Dignity: Why Economics Can’t Explain the Modern World

[3]     Da intendere nel suo senso più ampio, non solo punzione ma anche ricompensa.

[4]     NdT Citazione da Giovanni 5:17 “Il Padre mio opera fino ad ora, e anche io opero”. Nell’inglese è  reso con work, lavorare.

[5]     Citazione da Genesi 1:24: E Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra».


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